Con il post di oggi, oltre a darvi il buongiorno e ad augurarvi un sereno inizio di settimana, desidero porre alla vostra attenzione un argomento delicatissimo e molto, molto triste e doloroso: le "donne di conforto".
La guerra - ogni guerra - porta con sé tante, troppe brutture, e se c'è una cosa che ci ricorda - se mai ce ne fosse bisogno - è quali bassezze è in grado di compiere l'essere umano verso i propri simili.
Chi erano le donne di conforto?
Erano donne e ragazze (parliamo anche di ragazzine di 12-13 anni) ridotte in schiavitù sessuale dall’esercito imperiale del Giappone, prima e durante la Seconda guerra mondiale, e comunque negli anni tra il 1932 e il 1945.
Queste povere vittime erano sottoposte a violenze e torture, umiliate e violentate anche 40 volte al giorno.
Perché siano state chiamate "comfort women" è intuibile, il che rende il tutto (se possibile) ancora più raccapricciante.
Perché siano state chiamate "comfort women" è intuibile, il che rende il tutto (se possibile) ancora più raccapricciante.
Il sistematico sfruttamento sessuale, fatto di stupri, torture e uccisioni, non ha soltanto rovinato la vita a quelle donne in quel periodo, ma anche successivamente: molte di esse si tolsero la vita e le sopravvissute hanno vissuto (e vivono) in povertà, isolate, oggetti di stigma e in pessime condizioni di salute fisica e mentale.
Quante donne furono coinvolte in questo miserabile sfruttamento?
Benché non tutti gli studiosi siano d'accordo, la stima si aggirerebbe dalle 50mila alle 200mila donne, provenienti principalmente da Corea, Taiwan, Cina, Giappone e, in misura minore, da Filippine, Tailandia, Birmania e Indonesia.
I giapponesi hanno cercato di negare una connessione diretta tra il loro esercito, i rapimenti e gli stupri.
Lo storico giapponese Ikuhiko Hata ha di recente pubblicato un libro in cui tratta la questione (Comfort women and sex in battle zone), sostenendo che le donne costrette a prostituirsi saranno state al massimo 40mila, perché in realtà la maggior parte delle prostitute era assolutamente consenziente, trattandosi soprattutto di case gestite da «privati» e dunque non direttamente collegate all’esercito imperiale.
Negli ultimi 30 anni, le sopravvissute spesse volte si sono rivolte ai tribunali giapponesi per ottenere giustizia ma hanno sempre perso.
Nel 2015, in seguito ad esplicita richiesta da parte di alcune sopravvissute coreane, il Giappone aveva riconosciuto sì la sua responsabilità, con la promessa anche di istituire un fondo da 1 miliardo di yen per assistere le donne, per poi però tirarsi indietro, sostenendo che la controversia era già stata risolta nel 1965, quando i due paesi aveva normalizzato i legami diplomatici e il Giappone aveva dato oltre 800 milioni di dollari alla Corea del Sud come indennizzo per tutti i crimini di guerra, incluse le ferite procurate alle donne di conforto.
Wang Di ha soltanto sedici anni quando viene portata via con la forza dal suo villaggio e dalla sua famiglia. Siamo nel 1942 e le truppe giapponesi hanno invaso Singapore: l'unica soluzione per tenere al sicuro le giovani donne è farle sposare il più presto possibile o farle travestire da uomini.
Nata in Corea e adottata da una coppia di americani quando aveva solo cinque mesi, la ventenne Anna Carlson non ha mai avvertito il desiderio di cercare la donna che la ha messa al mondo. Ma dopo la morte di Susan, la sua madre adottiva, Anna sente la necessità di raggiungere la Corea per conoscere le sue origini.
Nell’orfanotrofio di Seoul in cui la giovane si reca per avere notizie del suo passato, tuttavia, la attende un’amara verità: sua madre è deceduta vent’anni prima, nel darla alla luce.
Pronta a ripartire senza le risposte che cercava, Anna viene avvicinata da un’anziana con i capelli grigi legati in una treccia, che le mette in mano un pacchettino. All’interno c’è un foglio con un indirizzo di Seoul, scritto in un corsivo elegante, e un pettine in cui è intagliato un drago con il dorso d’oro massiccio. Qual è il significato di un dono tanto prezioso?
