giovedì 21 marzo 2019

BENVENUTA PRIMAVERA


Ci sono molte leggende e racconti mitologici legati alla primavera.


Uno di questi è certamente quello del ratto di Proserpina (versione romana della dea greca Persefone o Kore).
Racconta la leggenda che nelle vicinanze di Enna, venne Cerere a fecondare le terre, a portare la vita con i suoi lieti doni.
Cerere, sorella di Giove, era venerata come la dea che aveva insegnato agli uomini a coltivare i campi e a renderli rigogliosi. Aveva una figlia incantevole di nome Proserpina, una fanciulla spensierata ed allegra, che soleva giocare con le compagne nei verdi prati alle falde dell’Etna.
In quel tempo, tutti gli Dei scendevano dall’Olimpo per assistere alla festa della natura creata da Cerere.
Un giorno Proserpina, in compagnia delle Oceanine e sotto lo sguardo materno, era intenta a cogliere i fiori del prato. Inavvertitamente si allontanò dal gruppo, per prendere un bel narciso, quando all’improvviso davanti la terra si aprì e sbucò dal profondo Plutone sulla sua carrozza trainata da cavalli maestosi.
Plutone, re degli inferi, deciso a visitare la terra, emerse nei pressi di Enna, sui Monti Erei nel centro della Sicilia, e scorse Proserpina tra le tante fanciulle intente a cogliere fiori sulle rive del lago di Pergusa.
Cerere fu disperata alla notizia della scomparsa della figlia,avvenuta tra l'altro col consenso di Giove.
Distrutta dal dolore e dal tradimento del fratello, decise di ritirarsi, appartandosi dall’Olimpo, immersa nel tormento e risentita contro tutti gli Dei: senza le cure della Madre terra, cessò dunque la fertilità dei campi e vennero i tempi della carestia e della morte.
Giove vedendo la fame sterminare intere popolazioni, mandò in più riprese messi ad ammansire Cerere, la quale rispondeva che sarebbe tornata alle cure della terra, solo dopo avere riottenuto in vita Proserpina.
Così Giove inviò Mercurio da Plutone per chiedere che Proserpina fosse liberata. Il re degli inferi accettò solo a condizione che la fanciulla non avesse mai toccato cibo in tutto il periodo della sua permanenza.
Non appena Cerere riabbracciò la figlia, il mondo rinacque: l’inverno scomparve e lasciò posto alla primavera. Ma Proserpina aveva ormai perso la sua verginità, gustando sei chicchi di melograno, simbolo d’amore, che Plutone le aveva donato.
Era dunque a tutti gli effetti sua sposa, e, pertanto, Plutone ne pretese il ritorno. Avendo Cerere minacciato che, se la figlia le fosse stata di nuovo tolta, avrebbe reso la terra sterile, Giove giunse ad un compromesso: Proserpina per sei mesi sarebbe stata con la madre e per gli altri sei al fianco del suo sposo.
Cerere non si arrese del tutto: quando la figlia scendeva agli inferi, gli alberi si spogliavano e tutta la terra diveniva brulla e fredda; al suo ritorno sulla terra era di nuovo tutto un germogliare e un tripudio di colori .


PRIMAVERA IN VERSI


Io credo non spunterebbe una foglia in primavera,
non fosse per le labbra degli amanti che baciano,
non fosse per le labbra dei poeti che cantano.
(OSCAR WILDE)


ELEVAZIONE 

Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli,
delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
oltre il sole e l'etere, al di là dei confini delle sfere stellate,
anima mia ti muovi con agilità,
e, come un bravo nuotatore
 che fende l'onda,
tu solchi gaiamente,
l'immensità profonda
con indicibile e maschia voluttà.

Via da questi miasmi putridi,
va' a purificarti nell'aria superiore,
e bevi come un puro e divin liquore
il fuoco chiaro
che riempie i limpidi spazi.
Alle spalle le noie e i molti dispiaceri
che gravano col loro peso
Sulla grigia esistenza
felice chi può con un colpo d'ala vigoroso
slanciarsi verso campi luminosi e sereni;
colui i cui pensieri, come allodole,
verso i cieli al mattino spiccano un volo
- che plana sulla vita
 e comprende senza sforzo
il linguaggio dei fiori e
 delle cose mute.

Charles Baudelaire - (Les fleurs du mal, 1857, FONTE)


MUSICA

Sicuramente ci sono tante canzoni - italiane e non - che prendono spunto da questa meravigliosa stagione, io ne cito giusto un paio, tra quelle che mi piacciono maggiormente.


PRIMAVERA (R. Cocciante)


E solcherò il tuo corpo
Come se fosse terra
Cancellerò quei segni
Dell'ultima tua guerra
E brucerò col fuoco
Quest'erba tua cattiva
E ti farò con l'acqua
Più fertile e più viva
E pregherò che il sole
Asciughi questo pianto
E pregherò che il tempo
Guarisca le ferite
Poi costruirò una serra
Intorno al tuo sorriso
Farò della tua vita
Un altro paradiso
Sarò il tuo contadino
E tu la terra mia







mercoledì 20 marzo 2019

Recensione: FINCHE' LE STELLE SARANNO IN CIELO di Kristin Harmel



Una storia struggente e commovente che, partendo dai nostri giorni, torna indietro di settant'anni, al periodo terribile della seconda guerra mondiale, alla tragedia dell'Olocausto e al dramma di tante famiglie separate irreparabilmente dagli orrori di un mondo impazzito.


FINCHE' LE STELLE SARANNO IN CIELO
di Kristin Harmel



Ed. Garzanti
trad. S. Caraffini
363 pp
5 euro
Rose è una vecchina di oltre ottant'anni che ogni sera, in quel magico momento che precede il buio della sera, quando il cielo si tinge di viola e arancione, ha un'abitudine alla quale non ha mai rinunciato: volge lo sguardo in alto a cercare la prima stella del crepuscolo.
Guardare il cielo stellato è per lei fonte di consolazione e struggimento insieme, perchè quei lontani puntini luminosi le rammentano i suoi cari ormai perduti per sempre e da tanto..., troppo tempo.
La sua amata famiglia, il suo unico grande amore...: che ne è stato di loro?

Rose Durand non è ciò che gli altri pensano che sia.
Rose è venuta negli USA nell'immediato dopo guerra, ha sposato il buon Ted e cresciuto insieme a lui la sua unica figlia, Josephine, che a sua volta ha avuto una sola bimba, Hope.

Nè Josephine né Hope hanno mai conosciuto davvero la loro mamma e nonna, Rose; e adesso che la sua memoria sta svanendo (a causa dell'Alzheimer), a Rose non restano che le sue fedeli stelle a ricordarle chi è e da dove viene.
A riportarla alle sue vere radici, agli anni Quaranta, ai suoi diciassette anni, a quando lavorava nella storica pasticceria di famiglia, sulla rive della Senna.

Il suo passato francese, la sua vita a Parigi prima dell'emigrazione in America, nessuno lo conosce.
Adesso che sua figlia Josephine è morta, non le resta che la nipote Hope e la figlia di quest'ultima, la dodicenne Annie, cui raccontare i suoi segreti; quei segreti che si porta dietro da troppi anni e che non hanno mai smesso di pesarle sul cuore, di farla sentire in colpa per aver abbandonato al loro destino i suoi familiari e il suo amato fidanzato di allora.

