martedì 26 aprile 2022

// RECENSIONE \\ MORDI E FUGGI di Alessandro Bertante



Quando pensiamo agli "anni di piombo" è inevitabile che ci passino davanti agli occhi immagini di attentati terroristici, bombe, sequestri..., che hanno contraddistinto gli anni Settanta, quando gruppi eversivi di destra e sinistra hanno messo in atto attentati, stragi e uccisioni per attaccare lo Stato e le sue istituzioni.
Un periodo in cui molti ragazzi hanno scelto di partecipare alla lotta armata d'ispirazione comunista, infatuati dalla convinzione di produrre un cambiamento e di sollevare le masse oppresse dal capitalismo.


MORDI E FUGGI 
di Alessandro Bertante


Ed. Baldini+Castoldi
208 pp
Alberto Boscolo è un giovanotto di vent'anni che studia all'università (alla Statale, Milano); la sua è una famiglia come tante, né troppo ricca né troppo povera.
Ma la carriera universitaria non è il suo destino, perché il suo sogno è di tipo politico e sociale, e il periodo in cui sta crescendo è quello "ideale" per far maturare certi ideali politici.
La "bufera del Sessantotto" aveva reso gli studenti finalmente pronti ad appoggiare le lotte operaie: se gli operai volevano più potere e contare politicamente nelle scelte dello Stato, allora bisognava organizzarsi per marciare con loro, uniti nella stessa battaglia.

È il 1969. Le università vengono occupate da gruppi studenteschi, le strade da cortei e nelle fabbriche scoppiano tensioni. 

"Gli anni Sessanta ci avevano raccontato che potevamo avere tutto, che il mondo stava cambiando e che saremmo stati proprio noi la generazione motore del cambiamento. A quella promessa ci credevamo, eravamo certi che stesse accadendo qualcosa, era nell’aria ed era ovunque ti girassi, potevi sentirla sulla pelle. Dovevamo essere pronti a coglierla, dovevamo stare in strada, la strada sporca e puzzolente, la strada assassina. Cercavamo l’ideale ma cercavamo anche l’avventura e la strada era l’unico luogo dove potessimo trovarla."

Il 12 dicembre accade qualcosa che gli italiani non dimenticheranno più: la strage di piazza Fontana; quelle bombe erano un atto di guerra e non c'è guerra che non preveda l'uso delle armi.

Intanto, deluso dall'inconcludenza del Movimento Studentesco al quale si era unito, l'irrequieto Alberto si avvicina a un altro gruppo che, poco tempo dopo, prenderà contorni sempre più definiti, divenendo a poco a poco il nucleo delle Brigate Rosse. 

Allontanandosi dalla famiglia, dai vecchi compagni e da Anita, la ragazza con cui ha una non meglio definita relazione (di sesso, mista a sentimenti non dichiarati), Alberto partecipa sempre più spesso alle azioni dimostrative, alle rapine a banche e portavalori (a scopo di autofinanziare la propria "rivoluzione") e anche al primo attentato incendiario.

Eppure, l'irrequietezza e l'insoddisfazione non lo mollano: manca qualcosa alla loro lotta. 

La rivoluzione sociale alla quale vuol partecipare in prima linea non deve ridursi a qualcosa di astratto, di idealizzato, ma deve farsi sentire e forte, provocare cambiamenti, e questi non arrivano attraverso manifestazioni e lotte pacifiche, e soprattutto non senza affrontare le resistenze da parte del "nemico".

In particolare, dopo l’assassinio di Pino Pinelli, emerge con più chiarezza come ogni azione rivoluzionaria avrebbe dovuto vedersela con questo nemico, vale a dire con servitori dello Stato implacabili, in grado di condizionare ogni decisione - politica, giudiziaria - anche attraverso mezzi poco trasparenti. Anche lo Stato borghese sa ammazzare, se non con le bombe, dentro gli uffici della questura. E la morte di Pinelli era una dimostrazione di come lo Stato potesse commettere delitti e restare impunito. 
Non ci si può far uccidere senza combattere.

"Io per primo non sarei rimasto a guardare. Se ti ammazzano in questo modo salta ogni codice di comportamento, ogni legge non scritta che regola i rapporti fra gli uomini. Se ti ammazzano in questo modo l’unica risposta è l’odio. Ma l’odio da solo non serve a cambiare le cose, bisogna anche saperlo incanalare nella giusta direzione. "

Alberto sta cambiando dentro, giorno dopo giorno; si rende conto di essersi "incattivito" e che gli eventuali dubbi ed incertezze, che fino a quel momento lo avevano frenato, stavano sparendo.

Se lo Stato è violento, allora lui e i compagni avrebbero risposto nella medesima maniera, con violenza:

"colpire i padroni, i suoi servi fascisti, la borghesia e i suoi aguzzini in uniforme. Io, uno studentame qualsiasi, un aspirante intellettuale piccolo borghese, grazie all’enormità della loro violenza ero diventato un combattente pronto alla lotta. Il campo di battaglia sarebbe stata la metropoli."

Così il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. 
Si firmano con il loro simbolo (stella a cinque punta inserita in un cerchio) e il nome "Brigate Rosse" comincia a comparire sulle testate giornalistiche e in bocca alla gente, agli operai.

Ecco, gli operai, i lavoratori: era importante che essi sentissero le BR come loro alleate; era fondamentale che ciò che esse teorizzavano nei comunicati poi fosse applicabile nella pratica e che ogni promessa venisse mantenuta. E questo dovevano capirlo anche i padroni, i dirigenti, i capitalisti.

Le Brigate Rosse erano l’avanguardia della rivoluzione in Italia; il loro motto era una celebre massima attribuita a Mao Zedong: 

"Mordi e fuggi.
Niente resterà impunito.
Colpirne uno per educarne cento.
Tutto il potere al popolo."



Volevano aggredire il presente, proporsi come alternativa concreta e reale alla politica rinunciataria dei sindacati.
E per farlo l'unica via era la scelta armata.

Il lettore segue Alberto nella sua vita movimentata, che lo fa crescere in fretta e che lo rende arrabbiato, pieno di rancore, con una tensione emotiva che va crescendo e che lo rende quasi estraneo agli occhi di chi l'ha conosciuto quando era uno studente.

Alberto ha un fuoco dentro, un'urgenza - di essere qualcuno e di agire spinto da ideali - che lo spinge a far qualcosa di forte pur di lasciare un segno per quelli che verranno dopo.

Non si rende conto - o forse non vuole, perché una volta imboccate certe strade, tornare indietro è molto difficile - che il rischio è, come gli dice un amico (che evidentemente ha un pensiero diverso dal suo) che il passo per diventare "peggio dei fascisti" è breve.
Ma Alberto è accecato ed è irriconoscibile.

Far parte delle BR lo cambia: non c'è più posto per lo studente stralunato e gentile che i suoi amici di un tempo avevano accolto a braccia aperte: ora è un'altra persona, come se una forza tanto misteriosa quanto pericolosa si fosse impossessata di lui.

Aveva imboccato la strada della violenza, della rivoluzione armata e, una volta dentro quel percorso, Alberto scopre di non avere nessuno scrupolo morale, nessun "retropensiero borghese"  che potesse frenarlo e indurlo a non commettere un'azione criminale.
Del resto, "quando punti una pistola, sai che prima o poi dovrai sparare."

Cosa riserverà il futuro al giovane Alberto, che a ventidue anni sembra avere sulle spalle molti più anni?
A un certo punto sarà costretto a nascondersi e a interrogarsi sulle proprie scelte.

"Mi chiedevo se potesse esistere una vita senza sogno e senza avventura. Senza un pensiero dominante che costringesse le persone almeno per una volta a fare delle scelte inopportune, a imboccare una strada diversa."

Tra queste pagine Alessandro Bertante ci racconta una vicenda umana che è sì individuale (attraverso il punto di vista del protagonista) ma anche sociale, propria di un periodo storico ben preciso, quella stagione drammatica tristemente nota come "anni di piombo".

La storia narrata è un mix di finzione narrativa e cronaca; personalmente il contesto di riferimento lo trovo interessante e senza dubbio gli eventi in cui il protagonista, Alberto, si ritrova coinvolto in prima linea sono movimentati, avvincenti, avventurosi e in lui c'è una sincera passione politica, una convinta adesione a un'ideologia per lui giusta, grazie alla quale egli vuol lasciare un'impronta nella società.
Seguiamo, quindi, la sua evoluzione, il suo cambiamento, questo passare dall'essere un ragazzo di buona famiglia ad un membro delle BR, pronto a lanciarsi in atti terroristici.
Rimpianti? Pentimenti? Tornerà indietro deluso o impaurito dall'idea di essere individuato e incriminato?

Ho ascoltato la narrazione con sufficiente attenzione, grazie a uno stile di scrittura asciutto, lineare, diretto; forse ciò che mi è mancato è stato il giusto grado di coinvolgimento - a livello empatico - con il giovane protagonista, del quale però emerge tutta l'inquietudine, la fame di cambiare il mondo, di far sì che la classe proletaria di quegli anni si rendesse conto della necessità di insorgere contro i capitalisti e lo Stato - che non va incontro alle esigenze delle gente comune -, e queste sue convinzioni hanno un che di genuino (nonostante tutto la discutibilità delle sue scelte e azionied incosciente insieme.
Alberto sembra davvero convinto di ciò che fa e delle idee in cui crede, ma è pur sempre un ragazzo, e da giovani è facile buttarsi anima e corpo in un progetto rivoluzionario che sarà pure entusiasmante, ma che è altresì molto complesso, pieno di contraddizioni e di certo più grande di quanto lui sia effettivamente in grado di gestire.

