sabato 19 marzo 2022

** RECENSIONE ** LA GIUSTA VIA di Daniela Merola



Ogni amore è un universo a sé stante, si sa; ogni coppia ha il proprio modo di essere ed esistere che si palesa attraverso parole, silenzi, gesti..., che appartengono ad essa e a nessun'altra coppia, e in questo modo unico di comunicare e viversi risiede l'equilibrio costruito e che permette ai due innamorati di proseguire in un percorso di vita comune, giorno dopo giorno, tra alti e bassi, tra complicità e litigi.

Ogni amore è diverso dagli altri e ciascuno vive questo sentimento a modo proprio, ma a volte esso diventa una trappola, un laccio che si stringe al collo e rischia di soffocare, di togliere il respiro.
Un amore tossico, quello tra Margherita ed Augusto; un legame velenoso di cui entrambi non riescono a fare a meno. Ma dove li condurrà?  

LA GIUSTA VIA
di Daniela Merola 



LFA Publisher
290 pp
16.50 euro
2021

Margherita Sossio vive a Roma e svolge un lavoro che ama e nel quale profonde tutta la passione, l'esperienza, la professionalità che le sono proprie: vive di arte, è cresciuta respirando la passione per il bello che l'arte dona a chi sa apprezzarla, e lavora con un team affiatato che si occupa di operare valutazioni di oggetti antichi e preziosi, solitamente appartenenti a qualche ricco proprietario che, morendo, ha lasciato il patrimonio in eredità a figli e/o nipoti.
È un lavoro certosino, condotto con serietà ed accuratezza, che permette a Madame Sossio di venire finanche a contatto con opere di valore, non solo dal punto di vista economico ma soprattutto artistico.
Non solo, ma le consente di viaggiare, di passare dei periodi fuori casa, lontana da Augusto, e di prendere una boccata d'aria pura.
Sì, perché l'aria che condivide con il consorte è tutto fuorché pura:  è contaminata, pesante, irrespirabile.

Margherita e Sossio stanno insieme da venticinque anni e il loro rapporto è qualcosa di molto complesso.

"Viveva intrappolata in un matrimonio terreno, fottutamente terreno, nel quale non si capiva chi era il carnefice e chi la vittima. Tutto era finito in un gorgo di abbandono e prevaricazione nonostante tutti i dannati sforzi fatti da lei. Loro credevano di amarsi, sapevano di amarsi, convinti di vincere, rifugiati in una storia creata e compiuta."

A tenerli insieme è un sentimento forte che entrambi si ostinano a chiamare amore: ma lo è davvero?

È un legame che si nutre di passione, provocazioni, discussioni, sarcasmo e sorrisi che somigliano più a ghigni; non possono fare a meno di farsi del male, che sia con le parole, con il silenzio (da parte di lei, in special modo, che quando è fuori per lavoro non vuol pensare ad Augusto) o con la violenza fisica.
Il marito, infatti, non esita ad alzare le mani, schiaffeggiandola e non solo, e anche durante i momenti di intimità fisica, lui è sempre aggressivo, "feroce", come se volesse divorarla, marchiarla e farle capire che qualunque cosa accada, ovunque lei vada, gli appartiene, e così sempre sarà.

A sua volta, Madame Sossio, pur rendendosi conto di come questo matrimonio sia fonte di dolore (fisico, psicologico, emotivo), di frustrazione, di rabbia..., non riesce e non vuole farne a meno; lei e il marito sono legati da una fitta rete di perversione, annientamento, stordimento e da un bisogno l'uno dell'altra che proviene dalle viscere di entrambi.

Quando sono vicini, marito e moglie non riescono a comunicare con serenità, rari sono i momenti di tenerezza e complicità, più frequenti quelli in cui si si dicono cattiverie e prendono piacere nello stuzzicarsi a vicenda attraverso stilettate che si assestano per nuocersi  reciprocamente, e ci riescono perché conoscono bene i punti deboli di ciascuno: la loro è un'ossessione che essi stessi alimentano e dalla quale non vogliono guarire.

Entrambi traggono dolore e piacere da questa relazione in cui lui, geloso e possessivo, gode nel far capire alla sua "adorata moglie" che niente e nessuno in questa vita li separerà mai, se non la morte, e impazzisce all'idea che lei possa riservare ad un altro uomo attenzioni che spettano solo a lui; e non esita, Augusto, a usare le maniere forti per far capire alla moglie questa sua "verità", e quando lei è lontana da casa per lavoro, il marito la riempie di telefonate e messaggi ossessivi, con i quali da una parte le dichiara il suo amore e le chiede di tornare, dall'altra la minaccia di stare attenta a non fargli nessun torto.

Margherita, dal canto suo, è spaventata ed attratta dai modi di fare di lui, così "maschio", virile, sensuale, capace come nessuno di farla sentire femmina e desiderabile; ma è innegabilmente anche consapevole di essere prigioniera di un amore violento e tossico, che la fa stare male, la fa sentire troppo spesso umiliata, trattata come un oggetto, non apprezzata come persona.
Non amata da questo "adorato marito", in eterna lotta tra loro, senza che nessuno dei due sia il vincitore o lo sconfitto definitivo.

Come sopravvivere a questo "cannibalismo sentimentale"? Può Margherita liberarsi da questa trappola e uscirne indenne?

Certo, il lavoro l'aiuta molto: quando è tra le mura di case antiche a fare le sue valutazioni con i colleghi, è come se potesse mettere dietro le spalle la tristezza e le mortificazioni che le provoca Augusto, ma purtroppo questo non è sufficiente a risollevarle il morale.

Margherita è una persona intelligente, colta, dal carattere forte e deciso, dalla lingua tagliente e senza peli sulla lingua, ma dietro la sua facciata dura si nasconde una donna sensibile, capace di incantarsi fino alle lacrime davanti a un quadro di Boldini, di perdersi solo rimirandolo.

Fortunatamente, oltre ad una professione che ama e che le dona molte soddisfazioni, nella vita di Madame Sossio ci sono alcune affetti importantissimi, come sua madre Gemma - apprensiva e dolce verso questa figlia che si ritrova accanto un marito spregevole - e l'amica del cuore, Ortensia, preziosa ed insostituibile confidente.

Ma la presenza costante di queste due donne nella sua vita non basta a placare i tormenti che turbano l'anima della donna, che per non impazzire e non soccombere si è creata un posto nella propria mente in cui ritrovare l'unico uomo che l'abbia mai amata e che lei stessa ama ancora tantissimo: Benedetto, l'amatissimo papà, morto quando lei era solo una bambina e la cui perdita l'ha segnata.
Solo quando chiude gli occhi, "voltandosi dall'altra parte" e distogliendo gli occhi da ciò che la fa soffrire, solo quando pensa al padre, incontrandolo in quello che per Margherita è "lo spazio bianco",  riesce ad alleggerire i pesi che ha sul cuore.

"Lo spazio bianco era ad attenderla. Lei percorreva orizzonti sconfinati di pace portando con sé un’urgente nostalgia di normalità che rimaneva cristallizzata nel momento in cui si trovava in quel posto".

Certo, attorno a lei, quando è nello spazio bianco, ci sono delle figure vaghe strane, i cui volti non riesce a mettere a fuoco, che le parlano, le fanno domande, la guardano, pretendono risposte... 
Chi sono e cosa vogliono?

Il limite tra razionalità e follia, tra reale ed irreale, si fa labile, da contorni indefiniti; infatti, il racconto del turbolento rapporto di Margherita con Augusto si muove in una doppia dimensione, quasi a mescolare non solo passato e presente, ma anche sogno e realtà, ciò che è davvero avvenuto con ciò che potrebbe essere frutto della mente della protagonista, la cui sofferenza emotiva travolge il lettore, portandolo ora in una dimensione razionale - in cui seguiamo le vicende di Margherita con il marito, il lavoro, la madre, l'amica... - ora in una onirica, evanescente, che è quella in cui si rifugia la donna per sfuggire a ciò che non riesce ad affrontare e a risolvere, là dove non esistono rimorsi, incertezze, dolore, ma solo quel padre buono, nel cui amore puro ed eterno lei si può specchiare, pulita da ogni scoria e veleno.

"La giusta via" è un romanzo dove l'aspetto psicologico è fondamentale; l'Autrice sa come condurre il lettore negli angoli più bui e nascosti della mente della protagonista, mostrandocene i tormenti interiori, le delusioni (scoprirà, infatti, un doppio e doloroso tradimento), i rimpianti per qualcosa di inaspettato che si era affacciato nella sua vita ma che non ha voluto afferrare e rendere bello e speciale, l'angoscia provata al cospetto di un marito al quale si sente legata indissolubilmente e dal quale vorrebbe scappare, e la cui prepotenza le suscita cattivi pensieri, che non fanno che aumentare turbamenti e conflitti.

