Eccomi con una recensione: un libro che mi ha commosso e preso molto emotivamente e per il quale ringrazio l'Autrice Rebecca Domino, per avermelo fatto leggere!!
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il mio pensiero |
I libri ambientati nel difficile periodo della Seconda guerra Mondiale sono da sempre letture che affronto molto volentieri, che mi commuovono e mi toccano nel profondo; il pensiero di ciò che è accaduto, le barbarie di cui gli uomini sono stati capaci di macchiarsi nei confronti dei loro stessi simili, è qualcosa che non mi lascerà mai indifferente, a prescindere dal tempo che passerà dai quei tristi e specifici fatti legati a quel momento storico.
Ovviamente, questo vale per ogni genere di genocidio, ingiustizia, crudeltà che avviene a qualsiasi latitudine ed epoca: la sofferenza di altri esseri umani ad opera di gente senza scrupoli non può e non deve mai farci scrollare le spalle pensando che si tratta, in fondo, di cose lontane da noi, e per tempo e per distanza geografica.
La mia amica ebrea è un romanzo ambientato nel cuore del secondo conflitto che ha sconvolto e mutato il mondo.
Siamo ad Amburgo, nel quartiere Wandsbek (QUI abbiamo visto brevemente alcune informazioni su questo quartiere e il campo di concentramento sito lì vicino, anche se poi, giunta a fine libro, mi sono accorta che ne parlava l'Autrice stessa); è il
1943 e il lettore è immerso nella storia attraverso il
punto di vista di una ragazzina di 15 anni, Josepha, detta Seffi.
Seffi è tedesca, vive con la mamma, il papà e il fratello maggiore Ralf.
La guerra ormai dura già da un po' di anni e si fa sentire in tutta la sua spietatezza nella vita delle persone e quindi della nostra protagonista, che divide essa stessa la propria breve vita in "prima" e "dopo" la guerra: un prima caratterizzato da spensieratezza e serenità e un dopo costellato di ansia, paura, incertezza, privazioni.
Ansia e paura per una guerra che sta portando rovina e morte, che sta togliendo la vita a tanti uomini al fronte; il papà di Seffi ha combattuto per la "grande Germania" ma è tornato mutilato, senza una gamba e Seffi si è accorta di quanto la guerra, vista faccia a faccia dall'uomo, lo abbia poi cambiato nel profondo.
Ansia e paura perchè dal cielo - così ampio, infinito, così azzurro e terzo in quest'estate del 1943, così scuro e profondo di notte - piovono bombe, portatrici di morte, fiamme, perdita di tutto.
Amburgo è martoriata da continui bombardamenti e questo costringe Seffi e i suoi concittadini a correre in fretta e furia nelle cantine, al primo rumore di bombe lanciate, fosse anche in lontananza.
Seffi ci introduce nei suoi pensieri di ragazza che non comprende fino in fondo se e quanto valga davvero la pena fare questa guerra, da parte di Hitler e compagni; sì, è vero, la Germania è forte e di certo vincerà, ma tutto questo terrore, questi fischi nelle orecchie, questo cuore che trema al primo rumore... non sono forse un prezzo troppo alto?
Seffi sente che non è giusto vivere così, sempre all'erta, sempre pronti a scappare giù in cantina, con la paura che la casa crolli addosso, sotto le bombe che distruggono e rendono tutto un cumulo di macerie.
Ma così è: lei è tedesca e crede che Hitler sia nel giusto.
Del resto ci credono tutti quelli che le gravitano attorno, dal fratello alle amiche di sempre.
Ci credono tutti, insomma, e non sarà certo lei a mettere in dubbio questa verità: Hitler è la guida di cui la Germania aveva bisogno per dominare, essere grande e pura, obiettivo che va raggiunto scacciando chiunque minacci la purezza della razza ariana: in primis... gli ebrei.
Ebreo.
Cinque lettere che nascondo però una caterva di pregiudizi, di disprezzo, odio da parte dei tedeschi, che hanno già cominciato da tempo a mostrare a quel popolo di perdenti chi comanda, chi ha diritto di lavorare, andare a scuola, passeggiare nel parco, tenere un negozio aperto....