Ma arrivati a questo punto, Rose ha preso una decisione: prima che sia troppo tardi, prima che le sue condizioni mentali si aggravino a causa della malattia, prima che il nemico chiamato Alzheimer le tolga anche quei rari momenti di lucidità, la vecchia Rose sa cosa deve fare: è venuto il tempo di dar voce al suo ultimo desiderio, vale a dire ritrovare la sua vera famiglia, a Parigi.

Certo, la sua salute (è ricoverata in una casa di riposo) non le permette di lasciare il Paese per andare in Europa a cercare i suoi cari, così la donna decide di affidare il compito alla giovane Hope, la sua unica nipote.

Hope ha 36 anni, è separata dal marito Rob, cinico avvocato, marito egoista e arrogante e padre presente sì ma un tantino distratto; la loro figlia, una ragazzina sulle soglie dell'adolescenza, Annie,  ha un caratterino deciso, ribelle e soffre la separazione dei genitori, attribuendone le responsabilità principalmente alla madre.

Hope è una donna che, se pur giovane, ha maturato con gli anni molta sfiducia negli uomini e nell'amore; si è rinchiusa nel proprio lavoro (porta avanti la pasticceria che nonna Rose ha aperto tanti e tanti anni prima, e che a Cape Cod è un'istituzione), consapevole che non era propriamente il suo sogno fare la pasticcera... Con una laurea in Giurisprudenza, sognava di fare l'avvocato ma quando scoprì di aspettare Annie, lei e Rob (con cui era fidanzata) decisero di sposarsi ed Hope ha finito per restare a casa far la mamma.
Quando poi il matrimonio è naufragato per noia, mancanza d'amore, tradimenti..., la donna si è chiusa ancora di più in se stessa, giungendo alla conclusione che l'unica persona per la quale si deve sacrificare, l'unica sua priorità nella vita - anche prima di se stessa - è la figlia Annie, bisognosa di amore, protezione e stabilità.
Alla sfortunata esperienza amorosa si aggiunge il rapporto avuto con la madre, un tipo scostante, sempre persa nel proprio mondo alla ricerca del compagno giusto, sempre indaffarata e con poco tempo da dedicare all'unica figlia (tanto se ne prendevano cura i nonni..!), avara di affettuosità, di premure materne, che le ha inculcato sensi di colpa, insicurezze, il timore di non riuscire a farne una giusta e di non essere all'altezza di un Amore vero, di quelli che durano tutta la vita.

Insomma, se c'è una persona che ha smesso presto di credere all'amore delle fiabe - quelle che le raccontava sua nonna da bambina, in cui il principe superava ogni difficoltà e alla fine riusciva a salvare la principessa e a vivere felici insieme -, al "per sempre", che non ha intenzione di aprire il suo cuore a un uomo col terrore che questi glielo spezzi di nuovo, quella è proprio Hope McKenna-Smith.

Eppure, quando lei e Annie vanno a trovare nonna Rose in istituto e questa dà alla nipote una lista con dei nomi, chiedendo di cercarli a Parigi, Hope si ritrova a dover affrontare un viaggio dall'altra parte del mondo senza sapere di cosa si tratti..

Dopo le prime reticenze, pungolata dalla figlia - che s'appassiona, con l'entusiasmo tipico della sua giovanissima età, alla ricerca del passato della bisnonna - e incoraggiata ed aiutata dall'amico, il tuttofare Gavin (un baldo 29enne sempre dolce e disponibile, che sembra guardarla con interesse, anche se Hope è incredula perchè dubita di potergli piacere), la pasticcera si arma della lista e va a Parigi.

Non ha molti elementi in mano: oltre ai nomi indicati sul foglio (di cui lei non ha mai sentito parlare), nonna Rose le ha fatto una confessione circa le proprie origini: non è cattolica, come credeva la nipote, ma ebrea. Ed è sopravvissuta all'Olocausto. 

Hope è sconvolta ma capisce di non poter ignorare quest'informazione; fino ad allora l'Olocausto era stato soltanto un argomento di cui aveva letto qualcosa sui libri, e mai avrebbe pensato che sua nonna fosse una delle vittime scampate all'eccidio.

Quando arriva a Parigi, comprende che è tra quei vicoli, tra Places de Vosges, la sinagoga e la moschea, che la nonna si era scambiata una promessa e una speranza.
Tra quelle strade ricche di fascino e storia, Hope conoscerà un membro della famiglia della nonna che quest'ultima credeva morto nei campi di concentramento; non solo, ma altre verità sconvolgenti emergeranno man mano che Hope apprenderà cosa ne è stato delle persone che hanno popolato il passato di Rose; persone amate, verso le quali la nonnina sente una grande senso di colpa perchè non è riuscita a salvarle dal crudele destino che travolse gli ebrei francesi a partire da quel 16 luglio 1943 (rastrellamento del Velodromo d'inverno ad opera dei nazisti, che arrestarono migliaia di ebrei, destinati ad Auschwitz); non solo, ma lei sa di aver infranto una promessa d'amore, perdendo per sempre il suo Jacob, il suo grande amore, l'unico uomo mai amato le cui ultime parole (prima di perdersi di vista per sempre) erano state:

"Ti troverò, Rose. (...) Quando tutti gli orrori saranno finiti e tu sarai al sicuro, verrò a prenderti. Ti do la mia parola. Non avrò pace finché non sarò nuovamente al tuo fianco".

Lui le aveva promesso di amarla "finché ci saranno le stelle nel cielo", ma la verità è che lei ha cambiato vita salvandosi in America, sposando un altro uomo...
Che ne è stato del suo caro Jacob? Qualcuno le ha detto che egli è morto nel campo di concentramento, eppure il cuore di Rose le suggerisce che non è così...

Non sarà semplice mettere insieme tutte le tessere che formano il puzzle del passato di Rose, ma con pazienza e supportata da Gavin, dietro le insistenze di Annie e mossa infine dal personale desiderio di scoprire le proprie origini, Hope riuscirà a scoprire cosa accadde alla nonna e ai suoi cari tanti anni prima.

Le tante piccole storie di cui verrà a conoscenza dalla bocca di persone che sono state coinvolte da eventi più grandi di loro e che hanno fatto di volta in volta determinate scelte, porterà Hope a vedere quella parte della storia dell'Olocausto che lei ignorava: storie di persone disposte a sacrificarsi pur di salvare chi si ama; famiglie che hanno messo a repentaglio la propria incolumità per aiutare il prossimo in difficoltà, anche se quel prossimo apparteneva ad un'altra religione; amori profondi e veri, che nulla riesce a seppellire, nè il tempo che passa, nè la lontananza, nè la guerra.

Hope intraprende un viaggio nel passato della nonna, che però appartiene anche a lei, e che le insegnerà tante cose su stessa, aiutandola a rivedere la figura della propria madre e il proprio rapporto con Annie; non solo, ma imparerà anche a conoscere il significato del vero amore, e di come a volte ci precludiamo la possibilità di viverlo per paura di soffrire.

"Ora so che il principe esiste davvero, che le persone che ami possono salvarti e che il destino potrebbe avere per tutti un piano più vasto di quanto riusciamo a capire. Ora so che le fiabe possono diventare realtà, se soltanto hai il coraggio di continuare a crederci."


"Finché le stelle saranno in cielo" è un romanzo davvero molto bello, emozionante, con una storia profonda, ricca di intensità e pathos, che ci commuove toccando l'argomento della Shoah e delle deportazioni come anche quello degli episodi di solidarietà e generosità di cui sono stati protagoniste tante persone sensibili, incapaci di restare indifferenti al cospetto degli orrori che accadevano sotto i loro occhi.
L'Autrice ci racconta una storia in cui l'Amore è al centro e alla base di tutto; un amore non perfetto, tutt'altro; a volte il cuore è costretto a soccombere alle necessità della ragione e si fanno scelte obbligate che però hanno conseguenze dolorose, per sè e per gli altri.