A dispetto di un carattere deciso e di una sicurezza di sé che tutti le riconoscono e apprezzano, di una cultura e di una vivacità intellettuali invidiabili, di una ricca dialettica, di una personalità da guerriera e che ha tutte le carte in regola per rendere la propria vita un'opera d'arte, Madame Sossio non è libera, vive in una gabbia (l'amore-ossessione del e per il marito), ma anche lo "spazio bianco", questa bolla di felicità in cui lei crede di poter essere in pace, non fa che allontanarla dalla realtà.

Attraverso un linguaggio che sa essere anche brusco, rude e diretto, Daniela Merola ci racconta in che modo un amore possa essere distruttivo e di come, nonostante questo sia chiaro ad almeno uno dei due nella coppia, staccarsene sia comunque difficile, come sempre quando c'è una dipendenza affettiva; nei momenti in cui siamo nello "spazio bianco" con Margherita, invece, il linguaggio assume toni delicati, quasi poetici, come a volerci trasmettere il senso di pace che in esso trova la donna.

Ho trovato molto interessanti le ambientazioni (Roma, Napoli, Parigi), in particolare Napoli, nelle cui strade, piazze, chiese, l'Autrice ci accompagna attraverso gli occhi, le mani e le gambe di Margherita, ad ammirarne l'arte, la storia, perché la città partenopea emana una malia unica, piena di un fascino avvolgente, con i suoi silenzi e la sua chiassosità, il suo mare, il sole e quella vitalità che le appartiene e che fa innamorare chi ci vive e chi la visita.

"Quei vicoli fatti di terra, mare, verità sparsa, miseria e nobiltà, cultura e ignoranza piacevano a Margherita perché si sentiva parte di una umanità fantasiosa."

Un po' come è lei stessa, Madame Sossio; complessa, sfaccettata, fragile e granitica, con un cuore pieno d'amore e di odio insieme, di dolcezza e veleno, ora rassegnata ora combattiva, dentro in un modo (la pace, la dolce solitudine dello "spazio bianco") e fuori in un altro (agguerrita, arrabbiata, lacerata, al centro di un caos senza via d'uscita).

Non mi resta che consigliarvi questo romanzo, che affronta tematiche attuali e importanti, e lo fa attraverso una donna che vive ogni emozione con passionalità ed intensità, e questa sua natura si riflette in modo coerente e incisivo nello stile, nei fatti narrati e nelle dinamiche che create con i personaggi coinvolti. 

Grazie Daniela per avermi fatto conoscere Madame Sossio. 

venerdì 18 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] "Josef Mengele. L'angelo della morte di Auschwitz" di Richard J. Samuelson


"Josef Mengele. L'angelo della morte di Auschwitz" di Richard J. Samuelson  è un libro che, seppur brevemente, ripercorre la cupa e terribile figura di un personaggio storico di cui tutti abbiamo sicuramente sentito parlare e che è associato ad uno dei capitoli più brutti della storia contemporanea.


letto da Marileda Maggi   
Credo di non sbagliarmi se dico che Josef Mengele sia davvero uno dei più inquietanti e sadici protagonisti della follia nazista. 
Basta il suo nome perché la nostra mente vada a fatti ed immagini terribili, legati ai campi di sterminio e, soprattutto, agli abominevoli e disumani esperimenti condotti proprio da quest'uomo, che lavorò come medico ad Auschwitz per 21 mesi. 
Un tempo sufficiente per provocare innumerevoli e irreversibili danni.

L'Autore parte dall'inizio, illustrandoci brevemente gli anni della giovinezza, la laurea in Antropologia e poi in Medicina, il morboso interesse per le ricerche sulla genetica (convinto che le differenze razziali e sociali avessero origini genetiche, appunto), l'iscrizione al partito naazionalsocialista, il ferimento in guerra, il congedo con onore e l'assegnazione al campo di sterminio.

Era chiamato "l'Angelo della Morte" e trasformò l'ospedale di Auschwitz in una vera e propria clinica degli orrori, torturando e seviziando le vittime del campo con esperimenti spietati e terrificanti:  bambini, nani, rom e, soprattutto, i gemelli, la vera ossessione del folle dottore nazista.

Questi era intenzionato a "studiare" la genetica delle povere cavie con l'infame scopo di incrementare la nascita di bambini ariani così da poter rafforzare il futuro Reich. 
Uno dei suoi obiettivi, ad es., era modificare la pigmentazione dell’iride al fine di ottenere più bambini con gli occhi azzurri; a tal fine, Mengele iniettava negli occhi dei bambini diverse soluzioni che non solo non sortivano l'effetto sperato, ma rovinavano gli occhi alle vittime, procurando loro gravi infezioni, cecità. 
Non tutti sopravvivevano ai crudeli trattamenti... 
Gli organi tolti alle vittime erano inviati all’Istituto per l'antropologia, la genetica umana e l'eugenetica a Berlino, etichettati come “materiale di guerra - urgente”.

Questo libro l'ho ascoltato, non letto, ma a livello emotivo è stato comunque angosciante sentire le crudeltà inferte a vittime innocenti da questo.... essere - che chiamare uomo è difficile, anche se, ovviamente, lo è, ed è questo che rende tutto più brutto -; pensare a ciò che hanno potuto soffrire riempie il cuore di un tremendo e profondo gelo, mette i brividi ogni volta che leggo queste storie.

È un viaggio nell'inferno, ma per quanto doloroso, non possiamo tirarci indietro dal ricordare che la memoria e la conoscenza sono fondamentali perché l'Umanità non commetta più gli stessi errori.

Certo, sembra strano dire una verità del genere in queste settimane in cui l'orrore della guerra è tornato prepotentemente ad angosciarci; le immagini della guerra in Ucraina ci fanno star male e ci confermano come l'Uomo sia davvero un cattivo scolaro, e poco impara dalle lezioni di "maestra Storia".

Tornando al medico nazista...: aveva poco più di trent'anni ed è stato capace di lasciare un'impronta nella storia... ma che impronta mostruosa! 

A farci innervosire, però, è il sapere che purtroppo quest'uomo non è mai stato consegnato "alla giustizia", non ha subito condanne per i suoi numerosi e sadici crimini; la vicenda di Mengele è continuata anche dopo la guerra.

Gli bastava cambiare nome e riusciva a passare frontiere come se niente fosse, fino ad arrivare in Paraguay, Argentina, Brasile, dove è vissuto indisturbato fino alla sua morte, avvenuta per cause naturali nel 1979.

Samuelson mette in campo alcune delle ipotesi per spiegare come sia stato possibile che questo individuo sia fuggito e abbia vissuto tranquillamente (e non sempre sotto falso nome) per molti anni dopo la guerra, senza che nessuno lo riconoscesse e ne permettesse l'arresto.

Chi l'ha aiutato a fuggire e chi l'ha protetto durante la sua latitanza? È possibile che ci fossero Paesi (ad es. gli Stati Uniti) con un qualche interesse a "proteggerlo"?

E inoltre, che fine hanno fatto gli appunti segreti redatti da Mengele ad Auschwitz? Ha impunemente proseguito i suoi folli esperimenti anche in Sudamerica? 
Domande a cui ancora oggi è davvero difficile dare risposte certe ed univoche.

Un particolare inquietante che non conoscevo (o forse l'avevo dimenticato) è che trascorse gli ultimi tre lustri della propria dannata esistenza in un paesino in particolare: Cândido Godói, un piccolo villaggio brasiliano al confine con l’Argentina, in cui era presente una minoranza di polacchi e tedeschi.
Fece di questa località una sorta di "laboratorio"; del resto, è una coincidenza se proprio dal 1963 (anno in cui Mengele si stanziò lì) la cittadina gradualmente è divenuta la località con la più alta incidenza di gravidanze gemellari dell’intero pianeta?

Concludendo, è un libretto che tratta un argomento senza dubbio interessante; certo, la sua brevità non permette di approfondire tanti aspetti, ma può costituire una motivazione per fare ricerche personali.

Noticina sulla voce narrante: il timbro è molto piacevole, ma in certi momenti il suo tono di voce era... irritante, ma tanto!! Perché? Beh, il volumetto tratta temi senza dubbio terrificanti e atroci ed infatti le musiche di sottofondo sottolineano l'atmosfera lugubre in certi specifici frangenti; la voce della narratrice, al contrario, in alcuni passaggi da brividi... aveva un tono troppo "leggero", come se stesse leggendo una favoletta per bambini....!





mercoledì 16 marzo 2022

** ANTEPRIMA GIUNTI EDITORE ** DELITTI A FLEAT HOUSE di Lucinda Riley - in libreria dal 25 maggio 2022


In un POST precedente (ottobre 2021) vi avevo anticipato che a maggio 2022 sarebbe stato pubblicato un romanzo di Lucinda Riley.