Chi ha diritto di vivere, insomma; un diritto che lo "sporco ebreo" non ha.
Seffi sa che anche questo è un dato di fatto e mai lo metterebbe in discussione: l'ebreo è un fungo velenoso, va schiacciato e mandato via, ucciso, distrutto, prima che inquini il mondo..., prima che si insinui nella razza pura.
Ma allora come si spiega ciò che accade una notte, una di quelle senza bombe, in cui per una volta si cerca di dormire..., quando suo padre accoglie in casa tre persone in cerca di aiuto, in cerca di un riparo?
Queste tre persone appartengono alla peggior razza del mondo, ai nemici numero uno della Germania: gli ebrei!!!
Sono tre ebrei: una madre con i suoi tre figli, che hanno perso il marito/padre e che adesso cercano un posto in cui nascondersi, perchè sanno che la fine che fanno i giudei è davvero brutta.
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E loro tentano di salvarsi, chiedendo aiuto a lui, al signor Faber; al buon Faber, amico del marito della signora ebrea, così magra, così spaventata, con al seguito i suoi figli, altrettanto impauriti ed esili.
E cosa fa il padre di Seffi?
Nonostante le urla e le minacce del figlio Ralf (di denunciare gli ebrei e il padre alla Gestapo) e i piagnucolii della moglie, l'uomo accoglie in casa la famiglia dell'amico ebreo; "Per una notte" - dice "una soltanto; domattina andranno via".
Ma non sarà così: gli ebrei verranno ospitati su in soffitta, all'insaputa di Ralf, a dispetto delle lamentele della moglie Sabine e dei dubbi della stessa Seffi, che proprio non comprende cosa spinga suo padre ad aiutare quei tre individui, appartenenti ad una razza inferiore, che Hitler ordina di scacciare e denunciare. affinché vengano inviati nell'unico posto a loro destinato: quei campi di cui tanto si parla, in cui si dice che muoiano a furia di lavorare.
Mi sono soffermata un po' di più sulla parte iniziale perchè ritengo sia fondamentale per capire come si è poi evoluto il pensiero di Seffi nel tempo.
Dall'avere una opinione negativa degli ebrei, la giovane imparerà, con i giorni, a farsi delle domande, a chiedersi se davvero quei tre in soffitta, che devono accontentarsi di una stanza scura e squallida, con le tende chiuse (da non aprire mai, per nessuna ragione! Qualcuno potrebbe vederli e che ne sarebbe di loro e della famiglia di Seffi?!?), di qualche tozzo di pane al giorno, sono uguali a loro, e meritano quindi di vivere, di essere liberi e non disprezzati e perseguitati.
Sarà davvero difficile per lei farsi queste domande che mettono in discussione tutto il bagaglio di conoscenze e preconcetti maturato in 15 anni di vita, ma Seffi è una ragazza intelligente, che sa chiedere ed ascoltare; grazie ad un padre saggio e buono, il dubbio che Hitler possa aver torto si insinua nella sua testa e il cuore le suggerisce di provare a parlare con questi ebrei, soprattutto con la ragazzina, e vedere se è o no tanto diversa da lei.
In fondo, Seffi si sente meno compresa e più sola di quanto non voglia ammettere; sì, è vero, ha le sue tre amiche di sempre, ma loro son diverse da lei, più vivaci e chiacchierone, mentre Seffi è emotiva, incline a meditare, a scrivere e inventare storie.
Seffi è capace di perdersi davanti alla bellezza di una natura che, a dispetto della bruttezza di una guerra in corso, non smette di riempirle il cuore con i suoi colori, i suoni, i profumi e il pensiero di un futuro migliore del presente si affaccia alla sua mente e l'aiuta a non scoraggiarsi, neanche davanti alle bombe che continuano a cadere, di notte.
Vivere ogni giorno come fosse l'ultimo ma, allo stesso tempo, non smettere di pensare che tutto questo finirà e che lei potrà ancora giocare, scrivere ed essere felice.
Ne ha il diritto, no?
E l'ebrea, quella ragazzina - che solo dopo un po' di tempo Seffi scopre che si chiama Rina - non ha anche lei il medesimo diritto?