Molto bello il personaggio di Rose, una donna ormai giunta alla fine della propria vita che sente il bisogno di fare i conti col proprio passato e di essere totalmente onesta con se stessa e con le amate nipoti; Hope è una donna insicura, interiormente fragile che si è costruita una corazza per proteggersi dalle delusioni sentimentali, e la paura di farsi male (e di farne alla figlia) la porta a chiudere il cuore alla possibilità di innamorarsi; devo dire che non di rado il suo essere chiusa mi ha irritata perchè l'ho trovato esagerato ed estremo, lì dove avrebbe potuto essere meno scontrosa e più serena. Ma devo anche riconoscere che venire a conoscenza della storia della sua famiglia l'ha aiutata a crescere e a limare il proprio carattere.

Dalle pagine di questo romanzo prendono vita i sentimenti in tutte le loro accezioni, i drammi più dolorosi, le scelte più difficili, le relazioni da costruire e da "sistemare", e tutto questo è raccontato tra i profumi delle meravigliose leccornie sfornate nella pasticceria di Rose e Hope; durante la lettura mi sembrava di sentire profumi deliziosi di cannella e mandorle, che riportavano anche me indietro nel tempo, a quelle tradizioni tipiche di ciascun popolo e che è bello conservare e tramandare; ci sono diverse ricette golose che vien voglia di preparare!

Ho apprezzato la sensibilità con cui l'Autrice ha affrontato l'argomento delle vittime dell'Olocausto, il lavoro di ricerca che c'è dietro e il modo in cui si dipanano le vicende dei personaggi.

Che dire ancora? Un romanzo che regala tante autentiche emozioni e tocca il cuore dei lettori.
Assolutamente consigliato!!

martedì 19 marzo 2019

Le tue mani



Mani...

Grandi, 
per afferrare la mia mano.

Tenere, 
per accarezzarmi.

Forti, 
per rassicurarmi.

Calde, 
per farmi sentire il tuo amore.

Le tue mani, papà.


Recensione: IL POSTO di Annie Ernaux



La scrittrice francese Annie Ernaux tratteggia, in questo libro breve e autobiografico, la figura del padre, di quest'uomo prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna, e lo fa con scrupolosità e senza cedere a inutili compatimenti e patetiche nostalgie.



IL POSTO
di Annie Ernaux



L'Orma  editore
trad. L. Flabbi
2014
 pp. 120
10 euro
"In seguito ho cominciato un romanzo di cui era il personaggio principale. Sensazione di disgusto a metà della narrazione. Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a far qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io."


Il romanzo si apre con la prova d'esame che la narratrice sta affrontando per poter diventare insegnante di ruolo, obiettivo che conquista.
Poco tempo dopo suo padre muore ed è proprio di lui che racconta in queste pagine, narrando al contempo anche di se stessa, delle proprie umilissime origini e del riscatto da quella esistenza "inferiore" ad una più "elevata", di classe.
E' forse proprio la consapevolezza (e il sentimento di frustrazione che ne deriva) di essersi "separata" dalla famiglia (non tanto fisicamente, quanto nei modi di essere, pensare, parlare...) a spingerla a scrivere di lui, di questo padre che per tutta la vita ha sentito, quasi come un prolungamento di sè, "un perenne senso di mancanza, senza fondo", "il timore di essere fuori posto", di sentirsi sempre inferiore, mai all'altezza.

La Ernaux parte dall'infanzia del papà, cresciuto con un genitore violento, nella povertà e con poche possibilità di poter avere un'istruzione perchè c'era bisogno di braccia per lavorare.
Da contadino ad operaio in fabbrica. e poi il matrimonio; Annie ricorda che tra i genitori non c'erano dimostrazioni d'affetto e tenerezza, tutt'al più frasi allusive (maliziose) che lei, bambina, non comprendeva.
A un certo punto i suoi genitori rilevano un'attività, un bar-drogheria sito in un ghetto operaio; un lavoro in proprio che essi portano avanti tra una preoccupazione e l'altra, consapevoli di come, man mano, il diffondersi di negozi più grandi e forniti togliessero lavoro a piccoli esercizi come il loro.

Eppure, nonostante le magre finanze, la famiglia riesce ad andare avanti e a non farsi mancare quanto meno il necessario, e a consentire all'unica figlia di proseguire negli studi.

Tra queste pagine conosciamo da vicino l'ambiente semplice da cui proviene l'Autrice, la madre intraprendente e soprattutto lui, il protagonista del libro, l'uomo e il padre di cui lei sta provando a parlare, ma fatica a farlo con naturalezza: 

"Scrivo lentamente. Sforzandomi di far emergere la trama significativa di una vita da un insieme di fatti e di scelte, ho l’impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura di mio padre."

La voce narrante ci porta quindi con sè nella casa dell'infanzia, nel negozio dei suoi, nel quartiere operaio in cui è cresciuta, e a quel continuo ripetere, tra le mura domestiche, che dopotutto a loro tre non mancava niente e c'erano persone ben più sfortunate al mondo.

Colpisce la lucidità dello stile narrativo della Ernaux, che evidenzia come i suoi genitori, nella loro semplicità di gente non ricca, non colta, non raffinata, abbiano sempre provato un grande senso di inferiorità che cercavano in tutto i modi di nascondere, perchè ostentarla (tanto più in presenza di gente "altolocata" e istruita) sarebbe stato ancora più umiliante, quindi bisognava mostrare sempre gentilezza, discrezione e far finta di non provare la vergogna che invece sentivano.

Nonostante il padre lamentasse l'eccessiva, a parer suo, dedizione della figlia per la scuola - reputandola una cosa non positiva, che quasi rendeva sua figlia un'alienata, un'adolescente strana -, l'ha assecondata nel proseguimento degli studi e anzi, col tempo, prese a raccomandarle di comportarsi bene a scuola per non farsi cacciare.

La narrazione non è volutamente "appassionante" e "commovente", anzi può sembrare fredda, troppo controllata, come se si parlasse di estranei e non dei propri genitori, ma del resto Annie è cresciuta con una madre e un padre molto avari di abbracci, parole affettuose, non è abituata a parlare di loro lasciandosi andare ed esternando sentimenti ed emozioni:

"Non sapevamo parlarci tra di noi senza brontolare. La gentilezza dei toni era riservata agli estranei."

Questo non significa che non ci sia emozione nel racconto, quanto piuttosto le "correnti emozionali" sono sotterranee, le si scorgono tra le righe.
Un padre privo di ironia ma comunque allegro, scherzoso, pratico, poco raffinato nel parlare, rozzo se vogliamo, che guardava quell'unica figlia crescere con il naso sempre infilato tra i libri, e intanto ella si allontanava sempre più dalla vita modesta e fin troppo sempliciotta dei genitori, dal loro essere sempre così "alla buona", e avvertendo una certa frustrazione di fronte a questo dato di fatto.
Quando ha incominciato a buttar giù questo scritto, si è sentita in bilico, a metà strada tra il voler riabilitare un modo di vivere considerato come inferiore, eppure felice, e il voler sottolineare l’alienazione che lo accompagna. 