DELITTI A FLEAT HOUSE (The Murders at Fleat House) è un emozionante mystery ambientato in un idilliaco collegio privato nel Norfolk, in Inghilterra, dove la morte scioccante di un allievo porta alla scoperta di segreti indicibili sepolti nel cuore di Fleat House.

Vi riposto la sinossi e aggiungo la copertina Giunti Editore *___*

DELITTI A FLEAT HOUSE


Giunti Ed.
400 pp
USCITA
25 MAGGIO 2022
L'improvvisa morte di Charlie Cavendish, nell'austero dormitorio di Fleat House, è un evento scioccante che il preside è subito propenso a liquidare come un tragico incidente. 

Ma la polizia non può escludere che si tratti di un crimine e il caso richiede il ritorno in servizio dell'ispettore Jazmine "Jazz" Hunter. 

Jazz ha le sue ragioni per aver abbandonato la carriera nella polizia di Londra e accetta con riluttanza di occuparsi dell'indagine come favore al suo vecchio capo. 

Quando uno dei professori viene trovato morto e poco dopo un alunno scompare, è chiaro che la vicenda sia molto più complicata di quanto potesse sembrare all'inizio. 

Intrighi familiari, tradimenti e vendette: sono tanti i segreti racchiusi nelle mura di Fleat House e alcuni attendono di venire alla luce da tempo.



Ricordo ai fans di Lucinda e della saga "Le Sette Sorelle", che per ottobre 2022 

l'11 MAGGIO 2023 è prevista l'uscita dell'ultimo attesissimo capitolo: 

ATLAS. LA STORIA DI PA' SALT.


LIBRI DI LUCINDA RECENSITI SUL BLOG


  1. Le Sette Sorelle - Maia
  2. Ally nella tempesta
  3. La ragazza nell'ombra
  4. LA RAGAZZA DELLE PERLE
  5. La ragazza della luna
  6. La ragazza del sole


martedì 15 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] 1944: THE REBELLION di Elisa Delpari



Poter tornare indietro nel tempo, vivere nei panni della propria bisnonna e fare le sue stesse esperienze: se fosse possibile, sarebbe una delle esperienze più incredibili che una persona potrebbe ritrovarsi a fare! È quello che succede alla giovane protagonista di questo romanzo; ma c'è di più: Elektra si ritrova catapultata nientemeno che nei difficilissimi e drammatici anni della seconda guerra mondiale.
Ciò che vivrà e vedrà la cambierà per sempre.


1944: THE REBELLION 
di Elisa Delpari



Elektra è una ragazza newyorchese dal carattere riservato e timido, il che la porta a non essere molto integrata a scuola; anzi, sono diversi i compagni che non si fanno alcun problema a prenderla in giro e a bullizzarla.
Edizioni Del Faro
300 pp


Fortunatamente Elektra ha un'amica del cuore, Alice, con cui trascorre molto tempo insieme, condividendo pensieri, risate e segreti.

Una sera, durante una festa, Elektra vive qualcosa di inspiegabile: sviene all'improvviso, senza un'apparente ragione, e si trova a vivere come in un sogno, in un tempo e in un luogo a lei sconosciuti, in mezzo a persone che non ha mai visto e che parlano di cose di cui lei non sa assolutamente nulla.

Cosa sono: visioni? Sogni? Allucinazioni?

La ragazza è confusa e non capisce cosa le stia succedendo.

Fatto sta che le visioni avute non solo non finiscono, ma - soprattutto quando si va a coricare - tornano a farle visita sempre più di frequente, così che ella riesce a fare un po' di chiarezza e a capire a grandi linee di che si tratta.

Intuisce, infatti, di trovarsi in un anno e in un posto diversi dal presente (il 2020) e che coloro con cui interagisce la conoscono bene e... la chiamano Lisa!

Chi è Lisa? 

A ben guardarla, Elektra riconosce in lei dei tratti somatici affini a quelli materni; decide, così, di cominciare a percorrere una doppia strada per cercare informazioni e dare il giusto significato alle visioni, le quali - lungi dall'essere semplicemente dei sogni - sono molto vivide, coinvolgono molto la ragazza dal punto di vista emotivo...; insomma, non può trascurarle come se nulla fosse!

Per prima cosa, dopo averne parlato con Alice (che, sconcerto iniziale a parte, è euforica quanto Elektra per queste esperienze "paranormali" dell'amica), decide di andare con lei in biblioteca per fare delle ricerche e comincia quindi a collocare fatti e personaggi: le sue visioni l'hanno trasportata negli anni Quaranta del Novecento, quindi nel pieno del secondo conflitto mondiale, a Bologna. La giovane, nella cui esistenza Elektra si è "infiltrata" senza volerlo, è iscritta all'università, sogna di diventare medico ma, nel frattempo, partecipa ad azioni partigiane, con lo scopo di sabotare le operazioni militari dei tedeschi ("crucchi") nazisti, impegnati a fare rastrellamenti nei ghetti ebraici e a condurre i prigionieri nel campi di lavoro.

La seconda fonte di informazioni è la madre che, messa alle strette, le racconta qualcosa sulla sua famiglia - che ha origini italiane - e che ha avuto una nonna di nome Lisa.
Coincidenze?

Per fugare ogni dubbio, non resta che recarsi in Italia, a Roma, dove vive lo zio Carlo, fratello della mamma: lui sì che potrà fornirle ulteriori spiegazioni.
Ed infatti, l'uomo regala alla nipote americana il diario personale della bisnonna Lisa, che contiene il racconto di ciò che è accaduto alla giovane partigiana dal 1940 al 1950.

Elektra si tuffa nella lettura del diario, le visioni continuano e, guidate dalla lettura dei racconti di bisnonna Lisa, assumono tutto un altro senso.
Ma non è abbastanza, per la ragazza, la quale non riesce a dare risposta ad una domanda importante che le frulla in testa dal primo momento: perché la sua bisnonna le sta "mandando" queste visioni? Qual è il suo scopo? C'è un messaggio che sta cercando di inviare alla bisnipote che vive nel 2020?

Per provare a dare risposte a questi interrogativi, ad Elektra viene in mente una sola via, così si rivolge ad un professionista che potrebbe aiutarla a "tornare" indietro nel tempo (non col corpo, ma con la coscienza, la psiche) e a interfacciarsi con Lisa.

Non svelo altro, mi soffermo solo a dirvi che per Elektra l'avventura di ritrovarsi in mezzo a dei partigiani, che cercano di combattere il nazismo, andrà via via intensificandosi, come del resto succederà agli eventi stessi che riguardano la guerra, con il suo progredire di episodi oltremodo drammatici.

Lisa ed Elektra avranno modo di comunicare, conoscersi, imparare ad apprezzarsi, a volersi bene e ad essere fonte di grande incoraggiamento l'una per l'altra.
Non sarà facile, perché la follia nazista è all'opera per distruggere ogni forma di libertà, ma Lisa e i suoi amici - tra cui Paolo, un giovane uomo coraggioso, forte, leader del gruppetto di partigiani di Bologna -
sanno cosa fare, quando agire, come organizzare attentati, dove nascondersi e come infiltrare spie tra i soldati tedeschi; Elektra, dunque, conoscerà un mondo completamente differente da quello al quale appartiene, un periodo storico che non ha mai conosciuto neppure sui libri di storia, e si troverà fianco a fianco (seppure in una modalità "particolare" e fuori dall'ordinario) a questi combattenti valorosi, fieri, disposti a mettere a repentaglio la propria vita pur di non lasciare spazio di azione agli spietati "crucchi".

La giovanissima protagonista vive un'esperienza surreale ed intensa, che l'aiuta a maturare, a conoscere meglio sé stessa, le proprie capacità, il proprio coraggio, a riscoprire un nuovo lato di sé: non vuole più essere la ragazza timidina, impaurita ed oggetto di bullismo da parte di certi coetanei stupidi! Quest'avventura la renderà caparbia, volitiva, determinata, tanto più verso chi è prepotente, aiutandola a non abbassare più supinamente il capo davanti ai soprusi e alle ingiustizie, ma a reagire.

Grazie a Lisa - e a tutte le varie situazioni, anche pericolose, vissute con lei, Paolo e gli altri -, la Elektra del 1944 impara ad affrontare le difficoltà con più carattere e maturità, consapevole che la libertà e la decisione di aiutare il prossimo possono anche richiedere sacrifici estremi, in particolare in un periodo come quello della guerra.

