IL SAIO SEPOLTO
di Maria Rosaria Regina Angellotti
Edizioni 0111
Genere: Avventura
Pagine 198
Prezzo cartaceo 15,50 euro
Sinossi
Il Medioevo tedesco, all’epoca delle Crociate, fa da sfondo alla trama d’intrighi e delitti che s’innescano intorno a una misteriosa lettera. La morte violenta del suo autore, il vescovo Guglielmo, è il punto di partenza per il viaggio che intreccerà le sorti di un’antica famiglia e di Fortunio, il giovane novizio incaricato di consegnare la lettera, in una successione di eventi, tradimenti e colpi di scena.
Il romanzo inizia nel gennaio 1157. Fra Fortunio viene chiamato da un ragazzino in tutta fretta: lungo un torrente c’è un uomo nudo, insanguinato e gravemente ferito a causa delle torture subite, ma comunque ancora in vita: è il vescovo Guglielmo.
Ha inizio così, con questo tragico e misterioso episodio, la serie di vicende e di intrighi che ruoteranno attorno a questo strano personaggio, Fortunio.
Questo ragazzo, sulla soglia dei 30 anni, pur sapendo di non avere assolutamente un gran fede, desidera diventare un frate benedettino, ma pare che il vescovo non sia d’accordo a fargli pronunciare i voti; del resto, siamo in un periodo storico non proprio semplice e chi ha “oscuri e poveri natali” non viene affatto preso in considerazione, com’è il caso di Fortunio, rifiutato dalla famiglia perchè nato storpio ad una gamba e consegnato in monastero, perchè fosse allevato.
A Fortunio vengono affidate le ultime volontà del moribondo Guglielmo, il quale – essendogli stata mozzata la lingua dai suoi aguzzini – non può far altro che scrivere una lettera alla madre, la contessa Adelaide, per farle sapere alcune verità finora mai rivelate, riguardanti il defunto fratello Ermanno e i suoi figli.
E così, l’autore ci fa fare un salto indietro, ripercorrendo le vicende del conte Ermanno, dei suoi matrimoni infelici e dei suoi tre figli, avuti con mogli diverse.
Conosceremo il secondo figlio (il primo, Ludovico, lo ha perduto in circostanze poco chiare), Federico, mandato in Terra Santa a combattere per espiare le colpe paterne; ma il fato lo priverà anche di quest’altro figlio... o almeno così pare inizialmente.
La storia si complica di intrecci ed inganni che vengono presentati spesso nel corso di dialoghi concitati e non sempre, a mio avviso, chiari: scopriremo così che non tutto è come sembra e che la gente creduta morta dai più, in realtà è viva e vegeta...
Non solo: ma la lettera scritta da Guglielmo in punto di morte e consegnata a Fortunio perchè a sua volta la dia alla contessa madre, diverrà il centro e il motore di tutti gli inganni e gli assassinii che caratterizzeranno la storia: cosa ha detto Ermanno al fratello Guglielmo, prima di morire?
Ma Fortunio – che gli altri vorrebbero fosse e restasse solo un “pezzente”, un uomo inutile e reietto che obbedisce zitto e muto agli ordini dei ricchi – decide di “prendere in mano” le redini del destino, non tanto suo quanto degli altri; a spengerlo è il senso frustrante di umiliazione che da sempre lo tiene avvinto, il desiderio di vendetta, di veder soffrire e morire coloro che lo hanno sempre disprezzato, di “cambiare la carte in tavola” lì dove gli altri avevano pensato di poter fare e disfare come volevano.
Non c’è molto spazio per sentimenti positivi nel romanzo: sì, è vero, c’è l’amore tra Federico e Matilde (l’ultima moglie del padre Ermanno, nonché madre del fratellastro, il piccolo Roberto) e c’è quello della giovane ed umile Isolde per il cinico Fortunio (che è inutilmente innamorato di Matilde), ma per il resto vige un’atmosfera “buia”, come buio è del resto il Medioevo: a far da padroni sono la vendetta, i tradimenti, gli inganni, la freddezza e il cinismo... e in tutto questo caleidoscopio di sentimenti negativi la sintesi di essi resta Fortunio, che vorrebbe dimostrare a se stesso e agli altri di essere furbo, intelligente, sapiente, ma che alla fine soccomberà davanti ai propri intrighi e alla “confusione” (la propria fede è contaminata da dubbi, da voci strane e da paure, da desideri cattivi...) che lo ha sempre inseguito ed ossessionato.
Nel complesso, il romanzo mi è piaciuto: ho trovato la storia potenzialmente buona: sono molti gli elementi accattivanti presenti, ma ritengo al contempo che essi avrebbero potuto essere meglio e maggiormente sviluppati per dare al romanzo quel tocco “gotico” accattivante ed interessante: l’autrice ha avuto più di un’occasione per soffermarsi sui particolari più intriganti, per destare suspense, e faccio alcuni esempi: la morte sotto tortura del monaco Guglielmo, la misteriosa morte di Ermanno, la vita dei monaci e le loro macchinazioni poco pie e caritatevoli... ed altri momenti in cui erano richiesti dinamicità, movimento, azione, tensione...
Ed invece, ciò che appare durante la lettura, è anzitutto che il cambio costante di punto di vista – si passa a vedere le cose secondo l’ottica di Fortunio, di Ermanno, di Federico o Matilde o Adelaide... – renda il tutto non vivace, ma paradossalmente ancora più “distante”: è come se chi scrive non si cali davvero nei personaggi o almeno in uno in particolare, non li renda quindi più vicini al lettore, ma ne parli da un punto di vista troppo esterno, col rischio che vi sia un calo di interesse e un basso coinvolgimento per le vicende narrate (che di per sè sono interessanti, perchè capaci di instillare nel lettore il desiderio di andare oltre, di sapere “cosa c’è dietro” una certa situazione, quale mistero c’è da svelare...) e che la narrazione stessa faccia fatica a “decollare”.
Aggiungo che il titolo stesso – che da solo incuriosisce, che dà modo di pensare, a chi si accosta al libro, che ci sia una storia “oscura” dietro questo saio sepolto – alla fine non trova una vera e propria ragion d’essere e che si sarebbe potuto aggiungere o insistere su alcuni particolari e alcune situazioni in modo diverso, dando più slancio e mordente all’intreccio narrativo.
Ma forse è anche un pò colpa mia, visto che quando mi accosto ad un romanzo dallo sfondo storico, ambientato nel Medioevo – che tanto ha ancora da svelarci, “buio” com’è... , che tanta fantasia (il più delle volte “macabra”) ancora accende negli scrittori –, che vede coinvolti monasteri e che per di più è narrato in un linguaggio “antico”, penso a opere quali Il nome della rosa e mi carico di non so quali aspettative...