Questo romanzo sulle Brigate Rosse non si pone l'obiettivo di dare risposte o giudizi morali ma è comunque in grado di stimolare riflessioni e domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.

Non posso dire che mi abbia travolta (per la ragione suddetta), ma lo consiglio a chi cerca storie inserite in periodi/contesti reali e che narrano fatti di cronaca.

lunedì 25 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] I CURATORI DI SUNBLACK di Nicolò Manuel Bellenzier



In un mondo devastato da una misteriosa e mortale malattia, la Chiesa e la setta dei Curatori sono impegnati, su fronti opposti e ciascuno con i propri metodi e servitori, a salvare l'umanità da questo terribile morbo. Mentre gli infetti aumentano, il giovane protagonista dovrà sfidare molti pericoli e individuare la causa che ha dato origine a tutto per poter fermare il male che avanza.


I CURATORI DI SUNBLACK 
di Nicolò Manuel Bellenzier

goWare Ed.
494 pp
Quando scende la notte a Sunblack, la Città Oscura, non è saggio uscire di casa e avventurarsi per le buie e malsane strade del villaggio.
Il giovane Roj, che vive con sua madre, lo sa bene: è di notte che i malati vengono fuori, in cerca di corpi da azzannare, e finora né il controllo della Chiesa né le azioni dei Curatori son riusciti a debellare il morbo, né a fermarne la diffusione tra gli esseri umani.

L'umanità - o meglio, ciò che di essa resta - sembra abbandonata a sé stessa e il giovane Roj, schivo e solitario, non può più starsene con le mani in mano, barricato in casa con la dolce madre Sophie.
Ha deciso di raggiungere la Magione in cui vive la setta dei Curatori,
adoratori del dio sanguinario Nurasha, e di entrarvi per farne parte. 

Da subito, la sua decisione incontra i primi ostacoli, ma riesce ad arrivare a destinazione e a farsi accettare dal Gran Maestro dei Curatori, non prima di essersi sottoposto a dei terrificanti riti per essere ammesso nella setta.

"...il mondo lo schifava, la vita era un inferno. A volte gli capitava di immaginare come sarebbe cambiato il mondo se fosse riuscito a incastrare la Chiesa nei suoi stessi inganni e a smascherare il vero volto dei Curatori. Da secoli esistevano due poli di potere e la popolazione aveva in un certo senso accettato quella situazione e si era adeguata. Come sarebbero state amministrate le varie isole? Chi avrebbe respinto la minaccia dei malati? Era possibile trovare una vera cura o ogni essere vivente aveva un  destino di morte segnato? E Roj soprattutto si domandava quale fosse il suo posto in quel mondo. 
Non aveva più una famiglia, né una casa, che sperava di trovare nella Magione, si sentiva un viandante su una terra che si affacciava sulla morte."

Alla Magione inizia per lui una nuova esistenza, all'insegna di combattimenti notturni al seguito dei suoi diretti superiori, tra cui spicca la bella e coraggiosa Lucy, che ha il compito di addestrare e controllare i nuovi adepti affinché diventino dei veri Curatori.
Sin dal primo momento, l'adepto Roj stringe amicizia con Christopher e Annabeth; fra i tre ragazzi si instaura un'amicizia, salda e sincera, anche se i due ragazzi sono entrambi attratti dalla compagna, che è tanto bella quanto diretta, impavida e sicura di sé.

Roj e suoi amici ben presto vengono introdotti nella difficile situazione che rende invivibile la vita al villaggio: i malati sono in aumento e sono sempre più aggressivi e pericolosi. Vanno fermati e Sunblack va liberata e dal morbo e da chi ne è infetto, il quale purtroppo va ucciso, visto che da quel male atroce non c'è guarigione.

Roj è un giovane riflessivo, che cerca di capire tutto ciò che accade attorno a sé e di arrivare al cuore degli eventi e delle persone con cui si trova ad interagire; non si limita a chinare il capo, ad ubbidire e a sguainare spade o pugnali: vuol capire chi e perché ha ideato questo morbo e fatto sì che si creasse questa infausta condizione.

E lui è intenzionato a scoprirlo. Certo, ora è nei Curatori ed è chiamato a rispettare il dio Nurasha e tutti i suoi superiori, cui deve obbedienza; ma dentro di sé Roj non si sente un Curatore, e anche se entrare nella oscura setta è stata una sua decisione, qualcosa gli dice che non è quello il suo destino.

Scoprire chi stia dietro gli infetti non è un'impresa facile: è colpa dei Curatori stessi? O della Chiesa?
Una cosa è sicura: dei sacerdoti non ha una buona concezione, in quanto sono maestri nel conservare segreti e nel tramare inganni, anche se poi non tutti sono mossi da fini malvagi e, anzi, Roj avrà modo di conoscere, in particolare, un sacerdote diverso dagli altri, che al momento opportuno gli sarà d'aiuto: Joannis, il sacerdote albino.

Intelligente e razionale, Roj capisce che è il sangue degli infetti ad essere stato contaminato; tutti coloro che si ammalano manifestano i medesimi sintomi: comportamenti aggressivi contraddistinti da un'anomala potenza fisica, cambiamento cromatico negli occhi e nel sangue, che diventa nero ed emana un fetore insopportabile. Col passare degli anni, questi esseri, sempre meno umani, diventano simili a belve feroci.

"Erano dei mostri, ma che differenza c'era tra lui e loro? Li aveva ammazzati come cani, senza mostrare pietà, senza risentimento. Un uomo normale sarebbe stato divorato in pochi secondi; lui no, il sangue infetto lo aveva reso più forte. Roj capì di essere diventato qualcosa di più, una terribile macchina assassina."


Una prova concreta di quanto sia potente quel sangue infetto, Roj e gli altri Curatori ce l'hanno sulla propria pelle, o meglio, nelle proprie vene: per far parte della setta, tutti loro hanno ingoiato quel disgustoso sangue malato, traendone insospettabilmente un vigore mai avuto prima!

Il giovane non si capacita di  come sia possibile questa contraddizione: pur essendo il sangue contaminato, se un Curatore lo beve e viene poi morso o graffiato da un malato, non subisce danni e non contrae l'infezione.
Ma allora che razza di morbo è? È davvero un dannato virus dai poteri oscuri e qualcuno - ma chi? - ha dato il via a questa maledetta epidemia, creata ed estesa intenzionalmente.
Perché? Con quale losco obiettivo?

Roj farà di tutto per rispondere a queste fondamentali domande, andando incontro ad avventure molto pericolose in cui si ritroverà spesso da solo, senza la presenza rassicurante degli amici Annabeth e Cristopher, e quella più riservata ma solida di Lucy, verso la quale il giovane prova dei sentimenti.

A dargli un grosso aiuto nella sua personale missione sarà il ritrovamento di un libro segreto: il diario di un sacerdote. A costo di soffrire atroci torture sul proprio corpo, Roj si addentrerà nei sotterranei di un posto lugubre e raccapricciante dove apprenderà l'identità di coloro che, attraverso rituali magici innominabili, hanno creato qualcosa in grado di modificare il corpo a livello genetico e trasformare un uomo in un animale.

Come se non bastasse la spiazzante scoperta della realtà che si cela dietro il morbo, Roj scopre che tra i Curatori non mancano i traditori.
Non sarà facile, in alcuni momenti si vedrà prossimo alla morte, nella più completa solitudine, ma neppure in quelle situazioni drammatiche ascolterà il consiglio disperato di Joannis:

"Scappa (...), non farti domande, non guardarti indietro. È più grande di te, non puoi sorreggere il peso del male".

La convinzione di voler dare il proprio contributo per salvare le persone del suo villaggio - e non solo - da quella peste malefica e dalla rabbia incontrollata degli infetti, è più forte di qualsiasi paura ed esitazione.


"I Curatori di Sunblack" è un fantasy dalle atmosfere oscure, tenebrose - la notte è il momento migliore per agire e per combattere -, in cui non mancano elementi macabri, spargimenti di sangue e dove il male trova il modo di manifestarsi attraverso le nefandezze di uomini il cui cuore è diventato un pozzo nero privo di sentimenti di pietà, giustizia, compassione.
Ma il protagonista è determinato a combattere per porre fine alla malattia che rende gli uomini delle belve aggressive e a svelare ogni segreto, ogni malvagio piano orchestrato di nascosto, coperto da anni di menzogne, tradimenti e finzioni. 
Grazie a questa missione, Roj avrà modo di crescere e scoprire i propri punti di forza, di testare il proprio coraggio e il sangue freddo; non solo, ma nonostante le lacrime e le perdite (umane, soprattutto) prenderà coscienza di cosa vuol essere e fare nella vita.

Se amate il genere fantasy/distopico, vi consiglio il romanzo di Bellenzier perché ha una storia accattivante, un linguaggio accurato, dialoghi interessanti, descrizioni efficaci di ambienti e situazioni, un buon ritmo narrativo e personaggi (primari e secondari) ben delineati sia nel fisico che caratterialmente. 

sabato 23 aprile 2022

[ 23 APRILE ] ❤ GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT ❤



Oggi è la GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT.

"Nata" nel 1996, ha lo scopo di promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la tutela del copyright.
In questa giornata, ogni anno, in tutto il mondo si svolgono iniziative per rimarcare l'importanza dei libri; la scelta della data - 23 aprile - è da attribuire al fatto che in questo giorno sono morti diversi autori di spicco, come William Shakespeare, Miguel de Cervantes e Inca Garcilaso de la Vega.
 