Il libro di Elisa Delpari è collocabile nel genere paranormal fantasy, in virtù dell'esperienza sovrannaturale e parapsicologica vissuta dalla protagonista, che vive il proprio viaggio nel tempo dal punto di vista mentale, della coscienza, e non fisico (non è il suo corpo a spostarsi, come succede, ad es., in "Ritorno al futuro" *, dove il protagonista fa su e giù nella linea temporale con la mitica DeLorean e vive tutto in prima persona).
E fin qui tutto ok; è ok anche il mix tra fantasia e storia; personalmente apprezzo molto l'intreccio tra elementi fittizi e fatti storici, anche quando fittizio non coincide necessariamente con "realistico" e, al contrario, l'autore sceglie di dare un tocco "ultraterreno" alla trama. Ecco, questo tipo di "gioco narrativo" mi sta bene e non è oggetto di critica, da parte mia, se narrato in modo coerente.
Ed infatti, di questo romanzo ho gradito l'idea di fondo - il viaggio (mentale) nel tempo - e anche il contesto storico scelto (guerra, nazismo, partigiani).

Però..., forse il mix andava raccontato un po' meglio, a mio avviso.
Meglio nel senso che ho trovato molte "ingenuità" nel racconto di un periodo del passato decisamente complesso, che credo avrebbe meritato un maggiore e più accurato studio, così da renderlo più preciso e realistico; invece, purtroppo, mi è parso che ogni descrizione di personaggi, luoghi, azioni, fosse un po' troppo semplicistica, poco approfondita.

Va bene che è un romanzo e non un saggio però, ad es., c'è un eccesso di "leggerezza" nell'attribuire determinati comportamenti (incauti, "faciloni" e quindi poco verosimili) ai soldati nazisti o agli stessi partigiani; questa caratteristica si riflette anche nei dialoghi che, se da una parte danno slancio e ritmo alla narrazione, dall'altra non ci danno modo di approfondire né le personalità dei personaggi né i fatti e gli avvenimenti che li vedono coinvolti.

L'ultima considerazione riguarda la presenza di errori (di battitura?), refusi ed un uso della punteggiatura non sempre corretto.

Concludendo: l'idea di base non è affatto male, tanto meno il voler toccare una tematica fondamentale quale è la guerra, con tutte le disgrazie ad essa annesse; ma - parere mio - avrei sicuramente apprezzato maggiormente la lettura se ci fossero state più accuratezza ed attenzione ad aspetti non irrilevanti quali scrittura, sfondo storico, caratterizzazione dei personaggi.




* mi perdonerete se cito una trilogia vecchiotta come questa, ma per me è d'obbligo; 1. perché è "pane per i miei denti", la conosco a memoria, la rivedo ogni volta che posso e in famiglia facciamo a gara, quasi, per anticipare le battute; 2. perché è "dei miei tempi" (verso la fine degli anni '80 ero una bambina, quindi Marty McFly è la mia infanzia); 3. semplicemente la amo e mi diverte. 


domenica 13 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] DONNAFUGATA di Costanza DiQuattro



Donnafugata è "un piccolo mondo antico", un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato e su cui si staglia la figura del barone Corrado Arezzo, nobile di casato e, soprattutto, d'animo: un uomo, un marito, un padre, un amico, la cui esistenza non priva di dolori è stata vissuta con coraggio, rettitudine e con un cuore colmo d'amore per le "fimmini" di casa, che gli hanno recato gioie e preoccupazioni.


DONNAFUGATA 
di Costanza DiQuattro 



Ed. Baldini Castoldi
206 pp
"In settant’anni ho visto tramontare epoche e sorgere speranze. Mi sono illuso e sono rimasto deluso. Ho sperato nelle stelle, ho dato credito ai numeri, mi sono affidato a Dio. Ho vissuto, ho gioito, ho pianto, ho ingoiato lacrime e rassegnazione."
 
Corrado Arezzo De Spucches vive - ha sempre vissuto - a Donnafugata, nel castello di famiglia a due passi da Ragusa, tra carrubi secolari, muri a secco e campagna scoscesa.

Nel 1895 ha da poco superato i settant'anni... e il suo cuore è stanco.
Pur mantenendo quella tempra e quella dignità che l'hanno sempre contraddistinto, l'uomo sente che i fardelli che la vita ha lasciato sulle sue spalle sono tanti e il loro peso si fa sentire ogni giorno di più.
Accanto a lui ci sono la nipote Maria, il fidatissimo "servo" tuttofare Micheluzzo, e tutti gli altri che lavorano per lui: lo amano, lo rispettano, e non potrebbe essere diversamente perché il barone è sempre stato un padrone comprensivo e paziente, un marito devoto, un padre amorevole e un nonno tenero.

L'autrice narra la vita di quest'uomo attraverso continui flashback che ci riportano a specifici anni della sua esistenza (in cui sono accaduti fatti rilevanti per comprendere chi sia Corrado), a partire dal 1833,  quand'era un ragazzetto cresciuto dalla cara e amata balia Annetta e che sbuffava all'idea di sentire il rosario di don Gaudenzio.
Lo vediamo poco più che ventenne, quando il fuoco della rivoluzione (siamo nel 1848) infiamma il suo spirito giovane e forte, desideroso di spezzare il giogo dei Borboni che nulla di buono porta alla gente del Sud, a questa amata terra di Sicilia che soffriva da anni "il sopruso e la reprimenda" del sistema borbonico che ne aveva frenato ogni sviluppo e crescita.

"...la violenza dei Borboni ha superato il limite della sopportazione e della decenza. Siamo e dobbiamo essere un popolo libero e indipendente. Io credo che il tempo di insorgere sia giunto. (...) Riprendiamoci la nostra terra. Riprendiamoci la Sicilia. Nel nome santo dell’Italia insorgiamo, combattiamo e vinceremo!".

Lo vediamo crescere e maturare negli anni; seguiamo le sue brillanti ed ironiche conversazioni con gli amici di sempre, ci intenerisce e ci fa sorridere il suo amichevole ed affettuoso rapporto con il tuttofare di Donnafugata, Micheluzzo, che lui conosce da bambino e che ha esortato ad imparare a leggere, a migliorare, trattandolo sempre con molto rispetto, pur avendo i due ruoli diversi, in virtù del differente ceto sociale.
Lo vediamo marito di Concetta, una donna delicata, sensibile, una moglie pia e ubbidiente, che tante lacrime ha versato per Vincenzina, quella figlia amatissima ma un po' volubile e che ha fatto non poche scelte sbagliate nella propria vita.
Corrado ama le sue "donne" ma il suo affetto non lo conduce ad essere condiscendente e privo di vigore e rigore, tutt'altro: quando deve richiamare all'uso della ragione, alla necessità di comportamenti saggi e scelte oculate,  lo fa con convinzione e sempre con lo scopo di vedere le proprie care felici e serene.

È sempre stato un uomo sensibile, Corrado, e ha avuto due genitori che gli hanno trasmetto valori fondamentali, primo fra tutti il rispetto per gli altri e il saper impiegare le proprie ricchezze materiali anche per recare del bene a chi è meno fortunato; belle le parole che gli rivolse suo padre quand'egli era poco più che un ragazzo:

«Vedi Corrado, vivere i privilegi della nostra condizione non vuol dire limitarsi a godere dei soli agi. Noi siamo chiamati a diventare un mezzo. Attraverso le nostre possibilità offriremo possibilità a chi non può averne. (...) «Non voglio comprarmi il consenso della gente, credo di aver fatto abbastanza nella mia vita per farmi odiare da chi vorrà odiarmi, e per farmi amare da chi vorrà amarmi. Cerco il consenso del tempo, un segno su questa terra che abbia il mio nome, il ricordo di me. Custodisci tutti i templi che ti lascio. Ti diranno che sono polvere ma tu non crederci. Sono l’involucro della nostra anima.»

Forse non si può definire una persona romantica in senso stretto ma di certo ha saputo, quand'era il momento, fare spazio alla tenerezza, ad esempio quando ha aperto gli occhi sulla delicata sensibilità che ha guidato la passione della moglie per le rose, metafora della vita umana:

"Avevi ragione tu. Non siamo altro che rose. Duriamo il tempo di un sorriso, di un ricordo da custodire, di una notte da ricordare. E quando ci voltiamo indietro di noi resta solo la scia debole di un profumo che è stato intenso."

Corrado è un bellissimo personaggio letterario; solido come una roccia, severo senza mai essere burbero o troppo duro, una presenza costante ed affidabile, capace di incoraggiare, confortare, ascoltare in silenzio, di spingere  i suoi interlocutori a riflettere, ed essi sanno di trovare in lui un punto di riferimento, che sia l'amico filosofo, la nipote "ribelle" o il custode del castello.

Questo breve romanzo storico si concentra su un uomo, appartenente ad un nobile casato, sul modo di rapportarsi con chi lo circonda, sui principi e valori che hanno guidato la sua esistenza; l'Autrice ci presenta un mondo e un modo di vivere dei tempi passati, ce ne descrive le processioni, le case, i pranzi, le chiacchiere, la bellezza austera di questo castello con il suo bellissimo roseto; la narrazione è percorsa da vibrazioni nostalgiche, decadenti, ma non c'è, a mio avviso, un senso di negatività né nulla di opprimente, quanto piuttosto un vago e diffuso senso di malinconica dolcezza che, lungi dall'essere tristi, danno intensità alla storia narrata.