Forse per lei, sua madre e il burbero fratello Uriel c'è solo buio e terrore senza fine?
Dall'essere l'ebrea che si nasconde in casa, Rina diventerà poco a poco una coetanea in carne ed ossa, una ragazza che vorrebbe andar fuori, parlare con le amiche, guardare il cielo, respirare l'aria di fuori, leggere libri... ma che deve in realtà adattarsi alla vita (se di vita si può parlare) in un nascondiglio buio e puzzolente.
Rina è un essere umano e ha le stesse paure, gli stessi desideri, le stesse aspirazioni di Seffi e così, prima attraverso una corrispondenza "epistolare" e poi trascorrendo del tempo insieme, Seffi e Rina impareranno a conoscersi, ad apprezzarsi, a capirsi, a confidarsi, a volersi bene.
Scopriranno (Seffi in primis) che a dividerle finora era stato un muro di pregiudizi e false verità che altri avevano innalzato per loro, un muro che può essere abbattuto perchè, come dice suo padre, siamo tutti uguali, non ci sono razze migliori o peggiori, individui che hanno più di altri il diritto di vivere ed essere felici, ma che tutto questo appartiene all'uomo per il solo fatto che è uomo.
E' un processo di consapevolezze, questo, graduale, che il lettore segue passo passo con Seffi, condividendo le sue domande, i dubbi, le parole scambiate con Rina, i gesti di amicizia, i tentativi di non essere come gli altri tedeschi, che odiano senza che poi ci sia un vero perchè.
Un'amicizia che nasce pian piano, senza forzature ma in base al crescere della consapevolezza che Rina e la sua famiglia sono esseri umani come lei, che soffrono, piangono, si ammalano, sperano, desiderano.
Un'amicizia che sarà fonte di felicità per entrambe; certo, una felicità adombrata dalla paura che i tre clandestini vengano scoperti (con tutto ciò che ne consegue) ma comunque un rapporto d'affetto che farà crescere entrambe le ragazze, che diventeranno tutto l'una per l'altra.
Un'amicizia che rimane salda anche lì dove la paura di morire avrebbe potuto spezzarla; un'amicizia che si solidifica di nascosto e forse proprio per questo trova il modo per crescere forte e vera, perchè voluta, coltivata, protetta, a dispetto di tutto e tutti.
Seffi dimostrerà coraggio e generosità e lo farà in un tempo in cui la gente attorno a sè pensa solo a come fare per sopravvivere, per salvarsi la pelle; tra cumuli di macerie e case distrutte, Seffi saprà dimostrare l'amicizia e l'affetto per un'ebrea che ha davanti a sè solo la prospettiva del campo, dell'arresto, della morte.
Un romanzo davvero bello, scritto bene, accurato (l'Autrice dimostra di aver fatto molte ed accurate ricerche su luoghi, contesti, periodo), la cui narrazione in prima persona rende il tutto molto "intimo", ideale per riflettere con la protagonista sui pensieri, i modi di vedere di una ragazzina che è cresciuta in un contesto ma che pure ha saputo andare oltre ciò che le è stato inculcato.
Il ritmo è pacato, riflessivo, c'è spazio per seguire i pensieri e le emozioni di Seffi, si ha l'impressione di essere lì con lei, di sentire davvero il rumore delle bombe, di guardare insieme a lei il cielo terso, di essere con lei in soffitta a parlare con l'amica Rina; un linguaggio semplice ma preciso allo stesso tempo, adatto all'età della protagonista, il cui tratteggio psicologico è delineato molto bene.
Una storia che tocca e commuove perchè pone l'accento su diversi temi: sulla forza dei pregiudizi, su come sia difficile ma non impossibile sradicarli; su come non tutti i tedeschi abbiano chiuso orecchi ed occhi davanti alle crudeltà verso gli ebrei, tanti dei quali erano amici, vicini, compagni di scuola; su come l'affetto e l'amicizia sinceri vincano su paura, ignoranza, rabbia e siano capaci di manifestarsi anche in un momento storico in cui è facile che dominino egoismo e omertà.
Faccio i miei complimenti all'Autrice e non posso che consigliare la lettura del libro "La mia amica ebrea".