(link img)



Difendendo i libri e il diritto d'autore, l'UNESCO difende la creatività, la diversità e la parità di accesso alla conoscenza; il libro crea un ponte tra generazioni, tra il passato e il presente, permette la condivisione di idee e - aspetto importantissimo - è un potente strumento per combattere la povertà e costruire una pace duratura.

Sono tantissimi i Paesi che "festeggiano" questa data e ad essere coinvolte sono ogni anno milioni di persone, raccolte intorno a centinaia di associazioni, scuole, enti pubblici, gruppi professionali e aziende private.


Per celebrare i nostri amatissimi amici di carta (ma anche quelli digitali e audio ^_^), ho pensato di proporvi qualcosa di "leggero" e simpatico, in cui magari potete cimentarvi anche voi: qualche domanda per chi ama leggere (è un mix di due book tag che ho trovato girovagando nel web *) e condividere alcuni dettagli della propria passione.


IL LIBRO CHE TI HA FATTO INNAMORARE DELLA LETTURA

Credo che il merito possa andare soprattutto a Le avventure di Tom Sawyer: un'edizione mini mini, con la copertina in tessuto di colore rosso; ce l'ho gelosamente custodita, ha le pagine ingiallite da far concorrenza a Pagine gialle, ed è tutto spiegazzato. Letto e riletto. Avrò avuto dieci-undici anni la prima volta.


QUALE LIBRO AVRESTI VOLUTO SCRIVERE.

Domandona! Forse (non è il solo, of courseIl Conte di Montecristo.


UN PERSONAGGIO MASCHILE NEGATIVO MA, A SUO MODO, STRAORDINARIO E NECESSARIO.-

Ce n'è più d'uno (tipo Heathcliff), ma ad oggi, e senza pensarci troppo, dico lo spietato ed arrogantissimo Jonathan "Black Jack" Randall (La Straniera).



IL GENERE CHE NON LEGGI MAI.

Mai è una parola forte, perché almeno una volta nella vita ho letto moltissimi generi - non dico tutti, per carità, ma di certo anche i meno graditi, e non posso escludere che mi ricapiti - però, ad istinto, rispondo con quello che è il genere che difficilmente e raramente scelgo non solo al presente, ma ormai da anni: fantascienza
E pensare che, negli anni della scuola media, lo amavo :-D



SE POTESSI ANDARE A BERE UN BICCHIERE CON UN AUTORE, CON CHI ANDRESTI?

Tra i viventi, mi viene in mente subito Luca Bianchini; forse perché sono andata a più di una sua  presentazione ed è molto simpatico e alla mano; tra le donne, dico la Mazzantini e Kate Morton, più che altro per spronarle a scrivere un altro romanzo, visto che è da un po' che non pubblicano qualcosa di nuovo.

Tra i deceduti: la mia scrittrice del cuore, Emily Brontë, anche se - ad essere sincera - non ce la vedo molto a bere né una bionda né un cicchetto; forse un té è più adatto a lei. 


E CON CHI, TRA I PROTAGONISTI DEI LIBRI CHE HAI AMATI DI PIÙ?   

Ehm..., sarà che ne sono reduce da poco, ma vado a sbattere sempre contro La straniera di Diana Gabaldon, per cui direi il mio adoratissimo James Alexander  Malcolm MacKenzie Fraser. E visto che l'attore che lo interpreta nella serie (Sam Heughan) produce del whisky tutto suo, un goccio me lo farei volentieri. 


LEGGI SEMPRE IL LIBRO PRIMA DI GUARDARE IL FILM O LA SERIE TV?

Se posso sì, ma mi è capitato di desiderare di leggere il/i libro/i anche dopo la visione cinematografica/tv, e non mi sono trovata male, là dove già il film mi era piaciuto. È il caso, ad es, di Via col vento, Romanzo Criminale, la succitata La straniera...


IL POSTO MIGLIORE PER LEGGERE

Io mi accontento della sedia della cucina, eh, però anelo a posticini come questi... 

***
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IN QUALE EPOCA E LUOGO "LETTERARI" TI PIACEREBBE VIVERE?

Eh, dopo aver guardato Outlander e aver letto il primo volume della serie, non posso che scegliere la seconda metà dell'Ottocento in Scozia *________*


Inverness
(source)




SE DOVESSI SCEGLIERE UN SOLO GENERE LETTERARIO PER TUTTO IL RESTO DELLA TUA VITA, QUALE SCEGLIERESTI?

Eh, scelta durissima, ma - dopo una bella lotta tra gialli, thriller, romanzi storici, classici e tutti quei libri che vanno ad inserirsi in una generica narrativa contemporanea - credo mi terrei i thriller psicologici. L'adrenalina è fondamentale.



Fonti:

https://www.unesco.it/
https://theshelfofunreadbooks.wordpress.com/     *
https://mdympna.wordpress.com/    *

https://pin.it/3mfq3J2   **
https://pin.it/2PBFiHg   ***

giovedì 21 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] ★★ QUEL MALEDETTO VRONSKIJ di Claudio Piersanti ★★

 

Giovanni viene lasciato da sua moglie di punto in bianco ma, al di là dei dubbi, dei sospetti e delle mille domande che lo tormentano notte e giorno sui perché di questo abbandono, egli resta teneramente testardo e profondamente innamorato, e l'amore forte e sincero per la sua compagna di vita conquista il lettore per la tenacia, la dolcezza e l'autenticità.


QUEL MALEDETTO VRONSKIJ 
di Claudio Piersanti



Rizzoli
240 pp
"La felicità è leggerezza, è una cosa sottile, che se la chiami con il suo nome scompare. Dev’essere inconsapevole e senza sforzo. I suoi pensieri erano aggrappati a un concetto semplice e chiaro: che vita felice era stata la sua. Più bella di quella di un re."

Giovanni e Giulia sono una coppia affiatata e ancora molto innamorata dopo ventisei anni di matrimonio e una figlia (Lisa, che vive all'estero e che i genitori chiamano affettuosamente "la Piccola").

Lui, dopo essere stato licenziato come caporeparto in una storica azienda editoriale, si è rimesso in gioco come tipografo.
Lo conoscono tutti come un uomo gentile, sempre col sorriso stampato in faccia, che - Giovanni né è consapevole - spesso è più "di circostanza" che sincero.
Ma tant'è, e Giovanni è lontano dall'essere perfetto, nonostante sia un abitudinario amante dell'ordine e abbia in antipatia la sciatteria di ogni genere, compresa quella di chi scrive senza avvedersi degli errori che fa e, quindi, senza correggerli.
A memoria di questo suo "odio"verso gli errori c'è una scritta in tipografia, in bella vista: UN'ASINO, che fa da promemoria per ricordare che no, non è detto che gli errori arricchiscano, tutt'altro.

"gli errori dicono sempre la verità, dichiarano la tua ignoranza ma anche la tua disperazione."

Ma Giovanni è sereno e felice: ormai, dopo cinque anni dal licenziamento immotivato, è soddisfatto del proprio lavoro, ha una moglie meravigliosa accanto e pochi ma sinceri amici, come il caro e loquace Gino (sempre pronto a raccontargli dei quotidiani litigi con la bella moglie Nina) e Bruna, montanara spilungona e di poche parole (però quando parla, va dritta al sodo),sempre presente per Giovanni, che poi è suo cugino.

Certo, l'ombra della malattia e la paura della morte incupiscono spesso l'umore di Giulia, che tempo prima ha affrontato operazioni e cure per un brutto male, ma la coppia vive ogni giorno come un dono ed è felice per ogni piccolo gesto quotidiano: fare colazione insieme e senza fretta, scambiarsi un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d’inchiostro; stare abbracciati in giardino, tra i fiori che lei cura e innaffia con tanto amore e costanza. 

Si conoscono troppo bene, ormai, e ognuno scorge nel volto o nei silenzi dell'altro anche i più piccoli segnali di preoccupazione.
Eppure, nonostante sia un tipo precisino e metodico, l'errore scappa anche al buon Giovanni.
Semplicemente e senza che lui potesse prevederlo, accade che in un giorno come gli altri Giulia esca di casa con la valigia per andarsene e non farvi ritorno.
Dove, Giovanni non lo sa.
Perché? 

“Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare.” 

Queste le uniche parole di Giulia, prima di scomparire nel nulla e scritte su una busta. 
Il marito Giovanni è interdetto, smarrito e, nella loro casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago lontano dal porto sicuro e ormai in balia delle onde.

Cosa è successo? Si è spezzato quel dolce incantesimo che li teneva uniti? Perché? Quali sono le sue colpe?

Le domande che affollano la mente di uno sgomento e perplesso Giovanni sono tante, ma lui si sforza di condurre la vita di prima, senza interrompere le attività di sempre, che poi convergono tutte nella tipografia.
Continua a stampare, impacchettare, rilegare, accogliere clienti e commissioni; mangia poco, pian piano comincia a tornare a casa sempre meno (solo per fare la lavatrice) e preferisce fare della tipografia il proprio piccolo ma comodo rifugio.

"Gli piaceva starsene in silenzio in completa solitudine e anche in quel momento avrebbe preferito essere nella sua tana, ma gli umani devono parlare ogni tanto, scambiare qualche sorriso."

Il sorriso gentile è sempre sul suo viso, quando occorre, ma parla ancora meno di prima e preferisce starsene per conto suo; del resto, alle domande preoccupate e curiose di Gino e Bruna cosa dovrebbe mai rispondere? Che ne sa, lui, dei motivi che hanno spinto Giulia a lasciarlo senza dirgli neppure ba?