Le sensazioni che ho ricevuto nell'ascoltare questo libro (la lettura che ne dà Anita Zagaria è piacevolissima, limpida e adeguata al contenuto e ai toni del romanzo) sono state positive: delicatezza e semplicità contraddistinguono lo stile della scrittrice, tanto nelle descrizioni del contesto e dell'ambiente, quanto nella caratterizzazione dei personaggi, e  non vi nascondo che le ultime pagine le ho trovate dolci e commoventi.
Consigliato, trovo sia un bel libro.


CITAZIONI

« [le rose ]sembrano eterne quando sono appena fiorite, come la giovinezza. Poi basta una notte, la distrazione di un attimo e la loro bellezza si piega alla vita, per poi morire dopo poche ore. Eppure hanno una solida base, crescono sulle spine, si difendono come possono. Ma per quanto? Per cosa ci affastelliamo l’animo e i pensieri se in fondo non siamo altro che rose, istanti bellissimi da ricordare come questo profumo.»


"Non crogiolarti su ciò che non puoi avere. Godi di ciò che hai."


"La vendetta (...) non sana le ferite. Non c’è onore a vendicarsi. Ce ne sarebbe a perdonare...". 

«Solo chi sa perdersi trovare la strada giusta».

sabato 12 marzo 2022

** LIBRI GIALLI ** UNA NOVITA' E UN'ANTEPRIMA


Anche oggi ho un paio di libri da segnalarvi, lettori carissimi, e spero possano incuriosirvi, soprattutto se siete appassionati di gialli e storie misteriose; di uno di questi (il secondo) leggerete la recensione qui sul blog.


Delitto sull’Isola Bianca.
Le indagini del Foresto
di Chiara Forlani



NUA Edizioni
276 pp

I classificato per la miglior ambientazione al concorso Giallo Festival 2020

II classificato assoluto al premio De Filippis Gold Crime 202

Ottobre 1950. La storia è ambientata sull’Isola Bianca, luogo isolato situato in un’ansa del Po. 
Gli abitanti dell’isola vivono in un microcosmo secolare legato alla campagna e alle stagioni; conoscono solo la realtà della loro piccola comunità, che segue i ritmi e le cadenze dell’Ottocento. 
La loro quotidianità viene però scombussolata quando viene ritrovato il cadavere di Umberto Maris, detto ‘Il Sacocia’, un vecchio taccagno odiato da tutti. 
Il caso viene affidato al commissario Romolo Zeri, il quale, abituato ad occuparsi al massimo di furti di bestiame, non risulta la persona più adatta a investigare in un caso di omicidio. 
La caserma è un ricettacolo di reduci di guerra che hanno seri impedimenti; perciò, è necessario che i carabinieri trovino appoggio in una persona dotata di acume intellettuale e abilità d’indagine. 
Ed è proprio qui che entra in scena Attilio Malvezzi, amico d’infanzia di Zeri, il quale ha una spiccata capacità nel percepire le emozioni altrui. Di carattere chiuso e difficile, ha a lungo cercato sé stesso, dopo la guerra, vagando per il mondo; fatto che gli è valso il soprannome di ‘Foresto’. 

Le indagini non sono semplici: tutti, sull’isola, avevano un movente per assassinare il Sacocia. 
Ma a un certo punto inizieranno a venire a galla eventi disturbanti che riguardano il passato dell’assassino e risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. 

In un contesto oppresso dalla presenza della morte e di traumi irrisolti, c'è comunque posto per una storia d’amore che, per un attimo, fa tirare un sospiro di sollievo.


L'autrice.
Chiara Forlani, è nata e vive a Ferrara. Dopo un’infanzia passata a divorare libri, frequenta il liceo scientifico, ma rompe gli schemi laureandosi in storia dell’arte. La sua carriera ha visto alternarsi la passione per l’arte e la letteratura: dopo un biennio di lavoro presso i musei universitari bolognesi, apre un laboratorio di restauro di opere d’arte. Successivamente passa a insegnare lettere, attività che tuttora svolge presso la scuola ospedaliera, dove ogni giorno porta un sorriso ai giovani ammalati. Vive in campagna con il marito e due cagnolini salvati dal canile
.




Il secondo giallo ruota attorno ad un complicato caso di sparizione ed è in uscita giovedì 17 marzo.


La misteriosa scomparsa di Don Vito Trabìa
di Sebastiano Ambra


Ed. Newton Compton
Nuova Narrativa Newton
Pagine: 288
Prezzo: € 9,90
E-book: € 4,99
USCITA
17 MARZO 2022

L’operazione per catturare il pericoloso latitante Vito Trabìa finisce con un buco nell’acqua: i poliziotti, giunti sul posto in cui avrebbero dovuto sorprendere il boss, trovano solo un vecchio lattaio. 

Di don Vito nessuna traccia. 

A Palermo l’ispettrice Malena Di Giacomo, reduce dalla difficile rottura con la sua ragazza, riceve quella che a prima vista sembra la lettera di un mitomane, ma che si rivela in realtà un guanto di sfida: qualcuno ha rapito Vito Trabìa e ora intima a Lena di ritrovarlo, entro ventiquattro ore e senza l’aiuto dei colleghi, altrimenti il boss verrà ucciso. 

L’ispettrice non ha scelta, ma il compito è tutt’altro che semplice: per arrivare a capire dov’è don Vito, dovrà infatti risolvere la sequenza di indovinelli escogitata dal rapitore, enigmi che fondono arte e letteratura con la storia e le leggende del capoluogo siciliano. 

Aiutata dallo psicologo Leonardo Colli, Lena intraprenderà così una pericolosa caccia al tesoro, che la condurrà tra i vicoli e i monumenti di una Palermo misteriosa ed esoterica, per giungere a perdifiato all’epilogo di una storia nella quale niente è come sembra.


L'autore.
Sebastiano Ambra (1979) è nato a Catania e vive ad Acireale. Laureato in lettere, è giornalista e si occupa di comunicazione. Ha scritto per la carta stampata, il web e la TV. Ha pubblicato il romanzo L’enigma del secondo cerchio (2018), il saggio Tabaccai. Il fumo li uccide (2012) e Fango. Storie di gente che ha perso tutto (2010).


 

venerdì 11 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] I LEONI D'EUROPA di Tiziana Silvestrin


Tiziana Silvestrin conduce il lettore nella Mantova dei Gonzaga e nella affascinante e torbida Serenissima, e lo fa con una ammirevole capacità narrativa, in cui l'accuratezza storica si mescola a elementi di fantasia assolutamente ben inseriti nel contesto di riferimento; il tutto dà vita ad un giallo storico, avente una trama molto ben strutturata e avvincente, che immerge il lettore in un viaggio nel passato avventuroso e intrigante.


Il presente volume è il primo di una saga sui Gonzaga, cui seguono altri quattro libri:


  1. I LEONI D'EUROPA (2009)
  2. LE RIGHE NERE DELLA VENDETTA (2011)
  3. UN SICARIO ALLA CORTE DEI GONZAGA (2014)
  4. IL SIGILLO DI ENRICO IV (2017)
  5. LA PROFEZIA DEI GONZAGA (2018)

I LEONI D'EUROPA
di Tiziana Silvestrin


Ed. Scrittura&Scritture
404 pp
14.50 euro
2009
In una sera di luglio del 1582 due uomini entrano furtivamente nella basilica di Santa Barbara con uno scopo ben preciso: trafugare qualcosa di importante; ma le cose non vanno come devono andare e i due, per sfuggire alle guardie, scappano per le vie della città di Mantova senza portare con loro ciò che stavano cercando.

A fuggire sono lo scozzese James Crichton e il suo amico Thomas, che, nella concitazione della fuga, sfortunatamente si imbattono nel principe Vincenzo Gonzaga e Ippolito Lanzoni. 
I quattro giovanotti si ritrovano a duellare con spade e pugnali, fino a che... ci scappa il morto.
Più precisamente, due.
Crichton, per difendere Thomas, attacca alle spalle il Lanzoni, un omone amico nientemeno che del principe Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova, Guglielmo.

Sconvolto dalla morte del proprio amico,Vincenzo ferisce, a sua volta, lo stesso Crichton, il quale riesce comunque a scappare, trovando rifugio nella spezieria di Hyppolito Geniforti.
Nonostante le sollecite cure di quest'ultimo, James muore.

Quando il giorno dopo si viene a sapere del duello notturno, il consigliere ducale Zibramonti affida le indagini al capitano di giustizia Biagio dell’Orso, il quale da subito intuisce che troppe cose non tornano, già ad una prima analisi dei fatti.
A cominciare, infatti, dall'entità della ferita inferta allo scozzese: il principe, pur addolorato per essere diventato un assassino e tormentato dai sensi di colpa, è sicuro di aver ferito lievemente Crichton e di non aver neppure danneggiato parti vitali del suo corpo.
Come può essere morto a seguito della ferita di Vincenzo?

