Una serie di efferati omicidi, che hanno come bersaglio bambine innocenti, terrorizza un'area della Svizzera negli anni '50. Un commissario caparbio e irremovibile è deciso a mantenere la promessa fatta ai genitori di una delle vittime: arrestare l'assassino. Il vero assassino, e non quello che più fa comodo alla polizia per risolvere il caso il prima possibile.
LA PROMESSA
- Requiem per il romanzo poliziesco -
di Friedrich Dürrenmatt
Adelphi trad. D.Barra 162 pp
Il romanzo inizia con il presentarci uno scrittore di romanzi polizieschi che ha appena tenuto a Coira, in Svizzera, una conferenza proprio su questo genere narrativo; viene intercettato da un ex-comandante della polizia cantonale di Zurigo - il dottor H. - che, nell'esprimere il proprio disappunto sul modo di lavorare degli scrittori di gialli (in particolare sui meccanismi ingannevoli e poco realistici su cui viene costruita la trama), si ritrova a raccontargli un caso di omicidio vecchio di qualche anno e che ha visto coinvolto lui e uno dei suoi uomini migliori, il commissario Matthäi.
Quest'ultimo, a dire il vero, nel presente è tutto fuorché un brillante uomo di polizia: lavora presso un distributore di benzina, ha un'aria sciatta da barbone, sembra anche un po' "suonato" e balbetta sempre le solite frasi, apparentemente insensate.
Come ha potuto ridursi così, da commissario stimato qual era? Cosa gli è mai potuto succedere di tanto scioccante?
Ebbene, il dottor H. narra allo scrittore e a noi lettori le vicende che hanno visto Matthäi in prima linea nella soluzione dei casi di omicidio del cosiddetto "mostro di Mägendorf".
Matthäi un tempo era noto per essere un uomo acuto, tenace, geniale ma anche molto solitario e quasi glaciale nel suo modo di indagare e ricercare gli assassini.
Negli anni Cinquanta (quando Matthäi era nel fiore della propria carriera) a Mägendorf venne rinvenuto il corpo mutilato di una povera bambina, Gritli Moser, assassinata a colpi di rasoio; aveva un vestitino rosso e le treccine bionde.
A ritrovarlo accidentalmente (?) fu un venditore ambulante, tale von Gunten.
Per una serie di circostanze indiziarie, tutti i sospetti ricaddero su di lui; l'uomo di professava innocente, non faceva che piangere e ripetere, sfinito, che lui la piccola Gritli non l'aveva mai vista in vita sua, non avrebbe mai potuto ucciderla né si era mai sognato di far del male a qualcuno.
Eppure, a suo carico c'era una vecchia storia legata a un reato sessuale, in cui era coinvolta una minorenne (adolescente); lui, poi, vendeva anche dei rasoi proprio come quello usato per ammazzare la piccola e che, tra l'altro, era anche l'arma del delitto presente in altri omicidi avvenuti anni prima e fino a quel momento irrisolti (sempre con bambine bionde e vestite di rosso in qualità di vittime).
Tutto giocava contro von Gunten e tanto il sostituto procuratore quanto gli altri uomini della polizia erano convinti della colpevolezza dell'uomo.
Ma lo erano perché non c'erano dubbi che fosse stato lui (oltre ogni ragionevole dubbio) o perché non c'erano altre piste da seguire?
Matthäi si andò convincendo, però, dell'innocenza di von Gunten ma nulla poteva contro i colleghi e gli indizi di colpevolezza che gravavano sull'ambulante, il quale a un certo punto confessò pure...
La confessione giunse dopo un interrogatorio di venti ore e in seguito l'uomo compì l'estremo e disperato gesto, portando con sé la verità: era davvero lui il colpevole?
Per tutti il caso era chiuso, ma non per Matthäi, soprattutto non dopo aver scoperto che Gritli aveva confidato a un’amichetta di avere incontrato nella foresta un gigante alto come una montagna, «pieno di piccoli porcospini».
Matthäi si convinse che altre bambine fossero in pericolo e che il gigante dei porcospini fosse ancora in giro, pronto a colpire, a maggior ragione con la guardia abbassata da parte della polizia e degli abitanti di Mägendorf.
Prima che fosse arrestato e incriminato von Gunten, Matthäi aveva promesso alla madre di Gritli che il mostro, che aveva strappato la vita alla loro bambina, sarebbe stato trovato.