Confuso, triste, non privo di sensi di colpa, Giovanni si lascia un po' andare e il giardino della moglie, lasciato incolto e inaridito, ben rappresenta quello che c'è nel suo cuore e, ormai, nelle sue giornate.

"Con Giulia aveva tutto un suo senso, andata via lei niente lo aveva più."


Era colpa sua se il suo mondo stava svanendo? Cos'era stata la sua vita fino a quel momento: una lunga serie di piccoli miracoli salvifici? Un grande fallimento?

"Il suo mondo stava morendo nell’indifferenza generale, e questo era normale: era iniziata l’epoca degli errori. Un’asino con l’apostrofo aveva vinto."

Forse Giulia si era stancata di lui, del suo essere così... comune, noioso, banale, di una gentilezza stucchevole, privo di ambizioni?
Era fuggita da una vita senza stimoli? Dalla mediocrità della loro esistenza piccolo borghese?

Giovanni è in cerca di risposte e per caso, spulciando tra i libri della moglie, tra le mani gli capita un classico: Anna Karenina
Comincia a leggere; la mole non lo spaventa (tanto, chi gli corre dietro?) e, nell'apprendere le vicende amorose della protagonista con il suo bel Vronskij, si convince che tra quelle pagine si celi un segreto.
Anzi, il segreto, quello di sua moglie.
E se Giulia se ne fosse andata perché aveva un amante?
Può essere, no? Un amante focoso, arrogante e sicuro di sé come quel maledetto Vronskij, che ha ammaliato la sua Giulia e gliel'ha portata via.

Geloso e amareggiato, si chiude in tipografia e prende una decisione bizzarra ma, a modo suo, catartica, terapeutica quasi: copiare al computer tutto il romanzo di Tolstoj e farne una copia unica, scritta su carta pregiata, rilegata in pelle.

È la sua dichiarazione d'amore per Giulia, con la speranza che un giorno torni da lui e possa rallegrarsi per quel dono singolare e speciale, unico nel suo genere.
Il suo amore per lei non retrocede di un millimetro nel suo cuore, e Giovanni spera che in qualche modo sia così anche "per la sua regina".

La vita, caro Giovanni, è fatta così, ha i suoi alti e bassi, procede per strappi lievi e imprevedibili, ti regala giorni di sole ed altri grigi e ventosi.

Quando finalmente il cielo sembra tornare azzurro e sgombro di nuvole, e il mistero della scomparsa si svela, Giovanni sente e capisce che c’è (e forse ci sarà sempre) qualcosa che gli sfugge, che "la felicità viaggia a corrente alternata e non è priva di insidie e timori, primo tra tutti quello di perdere i suoi favori" e che tutto ciò che possiamo fare è guardare in faccia le nostre paure, accettandole.

E quando ci si ritrova l'uno accanto all'altro, non servono neanche troppe domande con relative spiegazioni: basta restare così, vicini, con la dolce consapevolezza di essere finalmente a casa, perché quando sei tra le braccia di chi ami, sei già a casa e non hai bisogno di altro.


Con una penna leggera, delicata e sincera, Piersanti ci racconta cosa accade quando in una coppia qualcosa si rompe e uno dei due si prende una pausa per staccare, per ritrovarsi, perché a volte va così: per non perdersi nel labirinto di pensieri spaventosi, per non lasciarsi soffocare dal laccio infido della paura di non farcela e di dover soccombere a qualcosa di più grande e al quale non basta la volontà per sottrarsi, forse è necessario andar via, prendere le distanze.

Ritorna a casa solo chi è partito.

Con molta sensibilità e profondità, l'Autore ci lascia entrare negli angoli meno illuminati della vita di un uomo come tanti e ci sembra di provare, insieme a lui, il suo medesimo smarrimento, la paura, i dubbi, i sospetti logoranti, il senso di vuoto davanti alla disgregazione del suo mondo, di ogni certezza, della sua piccola famiglia:

"La sua famiglia era svanita nel nulla, non esisteva più. La famiglia è una cosa transitoria, come il lavoro, del resto come l’esistenza stessa. Tutto è provvisorio ma quando lo vivi ogni momento sembra eterno."

Lo vediamo mentre cerca di sopravvivere dignitosamente aspettando il ritorno di lei, e ci fa tenerezza, perché lui ci prova a smetterla con le sue ossessioni e a tenere a bada "quei bagliori di infelicità che ogni tanto gli esplodevano in petto e lo inondavano dappertutto."

Si narra d'amore, tra queste pagine, di quello maturo e solido che però non è esente da bufere e crepe; di malattia, di come essa porti timori, insicurezza, angoscia, paura di soffrire (e far soffrire i propri cari) e di morire; di amici (pochi ma buoni) che non ti mollano neanche quando ti chiudi a riccio; di sospetti e gelosie, di sensi di colpa e dubbi, di una discreta e sommessa ricerca della felicità, che si racchiude in un giardino fiorito, in abbracci che rinfrancano, in una passeggiata in montagna.

E c'è lui, «quel maledetto Vronskij!».
Eh sì, perché lui c'è davvero, in un modo o nell'altro. Se non è "l'altro uomo", è qualcos'altro, ora sfuggente ora più evidente, ma comunque presente con la sua impronta malefica, carica di ansia e paura.
C'è un maledetto Vronskij nella vita di ciascuno di noi e, credo, tutti prima o poi ce ne rendiamo conto e lo individuiamo, proprio come succede a Giovanni.

Davvero un romanzo bello, tenero e forte come l'amore di Giovanni per Giulia, un amore che fa da filo conduttore in tutto il libro e che, lungi dall'essere sdolcinato e artificioso, è puro ed autentico.
Consigliato.


ALCUNE CITAZIONI

"Forse la gelosia consiste proprio nel non sapere, forse è soltanto un sospetto, un dubbio."

"Lei era andata in luoghi inaccessibili, estremi, aveva guardato la morte in faccia, e quell’incontro si era prolungato per mesi, forse per anni, senza che lui notasse niente. La morte non si vede, la vedi solo se muori."

"Immaginava la felicità come un castello di carte, bellissimo ma instabile e provvisorio. Niente dura per sempre, tanto meno una condizione così fragile come la felicità, che per lui significava non desiderare nient’altro."

"ci si dà alla fuga quando non c’è altro da fare. Ti inseguono cani feroci e tu scappi, non importa dove."



martedì 19 aprile 2022

RECENSIONE ** COME IL VENTO TRA I MANDORLI di Michelle Cohen Corasanti **



Il romanzo d'esordio della scrittrice ebrea americana Michelle Cohen Corasanti ci racconta, attraverso il punto di vista di un ragazzo palestinese nato e cresciuto in una terra devastata e sotto il controllo militare israeliano, una storia di amore ed amicizia, le vicissitudini di una famiglia che va incontro a molti dolori e perdite, e soprattutto la storia di un ragazzo che il lettore vede crescere e diventare un uomo di successo e che imparerà a sue spese quanto alto sia il prezzo dell'odio ma altresì quanto sia forte il potere dell'amore e del perdono.



COME IL VENTO TRA I MANDORLI 
di Michelle Cohen Corasanti 


Feltrinelli
trad. A. Pizzoli
377 pp
Una farfalla vola sotto il cielo di un piccolo paese della Palestina; siamo a metà degli anni cinquanta e la piccola e vivace Amal, che ha solo due anni, rincorre la farfalla sperando di acchiapparla.
Ma è troppo piccola per sapere o per leggere che c'è un cartello vicino casa sua, con la scritta "Vietato l'accesso", superato il quale inizia una zona piena di mine.
Sfuggita alle cure materne, Amal corre felice ma, sotto le urla disperate di Mama e del fratello maggiore Ichmad, il suo povero corpicino salta in aria, smembrandosi, allo scoppio di una mina.

L'incipit di questo romanzo è davvero carico di dolore e tristezza, ma anche di rabbia impotente: non è giusto - pensa Ichmad - che la sua sorellina sia morta a causa di questi israeliani che decidono quando e come possono uscire di casa, mettendo mine attorno alla casa, ordinando loro di restare dentro dopo una certa ora - pena l'arresto o peggio - e, addirittura, venendo con la violenza a cacciarli fuori dalla loro abitazione.

Non fanno in tempo a seppellire ciò che resta di Amal che la sua famiglia, infatti, viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra, rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, che diventa una sorta di "amico paziente e silenzioso" e anche un punto privilegiato da cui guardare ciò che accade agli altri, ai vicini di casa israeliani, che possono permettersi acqua pulita, strade nuove, l'elettricità... Diversamente da loro.

A dodici anni Ichmad è un piccolo genio della matematica; il suo idolo è  Albert Einstein, e il suo insegnante, il professor Mohammad, lo esorta con convinzione ed entusiasmo a continuare a studiare perché, col talento naturale che si ritrova, può puntare molto in alto.
Baba - il suo caro, saggio e mite papà - lo incoraggia anch'egli in questo senso: l'uomo sa cosa voglia dire non poter realizzare i propri sogni e desideri a causa di un contesto difficile e proibitivo, in cui bisogna fare scelte dure ma necessarie, come le sta facendo lui, costretto ad accettare di lavorare come muratore per costruttori ebrei; Baba vuole che i suoi figli non si accontentino di sopravvivere, ma che investano sulle proprie capacità per farsi strada nella vita, perché nel mondo c'è spazio anche per un palestinese e, se lo vorrà, Ichmad ne sarà la dimostrazione evidente.