Biagio deve far luce su questa morte poco chiara e trovare le prove che scagionino il giovane Gonzaga dall’accusa di omicidio, anche perché inevitabilmente il drammatico accaduto potrebbe creare non poche complicazioni a livello di rapporti diplomatici.

Chi era davvero James Crichton - conosciuto come Giacomo Critonio - e perché era venuto a Mantova?

Per fare ordine nelle tante domande e supposizioni, Biagio si reca a Venezia, in quanto è lì che lo scozzese viveva ultimamente.
Si mette, quindi, sulle tracce del misterioso passato del giovane e scopre che egli era in contatto con il Consiglio dei Dieci* della Serenissima; ad aiutarlo nelle ricerche c'è l'inquisitore Zaccaria Vendramin, che lo affiancherà passo passo senza però essergli davvero utile, anzi..., in diversi momenti Biagio avrà l'impressione che l'uomo non voglia realmente aiutarlo a raccogliere informazioni su Crichton, ma che prema piuttosto affinché egli se ne torni a Mantova.

Il capitano di giustizia è un tipo intelligente, determinato, testardo che, se si prefigge un obiettivo, fa di tutto per raggiungerlo.
Non ha alcuna intenzione di tornarsene nella sua città a mani vuote e a bocca asciutta, e anche quando comincia a ricevere biglietti anonimi che lo minacciano di non essere al sicuro nella bella Venezia, Biagio non demorde, anche se comunque prosegue le proprie ricerche con cautela e saggezza, facendo attenzione a dettagli apparentemente trascurabili.

Ad esempio, nota che c'è sempre il nome di un losco e misterioso personaggio che compare spesso nelle sue indagini: un certo Samier, che all'occorrenza si camuffa, e fisicamente e con altri nomi inventati.

Biagio comprende di essere entrato nelle maglie di un complotto dalla portata internazionale e in una ragnatela di dinamiche e relazioni politiche tra personaggi più o meno importanti e pericolosi, ma tutti comunque invischiati in torbide vicende.

A Venezia, però, Biagio ha modo di fare anche incontri piacevoli; soggiorna, infatti, presso una locanda, di proprietà di una donna bella e gentile, di nome Rosa.
Rosa è una giovane vedova (suo marito è deceduto qualche anno prima durante la diffusa epidemia di peste), sola, lavoratrice, una persona perbene che vede in Biagio un uomo tanto affascinante quanto garbato e sincero.
Tra i due scatta l'attrazione, che va oltre l'aspetto fisico; purtroppo, però, il capitano di giustizia è di passaggio a Venezia e non sa se e quando potrà ritornare dalla "sua" Rosa.

Ed infatti, dopo un po' egli torna a Mantova per fare rapporto a Zibramonti sul poco che ha scoperto su James: anzitutto, s'era messo nei guai a motivo di una fanciulla (venduta dal patrigno per fare la cortigiana) ed era stato costretto a scappare da Venezia; a Mantova era giunto per portare a termine una missione importantissima: ma che tipo d missione? E chi lo aveva assoldato?

Ma la domanda che più fa lambiccare il cervello a Biagio è: cosa è accaduto in quella notte di luglio, dopo il duello? Lo speziale Geniforti ha pagato addirittura la sepoltura dello scozzese: come mai? Che interesse poteva avere nella morte del giovane?
E poi, a dirla tutta, Dell'Orso non è neppure convinto che l'ammirabile Critonio c'abbia davvero lasciato la pelle, quella sera, e che quindi il povero Vincenzo non sia un assassino.
Riuscirà Biagio a far luce su questi dubbi e a sciogliere i tanti nodi che emergono man mano che va avanti con le proprie indagini?

Una cosa è certa: gli interessi in gioco non sono individuali, ma di ben altro e largo respiro, e arrivano sino in Inghilterra, dove è in corso una congiura segreta da parte dei cattolici (gesuiti in prima linea) per rovesciare l'attuale regina inglese (Elisabetta I).

Questo bellissimo giallo storico mi ha affascinata a ogni capitolo: è scritto benissimo, ha un ritmo avventuroso, dinamico, vivace, grazie alla presenza di dialoghi - che restituiscono tutta l'immediatezza della storia e delle sue continue evoluzioni -, ai personaggi (che conosciamo attraverso le loro azioni e parole) e alle brevi ma efficaci e piacevoli descrizioni dei vari contesti e ambienti in cui si svolgono i fatti e che aiutano il lettore ad immaginare e ad "inquadrare" ogni avvenimento narrato.
Ad es., il mercato di Rialto (Venezia) è descritto in modo vivido, tanto che mi sembrava di essere lì, di vedere la vivacità dei colori dei tessuti pregiati, di sentire il forte odore delle spezie.

Personalmente sono sempre stata attratta dalle grandi famiglie italiane del Rinascimento, nelle cui corti abbondavano intrighi, tradimenti, spie, amanti, vendette, congiure di palazzo e, ahimè, anche processi sommari a poveri disgraziati che erano prima passati attraverso torture e poi bruciati vivi o impiccati.
Dei Gonzaga Biagio non amava il fatto che avessero preso parte alle condanne dei cosiddetti eretici, esecuzioni dietro cui si celava la deplorevole brama di accaparrarsi i loro beni.

Biagio è un protagonista che ha destato immediatamente le mie simpatie perchè è retto, onesto, ottimo ed attento osservatore, fa bene il proprio lavoro, va in cerca di indizi e informazioni interrogando chiunque pensi possa tornargli utile.

Sullo sfondo c'è lei, la Serenissima con la sua opulenza ma altresì con le sue contraddizioni, quel mix di luci ed ombre che, in fondo, tanto ci affascina: è una città tanto meravigliosa ed unica quanto pericolosa, florida di commerci (compreso quello del corpo delle donne - le cortigiane non mancano e verso di loro c'è molta tolleranza, visto che in qualche modo contribuiscono a "far girare l'economia" -) ma anche abbondante di poveri e straccioni, luminosa di bellezze artistiche  ma non priva di angoli bui e sordidi.
Incontriamo vari tipi di personaggi: belle locandiere dagli occhi gentili e malinconici e seducenti cortigiane; spie straniere e servizi segreti del Consiglio dei Dieci; c'è anche un famosissimo pittore con la sua vivacissima e talentuosa figlia; vicoli tenebrosi e maleodoranti e dimore  magnifiche; mendicanti e ricchi signori.

Concludo consigliandovi vivamente la lettura di questo romanzo, che vi rapirà con la sua scrittura immersiva e molto accurata, che sa calamitare l'attenzione del lettore di capitolo in capitolo, tenendola avvinta in modo costante, anche nei (piccoli) salti temporali, e sciogliendo sia gli interrogativi iniziali che quelli che sorgono in itinere.
Ho apprezzato tanto la presenza della ricca bibliografia finale.


Ringrazio la C.E. Scrittura&Scritture per avermi proposto la lettura del primo volume della saga di Tiziana Silvestrin.



Organo che esercitava un potere illimitato sulla vita pubblica e privata dei cittadini, nonché una stretta vigilanza sull’andamento della politica veneziana (https://dizionari.simone.it/).

giovedì 10 marzo 2022

[[ Novità in libreria ]] L'ORCO DI MUSSOLINI di Marco Di Tillo (Mursia Editore) |I DELITTI DI GENOVA di Massimo Ansaldo (Frilli Ed.)


Buongiorno, lettori!

Questa mattina vi presento un paio di recenti pubblicazioni; il primo libro è tratto da una storia vera: l’ultimo romanzo di Marco Di Tillo narra di una vicenda che ha sconvolto l’Italia negli anni '20 del secolo scorso; il secondo è un giallo ambientato a Genova.



L'ORCO DI MUSSOLINI
di Marco Di Tillo



Ugo Mursia Editore
€ 17,00 

Anni Venti, Italia. Nel giro di pochi anni il terrore invade la città di Roma: sette sparizioni, tutte bambine molto piccole e, tutte e sette, hanno subito violenza prima di essere uccise. 
La caccia al colpevole è lunga e faticosa, le ricerche sembrano non portare da nessuna parte. 
Ci rimette un poveraccio di nome Girolimoni che viene accusato del crimine, ma non è lui l’orco. 
Verso la metà degli anni Venti viene chiamato a investigare il commissario Giuseppe Dosi, un poliziotto alto e robusto che, a soli trentadue anni, vanta già una lunga storia di straordinari successi in Italia e all’estero tant’è che è stimato perfino dal Duce in persona. Inizialmente riluttante, poiché impegnato in un caso rilevante in Francia, si decide infine a far luce sulla questione, riuscendo a smontare man mano tutte le prove contro il malcapitato e a provare l’innocenza di Girolimoni, fino a catturare il vero colpevole. 