Recandosi all’indirizzo scritto sul foglio, Anna non solo scoprirà che la donna, Hong Jae-hee, è la sua nonna materna, ma verrà a conoscenza della sua drammatica storia.
Una storia che ha inizio nel 1943, quando Hong Jae-hee e la sorella maggiore, Soo-hee, vengono reclutate dall’esercito giapponese per lavorare in una «casa di conforto», dove diventano ianfu, «donne di conforto», ovvero prostitute, schiave sessuali dei soldati giapponesi. Resistere all’orrore diventerà, per le due sorelle, l’unico modo per sopravvivere…
Affrontando un argomento quasi sconosciuto, la tragedia delle donne di conforto coreane al servizio dei soldati giapponesi, William Andrews racconta una struggente storia di dolore, coraggio e speranza.
Fonti consultate:
- https://lepersoneeladignita.corriere.it/2020/08/14/dopo-75-anni-le-donne-di-conforto-chiedono-ancora-giustizia-al-giappone/
- https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2016/02/lee-il-manifesto.pdf
Quante donne furono coinvolte in questo miserabile sfruttamento?
Benché non tutti gli studiosi siano d'accordo, la stima si aggirerebbe dalle 50mila alle 200mila donne, provenienti principalmente da Corea, Taiwan, Cina, Giappone e, in misura minore, da Filippine, Tailandia, Birmania e Indonesia.
I giapponesi hanno cercato di negare una connessione diretta tra il loro esercito, i rapimenti e gli stupri.
Lo storico giapponese Ikuhiko Hata ha di recente pubblicato un libro in cui tratta la questione (Comfort women and sex in battle zone), sostenendo che le donne costrette a prostituirsi saranno state al massimo 40mila, perché in realtà la maggior parte delle prostitute era assolutamente consenziente, trattandosi soprattutto di case gestite da «privati» e dunque non direttamente collegate all’esercito imperiale.
Ma tali ipotesi sono state smentite da testimonianze, oltre che dall’ammissione stessa del governo giapponese.
Le donne che hanno vissuto questa atrocità e che ancora sono in vita (parliamo ovviamente di anziane over 80) sono diventate oggetto di battaglia politica, e in Corea si radunano ancora, accanto a una statua (collocata di fronte all'ambasciata giapponese a Seul) che raffigura una ragazza, simbolo delle «donne di conforto».
Negli ultimi 30 anni, le sopravvissute spesse volte si sono rivolte ai tribunali giapponesi per ottenere giustizia ma hanno sempre perso.
Nel 2015, in seguito ad esplicita richiesta da parte di alcune sopravvissute coreane, il Giappone aveva riconosciuto sì la sua responsabilità, con la promessa anche di istituire un fondo da 1 miliardo di yen per assistere le donne, per poi però tirarsi indietro, sostenendo che la controversia era già stata risolta nel 1965, quando i due paesi aveva normalizzato i legami diplomatici e il Giappone aveva dato oltre 800 milioni di dollari alla Corea del Sud come indennizzo per tutti i crimini di guerra, incluse le ferite procurate alle donne di conforto.
Di seguito vi segnalo alcuni libri nel caso foste interessati all'argomento.
LE MALERBE di Keum Suk Gendry-Kim (Bao Publishing, trad. M. L. Emberti Gialloreti): è il dolorosissimo racconto, basato sulla testimonianza diretta di una sopravvissuta, del dramma delle comfort women. Questo libro si sofferma su un passato che spesso si è cercato di dimenticare o negare, ma che è importante conoscere e ricordare.
Storia della nostra scomparsa di Lee Jing-Jing (Fazi Ed., trad. S. Tummolini).
Ma non sempre basta. Wang Di viene strappata all'abbraccio del padre e condotta insieme ad altre coetanee in una comfort house, dove viene ridotta a schiava sessuale dei militari giapponesi.
Ha inizio così la sua lenta e radicale scomparsa: la disumanizzazione provocata dalle crudeltà subite da parte dei soldati, l'identificazione con il suo nuovo nome giapponese, il senso di vergogna che non l'abbandonerà mai.
Sessant'anni più tardi, nella Singapore di oggi, la vita dell'ormai anziana Wang Di s'incrocia con quella di Kevin, un timido tredicenne determinato a scoprire la verità sulla sua famiglia dopo la sconvolgente confessione della nonna sul letto di morte.