Un libro che si legge davvero in poco tempo e per il numero esiguo di pagine e per la fluidità di stile; una narrazione minuziosa, chiara, raffinata e semplice insieme, che riesce ad avvicinare il lettore all'esperienza individuale e famigliare dell'Autrice, e che diventa un po' specchio dell'esperienza di ciascuno di noi.
Perchè ciascuno di noi ha un punto di partenza, un posto, dal quale proviene, delle figure di riferimento (solitamente i genitori) che hanno influenzato la nostra vita, nel bene e bel male, e nelle quali un po' ci ritroviamo e dalle quali talvolta sentiamo di voler prendere le distanze per provare ad andare oltre quei limiti che ci sono stati tramandati più o meno involontariamente.

Felice di aver letto qualcosa di quest'autrice, spero di leggere altro di suo.

lunedì 18 marzo 2019

IL FIORE DI MANDORLO



La primavera è praticamente arrivata, anche se non in via ufficiale ^_-
E la primavera è sinonimo di risveglio della natura, così oggi desidero soffermarmi sul FIORE DI MANDORLO, il primo a sbocciare in primavera e per questo simbolo della speranza e del ritorno alla vita da parte della natura; siccome sfiorisce in poco tempo, è anche simbolo di delicatezza e fragilità.
Nella Bibbia viene menzionato, il mandorlo; ad es., il profeta Geremia lo attribuisce alla rinascita; nell'Ecclesiaste, la vita è paragonata ai fiori di mandorlo, che subito appassiscono, nello stesso modo in cui la vita scorre velocemente!

Nella mitologia greca, il mandorlo è collegato all'attesa del compimento di una speranza e della costanza.

Diverse sono le versioni tramandate attorno alla vicenda della principessa Fillide (o Filli), figlia di Sitone, re della Tracia, trasformata in un mandorlo spoglio dalla dea Atena, per compassione, dopo essersi uccisa per il dolore temendo d'essere stata abbandonata da Demofonte, figlio di Teseo e di Fedra, il quale non era ritornato da lei nel tempo stabilito per le nozze.
L'albero rimase spoglio e sterile fino a quando l'eroe non ritornò in Tracia e venne a conoscenza del tragico destino di Fillide.
Allora egli andò ad abbracciare il mandorlo piangendo e le sue lacrime di pentimento si trasformarono in una nube di candidi petali che adornarono i rami della pianta, che così finalmente fiorirono, ma rimasero privi di foglie, come poi continuò a succedere all’annuncio di ogni primavera.

I fiori di mandorlo ispirarono anche più di una decina di quadri al pittore olandese Vincent van Gogh (1853-1890). Uno dei più famosi fu l’olio ‘Ramo di mandorlo in fiore’, dipinto a Saint Remy de Provence prima di morire, in occasione dell’annuncio della nascita del nipote Vincent Willem, figlio di suo fratello Theo.


(info prese da qui )


E adesso passiamo ad alcuni libri che, stando ai titoli, hanno a che fare con il mandorlo... o le mandorle ^_^


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Mandorle amare di Laurence Cossé.

Edith ha a servizio una domestica marocchina, Fadila, completamente analfabeta. La prima decide di insegnare all'altra a leggere e scrivere cominciando dall'alfabeto e pian piano tra loro si instaura un rapporto di amicizia e stima. La colta Edith entra in contatto con la vita di un'immigrata che ha passato una sofferta gioventù in Marocco e conduce una sofferta esistenza nel ricco Occidente. Eppure, nonostante gli stenti e le privazioni, la vita di Fadila emana dignità e consapevolezza, in una strana miscela di fatalismo arabo e buonsenso di madre di famiglia.



Miele amaro e mandorle dolci di Maha Akhtar.



Un giorno, davanti al salone di bellezza Cleopatra, la proprietaria Mouna incontra tre donne: tre donne di successo che, conquistate dall'atmosfera intima e accogliente di quel luogo, inebriate dal profumo di essenze di miele e olio di mandorle e coccolate dalle mani esperte di Mouna, poco a poco Lailah, Imaan e Nina si liberano di ogni ipocrisia e iniziano a confessarsi le loro paure più segrete.



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Martin Molin, collega di Patrik Hedström alla stazione di polizia di Tanumshede, ha raggiunto la fidanzata Lisette sulla vicina isola di Valö per una festa di famiglia; durante la cena il vecchio patriarca dall'immensa fortuna muore improvvisamente. Nell'aria si avverte un vago aroma di mandorle amare, e a Martin Molin non resta che cercare di far luce su quella morte misteriosa. Intanto, la violenta tempesta che agita le acque gelide dell'arcipelago non accenna a placarsi, e ogni contatto con la terraferma è interrotto. Sulle orme di Agatha Christie, in occasione dei suoi primi dieci anni di carriera, Camilla Läckberg ha dato vita a una serie di racconti che, tema a lei caro, indagano le complesse dinamiche familiari, combinando adorabili scene d'intimità domestica all'inquietudine di oscuri segreti del passato.

Come il vento tra i mandorli di Michelle Cohen Corasanti
.


Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto arabo-israeliano infiamma, Ichmad, dodici anni. e la sua famiglia sono costretti dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l'accusa di aver nascosto delle armi, Ichmad deve trovare un lavoro. Anno dopo anno, i suoi fratelli soccombono all'odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso a ciò che lo circonda.


MUSICA

Quando vedo un mandorlo in fiore comincio a canticchiare una canzone di Nino Buonocore molto dolce, intitolata proprio IL MANDORLO.

Il mandorlo fioriva
Nel giardino della scuola
Io li vedevo entrare
E restavo fuori
Col pianto in gola
Un giorno se ne andava
Tra i richiami del mercato
E la tua fresca voce
Che non ho più scordato
La paura dei miei pensieri
Il desiderio di te
Di dividere con te i miei abbandoni
Noi distesi sulla sabbia
Quanta pioggia sui libri di scuola
E come è forte l'odore del mare
A febbraio


POESIA

DIMENTICA I MANDORLI IN FIORE

Dimentica i mandorli in fiore.
Non vale la pena In questa storia
Di ricordare ciò che non può ritornare.
Asciuga al sole i tuoi capelli bagnati:
languidi come frutti maturi brillino
umidi, grevi, i vermigli riflessi.
Amore mio, amore mio, 
siamo 
in autunno.


(Prigione di Bursa, 5 novembre 1945, Nazim Hikmet)




Il mandorlo è fiorito 


Questa notte - un miracolo pare
è passato qualcuno nell’orto: 
stavan mute le stelle a guardare. 
Non sembrava il bel mandorlo morto?
Non sembrava il bel mandorlo secco? 
Ma qualcuno con mano leggera 
ha posato farfalle a ogni stecco 
per poi ratto fuggire. 
Chi era? E stamane, nel chiaro mattino, 
un bambino riguarda stupito, 
e gli pare un sorriso divino 
quel bel mandorlo nuovo e fiorito. 

(T.Stagni)


Una poesia d'amore

Due giorni dopo la mia morte
verrò a prendere il caffè da voi.
Mi stenderò sul divano
a guardare il sonno dei gatti.
Poi andrò via
verso un mandorlo che sta per fiorire
verso il nido
di una formica.
Potrei perfino uscire
dall'universo come se fosse una casa
e poi tornare
scuotendo la neve caduta sull'ombrello.
Se veramente amiamo
un uomo, una donna, una rosa,
noi da vivi e da morti
possiamo fare ogni cosa.