E Matthäi aveva tanti difetti ma di certo non quello della vigliaccheria: era disposto a tutto pur di tener fede alla promessa, anche a rinunciare alla sua immagine di investigatore tutto d'un pezzo, alla sua implacabile logica, al suo posto di commissario; e fu proprio per portare avanti questa missione che aveva cambiato vita, vestendo i panni di benzinaio.
Perché proprio quel mestiere?
Cos'aveva in mente l'uomo per incastrare l'assassino di bambine?
I metodi utilizzati non erano stati convenzionali né eticamente o legalmente corretti, ma a Matthäi non interessava più essere il commissario ligio alle regole, bensì solo un giustiziere disposto ad acquattarsi nel buio, ad attendere con pazienza che il "gigante" passasse proprio lì dov'era lui, pronto ad adescare la sua prossima innocente vittima.
E allora cosa è andato storto se di Matthäi resta ormai solo l'ombra del commissario perspicace che è stato un tempo?
Il commissario narratore non ci lascia senza risposte e ci racconta cosa è accaduto al buon Matthäi, ossessionato da quel caso tanto da perderci dignità, senno, carriera.
Von Gunten era davvero il mostro di Mägendorf? O forse il povero Matthäi ci aveva visto giusto? E in tal caso, la polizia è riuscita a scoprire il vero assassino?
La verità viene svelata ed è, a ben vedere, un amaro colpo di scena, o meglio
"...una scena finale tremendamente squallida (...) tanto (...) da essere inutilizzabile, non la si potrebbe inserire in un romanzo né in un film appena decenti. È così ridicola, stupida e banale che, se si volesse davvero scrivere questa storia, andrebbe senz'altro tralasciata".
"La promessa" è un giallo/poliziesco breve ma molto coinvolgente, che immerge totalmente il lettore nell'ambientazione elvetica e stuzzica la sua curiosità con questo racconto nel racconto; mi piace l'idea di base da cui si parte, che è quella di dimostrare come, al di là di tutti gli artifici narrativi a cui ricorrono gli scrittori di gialli per stupire i loro lettori e per restituire quel senso di giustizia che chiede sempre di essere soddisfatto, la realtà sia ben più imprevedibile e assurda; non di rado, la ricerca della verità sfugge alla logica e non sempre risiede in qualcosa di sconvolgente e di palesemente malvagio ma, anzi, può trovarsi in persone e situazioni banali, tanto banali da essere quasi irritanti.
Il ritmo si fa via via sempre più incalzante e si ha voglia di arrivare alla fine per capire quale sia la vera soluzione del caso; il personaggio di Matthäi ha la sua attrattiva perchè ricorda quegli uomini di legge che, a un certo punto della loro esistenza (e magari proprio quando sono a un passo dal fare un bel salto nella loro carriera) si imbattono nel "caso", quello più importante della loro vita professionale, capace di succhiare loro energie fisiche e mentali e per risolvere il quale sono disposti a rinunciare a tutto, anche a sé stessi, finendo risucchiati in un vortice folle e ossessivo.
Questo romanzo (pubblicato nel 1958) nasce come una sceneggiatura scritta da Dürrenmatt per il film Il mostro di Mägendorf di Ladislao Vajda (1958); vi sono altre due trasposizioni televisive: La promessa (miniserie televisiva, 1979) e La promessa (film del 2001 diretto da Sean Penn e con Jack Nicholson; leggendo la sinossi del film, però, mi pare che sia ispirato e non proprio fedele, sia nei nomi dei personaggi che nell'ambientazione).
Consigliato, è un giallo che si lascia davvero apprezzare.
Con la sua prosa sempre familiare, semplice ma autentica e coinvolgente, Butler ci porta ancora una volta nel Wisconsin e ci conduce lungo tre generazioni di uomini che, pur accomunati dai medesimi valori dello scoutismo, hanno preso strade differenti e vissuto le proprie vite guidati ognuno dai propri valori e principi.
IL CUORE DEGLI UOMINI
di Nickolas Butler
Marsilio Ed. trad. C. Durastanti 416 pp
"Ho conosciuto codardi e ho conosciuto eroi. Gli eroi venivano sempre guidati dal cuore; i codardi dal cervello. Non dimenticarlo.Gli eroi non fanno calcoli e non ponderano. Fanno quello che è giusto".
Siamo nel 1962 e Nelson è un ragazzino di tredici anni che passa, per la quinta volta consecutiva, la sua estate al campo scout Chippewa.