Ma purtroppo il destino gioca un brutto scherzo al ragazzino e ai suoi cari, e la violenza e la paura tornano a sfondare la loro porta.
A causa di circostanze non previste e di una decisione obbligata e presa nell'innocenza dei suoi dodici anni, la polizia irrompe in casa Hamid e arresta Baba con l'accusa (ingiusta ma da cui è impossibile difendersi) di essere un terrorista.
Da quel momento la situazione precipita e vivere diventa ogni giorno più complicato: con il padre in prigione (sottoposto a costanti torture, percosse, umiliazioni), Ichmad diventa l'ometto di casa.
Casa...: si fa per dire, visto che i soldati israeliani danno fuoco alla loro casa (con un'ulteriore drammatica perdita per la famiglia Hamid) e Mama e i suoi figli son costretti a cercarsi un'altra sistemazione di fortuna; non solo, ma è necessario andare a lavorare per portare cibo a casa: assieme ad Ichmad ci sono fratelli e sorelle, tra cui il piccolo Abbas, molto legato al fratello maggiore.

Il ragazzo decide di farsi carico della famiglia e di andare a lavorare, con sommo dispiacere del professore Mohammad, che desidererebbe che il suo pupillo pensasse a studiare. Ma come si fa? Una soluzione va trovata e certo non possono morire di fame.

“Nella prosperità la scelta è difficile. Nelle avversità non si può scegliere”.


Trova lavoro in un cantiere, accanto a operai israeliani; benché troppo giovane, il testardo Abbas lo accompagna e i due vengono presi entrambi; anche al lavoro le angherie non mancano e, con esse, un'ennesima tragedia, che questa volta toccherà Abbas.

Non sarà facile per il povero Ichmad sfamare da solo la famiglia, col pensiero di quel povero ed innocente padre in prigione, che però, nonostante tutto, continua ad essere per lui un prezioso punto di riferimento, un porto sicuro cui tornare quando non sa che decisione prendere e quando ha bisogno di sentirsi incoraggiato,  sostenuto nelle proprie scelte (sostegno che non sempre trova nei fratelli e nella madre, i quali sono troppo amareggiati ed arrabbiati a motivo delle tante, troppe ingiustizie subite ogni giorno, per riuscire a provare, verso Israele, qualcosa di diverso dall'odio) e indirizzato verso il bene.

"Un uomo non è nessuno se non combatte per la propria famiglia. Promettimi che farai qualcosa della tua vita. Non farti risucchiare da questa lotta. Rendimi fiero di te, non lasciare che la mia prigionia ti rovini l’esistenza. Devi trovare il modo migliore per aiutare tua madre: non è in grado di cavarsela da sola. Adesso sei tu il capofamiglia.”

“Nella storia i conquistatori si sono sempre comportati allo stesso modo con i conquistati. Hanno bisogno di crederci inferiori per giustificare il modo in cui ci trattano: se solo si rendessero conto che siamo tutti uguali…”

"La gente odia perché ha paura di ciò che non conosce: se solo le persone avessero l’occasione di conoscere coloro che odiano, di trovare degli interessi comuni, potrebbero superare l’avversione.”


E mentre Abbas si lascia lacerare dall'odio e dal desiderio di vendetta verso i persecutori del proprio popolo, rifiutando qualsiasi rapporto di amicizia con qualunque ebreo, la vita offre a Ichmad una grande opportunità di riscatto da quella che sembra essere un'esistenza disgraziata ormai già scritta: partecipa ad un concorso di matematica per entrare all'università ebraica di Gerusalemme, lo vince lasciando tutti a bocca aperta per le sue abilità e da quel momento sembra avere inizio un nuovo, entusiasmante capitolo della sua esistenza di studioso e aspirante ricercatore.

Ma, ancora una volta, la strada è in salita perché anche in quell'ambiente colto serpeggiano pregiudizi e ostilità; in particolare, a detestarlo è il suo professore di Fisica, Menachem Sharon, che pare quasi irritato dall'acuta intelligenza di quello studente vestito molto modestamente e che proviene da un piccolo paese della Palestina.
Il disprezzo che ha per Ichmad è palese ma questo non ferma il giovane, che si sforza di non farsi sopraffare da sentimenti negativi, memore delle parole di Baba:

"...prima di giudicare una persona, prova a immaginare come ti sentiresti se anche tu avessi vissuto le stesse cose."

Molto intenso il passaggio in cui Ichmad e Sharon si confrontano, finalmente faccia a faccia e senza reticenze, su ciò che li divide, e il ragazzo prova a capire come mai quell'insegnante ebreo sembri odiare tanto i palestinesi.

Lo stesso professore non può continuare ad ignorare il grosso potenziale che costituisce quell'arabo dalla mente brillante, e il loro comune amore per la ricerca scientifica diventa il punto d'incontro tra due uomini avveduti, che - proprio grazie al confronto e lavorando fianco a fianco - si rendono conto che è possibile superare le diversità, i pregiudizi, e lavorare insieme per qualcosa di bello e di cotruttivo.

Meno semplice sarà farlo capire ad Abbas, che disapprova con foga il comportamento del fratello, giudicandolo un traditore che si allea col nemico, che tanto dolore ha portato e porta alla loro famiglia e al loro popolo.


“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori.” Di nuovo, citai Baba.
“Li odio.”
“Odiare è come autopunirsi."


E così, mentre la Storia fa il suo corso,la carriera di Ichmad, ormai adulto, decolla ed egli riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia.
In America conosce una ragazza bellissima, Nora, un'attivista che si batte per i diritti umani, ha a cuore la causa palestinese ed è intenzionata a recarsi a Gaza. I due si innamorano ma il loro legame non viene visto di buon occhio né dalla famiglia di lui né da quella di lei, in quanto la ragazza è ebrea.

Tante cose accadranno ad Ichmad, che godrà del successo nell'ambito professionale, ma in quello privato andrà incontro anche al lutto e a perdite importanti e dolorose.
Tuttavia ogni difficoltà, piccola o grande, non farà che temprarlo e renderlo un uomo sempre più consapevole di cosa vuol fare nella vita e perché, tenendo sempre presente quali siano le proprie radici e la sofferenza della propria gente, davanti alla quale nessuno - né il singolo né la collettività - può e deve restare indifferente.

"Come il vento tra i mandorli" è la storia travolgente e indimenticabile di un giovane nato e cresciuto in un contesto che è totalmente contro di lui: non ci sono presupposti positivi da cui partire e che possano fare da trampolino per un'esistenza, se non di successo, quanto meno serena.
Le uniche sue risorse sono il suo innato talento per tutto ciò che ha a che fare con formule e numeri e - variabile imprescindibile - i saggi e lodevoli insegnamenti ricevuti dal padre, Baba, che non ha mai smesso di credere nelle capacità e nella lungimiranza del suo primogenito, e ha saputo insegnargli ad andare oltre la fosca coltre di violenza, sopraffazione, ostilità... di coloro che, a buon diritto, potevano essere additati come nemici da detestare e combattere.
Non è facile scrollarsi di dosso e da dentro i semi dell'odio e della rabbia, quando sin da piccoli l'aria che si è respirata è stata infettata e condizionata dai soprusi, dalla crudeltà, dalle privazioni dei propri diritti; Abbas ne è una dimostrazione e il lettore fa fatica ad addossargliene tutte le colpe perché, immedesimandosi in lui, viene da chiedersi: cosa proverei io verso l'occupante, se vivessi nelle medesime condizioni di Ichmad e degli altri palestinesi? Se vedessi morire, imprigionare, impedire un visto, le cure sanitarie, l'istruzione ecc... da coloro che mi hanno già sottratto casa, terre, beni...?

Viene istintivo e spontaneo nutrire un grande risentimento verso chi ti sta rendendo la vita impossibile; non farsi dominare da questo sentimento e scegliere di non farsi logorare dall'odio richiede davvero un grande lavoro su stessi ed è ciò che fa il protagonista.

Ichmad fa tesoro della saggezza paterna e, pur tra non pochi conflitti, sia interiori, sia con i famigliari - che non sempre condivideranno le sue scelte, nel corso degli anni -, saprà dare alla propria vita una direzione nobile, costruttiva, consapevole che ciascuno deve poter dare il proprio contributo per costruire "un mondo in cui ci si elevi al di sopra delle divisioni razziali e religiose, e di ogni altro motivo di discordia, per trovare un obiettivo più alto."

È un romanzo davvero molto bello, intenso, che ha come tematica di fondo la drammatica e logorante situazione presente nella terra di Palestina, cui l'autrice - che, vi rammento, è israeliana, e non è un particolare irrilevante, a mio avviso - dà voce attraverso la storia potente di Ichmad Hamid, il quale ricorda ai lettori che, per comprendere quello che è noto come "conflitto israelo-palestinese", vanno ascoltate entrambe le narrative e che la pace può divenire un obiettivo realizzabile solo se c'è giustizia, che si basa sulla verità e sull'ammissione che ai palestinesi va riconosciuto tutto ciò che hanno sofferto e soffrono.
Non si può essere liberi quando si opprime un altro popolo.