(Franco Arminio)


Fonti:
Web
http://www.latecadidattica.it

domenica 17 marzo 2019

Segnalazione: L’ULTIMA CHANCE… di Ilaria Vecchietti



Cari amici, oggi vi propongo un breve racconto pubblicato dalla bookblogger Ilaria (blog: Buona lettura): si tratta di una sorta di monologo iniziale della protagonista, con un po’ di romanticismo e un finale apocalittico.



L’ULTIMA CHANCE…
di Ilaria Vecchietti


Self publishing con Amazon
USCITA: 13 marzo 2019
5,00€ (cart.)
0,99€ (ebook)
88 pp
Avete mai vissuto un amore impossibile? E nonostante questa consapevolezza gli siete stati sempre vicino, soffrendo in silenzio?

A Irene è successo, eppure sono stati gli anni più belli della sua vita.
Ora è riuscita a tornare a casa, tutto solamente per rivedere il suo unico grande amore.


BIOGRAFIA: Ilaria Vecchietti è nata il 19 Agosto 1988 in provincia di Vercelli, nella bella Valsesia, una lunga vallata percorsa dal fiume Sesia fino ai piedi del Monte Rosa.
Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale, Laurea in Scienze dell’Amministrazione e Consulenza del Lavoro con una tesi in Diritto Penale del Lavoro.
Grazie a sua mamma è cresciuta in mezzo ai libri. Fin da piccola, quando le raccontava le fiabe, ha fatto in modo che si appassionasse alla lettura. Legge diversi generi, ma il suo preferito è il fantasy, in tutte le sue sfumature. Ha scoperto per caso che le piace anche scrivere, e da quando l’ha scoperto non si è più fermata nell’inventare storie e avventure.
Il suo romanzo d’esordio è L’Imperatrice della Tredicesima Terra (2016), edito Aletti Editori.
Si tratta di un fantasy autoconclusivo dove la protagonista, oltre salvare il suo mondo, deve ritrovare se stessa.
Da giugno 2016 ha aperto un blog letterario dal nome Buona lettura, dove pubblica principalmente recensioni dei libri che legge, ma non solo, segnala le nuove uscite (sia da parte di case editrici e sia di autori esordienti autopubblicati) e anche eventi librosi o interviste.
Il 24 luglio 2017 in collaborazione con Claudia Piano (autrice di molti romanzi, fra cui spicca Armonia Saga) e altri autori, ha pubblicato una raccolta di racconti fantasy facente parte del mondo di Armonia Saga, dal titolo Un giorno ad Armonia, (il suo racconto si intitola: La Sinfonia Incatenante).
Il racconto prende in prestito i personaggi inventati da Claudia e li porta in un mondo nuovo.
A novembre 2017 pubblica tramite Amazon il secondo romanzo fantasy: L’Isola dei Demoni.
Un'altra storia autoconclusiva dove le vite di vari personaggi si intrecciano e, superando il loro passato, dovranno salvare la loro terra.
Il 21 luglio 2018, sempre in collaborazione con Claudia Piano, esce la seconda raccolta di racconti fantasy Un giorno ad Armonia – Vol. 2 (il suo racconto si intitola: La Valle del Tempo Perduto).
Prendendo ancora in prestito i personaggi della saga di Armonia, Ilaria li coinvolge in una ricerca miracolosa per salvare il mondo della Musicomagia.
L’ultima chance… è il primo racconto di Ilaria che si discosta totalmente dal genere fantasy da lei prediletto e si avvicina al romance, sotto forma prevalente di un lungo monologo della protagonista, anche se il finale appartiene alla fantascienza apocalittica. Il tema principale rimane in ogni caso l’amore che vince su ogni cosa.

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Segnalazione Ferrari Editore: "DIO E IL CINEMA. Una vita maledetta tra cielo e terra" di Donato Placido, Antonio G. D’Errico



E' uscito a fine febbraio per Ferrari Editore il memoir Dio e il cinema. Una vita maledetta tra cielo e terra, un libro nato dal sodalizio umano e creativo tra Antonio G. D’Errico e Donato Placido.
La loro amicizia, che li ha visti firmare insieme molti progetti editoriali, ha dato vita a un profondo e sorprendente autoritratto di Donato Placido che, per la prima volta, racconta la sua parabola esistenziale.


DIO E IL CINEMA. Una vita maledetta tra cielo e terra
di Donato Placido, Antonio G. D’Errico 



Ferrari Editore
158 pp
16.50 euro
ISBN 9788899971748
L’attore e poeta Donato Placido (fratello del noto Michele) racconta la sua parabola esistenziale, fatta di celluloide, inchiostro e spiritualità, in un libro nato dal sodalizio creativo con l’amico scrittore Antonio G. D’Errico. 

Il racconto si dipana sulla scia di toccanti ricordi e riflessioni: dagli anni trascorsi in famiglia, in Puglia, a quelli della formazione attoriale a Milano, per arrivare all’incontro con il mondo del piccolo e grande schermo. 
E poi, il legame umano e artistico con il fratello Michele, con attori e registi come Tinto Brass, Marco Bellocchio, Riccardo Scamarcio, i retroscena inattesi sui set. 
E ancora, la passione per la poesia, le scelte anticonvenzionali, le contraddizioni apparentemente discordanti, i momenti bui, impressi nella memoria, trasformati in luci della coscienza. 
Gli eventi privati si compenetrano così con quelli pubblici, in un lucido amarcord, tra passato e presente, che a tratti ricorda un romanzo intimista, a tratti un pamphlet di denuncia contro le ingiustizie, a tratti, infine, Dio e il cinema si fanno rifugio taumaturgico di una vita maledetta tra cielo e terra. 

Il volume è accompagnato dai testi introduttivi di Michela Zanarella e Antonio Pascotto. In copertina Donato Placido (dx) sul set di Io, Caligola, di Tinto Brass, con Malcolm McDowell.

Gli Autori.
Donato Placido, attore, scrittore e drammaturgo. Fratello del noto Michele, ha lavorato in fiction televisive di successo come Il “fauno di marmo”, “L’ultimo padrino”, “Romanzo criminale”. Nel mondo del cinema ha recitato in diversi film, tra cui “Io, Caligola” di Tinto Brass, “L’ora di religione” di Marco Bellocchio, “Il mattino ha l'oro in bocca” di Francesco Patierno, “Tre giorni dopo” di Daniele Grassetti, “Ovunque sei” diretto dal fratello Michele. Ha scritto e interpretato raccolte di poesie, romanzi e testi per il teatro.

Antonio G. D’Errico, scrittore, poeta e sceneggiatore, nasce a Monteverde e vive a Milano. Autore di romanzi, come “Montalto. Fino all’ultimo respiro” (G. Laterza) e “Morte a Milano” (Macchione Editore), ha vinto, tra gli altri, il Premio Pavese per ben due volte. Nel 2011 lavora, con Eugenio Finardi, al libro “Spostare l’orizzonte. Come sopravvivere a quarant’anni di vita rock” (Rizzoli), seguito nel 2012 da “Segnali di distensione, incontri con Marco Pannella” (A nordest). Nel 2015 scrive “Je sto vicino a te”, biografia di Pino Daniele, scritta con Nello Daniele, fratello del cantautore partenopeo (Mondadori)
.

sabato 16 marzo 2019

Pillole di curiosità su... "La casa di vetro"



Di recente ho recensito il romanzo LA CASA DI VETRO di Simon Mawer che, come suggerisce il titolo, ruota attorno ad un edificio particolare, originale e innovativo rispetto all'epoca in cui è stato costruito; l'Autore ha preso spunto per la "sua" glass room da una villa vera, la Tugendhat House, che si trova davvero a Brno  (nel libro è chiamata Mesto) nella Repubblica Ceca e che fu progettata da Mies van der Rohe.