Tra gli scout è conosciuto come il Trombettiere, proprio perché suona lo strumento (ereditato dal nonno, che è stato in guerra) al mattino, come sveglia per tutto il campo.
Nonostante sappia accendere il fuoco, abbia guadagnato medaglie per le sue tante abilità e sia un bravissimo ragazzo, Nelson passa la maggior parte del tempo in solitudine, come un "lupo senza branco che vaga libero, una solitaria creatura della foresta".
In pratica, non ha amici.
Non solo, ma più riceve encomi, apprezzamenti e lodi dagli adulti, meno i coetanei gli danno retta; se non gli stanno lontani, gli si avvicinano solo per prenderlo in giro, fargli dispetti, in una parola: per bullizzarlo.
Ed è proprio in occasione dell'ennesimo atto di bullismo (presentato dai bulli come una sorta di prova di coraggio con sadica punizione annessa per chi perde) che il buon Nelson saprà con certezza di chi può fidarsi e di chi no.
C'è un certo Jonathan Quick, ad es., che è l'unico ad essere gentile con lui; è anche il solo amico ad essere andato alla sua festa di compleanno e a portargli un regalo; ed è anche colui che, quando i prepotenti del campo vorrebbero vederlo annegare nella latrina, tenta a modo suo di aiutarlo.
Nonostante Jonathan abbia di sovente atteggiamenti che non convincono del tutto Nelson, i due stringono un legame d'amicizia che saprà superare le distanze, il tempo, l'opposta concezione del vivere che essi hanno.
"Nelson era fatto così. Era una stella recisa che vorticava nel vuoto, girando su se stessa senza mai sperare di guadagnare di nuovo una rotta."
Negli anni, Nelson farà esperienze umane davvero toste, pericolose, che lo formeranno come uomo e gli leveranno di dosso quell'aspetto bonaccione e da ingenuo per il quale veniva schernito o allontanato dai coetanei.
Il ragazzo, infatti, decide - una volta raggiunta la maggiore età - di arruolarsi, andando così in missione in vari Paesi, come ad esempio il Vietnam, che lo segnerà molto.
Scegliere volontariamente la strada dell'esercito non è una decisione presa a cuor leggero ma è, per il giovane, l'unica possibilità per sfuggire a una situazione personale e famigliare che gli sta stretta.
Quella di Nelson è una famiglia disgregata: suo padre è sempre stato un uomo instabile emotivamente, che aveva la terribile abitudine di alzare il gomito, di sperperare denaro e di picchiare moglie e figlio.
Fino al giorno in cui abbandona la famiglia per andarsene chissà dove, a rifarsi una vita con qualcun'altra e lasciando il ragazzino e la madre in balia dell'incertezza, senza soldi e senza alcun tipo di sostegno.
Ma l'aiuto arriva per mamma e figlio da parte di una persona morigerata e onesta, che Nelson ha ben conosciuto ai campi Chippewa e il cui sostegno (morale ed economico) farà sì che Nelson possa proseguire negli studi alla'Accademia Militare in vista dell'arruolamento.
Lo ritroviamo ormai uomo nel 1996 e con lui rivediamo anche Jonathan, che ha passato i cinquanta, ha un figlio adolescente di nome Trevor, ha un'amante fissa (la bella Deanna), vuol lasciare la moglie e deve trovare il modo di comunicare tutto questo all'imbronciato figliolo, che tra l'altro disapprova il modo di vivere (da farfallone fedifrago superficiale) del padre.
Trevor è più simile al Nelson sedicenne che al proprio genitore; il ragazzo, infatti, è uno scout convinto, anche nel cuore, e segue con determinazionebi valori di lealtà, giustizia, amicizia, fedeltà ecc... propri dello scoutismo; è innamorato della sua fidanzatina Rachel ed è convinto che ella sia la donna della sua vita nonostante siano entrambi molto giovani e nonostante le prese in giro del padre, che vorrebbe il figlio più leggero, più tendente a godersi la vita e a non ingabbiarla in schemi sociali limitanti e infelici.
In mezzo a loro c'è lui, il buono e saggio Nelson, che senza arroganza ma, anzi, con molta semplicità e umiltà, cerca di dare i propri consigli al padre e al figlio, così che possano imparare a comprendersi e a volersi bene nonostante le divergenze, gli equivoci, le incoerenze (dell'adulto) e le rigidità di pensiero (del giovanotto), i tradimenti e le sofferenze che recano in chi viene tradito.