Il discorso finale, che Ichmad tiene in occasione di un evento fondamentale nella propria vita, commuove, spinge a molte riflessioni e ad aprire gli occhi su ciò che accade in questa striscia di terra, da troppi anni martoriata da scontri, bombe e violazioni di diritti: l’istruzione, dice il protagonista di questo libro, può costituire un'ancora di salvezza per offrire ai giovani palestinesi una via per elevarsi al di sopra delle circostanze in cui vivono:

“L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni bambino. (...) Gaza è terreno fertile per futuri terroristi. Le loro speranze e i loro sogni sono stati mandati in frantumi. L’istruzione, ancora di salvezza per gli oppressi, è stata resa praticamente impossibile. Gli israeliani (...) non permettono l’ingresso di libri, materiale scolastico o da costruzione. Non possiamo vivere in pace quando altri sono immersi nella povertà e nell’iniquità."

Ne consiglio vivamente la lettura, la storia di Ichmad resta nel cuore per le vicende umane cui va incontro e che, pur essendo fittizie, appassionano ed emozionano per il loro essere realistiche ed ancorate al drammatico contesto di riferimento, inducendo il lettore ad interessarsi ad esso.

A tal proposito, vi consiglio di visitare il sito dedicato al romanzo, dove troverete diverse informazioni e spunti interessanti per approfondire l'argomento Israele/Palestina.
 
✤✤  THE ALMOND TREE  ✤✤



ALCUNE CITAZIONI

"Il professor Sharon si alzò. “Il vostro popolo ha una rivendicazione legittima su questa terra.” Alzai gli occhi e lo fissai a bocca aperta. “Non creda che io sia così stupido.” Andò alla finestra. “Non avevamo scelta. L’Olocausto è stata la prova che gli ebrei non potevano più esistere come una minoranza all’interno di altre nazioni. Avevamo bisogno di una patria nostra.”

"Non può esserci libertà senza lotta. È ora che gli israeliani capiscano: se ci mettono in gabbia, ne pagheranno il prezzo. Posso solo decidere come morire."

"Non permettere al senso di colpa di entrarti nel cuore, perché è una malattia, è come il cancro, e ti divorerà finché di te non resterà più niente"

"Il coraggio, capii, non era la mancanza di paura: era l’assenza di egoismo, era mettere il bene di qualcun altro prima del proprio."

“Avere successo non vuol dire non sbagliare mai, ma piuttosto rialzarsi dopo ogni caduta.”

"Nella vita, se si vuole fare qualcosa di grande, bisogna accettare di fare sacrifici, e di chiedergli anche a chi ci ama".

"...solo rischiando di fallire si può raggiungere la grandezza".

“Nella vita, il successo non si misura con il numero delle volte che abbiamo fallito, ma in base a come abbiamo reagito a tali fallimenti."

"Se resti neutrale in situazioni di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu). 

domenica 17 aprile 2022

EGLI NON È QUI. È RISORTO!




"...e se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati.Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti."

Prima lettera ai Corinzi 15:17, 19‭-‬20


I primi cristiani erano soliti salutarsi con la frase “Cristo è risorto”, alla quale l'altro avrebbe risposto: "È veramente risorto!".

Gesù Cristo è davvero risorto dalla tomba!

Il fatto che Gesù sia risorto significa che Egli è esattamente chi ha affermato di essere: il Figlio di Dio, che il Padre ha mandato nel mondo affinché potessimo avere il perdono. 

La resurrezione significa che 
    
        Dio ha accettato la morte di Gesù al nostro posto sulla croce. 
        
        Gesù è stato vittorioso sul peccato, sulla morte, sull'inferno e sulla tomba e poiché Gesù è vivo, abbiamo una grande speranza in Lui! 

La Bibbia dice: «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pietro 1:3). E quella speranza è «un'àncora dell'anima» (Ebrei 6:19).




❤❤ BUONA PASQUA ❤❤


sabato 16 aprile 2022

Due anni fa ci lasciava Luis Sepúlveda

 

Due anni fa, esattamente in questo giorno, ci lasciava uno scrittore (oltre che regista, sceneggiatore, poeta, attivista politico e giornalista) molto amato da adulti e bambini: Luis Sepúlveda.

  • Nato ad Ovalle, nel nord del Cile, il 4 ottobre 1949, cresce in una famiglia di matrice anarchica. Suo nonno, Gerardo Sepúlveda Tapia - conosciuto anche con il nome di battaglia "Ricardo Blanco"- era un anarchico andaluso che fuggì in America del Sud per evitare la condanna a morte che pendeva sulla sua testa.  
    ,

  • Trascorre l'infanzia nel quartiere proletario di Valparaiso, con il nonno paterno e uno zio, che gli trasmettono l'amore per i romanzi di avventura (Salgari, Conrad, Melville). La vocazione letteraria si manifesta presto e lo spinge a scrivere racconti e poesie per il giornalino d'istituto.
  • Ha soltanto 15 anni quando aderisce alla Gioventù comunista.
  • A 17 anni inizia a lavorare come redattore del quotidiano Clarìn e poi in radio. Nel 1969 vince il Premio Casa de las Americas per il suo primo libro di racconti, "Crònicas de Pedro Nadie".
  • All’inizio degli Anni 70 milita nell’Esercito di Liberazione Nazionale in Bolivia.
  • Torna in Cile e si iscrive al Partito Socialista, divenendo membro della guardia personale dell'allora presidente Salvador Allende. 
  • Intanto, conseguito il diploma di regista teatrale, continua a scrivere racconti e lavora ad allestimenti teatrali e alla radio.
  • In quanto fervente oppositore del regime di Augusto Pinochet, viene arrestato e torturato; trascorre sette mesi rinchiuso in una cella minuscola in cui era impossibile stare sdraiati o in piedi; viene rilasciato (in regime però di arresti domiciliari) in seguito alle pressioni esercitate da Amnesty International.
  • Ricomincia a fare teatro, sempre ispirato dalle proprie convinzioni politiche, cosa che gli costa un secondo arresto, ma anche in questo caso - grazie ad un'altra campagna a suo favore da parte dell'ong -, la condanna (28 anni di reclusione) è modificata in otto anni di esilio.
  • Nel 1977 lascia il Cile per andare in Svezia (il governo gli aveva concesso asilo politico) per insegnare letteratura spagnola ma, al primo scalo a Buenos Aires, fugge e viaggia per l'America Latina fondando compagnie teatrali in Ecuador, Perù e Colombia.
  • In Ecuador lavora come giornalista in un progetto sponsorizzato dall'UNESCO e vive per un anno con gli indigeni Shuar in Amazzonia; in Nicaragua combatte con i sandinisti nicaraguensi, che hanno poi rovesciato la dittatura allora in vigore.
  • Nel 1982 aderisce a Greenpeace quale membro dell'equipaggio su una delle navi dell’ong.
  • Ottenuto l'asilo politico in Germania, vive ad Amburgo per dieci anni, prima di trasferirsi in Francia.
  • Dal 1996 si trasferisce in Spagna, nelle Asturie con la moglie Carmen Yáñez, una poetessa che era stata torturata sotto Pinochet.
  • Nel febbraio 2020 contrae l'infezione da Covid-19 e muore nell'ospedale di Oviedo il 16 aprile 2020, a 71 anni.
Luis e Carmen
Inevitabilmente, molti dei suoi libri hanno tratto ispirazione dalla sua vita avventurosa e molto movimentata, a cominciare dal suo primo romanzo, "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore"  (pubblicato in Italia nel 1993), in cui il protagonista (il vecchio Antonio José Bolívar) vive ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana ed ha vissuto dentro la grande foresta, insieme agli indios shuar, come è successo a lui.

"Il mondo alla fine del mondo” (1994) si ispira agli anni trascorsi sulla nave di Greenpeace; il diario di viaggio “Patagonia express. Appunti dal sud del mondo” e la raccolta di racconti “La frontiera scomparsa” nascono dal ricordo della sua fuga, quando attraversò l'America del Sud. 

Ha scritto molti libri (anche) per bambini, tra cui il celeberrimo "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" (una gabbiana morente affida il proprio uovo al gatto di porto Zorba, che se ne prende cura e il pulcino diverrà una gabbianella a cui insegnerà a volare), "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" (ambientata tra i nativi americani, più precisamente nella tribù dei Mapuche), "Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa", in cui è centrale il tema della salvaguardia dell'ambiente.

Il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia è “La fine della storia”, dove non mancano ancora riferimento autobiografici: il protagonista (Juan Belmonte), infatti, è un uomo che ha combattuto al fianco di Salvador Allende e ora vive tranquillo in una casa sul mare nell’estremo sud del Cile, insieme alla sua compagna Verónica, che non si è mai completamente ripresa dopo le torture subite all’epoca della dittatura. Il passato torna a fargli visita quando i servizi segreti russi, che lo conoscono in quanto esperto di guerra, hanno bisogno di lui. Sul fronte opposto c’è un gruppo di nostalgici di stirpe cosacca deciso a liberare dal carcere Miguel Krassnoff, ufficiale dell’esercito cileno durante la dittatura militare e, al momento, in carcere con l'accusa di aver perpetrato crimini contro l’umanità. 
E Belmonte ha un ottimo motivo per odiare «il cosacco», un motivo strettamente personale...


"La felicità è un diritto umano. Allo stesso modo in cui ho combattuto, più che per l'idea di libertà, per non dimenticare che sono un uomo libero: quando difendo il diritto alla felicità, lo faccio per non dimenticare che io sono stato e sono immensamente felice”.





Fonti consultate:

https://www.sapere.it/
https://www.comune.lecco.it/
https://www.theguardian.com/

giovedì 14 aprile 2022

📖 SEGNALAZIONI EDITORIALI (narrativa, noir, racconti) 📖.

 

Buongiorno, lettori.
Oggi desidero condividere con voi alcune novità editoriali.