Mawer si è lasciato catturare dal fascino ipnotico della villa da lui visitata per la prima volta nel 1994. Mentre era in piedi all'interno di stanze che sembravano non aver subito alcun cambiamento dagli anni '30, in un edificio che fino ai nostri giorni rimane una pietra di paragone per il design modernista, è stato per lui naturale pensare: "C'è una storia qui".  Da scrittore di fiction qual è, la storia che avrebbe raccontato sarebbe dovuta essere una sua personale ed originale creazione piuttosto che la vera storia della famiglia che ha costruito la Casa.
Ad ispirarlo, inoltre, la convinzione che il programma modernista, cresciuto negli anni Venti, fosse molto nobile, che portasse avanti un'idea di progresso, di uguaglianza, universalità,  di internazionalismo. Del resto, è già sorprendente in sè la creazione di uno stile artistico-architettonico che non derivi da una particolare società o cultura.

La Tugendhat House non è mai stata usata come centro di biometria (come accade invece alla Landauer House nel romanzo) - sebbene la biometria di cui narra Mawer fosse esattamente il genere di cose che gli scienziati tedeschi (e non) stavano facendo negli anni '30 e '40. Per quanto riguarda l'essere stata resa un museo, è tutto reale ed è esattamente quello che è successo alla casa.

Ho letto in web che in questi giorni esce il film in lingua originale, diretto da Julius Ševcík e prodotto da Rudolf Biermann di InFilm Praha; sarà protagonista, tra gli altri, Carice van Houten, Karel Roden, Hanna Allstrom, Claes Bang, Alexandra Borbèly.




Fonti consultate per il post:


  • Elena Pirazzoli, La storia nei muri. Villa Tugendhat a Brno, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 1 (2017) [16-10-2017]. http://rivista.clionet.it/vol1/societa-e-cultura/architettura/pirazzoli-villa-tugendhat.
  • http://www.archidiap.com/opera/villa-tugendhat/
  • https://www.radio.cz
  • https://www.eurozine.com
  • http://it.feedbooks.com/






tugendhat house
(Wikimedia Commons)

giovedì 14 marzo 2019

Recensione: LE PAROLE DI SARA di Maurizio De Giovanni



La donna invisibile, dai capelli grigi e dall'aspetto insignificante, è tornata, impegnata in un nuovo caso che vede coinvolta una sua vecchia conoscenza e che la mette di fronte alla scelta se seguire il cuore o la ragione.


LE PAROLE DI SARA
di Maurizio De Giovanni



Ed. Rizzoli
LINK LIBRO
368 pp
19 euro
Dal 12 marzo
“Sara era un animale pericoloso. Di quelli che sembrano innocui e per questo sono molto più feroci e letali delle belve che ruggiscono. Era una donna di molti silenzi, ma adesso aveva scoperto di custodire parole nascoste che dicevano tanto di lei, anche senza essere pronunciate, proprio come quelle che era abituata a leggere negli altri.” 

Sara Morozzi e Teresa Pandolfi sono due ex-colleghe; hanno fatto parte entrambe, per anni, di un'unità segreta impegnata in intercettazioni non autorizzate.

Sara ha un “dono” particolare, che l’ha sempre resa unica e necessaria nel suo lavoro e per la sua squadra: lei è la donna che sa sa rubare i segreti delle persone, leggendo le loro labbra, anche quando si tratta di semplici mormorii, di frasi appena sussurrate, anche quando il limite per la decodifica delle parole è un filmato di pessima qualità con immagini sgranate e poco nitide; non solo, ma Sara è esperta anche nell’interpretazione del linguaggio non verbale. A lei non sfugge nulla, non c’è sopracciglio inarcato o un gesto apparentemente insignificante o uno sguardo attraversato anche soltanto per un secondo da un’emozione forte, che passi inosservato. È nata per leggere i dettagli, Sara; ti legge dentro: la tua faccia, il tuo corpo e i segnali che mandi attraverso essi, fanno di te un libro aperto per lei. Una donna così non può che far carriera in polizia, no?

Eppure Sara è attualmente in pensione ed è convinta di essere fuori dai giochi; da quegli sporchi giochi che l’hanno sommersa per trent’anni di fango e melma, di tutto il marcio che può nascondere l’esistenza di un essere umano, con i suoi segreti, le sue viltà, i suoi amori, i tradimenti, le preoccupazioni di tutti i giorni o i guai grossi in cui è capace di infilarsi. Cose private di cui lei (insieme ai suoi colleghi) veniva a conoscenza tramite le intercettazioni e che la trascinavano inevitabilmente nelle brutture, nelle menzogne e nelle malefatte di cui tanta gente si macchia ogni giorno e che lei aveva il compito di smascherare.

Sara non fa più parte di tutto questo. Dopo aver perso l’amore della sua vita, Massimiliano, morto recentemente a causa di un male incurabile e dopo atroci sofferenze, la donna si sente demotivata, svuotata, inaridita e priva di voglia di vivere.

E il suo aspetto lo dimostra, del resto. Capelli grigi, abbigliamento poco curato e dimesso, a volte ai limiti della sciatteria, volto sempre struccato: Sara continua a nascondersi dietro il proprio intenzionale anonimato, dietro quell’invisibilità che l’ha sempre seguita come un’ombra (o una maledizione?) e che racchiude la sua volontà di non voler indossare alcuna maschera, alcuna finzione.
E poi, per chi deve farsi bella?
Il suo grande amore è morto e le manca così tanto che vivere è diventato un peso ormai; il fantasma di quest’amore distrutto dalla malattia la perseguita giorno e notte.
E accanto ad esso ce n’è un altro: quello di Giorgio, suo figlio, morto qualche mese prima in seguito a quello che sembrava un normale incidente…

Giorgio: il figlio abbandonato e che non l’ha mai perdonata per non esserci stata. Sì, perché Sara si è innamorata di Massi pur essendo sposata e mamma del piccolo Giorgio; e lei, che tutto è fuorché un’ipocrita, ha lasciato marito e figlio per vivere il proprio legame con Massi, e non se n’è mai pentita, nonostante le sue scelte le abbiano fatto guadagnare l’etichetta di “madre snaturata”.

Eppure, nonostante il dolore per la perdita degli unici uomini che lei abbia mai amato, la vita le sta offrendo una seconda possibilità attraverso Viola, l’ultima compagna del figlio, che ha partorito da pochi mesi il bimbo di Giorgio. Il nipote di Sara Morozzi.

Sara è abituata a rubare le parole altrui e non a manifestare le proprie…,; è riservata, silenziosa, sfuggente, mostra il lato più duro e metallico di sé, eppure quel nipotino (la “nuora” l’ha chiamato Massimiliano, come il compagno di Sara) le infonde tenerezza, speranza… e motivazione.
La motivazione a contribuire affinchè il mondo sia un po’ più “pulito”, libero da certa gentaccia che lo imbratta con la propria disonestà.
È per questo che, nonostante le perplessità, accetta una “missione” affidatale dalla vecchia collega ed amica Teresa?
Perché proprio lei, Sara, che sta cercando di uscire dalla propria solitudine e da un doloroso letargo emotivo?