Ma non sempre le cose seguono il corso della giustizia. 
Sarà il Duce in persona, infatti, a cambiare le carte in tavola e a stravolgere un finale che acquisterà un sapore tutto nuovo, che sa di beffa. 
Una storia complessa che si intreccia con le vicende storiche, tra cui la sparizione di Matteotti.

L'autore.
Marco Di Tillo, laureato in Psicologia, è stato per anni autore di programmi radiofonici e televisivi Rai, regista e sceneggiatore cinematografico, autore di fumetti, di romanzi per ragazzi e di favole illustrate per bambini. Scrive gialli pubblicati da molte case editrici, anche negli Stati Uniti
.


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I DELITTI DI GENOVA.
Un’indagine del commissario Nicola Teiro
di Massimo Ansaldo


Fratelli Frilli Editori
14.90 euro
Il commissario di polizia Nicola Teiro abita sulle alture di Genova. Tra il poliziotto e il nibbio reale che ha posto nel cortile di casa il suo nido, nasce uno strano rapporto fatto di complicità e di mistero, che non tutti possono capire. 
Infatti, da quando Teiro ha ritrovato per terra ai piedi del noce, la carcassa dell’uovo che ospitava quel che rimaneva di un pulcino ancora in stato embrionale, il rapporto tra i due diventa sempre più inteso e pieno di mistero.
Nel frattempo, la città è sconvolta da una strage avvenuta in pieno centro in cui le vittime sembrano essere colpite da un malvivente solitario durante una rapina in una gioielleria finita male. 
Un fatto, per come avvenuto, anomalo e inspiegabile sia per la modalità sia perché, di fatto, il malvivente non ha portato via nessun prezioso dal negozio, mentre i morti rimasti a terra sono ben cinque.

L’arresto di un ex terrorista e la presenza di un supertestimone non convincono il Commissario Teiro e nemmeno l’ispettore Ester Miniati, una giovane e bella mora calabrese che lavora in coppia con Nicola e, come lui, dotata in una mente acuta e brillante e di poche parole, al limite dello scontroso. 
Forse per questo che i due si capiscono al volo e con un solo sguardo.

Intanto Ramini, un dirigente del Ministero degli Interni giunto apposta da Roma, spinge per una rapida conclusione delle indagini, causa anche le imminenti elezioni politiche nazionali.

Teiro e la Miniati condurranno così un indagine parallela cercando di scoprire i segreti che le stesse vittime hanno portato con sé con la loro morte. 
I due poliziotti saranno aiutati da Vaclav, un clochard conosciuto da poco, ma anche dai misteriosi messaggi che il nibbio continua a trasmettere.

La verità non sarà solo scoperta, ma diventerà quasi una necessità per lo stesso assassino. La quiete dopo la tempesta. Una rivelazione, una vittoria ma anche una sconfitta, una resa dei conti.
Un finale che va oltre la sorpresa e l’inaspettato.


L'autore.
Massimo Ansaldo, nato a Varazze (Sv) nel 1959, vive nella città di La Spezia. Esercita la professione di avvocato con studi a Genova e La Spezia. Presidente del Centro Culturale Don Alberto Zanini della Spezia è cofondatore dell’Associazione culturale Chesterton’s cigars and spirits club della Spezia. Membro del Comitato Regionale delle Comunicazioni (Corecom) della Regione Liguria. Ha pubblicato con Leucotea i romanzi “Macerie” e “Il segno del sale”. Per Fratelli Frilli Editori ha contribuito alle antologie “Tutti i sapori del noir”, “Tutti i luoghi del noir” e “Odio e amore in noir” con i racconti “Il Coltello del cuoco”, “I cattivi sono buoni” e “Compito in classe”. Sempre con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato “Qualcosa da tacere”.

martedì 8 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] LA FELICITÀ DEGLI ALTRI di Carmen Pellegrino


Cloe è una donna abituata a parlare con le ombre, con i morti; un'anima in pena, con lo sguardo rivolto costantemente al passato, a un evento in particolare, fonte della sua tristezza, della sua incapacità di stare al mondo. Desiderosa fin da bambina di essere amata, accettata, accolta, compresa, ascoltata, da adulta vive come se di tutto questo non avesse bisogno, anzi rifugge ogni legame duraturo, sentendosi incapace di dar vita a qualcosa di stabile, di vero, di concreto.
Del resto, lei vive di parole scambiate con chi non c'è più o, al massimo, con chi è invisibile quanto lei.
Ma anche una persona complicata come Cloe conserva dentro di sé il desiderio, il sogno, la necessità urgente di avere un posto in cui sentirsi a casa e di coltivare la speranza anche quando dentro e fuori  non c’è che rovina.



LA FELICITÀ DEGLI ALTRI 
di Carmen Pellegrino




Ed. La Nave di Teseo
160 pp
"O forse la felicità
è solo degli altri, d’un altro tempo,
d’un’altra vita e a noi non è possibile
che recitarla come viene viene..."


Cloe vive un'esistenza che, raccontata, sembra frammentata, confusa, come quei sogni che ti accompagnano al risveglio, al mattino, e che tu sai di aver fatto ma, chissà come mai, non riesci a descrivere e raccontare con parole chiare.

È una di quelle persone cui non basta questa dimensione terrena per esistere e la realtà del presente è molto vicina e comunica con la realtà immaginata.

Cloe è viva ma al contempo non vive; non sa farlo perché qualcosa s'è inceppato nel suo cammino, rendendola un'ombra di sé stessa, un'anima continuamente in ascolto delle voci di chi non c'è più e si ostina a non volerla lasciare, primo su tutti il fratello Emanuel, la cui voce amata si perde nei ricordi di un'infanzia fatta di urla, litigi, minacce, abbandoni da parte di due genitori pieni di fragilità, inadeguatezze, errori.

Cloe non sa sostare a lungo nei propri panni e questo le impedisce di fermarsi definitivamente in una città, di stabilirsi in una casa oltre un certo tempo.

"Per lo più sono andata avanti così, senza destino, come veniva. In un continuo saliscendi di stati emotivi, non ho fatto che cercare qualcuno che curasse la mia ferita".

Cloe non sa stare al mondo perché nella sua giovane esistenza ha perduto affetti, case, ha cambiato città, nome... così tante volte che raccapezzarvisi e trovare tutti i frammenti di sé e metterli insieme è diventato difficile. Vive come chiusa in una gabbia di cui però non ha le chiavi per aprirla e liberarsi.

Eppure cosa chiedeva per sé e per suo fratello, se non che fossero amati da chi li aveva messi al mondo?

“I miei sogni sono una persecuzione, ogni notte è lo stesso. Anime tormentate che mi vorticano intorno, mio fratello soprattutto. Ma io non ho potuto fare nulla. Cosa potevo fare?”

Cloe è come un uccellino dall'ala ferita, che vorrebbe ma proprio non riesce ad alzarsi in volo, non fino a quando quell'ala non sarà sistemata e il nodo che le grava sul cuore - sulla responsabilità (la colpa?) di ciò che è accaduto ad Emanuel - non verrà sciolto.

Quante e quali sono le sue colpe?
E quelle di mamma Beatrice, una donna mezza matta che li amava, probabilmente, ma era troppo strana e inaffidabile per aver cura dei figli come una madre dovrebbe fare?
E che dire del padre, Manfredi? Uno psicologo che a un certo punto ha tradito la moglie e s'è rifatto un'altra vita, un'altra famiglia, e tanti saluti a moglie e figli.

Nel suo cammino costellato di fragorosi insuccessi e improvvisi passi avanti, Cloe è sempre accompagnata da voci, ricordi, personaggi sfuggenti ed evanescenti come lei; come il professor T., docente di Estetica dell’ombra, un uomo placido e colto, che saprà essere per la donna un prezioso aiuto per guardarsi dentro, per individuare quel buco nero che è dentro di lei, che la spaventa ma che non può essere negato come se non esistesse. Non dovremmo aver paura delle ombre né dell'oscurità; sono essenziali, tanto quanto i corpi, le presenze, la luce.

“L’oscurità (...) è ciò da cui la luce prende origine. Nessun giorno spunterebbe mai, se la notte non preparasse la via.”

Tutti abbiamo un lato oscuro: quello degli altri ci spaventa, come se potesse inghiottirci in quel buio e privarci della nostra luce.
Il caro professor T...: l'unico che ha visto le sue tante ombre e né è scappato né ha cercato di dissolverle; ma le ha detto, tra le tante cose: "Torna alla Collina, dove sei stata felice."
Felice. Ma cos'è la felicità?

"...di quale felicità parliamo? Quella di là da venire, la felicità degli altri, dato che, a ben guardare, la nostra vita è percorsa da un profondo sentimento di tristezza."