Parto da un romanzo edito da Panesi Edizioni: "Nonostante tutto" di Francesca Lizzio (genere narrativa, 151 pagine, 2021).

Sinossi

Cristina è una ragazza segnata da un

passato ingombrante che ha cambiato la vita anche alle sue sorelle, Su ed Emma. Ora si ritrova a fare i conti con la fine di un amore e con le sue conseguenze.
Proprio quando ha il cuore a pezzi, la vita le riserva un imprevisto che la porterà a ripensare alle sue radici e al rapporto complicato con le sorelle.
Scoprirà così che soltanto ripercorrendo le ferite del passato potrà rinascere, libera dal peso di ciò che è stato.

Disponibile in formato e-book e cartaceo su tutti gli store online, oltre che ordinabile presso qualsiasi libreria e acquistabile sul sito della casa editrice che per ogni ordine ricevuto omaggia di un e-book a scelta da tutto il catalogo.

Link Amazon:  amazon.it/dp/ 8831449133
Link sito casa editrice: panesiedizioni.it/richiesta-libri/
Link kobo: www.kobo.com/it/it/search?query=francesca%20lizzio&fcsearchfield=Author
Link IBS :  www.ibs.it/ebook/autori/francesca-lizzio

Qui www.youtube.com/watch?v=-dEf0m-nwLQ è possibile ascoltare un brano tratto dal romanzo, letto da Sofia Ponente.

Biografia
Francesca Lizzio nasce a Catania il 22 Aprile del 1992. Fermamente convinta che il meglio di un libro si trovi tra le righe e che valga anche per le persone.
Data la sua passione per la biblioteconomia, l’archivistica e l’editoria, scrivere è stata una conseguenza naturale.
Nel 2015 ha aperto un blog, cuore di cactus, dove si racconta a lettori sparsi per tutta l’Italia.
Con Panesi Edizioni ha preso parte all’antologia Oltre i media – Raccontalo con un film o una canzone col racconto breve Giorni (2016), ha pubblicato il suo romanzo d’esordio Fiore di cactus (2017)e il romanzo Nonostante tutto (2021).
Bestsellerista, Onorificenza (2022).

Contatti
Blog: www.cuoredicactus.wordpress.com
Profilo Instagram: www.instagram.com/francesca.lizzio
Profilo Facebook: www.facebook.com/fra.cactus
Pagina Facebook: www.facebook.com/effe.cuoredicactus


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La seconda segnalazione è una raccolta di racconti / poesie / frasi / dialoghi / amore / romance, in cui è presente il racconto di Ilaria Vecchietti (blog Buona lettura),  "Sogno o realtà?", ispirato al prequel "Un capodanno da ricordare" di Diletta Nicastro, pubblicato nella raccolta "Le più belle frasi d'amore" (Editore: M&L, 0,99€).

Il racconto ha vinto al concorso "Le più

belle frasi d'amore" edizione X 2022, nella categoria fan fiction.

Sinossi

‘Le più belle frasi d’amore’ raccoglie le poesie e le opere vincitrici dell’omonimo concorso organizzato dal 2012 con cadenza annuale da ‘Il mondo di Mauro & Lisi’, la saga d’amore e d’avventura di Diletta Nicastro incentrata sul Patrimonio Unesco.
Il concorso è suddiviso nelle sezioni Amore Classico e Fan Fiction. La prima ha come fulcro centrale l’amore con la A maiuscola, verso il proprio innamorato, la vita, il creato o Dio. La seconda invita alla stesura di poesie o frasi d’amore con protagonisti i personaggi principali della saga, avendo la possibilità di utilizzare coppie già formatosi nel corso dei romanzi o di crearne di nuove tra due personaggi esistenti, ma non innamorati.

Le opere all’interno del libro portano la firma di Jessica Baldassarre, Alessandra Bassolino, Luisa Cagnassi, Alessandro Canfora, Piera Castrianni, Donatella Cerboni, Laxman Chapagain, Tommaso Coatti, Davide Rocco Colacrai, Patrizia Cromi, Antonio D’Auria, Tiziano Dall’Omo, Giulia De Gasperi, Mena Del Deo, Maria Di Bari, Francesca Di Giuseppe, Leonardo Donelli, Alessandra Ferlini, Francesca Ferri, Irma Kurti, Rocco Lanatà, Claudia Liberatore, Gianfranco Maiuri, Andreina Mexea, Rebecca N., Elisa Navarra, Francesca Opri, Denise Prencipe, Giuseppe Rossi, Massimo Rossi, Simona Sisca, Viola Tamburini, Ilaria Vecchietti, Arianna Venturino, Serena Vicidomini, Daniela Zagarola, Eva Zarpellon. Prefazione di Diletta Nicastro.

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“La magia del Natale“ e “12 anni 8 mesi 16 giorni“ sono due racconti anch'essi scritti da Ilaria Vecchietti e contenuti nella  raccolta: "In mille parole" ( Editore: self publishing Amazon, 117 pp, ebook: 2,99€) comprendenti 36 racconti di autori vari, e il cui ricavato è devoluto all’associazione Fondazione per leggere.

Un’antologia, una raccolta di racconti capace di accompagnare il lettore nell’arco di un intero anno, per tematiche ed emozioni che rispondono al mood del periodo. Caratteri che seguono le stagioni, i ricordi che ogni mese e ogni tema portano con sé.
Un’opera dunque per ridere, divertirsi, ma anche lasciar sfuggire una lacrima, sentire il cuore in pezzi, lo stomaco in subbuglio, per poi concludere la lettura con un sorriso.

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Termino con un noir Fratelli Frilli

Editori: I DIAVOLI DI BARGAGLI di Ippolito Edmondo Ferrario, che si svolge tra Milano, Genova,
Albissola, Bargagli e Framura.

Raoul Sforza, banchiere milanese, è un personaggio eccentrico e sprezzante, amante del lusso, dell’arte e della musica. Specializzato nell’ordire intrighi finanziari e nel ricattare uomini che ricoprono ruoli chiave nelle istituzioni dello Stato, Raoul conduce una vita lontano dai riflettori, dividendosi fra la sua antica dimora milanese che sorge nel cuore di Brera e l’amata Bonassola. La sua presenza non passerà inosservata quando sarà costretto, suo malgrado, a far luce su una lunga scia di misteriosi omicidi che dal 1945 insanguina Bargagli, borgo dell’alta Val Bisagno, nell’entroterra genovese. Aiutato da Diego Casazza, spiantato giornalista di cronaca locale, Sforza affronterà la cosiddetta vicenda del “mostro di Bargagli” che per decenni ha terrorizzato un’intera comunità. 

Forte di un innato cinismo, indifferente ad ogni tipo di morale, il “banchiere nero” sarà in grado di far emergere, dopo più di cinquant’anni di omertà e di silenzi, verità inconfessabili.

L'autore.
Ippolito Edmondo Ferrario, classe 1976, è uno scrittore milanese. Si è occupato dello studio e della divulgazione della Milano sotterranea attraverso numerosi saggi. Ha scritto libri sull’epopea dei mercenari italiani nelle guerre post-coloniali e biografie inerenti agli anni di piombo. Ha pubblicato per Ugo Mursia Editore, Castelvecchi Editore, Newton Compton Editori, Ritter e Ferrogallico. Con Il banchiere di Milano (Fratelli Frilli Editori, 2021) ha dato vita al personaggio del “banchiere nero” Raoul Sforza, protagonista di una serie di romanzi. Per Fratelli Frilli Editori ha scritto: La Gorgone di Milano (a quattro mani con Gianluca Padovan) e Ultimo tango a Milano.



lunedì 11 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] ** E POI SAREMO SALVI di Alessandra Carati **

 

Sincero e commovente, il romanzo di Alessandra Carati narra la tragedia di un popolo, di una famiglia e dei suoi singoli membri, e lo fa attraverso gli occhi - smarriti, sgomenti, speranzosi, a volte arrabbiati altre impauriti, e troppo spesso pieni di sofferenza - di una bambina di sei anni, costretta a lasciare la propria casa, la propria gente, il proprio villaggio, per evitare la morte (e, prima di essa, tutto il carico disumano di torture e soprusi da parte del nemico) e per cercare di mettersi in salvo in un paese straniero, dove provare a ricominciare daccapo.
Ma anche se è possibile lasciarsi alle spalle macerie e catastrofi, certe rovine te le porti dietro per sempre, ti segnano, creano voragini, divisioni, silenzi, risentimenti, fratture non facilmente sanabili, strappi che, per essere ricuciti, spesso richiedono un prezzo alto: altro dolore e altre lacrime.



E POI SAREMO SALVI
di Alessandra Carati

Mondadori
276 pp
La piccola Aida vive con la propria famiglia (papà e mamma, che è incinta) in un piccolo villaggio bosniaco; una vita semplice, una casa modesta non lontana dal bosco, da dove si vedono distese di frutteti che si arrampicano sulla montagna. 
Oltre quei confini non c’era nessun altro mondo dove avrebbe potuto e desiderato vivere.

Ma un triste presagio spezza la tranquillità della vita al villaggio:
"«Ci sarà la guerra e ce ne andremo tutti». 
Non sapevamo che cosa fosse la guerra, per noi era una parola sussurrata che aveva il potere di rendere gli adulti insicuri e cattivi."

Aida non ci crede e si affida alle parole, seppur poco convincenti, di sua madre, che le dice che no, non arriverà mai la guerra da loro.

Ma gli adulti possono sbagliarsi e Aida farà i conti con questa verità infinite volte, da quel momento in poi.