Le due donne sono sempre state l’una l’opposto dell’altra ma si sono sempre capite al volo perché le proprie capacità erano (e sono) complementari.
“Che strana magia, che potere occulto il tempo e il lavoro avevano conferito alle due donne: quello di sentire, di interpretare i segni, di distinguere le parole in un ronzio sommesso che il resto della gente non avrebbe nemmeno riconosciuto come una conversazione.”

Ma per il resto, più diverse non potrebbero essere, a cominciare dall’aspetto fisco per finire con la personalità.

Là dove Sara Morozzi è bruna (o meglio, era, da giovane, ora è ingrigita) e veniva soprannominata Mora, l’altra è bionda (ed è infatti chiamata Bionda); se la prima è poco curata nel vestire, si imbruttisce di proposito, è un tipo di cui non ci accorge in mezzo alla gente, l’altra è invece sempre vestita di tutto punto, curatissima nell’aspetto esteriore, piacente; Sara fa vita da reclusa, Teresa cambia uomini (e tutti molto giovani) quasi ogni notte: inquieta, terribilmente sola, inacidita e indurita da un lavoro (è lei adesso il capo dell’unità segreta, al posto di Massimiliano) che toglie spazio alla vita intima, alla voglia di farsi una famiglia, di costruire legami duraturi, crede di trovare nel sesso occasionale una valvola di sfogo per sentirsi viva.

Ma, superati i 50, evidentemente il suo sesto senso s’è un po’ appannato perché anche lei, come già la Mora anni prima, sta facendo i conti con quel sentimento travolgente e spiazzante che si chiama Amore.
E Cupido le ha fatto commettere un errore: si è fatta ammaliare dagli occhi e della bellezza di Sergio, un giovane e fascinoso ricercatore, che lei ha introdotto come stagista nell’unità di cui è a capo.
Ma dopo una notte di fuoco, l’indomani il ragazzo sparisce senza lasciare traccia, e a lei non resta che chiedere aiuto all'amica di un tempo.

Così Sara, la donna invisibile, torna sul campo, ma non è sola: insieme a lei ci sono il goffo ma buono e disponibile ispettore Davide Pardo (col suo fedele, grosso e incontenibile cane Boris) e Viola, la “nuora” alla quale non sfugge nulla quando ha in mano la sua macchina fotografica.

Sara indaga, fa domande, osserva ogni particolare, legge silenzi, sguardi, gesti…, e pian piano capisce che dietro la scomparsa di Sergio si nascondono intrallazzi e interessi di uomini potenti, che se venissero fuori rischierebbero di destabilizzare i più alti livelli degli apparati di pubblica sicurezza.
Ma più i “panni sono sporchi” e più Sara sa cosa deve fare.

“Sara era brava, la più brava. Sembrava una donnetta sciatta e insignificante, invece era la donna invisibile; ed era affilata come una lama, perché non aveva scrupoli. E neanche legami, o troppa voglia di vivere. Soprattutto, non aveva bisogno di alibi, perché non le serviva alcun movente. Una giustiziera perfetta, insomma.”

Insieme alla protagonista e ai suoi fidi collaboratori, scopriamo cosa è successo a Sergio, chi è coinvolto e qual è la posta in gioco per difendere la quale gente senza scrupoli è pronta a commettere atti criminali.

È la prima volta che leggo questo Autore e devo dire che mi è piaciuto molto: lo stile è davvero molto fluido e scorrevole, c’è un’analisi dei personaggi principali profonda, puntale, intima; simpatici i bisticci tra Pardo e Viola (qui gatta ci cova…), che danno attimi di leggerezza a una storia nera, in cui, insieme a Sara, il lettore deve fare i conti con la parte oscura e sporca che c’è nell’Uomo.

Mi è piaciuta la protagonista perché tra queste pagine cambia, evolve in alcuni aspetti della personalità, pur restando sempre la donna “che da lontano riusciva a leggere sussurri, a distinguere passioni celate da un semplice gesto e sentimenti racchiusi in un’espressione sfuggente”.

Ma la vicinanza di affetti nuovi e veri aprono uno spiraglio di luce, vita e speranza nella sua esistenza spenta e tormentata dal passato.
Sara allora non è soltanto colei che deve carpire le parole altrui, che deve continuare a nascondersi dietro terribili silenzi: anch'ella ha delle parole da pronunciare e se c’è qualcuno che sa intuirle e “leggerle”, ciò significa che queste parole esistono e lei è ancora in tempo per dirle.
Un noir con una protagonista femminile che non è una super donna, anzi: ha le sue sconfitte personali da accettare, hai i suoi gravi errori con cui fare i conti, la sua solitudine,  rimorsi e rimpianti pronto a tormentarla, ma che nonostante questo non ha ancora ammainato la bandiera.

Bello, lo consiglio e al più presto colmerò la lacuna di “Sara al tramonto” (precedente romanzo).
Ringrazio l'Ufficio Stampa della Rizzoli per la copia in pdf.

mercoledì 13 marzo 2019

Recensione. DEVORA di Franco Buso



Fantasia e realtà sono il mix alla base di questo romanzo storico che, partendo dalla "maledizione dei Templari" pronunciata (secondo quanto narra la leggenda) dal Gran Maestro dell'Ordine Jacques de Molay, narra le esistenze avventurose di due donne eccezionali (madre e figlia), protette dai Cavalieri Templari e con il dono della chiaroveggenza; due donne libere, generose e determinate che saranno spettatrici (in prima linea) di eventi storici particolari.


DEVORA
di Franco Buso



SATT
364 pp
10.90 euro
E' la sera del 18 marzo 1314 e sull’isola dei Giudei (poco distante dall’Ile de la Cité), poco distante dalla cattedrale di Notre-Dame, sta per essere eseguita la condanna a morte di due uomini innocenti.

E' il re di Francia Filippo IV il Bello a volere la morte al rogo di  Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, e di Geoffroy de Charnay, precettore di Normandia, i quali, arrestati qualche anno prima (insieme agli altri Cavalieri) con l'accusa di eresia, apostasia, idolatria, blasfemia e sodomia, avevano prima confessato di essere colpevoli per poi ritrattare e sostenere di aver confessato solo in quanto sottoposti a torture indicibili e disumane.
La folla è accorsa nei pressi della pira allestita per l'occasione, bramosa di assistere al truce spettacolo...
E ciò cui assistono è un uomo - Jacques de Molay - pieno di dignità e calma, che chiede di avere le mani slegate per poter congiungerle in un'ultima preghiera a Dio.
Mentre il boia appicca il fuoco e le fiamme si levano, prima che avvolgano il Maestro, questi lancia una ferma e accorata invettiva contro coloro i quali hanno inflitto sofferenze inaudite ai Templari, sopprimendone l'Ordine con infamanti accuse (che in realtà celano solo l'avidità e la brama di potere del re), vale a dire lo stesso sovrano Filippo IV, il papa Clemente V (un burattino nelle mani di Filippo, incapace di schierarsi dalla parte della verità): ad essi dice che compariranno entro un anno davanti al tribunale di Dio per ricevere il castigo che meritano.
In particolare, il papa sarebbe morto entro 40 giorni, il re entro la fine dell'anno; inoltre, la casa reale francese sarebbe caduta definitivamente entro la 13^ generazione e "quel papato" sarebbe cessato entro 700 anni dalla morte del Maestro.