È lui l'unico testimone di quell'estremo, disperato grido d'aiuto, e forse Wang Di lo può aiutare a far luce sulle sue origini.
La responsabilità legale degli Stati per le azioni passate: La situazione delle 'Donne di conforto' di Naoko Adachi (Ed. Sapienza).
Un certo numero di donne sono state schiavizzate sessualmente dall'esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale ed erano conosciute come "donne di conforto". Si tratta di un atto illecito dello Stato giapponese del passato che ancora oggi attira l'attenzione internazionale. Al fine di superare il passato, tali azioni sbagliate dovrebbero essere considerate nel contesto della responsabilità legale dello Stato, processo importante per ottenere una giustizia adeguata nella comunità internazionale.
Figlie del mare di Mary Lynn Bracht (Ed. Nord, trad. K. Bagnoli, 288 pp).
Corea, 1943. Nata e cresciuta sotto il dominio giapponese, Hana ha un’amatissima sorella minore, Emi, con cui presto condividerà il lavoro in mare, a cercare conchiglie e molluschi da vendere al mercato. Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare la sorella da un destino atroce, Hana viene catturata dai soldati giapponesi e deportata in Manciuria, dove verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall’esercito.
Corea del Sud, 2011. A ottant’anni, Emi non ha ancora trovato pace: il sacrificio della sorella è un peso sul cuore che l’ha accompagnata tutta la vita.
In Figlie del mare rivive un episodio che la Storia ha rimosso: una pagina terribile che si è consumata sulla pelle di intere generazioni di giovani donne coreane. E insieme vive la storia di due sorelle, il cui amore resiste e lotta nonostante gli orrori della guerra, la violenza degli uomini, il silenzio di oltre mezzo secolo finalmente rotto dal coraggio femminile.
In Figlie del mare rivive un episodio che la Storia ha rimosso: una pagina terribile che si è consumata sulla pelle di intere generazioni di giovani donne coreane. E insieme vive la storia di due sorelle, il cui amore resiste e lotta nonostante gli orrori della guerra, la violenza degli uomini, il silenzio di oltre mezzo secolo finalmente rotto dal coraggio femminile.
LE FIGLIE DEL DRAGONE di William Andrews (Neri Pozza, trad. C. Brovelli, 304 pp).
Nata in Corea e adottata da una coppia di americani quando aveva solo cinque mesi, la ventenne Anna Carlson non ha mai avvertito il desiderio di cercare la donna che la ha messa al mondo. Ma dopo la morte di Susan, la sua madre adottiva, Anna sente la necessità di raggiungere la Corea per conoscere le sue origini.
Nell’orfanotrofio di Seoul in cui la giovane si reca per avere notizie del suo passato, tuttavia, la attende un’amara verità: sua madre è deceduta vent’anni prima, nel darla alla luce.
Pronta a ripartire senza le risposte che cercava, Anna viene avvicinata da un’anziana con i capelli grigi legati in una treccia, che le mette in mano un pacchettino. All’interno c’è un foglio con un indirizzo di Seoul, scritto in un corsivo elegante, e un pettine in cui è intagliato un drago con il dorso d’oro massiccio. Qual è il significato di un dono tanto prezioso?
Recandosi all’indirizzo scritto sul foglio, Anna non solo scoprirà che la donna, Hong Jae-hee, è la sua nonna materna, ma verrà a conoscenza della sua drammatica storia.
Una storia che ha inizio nel 1943, quando Hong Jae-hee e la sorella maggiore, Soo-hee, vengono reclutate dall’esercito giapponese per lavorare in una «casa di conforto», dove diventano ianfu, «donne di conforto», ovvero prostitute, schiave sessuali dei soldati giapponesi. Resistere all’orrore diventerà, per le due sorelle, l’unico modo per sopravvivere…
Affrontando un argomento quasi sconosciuto, la tragedia delle donne di conforto coreane al servizio dei soldati giapponesi, William Andrews racconta una struggente storia di dolore, coraggio e speranza.
Fonti consultate:
- https://lepersoneeladignita.corriere.it/2020/08/14/dopo-75-anni-le-donne-di-conforto-chiedono-ancora-giustizia-al-giappone/
- https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2016/02/lee-il-manifesto.pdf