È l'aprile del 1992 e non è più possibile restare in Bosnia, bisogna scappare prima che arrivino i soldati, portando il terrore, gli spari, la morte.

Suo padre Damir provvede alla fuga della moglie Fatima e della piccola Aida; dopo giorni e notti difficili e di paura, arrivano a Milano e là per loro inizia un nuovo capitolo dell'esistenza. 

Nella casa in cui vengono fatti alloggiare ci sono altre famiglie che, come loro, son fuggite dalla guerra prima che fosse troppo tardi; ci sono pure zio Tarik, zia Mejra e il cugino Samir.

Integrarsi non è facile, non solo perché ci si trova in una città straniera, dove si parla una lingua sconosciuta e dove la vita ha ritmi e abitudini differenti, ma ancor più perché la guerra, con tutte le sue atrocità, continua e nel villaggio ci sono ancora parenti (come i nonni, che non vogliono lasciare la propria casa) ed amici, le notizie che arrivano per telefono sono drammatiche, preoccupano babo e mamma, il cui pensiero è sempre là, dove hanno lasciato gli affetti e dove continuano a desiderare di tornare, a guerra finita.

Intanto, nasce il fratellino, Ibro, ma neppure il suo arrivo riesce a rimettere in ordine le cose: il padre è sempre sfuggente, irritato, silenzioso, non accetta che gli si risponda e ci si ribelli ai suoi ordini; la madre è chiusa in sé stessa, è depressa, infelice, nervosa. 
Da loro Aida raramente riesce ad avere un gesto affettuoso, una parola rassicurante, un abbraccio consolante; mentre pian piano quel fratellino diventa amatissimo e, con la sua vivacità incontenibile, conquista tutti, la ragazzina cresce, matura, e se è vero che diventare grandi è difficile per chiunque e ovunque, per una bambina sradicata bruscamente dal proprio contesto e inserita in un altro - in cui si sente un'estranea, sola, smarrita - lo è ancora di più.

A dare una notevole mano (sotto diversi punti di vista, anche economico) alla famiglia di Aida è una coppia di coniugi senza figli, Emilia e Franco, i quali si affezionano da subito a Fatima e ai bambini, in particolare ad Aida; Emilia, infatti, è molto materna nei suoi confronti, la invita a casa sua, cerca di riempirla di attenzioni ed è felice di occuparsi di lei, di aiutarla nei compiti, di regalarle ciò di cui ha bisogno.
Questo genera inevitabilmente malumori e gelosia nei genitori della bambina, che vedono queste cure amorevoli come un subdolo tentativo di "prendersi" Aida, allontanandola da loro.
La ragazzina percepisce questi sentimenti e lei stessa si sente confusa: da una parte desidera che Emilia le dia quelle attenzioni e quell'affetto che sua madre è, per carattere, restia ad elargire e dimostrare - una freddezza, questa, che l'ha sempre fatta soffrire, facendole provare emozioni contrastanti verso la mamma: amore e desiderio viscerale di essere amata e considerata, ma anche risentimento nel constatare come questo non avvenisse -, dall'altra una sorta di diffidenza (Emilia le vuol bene perché è lei  o semplicemente perché vede in Aida la figlia che non ha mai avuto?) mista alla paura di dare un dispiacere ai genitori, che potrebbero sentirsi messi da parte e rimpiazzati da questi due italiani forse un tantino invadenti, che in cambio dell'aiuto poi vogliono prendersi la figlia.

Diventa un'adolescente, Aida, si invaghisce di un compagno, e intanto studia, a scuola è brava e si applica con impegno; ogni tanto i suoi sentono l'urgenza di ritornare nel loro piccolo paese in Bosnia, ma ogni volta che torna a Milano, Aida riprende con slancio la vita alla quale ormai si è abituata; a volte riprende ad andare con più frequenza a casa di Emilia (Mimì), allontanandosi da mamma e papà, e anche un po' dall'amato Ibro.

"Sentivo di essere separata e la separazione scavava piano, in silenzio, una cavità e in quella cavità cresceva un’altra me, piccola, cieca, senza pelle. Ma crescere era doloroso, separarsi era doloroso." 
Il racconto in prima persona di Aida travolge il lettore e lo fa sentire parte delle vicende narrate, facendogli percepire in modo intenso le emozioni della giovane protagonista: le sue paure nello scappare con la madre in stato avanzato di gravidanza; il senso di spaesamento una volta giunta in Italia; i sentimenti contraddittori verso quel villaggio in cui è nata e ha vissuto per sei anni, a cui appartiene per famiglia, cultura, tradizioni, per la presenza dei parenti (tanto i vivi quanto i morti), ma dal quale, allo stesso tempo, prende le distanze perché la vita va avanti e lei ha bisogno di ricostruirne una nuova lontano dalle macerie della vecchia.

" Mi sono chiesta come si possa sopravvivere alla propria vita."
"Tutta la nostra vita era divisa tra un prima e un dopo, a dispetto dell’età che potevamo avere, vent’anni, quindici o ottanta. La vita prima della guerra era una dimensione parallela, a volte mi domandavo se fosse davvero esistita."

Eppure, se Aida riesce a guardare avanti a sé e a porsi degli obiettivi, per i suoi cari non è così; è come se i suoi genitori non riuscissero ad integrarsi, anzi... non lo vogliono davvero, perché convinti di essere solo di passaggio in Italia: la loro casa nel paesino da cui vengono ancora li aspetta e il sogno di tornarvi non li abbandona, perché le loro radici sono lì, in quella loro terra così profonda e difficile da decifrare.

E Ibro?
Lui è sempre il solito ragazzo pieno di energie, di vitalità..., ma è quel tipo di vitalità eccessiva, quasi anomala; verso di lui Aida prova molti sensi di colpa, soprattutto quando si rende conto di stare vivendo la propria vita lontana dal fratello, che sicuramente sente la sua mancanza e forse ce l'ha anche un po' su con la sorella per questo.

Il caro, inafferrabile e tormentato Ibro - «kuća moja mila»  mia casa adorata,  «Oči moji mili» occhi miei adorati: a un certo punto, quando ormai è un giovanotto, qualcosa in lui comincia a non andare, a rompersi sotto gli occhi sgomenti e impreparati dei genitori, stanchi e confusi, e anche per Aida, che continua a studiare per diventare medico anestesista.

Il ragazzo manifesta comportamenti strani, bizzarri, sregolati; in special modo ad eccedere sono la sua irrequietezza, il senso opprimente di dover fare qualcosa - qualunque cosa! - per dare un senso alle proprie giornate (non lavora, non studia, ciondola per casa senza uno scopo o un interesse in cui investire sogni e capacità), e poi la sua aggressività, che si riversa su chi gli è vicino (babo e mamma), sia a livello verbale che fisico: cosa vogliono dire questi modi di fare? Sono forse segnali di un malessere specifico e che va assolutamente curato?

La malattia, che irrompe con violenza nei loro già (e da sempre) fragili rapporti famigliari, scardina tutto, ogni piccola certezza, mette in luce crepe, divisioni, rancori, cose non dette, un'infelicità che è sempre stata lì, sulle loro spalle, come un fardello di cui è diventato troppo difficile liberarsi.

I problemi di Ibro finiscono necessariamente per dividere e, a un tempo, riunire, come spesso succede quando in famiglia sopraggiungono problemi gravi: "Il suo disturbo era la faglia delle nostre vite divise tra un qui e un là."

Aida è presente per amore del fratello minore, che ha bisogno di lei, ma anche per quei genitori, da sempre irraggiungibili, incapaci di comunicare pure tra loro, amati con rabbia, una rabbia così pura da provocarle dolore.

Sullo sfondo di una guerra da cui ci si allontana per sopravvivere, Alessandra Carati ci racconta la storia di una ragazza e della sua famiglia lacerata dentro e fuori dalla paura delle atrocità che avrebbero potuto subire (e di cui sentono parlare da chi le ha viste da vicino) nel loro paese, che continuano ad amare e il cui pensiero resta fisso nel cuore e nella mente, accompagnato dalla malinconia di chi non si arrende a vivere e morire in terra straniera.
È la storia di come la guerra renda orfani, se non necessariamente in senso materiale, sicuramente in quello "spirituale", morale: non se ne esce indenni, mai, e l'incertezza del proprio futuro segue passo passo, come un segugio fedele, chi fugge.

È la storia di un padre che non sa esprimere il proprio amore per i figli in maniera adeguata, ma che per loro darebbe la vita; di una madre che dentro soffre, si strugge e fuori è dura e inarrivabile come una fortezza inespugnabile ma, se riuscisse a parlare senza freni, confesserebbe le proprie paure, le lacrime e i sospiri di chi è disposto a sacrificarsi per coloro che ama, con la segreta speranza di salvarlo da quel dolore che tormenta lei.

È la storia di una bambina che, diventando donna, non smette di essere costantemente alla ricerca di un po' di pace, di un posto in cui sentirsi a casa e in cui ritrovare l'amore dei propri cari, quell'amore in cui è custodito il dolce segreto della sua infanzia e che forse, per emergere in tutta la sua bellezza e purezza, ha bisogno di un'esplosione, di una supernova da cui nascano altre stelle.

Un romanzo di formazione davvero molto bello, struggente, che tocca profondamente il lettore sia per la sua giovanissima protagonista - che vediamo crescere tenera e forte insieme, pur tra le tante difficoltà e i conflitti famigliari -, sia per la storia intensa, drammatica, terribilmente attuale in questo periodo. 
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