La folla è sbigottita nell'udire una tale nefasta e precisa profezia; ma in mezzo a loro c'è una ragazza di soli 15 anni, dai magnifici occhi color oro, che fino a pochi minuti prima ha guardato negli occhi quell'uomo morente per infondergli coraggio; ella crede fermamente alle parole del Templare. 
La giovinetta si chiama Devora ed è una donna speciale, la cui vita sarà un'avventura senza sosta e incredibile.

Dal 1314 facciamo un salto indietro, al 1288, quando Miriam, la madre di Devora, aveva solo 7 anni. 
La piccola Miriam, nata in Palestina, è appena rimasta orfana a seguito dello sterminio della sua famiglia da parte dei Mamelucchi; la famiglia di un conoscente - il falegname Ephraim -  decide di prendersene cura e la portano con loro da Gerusalemme ad Acri.
Miriam è una bimba generosa e forte, si fa voler bene e instaura un bellissimo legame con la figlia di Ephraim, la dolce e assennata Jochebed, tanto che le due col passare del tempo si sentiranno unite come sorelle.
Miriam, nell'attraversare il deserto di Giuda, viene punta da uno scorpione il cui veleno possiede poteri straordinari; non solo la bimba non muore, ma i suoi occhi cambiano colore (le iridi assumono sfumature giallo oro) e da quel momento ella comincerà a sentire voci interiori e ad avere visioni legate a cose future, che lei riesce a "prevedere".
Ovviamente Miriam è confusa all'inizio e non sa come interpretare questi "segni", cerca di non pensarci ma col tempo dovrà fare i conti con la realtà: ha il dono della chiaroveggenza, e purtroppo non sempre questo si rivelerà una cosa positiva, tutt'altro...
Solo Jochebed, attenta e intelligente, si accorge subito che la sua "sorellina" è cambiata, che ha ricevuto un dono speciale in seguito alla puntura.

Quando ha solo nove anni la giovanissima Miriam va a servizio del templare Jacques de Molay, che la prende sotto la sua ala protettrice, così che la bimba si trasferisce a Cipro (lasciando a malincuore la sua amata "sorella" Jochebed e tutti i suoi cari) per lavorare per lui, entrando a far parte della numerosa "famiglia dei Templari", che avranno sempre verso di lei un atteggiamento di stima, affetto e protezione.

Sembra che la vita della bambina finalmente sia felice ma ci sono delle voci dentro di lei che la turbano, e ben presto Miriam si ritrova a vivere una nuova tragedia; a sette anni ha perso i genitori naturali, a dieci perde la famiglia acquisita: Jochebed (che ha appena partorito la piccola Devora) e tutta la sua famiglia vengono brutalmente uccisi dai mori.

Miriam è nuovamente orfana e sola al mondo, se non fosse per la protezione di Jacques, che viene nominato Gran Maestro dell'Ordine.
Anche su di lui la piccola ha avuto, una notte, una brutta visione, che non sa spiegarsi e che ha che fare con la lontanissima Parigi che, è sicura, un giorno visiterà.

Dopo il dramma di aver perso i propri cari, Miriam cresce in seno all'ordine dei Crociati, imparando a impugnare la spada, a cavalcare, matura una personalità tenace, forte, combattiva, pur restando una ragazzina buona, dolce e sempre affabile, tanto da catturare le simpatie di chiunque la conosca.

La sua esistenza è sempre costellata da sensazioni cui non sa dare un nome, ma che comunque sono molto decise e parlano al suo cuore e alla sua mente, condizionandone le azioni, le decisioni, gettandola ora nello sconforto ora nel dubbio.

A un certo punto decide di andare a Parigi, non prima però di aver "dato una mano al destino", così da restare incinta di una bambina speciale come lei, e che chiamerà Devora.

Seguiamo la giovane Miriam nel suo peregrinare, approdando nella suggestiva Venezia (dopo essere sopravvissuta ad un naufragio) e finalmente a Parigi; affronterà pericoli, incontrerà molte persone, uomini e donne, che subiranno il suo fascino semplice e misterioso insieme, offrirà, con l'altruismo che le è proprio, il suo prezioso e saggio aiuto, soffrirà perchè la vita continuerà a strapparle affetti cari e preziosi, prenderà a cuore le sorti di Jacques (cui è unita da un filo importante), e intanto tirerà su una figlia speciale quanto lei, la bella Devora, che ha ereditato dalla mamma gli occhi gialli e la capacità di "prevedere" eventi futuri.

L'Autore, attraverso queste due donne - Miriam e Devora - ci immerge in un periodo storico  particolare (il Medioevo), denso di avvenimenti, combattimenti, sangue, morte, tradimenti (del resto, tutta la Storia è fatta di questo, no?), ingiustizie, in cui il Papato esercitava un'influenza molto forte, allargando le proprie sfere d'interesse dal campo religioso a quello politico; un periodo in cui ci voleva poco per essere accusati di stregoneria ed eresia, in cui l'Inquisizione mieteva le sue vittime (per lo più innocenti) e tra queste c'erano appunto i Templari.

Da un certo momento in poi, la prima protagonista, Miriam, diventa secondaria rispetto alla seconda, sua figlia Devora; comprendiamo che le loro vite sono strettamente legate alla inquietante profezia dell'ultimo dei Templari e come alle due donne - in particolare alla seconda - interessi assicurarsi che esse si realizzino, affinchè, in un certo qual modo, l'innocente de Molay riceva giustizia.
E Devora soprattutto farà in modo che ciò avvenga.

Durante la lettura mi sono ritrovata davanti a luoghi, fatti, personaggi storicamente documentati che però si collegavano man mano, attraverso tutta una serie di circostanze e coincidenze ben incastrate dall'Autore (le date contano molto) a fatti e personaggi fittizi, di cui Devora è la principale protagonista; così alla ragazza si accosteranno figure storiche notevoli, da Giordano Bruno a Giovanna D'arco, da Luigi XVI agli ultimi papi a noi contemporanei.

Non c'è solo la mescolanza di elementi inventati con un contesto storico reale (e ben ricostruito), ma dai primi capitoli viene inserito l'elemento sovrannaturale della chiaroveggenza, cui si affiancherà un altro elemento "miracoloso", sovrumano (anch'esso conseguenza della puntura dello scorpione) e che permette alla protagonista di attraversare epoche tra loro lontane...!

La presenza dell'aspetto "paranormale" un po' mi ha spiazzato (in special modo nella seconda parte della storia, riservata maggiormente a Devora) perchè chiaramente è surreale, però proseguendo nella lettura ho trovato fosse un artificio narrativo interessante e godibile, che nonostante desse un'atmosfera quasi "fantasy" al romanzo, rendesse le vicende più vivaci, soprattutto in vista degli ultimi punti relativi alla maledizione dei templari, parecchio distanti dal 1314, dal punto di vista temporale.

Le due protagoniste sono donne con un carattere volitivo, deciso, uno spirito "guerriero", impavide, coraggiose ma comunque molto femminili, sensibili, piene di amore e tenerezza e mi sono piaciute molto; le vicende relative ai templari mi hanno sempre incuriosita, altrettanto il periodo medievale, quindi l'ambientazione storica l'ho trovata bella e ben descritta.
Leggere questo libro è stata una sorta di viaggio nel tempo; l'Autore ha una scrittura chiara, precisa, il ritmo si mantiene costantemente scorrevole; ho apprezzato la conoscenza del contesto storico e l'immaginazione dello scrittore nel trovare collegamenti tra il reale e ciò che non lo è.

Se vi piacciono i romanzi storici in cui la realtà si confonde con la fantasia, credo proprio che questo romanzo possa piacervi!
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