Come vi dicevo ieri sera, c'è un altro film che ho guardato nel fine settimana.
Presentato in concorso al Festival di Venezia 2013.
2013 - Mostra del cinema di Venezia Migliore sceneggiatura a Steve Coogan e Jeff Pope
Tratto dal romanzo “The lost child of Philomena
Lee”, pubblicato in Italia da Piemme col titolo “Philomena” (info).
I film tratti da storie e fatti realmente accaduti
hanno su di me un certo fascino; se poi ci aggiungete un convento di suore in
cui avvengono cose che non dovrebbero accadere e casi di ingiustizia… beh, mi
invitate a nozze.
Ma qui della gioia delle nozze c’è davvero poco.
In questo film drammatico c’è la storia di
un’ingiustizia che non ha riscatto, ma solo sofferenza e lacrime.
Eppure esse arrivano a noi senza pesantezza, ma
anzi con una certa dose di humor e leggerezza che però non vanno a
ridicolizzare i fatti, ma a darcene una lettura sentimentale e mai
stucchevole.
Philomena Lee è una donna ormai anziana, che ha un
grande cruccio e dolore nella propria vita; un dolore ben riflesso nei suoi
espressivi occhi azzurri e narrato dalle rughe che solcano il suo viso.
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j. dench
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Un dolore di nome Anthony.
Philomena è stata una ragazza madre che ha
partorito il proprio bambino in un istituto religioso in Irlanda, una delle tante “Casa
Magdalene” (sorte nel XIX sec. In Irlanda e Inghilterra; l’ultima è stata
chiusa nel 1996) che raccoglieva ragazze orfane o ritenute immorali per la loro
condotta peccaminosa. In queste comunità, le ragazze – alcune davvero giovanissime – venivano
trattenute anche contro la propria volontà (ovviamente perché i primi a volerlo
erano i famigliari) e soprattutto costrette a lavorare con ritmi e in mansioni estenuanti con la “scusa” di dover
espiare i propri peccati; in realtà, gli istituti, sfruttando il lavoro delle
poverette, ci guadagnavano un sacco e tutto grazie a una manodopera
praticamente gratis.
In questo posto poco caritatevole è finita, da
adolescente, la nostra protagonista, che ha fatto l’errore di cedere alle
lusinghe di un bel giovanotto e di rimanerne incinta.
Non solo il parto è stata una brutta esperienza
perché il bimbo era in posizione podalica e, dovendo lei soffrire per
redimersi, non meritava assistenza medica, ma dopo la nascita le era permesso
di vedere il piccolo per poche ore alla settimana, con il terrore sempre
presente che, da un momento all’altro, egli le fosse strappato via.
E così fu.
Una mattina, una coppia americana, venuta per
adottare una bimba, pensa bene di prendersi anche quel bimbetto così carino e
affezionato alla bambina prescelta, il tutto senza tener conto delle povere mamme.
Anthony ha tre anni quando viene strappato via alla
propria legittima madre, la cui indicibile sofferenza la segnerà e le peserà
sul cuore per anni e anni.
A nulla varranno i tentativi personali di cercare
il figlio, di carpire informazioni dalle suore, così dopo tanti anni, ormai con
una propria famiglia alle spalle, Philomena decide di rivolgersi a un aiuto
esterno, cioè ad un giornalista, Martin Sixsmith.
Inizialmente Martin non è convinto di volersi
imbarcare in una storia di vita vissuta, essendo lui un giornalista che si
occupa di argomenti più elevati e intellettuali, e non di fatterelli adatti a
casalinghe ignoranti e volubili.
Ma la simpatia, la vena dolce e ironica di
Philomena e la sua tenacia nel voler andare a fondo alla sua storia di
ingiustizia, vincono ogni resistenza e reticenza, e i due partono insieme per
quest’avventura, sperando chiaramente in un lieto fine.
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martin sixsmith e philomena lee |
Avventura che li riporterà nel convento di Roscrea
dove tutto è cominciato fino ad approdare negli States, lì dove fu portato il
piccolo Anthony dalla famiglia adottiva.
Le vicende di questa signora anziana, simpatica e
buona, ci stanno a cuore e vorremmo che lei abbracciasse il suo figlio perduto.
Sarà così?
Non sempre la vita ci ripaga del male ricevuto
dandoci del bene, ma ciò che colpisce di Philomena è la sua forza morale, la
sua dolcezza, il suo saper andare oltre la malvagità subita, l’odio, il
risentimento, che umanamente comprenderemmo, e che forse tanti di noi, nella
sua medesima situazione, avremmo provato e ci sentiremmo in diritto di esternare.
Martin si fa prendere dalla ricerca di Anthony e
dalla storia di Philomena e di tutte le ragazze come lei, passate per quegli
istituti, e il suo punto di vista sarà quello del giornalista alla ricerca
della storia da raccontare, magari un tantino scandalistica, che faccia sorgere
nelle persone un sentimento di indignazione davanti a comportamenti scorretti
da parte di persone da cui ci aspetteremmo carità e comprensione.
A prescindere da come andrà la ricerca del figlio
da parte di questa madre combattiva e tenera, ciò che mi è piaciuto è come
affronta e vive tutto la protagonista, la cui bontà d’animo, la capacità di
perdonare e di non condannare coloro che le hanno fatto del male, mi hanno
toccata, perché non è automatico e naturale non cadere nell’odio verso chi ci
ha procurato tanto dolore.
Sapere come ha vissuto e chi è riuscito a diventare
il proprio bambino, quali opportunità di vita un gesto malvagio e crudele è
comunque riuscito a donargli, permettono a Philomena di provare un’incredibile
serenità; il dolore per una vita non vissuta accanto al frutto del proprio
ventre resta e sarà sempre lancinante, ma viverlo scevro dell’odio, che tanto
non cambia il passato, è una conquista, una vittoria.
Un bel film, come dicevo, drammatico eppure non
pesante grazie ad una protagonista ancora piena di vita, dolce e pronta alla
battuta simpatica.
Consigliato a chi privilegia le storie vere e
drammatiche.
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