Nella vita di Cloe ci sono Madame e il Generale, i buoni e cari guardiani della Casa dei timidi, una sorta di rifugio per bambini scacciati, abbandonati, indifesi; là Cloe è stata accolta a dieci anni.
In questo posto quasi magico, lontano dal caos e dalla violenza del mondo, vivevano i bambini che nessuno voleva, se non questa coppia strana ma amorevole, che ha fatto sua la missione di accogliere questi "figli dell’aria, i figli di nessuno". Figli di Dio, di quel Dio che ha lasciato venire Suo Figlio sulla terra, in mezzo agli uomini, per salvarli, e che da essi invece è stato scacciato.
Purtroppo, anche la Casa dei Timidi sulla Collina è stato solo uno dei tanti luoghi attraversati, e quando un evento drammatico ne ha decretato la chiusura, la diciottenne Cloe si è ritrovata nuovamente sola, sradicata, smarrita.

C'è stato un uomo, un compagno: avrà saputo darle amore, conferme, una presenza tanto forte da scacciare i fantasmi?

C'è stata anche una vita, anzi no..., un inizio di vita, interrotta prima che invadesse un campo non suo, uno spazio già pieno di ombre, di fantasmi che facevano sentire con insistenza le proprie voci; non c'era posto per un'altra presenza ingombrante. E poi proprio lei, affetta irrimediabilmente da una sorta di "disappartenenza" continua, fissa, che è sempre stata brava a praticare..., poteva mai appartenere a qualcuno o avere qualcuno che le appartenesse per sempre?

C'è stato Jerus (può esserci ancora, nel presente?), anch'egli ospite della Casa sulla Collina, con cui ha condiviso abbracci, silenzi, l'esperienza di due corpi che per un po' si sono avvicinati tanto da fondersi. Quasi.
Jerus, che da bambino era ribelle, oscuro, litigioso, che bramava di starsene separato da tutti, indisturbato. 
Ma anche con lui, Cloe non riesce a dar vita a un legame.
Proprio lei, che ha una fame d'affetto tale da esser pronta a mendicarlo, pur di riceverne almeno un po' in cambio.

"Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata. Talmente impaziente, questo desiderio, da ritenerlo a un certo punto un’aberrazione affettiva."

L'esistenza di Cloe ha un che di paradossale: pur essendo piena di fantasmi, la cui presenza infesta e tormenta le sue notti, è solitaria. Cloe è sostanzialmente sola e fa di tutto per restarci, nonostante ne soffra, nonostante sia a disagio con se stessa. Le persone che l'avvicinano e che vorrebbero abbattere la sua tristezza, la sua solitudine, vengono allontanate.

Si sente triste e vive questa tristezza come un modo di essere che le appartiene e che non può mutare, su cui non c'è proprio niente da fare.

"...io ero una comparsa senza corpo nella mia stessa vita, separata, distaccata da quello che mi accadeva. Sembro venuta da una favola triste, ma porto in dote il taglio che un’accetta possente ha lasciato dentro di me."

Docile e ruvida, diffidente e sensibile, con un lato oscuro che attende di essere inondato di luce, liberando lo spazio dentro sé di infauste, angoscianti ed evanescenti ombre, per colmare i vuoti di corpi veri, da toccare, sentire, accarezzare.

Cloe vorrebbe smettere di sentirsi fuori posto ovunque, di cercare qualcuno che curi le sue ferite, di sopportare le assenze, di essere costretta a nascondersi.
Solo tornando là dove tutto è iniziato, nella casa infestata da fantasmi in cui è cresciuta, potrà guardare in faccia le proprie paure, le proprie fragilità ed insicurezze, far pace col passato e pensare ai morti senza più sentire il peso e il dolore di ciò che non può essere più cambiato.

"La felicità degli altri" è un libro particolare, per certi versi complesso e difficile da chiudere in etichette che ne facilitino la spiegazione, la collocazione; posso dire che leggerlo è stato come intraprendere un viaggio non semplice né lineare nelle latebre più oscure dell'animo della protagonista, guardando nei suoi vuoti, nelle sue ombre e nelle sue paure, su cui ha costruito una corazza, dietro la quale si cela una donna che grida il suo bisogno di ricevere amore, sin da quando era bambina. Una donna che chiede di essere liberata da ricordi insopportabili.
È un romanzo dai toni molto intimistici, un percorso introspettivo fatto di saliscendi emotivi, in cui il passato (con le sue esperienze dolorose, i suoi traumi, le perdite, le tante persone incrociate nel proprio spostarsi da un luogo all'altro) fa le sue incursioni nel presente e lo condiziona, gli dà forma.
A me è piaciuto e lo consiglio, ma aggiungo che, a mio avviso, non è un libro da leggere di fretta (e forse bisogna essere nel "momento giusto" per apprezzarlo), anzi, va "assaporato" con calma; il linguaggio è molto evocativo, magnetico, carico di suggestioni, e durante la lettura mi sono ritrovata spessissimo a evidenziare e riscrivere tanti passaggi significativi e profondi; come un'archeologa, l'Autrice scava con le parole e porta alla luce pensieri ed emozioni sepolti nei recessi della mente dell'evanescente protagonista.


"Ma se riuscissimo a risollevare quel telo di compassione entro cui tutti potremmo trovare asilo all’occorrenza. Potessimo riavere quello sguardo capace di cogliere, sapessimo riaffidarci l’uno all’altro: in fondo lo sappiamo che tutti perdiamo, tutti falliamo."



Di Carmen Pellegrino ho letto anche CADE LA TERRA >> RECENSIONE <<

lunedì 7 marzo 2022

Consultiamo il vocabolario ^_^

 

Leggendo leggendo, mi capita di incepparmi... ops!, scusate, di incappare in vocaboli che, onestamente, non fanno parte del mio vocabolario d'uso quotidiano e di cui non conosco (o forse non ricordo, proprio perché non me ne servo) il significato.

Ergo, questo post ha il nobile fine di colmare qualche lacuna ^_-


LATEBRAlatèbra (o làtebra) s. f. [dal lat. latĕbra, der. di latere «star nascosto»]. 

1. letter. Nascondiglio, luogo oscuro e nascosto; per lo più usato al plur.: Ne le l. poi del Nilo accolto, Attender par in grembo a lei la morte (T. Tasso); Ansanti li vede ... Le note l. del covo cercar (Manzoni); le vostre Paurose latebre Eco solinga ... abitò (Leopardi).
Fig., recesso, profondità segreta: le l. del cuore umano; nelle l. del pensiero, della mente; o in genere ciò che nasconde qualche cosa: Assai t’è mo aperta la latebra Che t’ascondeva la giustizia viva (Dante). 

2. In embriologia, nell’uovo degli uccelli, massa di tuorlo bianco, finemente granulare, a forma di fiasco, che si estende dal centro dell’uovo alla superficie, al di sotto del disco germinativo.


MATRACCIO: [dal fr. matras, che è forse dall’arabo maṭara «otre, vaso»]. 

Recipiente di vetro, sferico oppure conico (in quest’ultimo caso è detto anche beuta), a fondo piano e collo lungo, di capacità varia, talvolta tarato, usato per esperimenti chimici, in prove di laboratorio, ecc.


BIACCA: [dal longob. *blaih «sbiadito», cfr. ted. bleich «pallido»]. 

Sostanza colorante bianca (carbonato basico di piombo), molto usata in passato come pigmento-base per vernici a olio; velenosa e soggetta all’annerimento per azione dell’idrogeno solforato dell’aria, è stata sostituita dalla biacca di zinco (ossido di zinco) e dal bianco di titanio (ossido di titanio). 
Fu a lungo usata anche per fabbricazione di polveri e creme cosmetiche. B. bruciata o usta, antica denominazione del prodotto di calcinazione della biacca; è una polvere giallo-rossastra usata in pittura.


GHIERA: [lat. tardo vĭria, di solito al pl. viriae «braccialetto»; v. vera]. 

1. Puntale di ottone o di ferro nel quale si fa entrare, per rinforzo, l’estremità inferiore di un bastone, di un ombrello, di un utensile; nel fucile, cerchietto che tiene stretta alla cassa la canna. 

2. a. Cerchietto di metallo che fascia una superficie cilindrica (per es., nell’attrezzatura navale, un albero o un’asta) per rinforzo o per impedire che si fenda. b. Anello metallico provvisto internamente di filettatura ed esternamente di intagli che permettono il serraggio mediante chiavi a dente; si usa per fissare mozzi su alberi, mandrini di macchine utensili, ecc. 

3. In architettura, arco estradossato di spessore uniforme. 

4. Termine talora usato, come italianizzazione del venez. vera (v. la voce, nel sign. 2), per indicare la vera del pozzo, che con espressione tecnica è detta puteale.
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