Ma Butler non si ferma e arriveremo sino al 2019, per conoscere la generazione successiva: Thomas è il figlio di Trevor e anche lui segue (seppur malvolentieri) l'usanza di padre e nonno di frequentare il campo scout.
Come una presenza rassicurante, ritroveremo ancora il vecchio Nelson, che la fragilità senile non ha reso meno coraggioso, onesto, saggio, generoso e pronto a tutto pur di aiutare chi è in difficoltà.
"Il cuore degli uomini" è uno di quei romanzi capaci di trasmettermi una profonda sensazione di pace e tranquillità; c'è qualcosa di confortevole, caldo e buono in questo filo che unisce il racconto delle tre generazioni di padri e figli e che è rappresentato dai campi scout e dalla possibilità che essi offrono di immergersi nella natura primitiva e magnifica, il cui contatto non può che far bene al corpo, all'anima, alla mente.
"...gli scout, come qualsiasi altro codice depositario di moralità, sono solo un insieme antiquato di tavolette di pietra. Le loro parole si fondono nell'oscurità, lavate dalle piogge acide e pronte a dissolversi in sabbia finché non sono solo microscopiche particelle di terreno che scivolano sotto i piedi per l'eternità."
Un contatto che, in un certo senso, riesce a far emergere anche la natura degli uomini, quello che c'è nei loro cuori: il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, le bugie e la verità, l'integrità morale e la disonestà, la trasparenza e l'ambiguità, il coraggio e la vigliaccheria, la lealtà e l'ipocrisia.
Gli uomini di Butler sono stati dei ragazzini con poche o tante insicurezze, popolari o emarginati, con un codice morale sin da giovanissimi o, al contrario, giocherelloni e poco seri, disposti al sacrificio o desiderosi di godere dei piaceri della vita; sono adulti che, crescendo, hanno portato con loro il bagaglio delle proprie fragilità e capacità, della propria coerenza etica o meno e che non smettono, negli anni, di essere semplicemente persone con dei difetti, delle mancanze, delle paure, delle speranze.
Uomini imperfetti e che ci coinvolgono nelle loro vicissitudini proprio per questo.
Se c'è una cosa che apprezzo tanto di questo scrittore statunitense è proprio il suo focalizzarsi sulla sfaccettata e complessa umanità dei suoi personaggi, sulle relazioni tra le persone, sui legami di amicizia, amore, famigliari e sui relativi (e inevitabili) conflitti interpersonali.
Mi piacciono le descrizioni dei luoghi, delle situazioni quotidiane, delle personalità dei personaggi attraverso le loro azioni, oltre che i loro pensieri; la scrittura di Butler è diretta, colloquiale, senza fronzoli ma tanto evocativa, sensibile e, a tratti, poetica; le atmosfere che pervadono questo (e non solo) romanzo sono dolcemente malinconiche e infondono nel lettore quel pizzico di nostalgia per un codice di valori, per un modo di vivere (pensiamo ad es. che i campi scout degli anni Sessanta e, in parte, degli anni Novanta, non avevano il "problema" di distogliere gli adolescenti dal desiderio/bisogno della connessione a internet, dall'uso smodato e compulsivo dei cellulari e dei social, cosa che già emerge nel 2019)più semplice, "rurale", autentico, più vicino alla natura.
Consigliato. Butler è una carezza all'anima e a me trasmette delle emozioni positive di serenità e di nostalgia per un modo di stare al mondo più puro e vero.
Come vi avevo anticipato pochi post fa, ad agosto ho avuto modo di guardare alcune serie, tutte aventi al centro teenager.
Le serie tv in questione sono IL GIOCO DELLA PIRAMIDE (coreana) e NI UNA MAS (spagnola); oggi vi parlo della prima.
Ne Il gioco della piramide ci troviamo in una scuola esclusiva, la Baekyeon Girls' High School di Seoul, dove la quindicenne Seong Su-ji si è appena trasferita, dopo aver cambiato diverse scuole a motivo del lavoro del padre (la madre non è pervenuta), un militare che viene spostato da una città all'altra molto spesso.
L'istituto è una sede staccata e lontana da quella principale e la nuova arrivata si rende conto da subito che in quella scuola le ragazze fanno il bello e il cattivo tempo e hanno un margine di libertà e autonomia piuttosto notevole, per essere in un liceo.
In pratica 'ste figliole sono in una continua ricreazione, il passaggio da una materia e da un prof all'altra/o sembra lunghissimo ed è proprio in questi (eterni) tempi di non studio, in cui in aula mancano gli adulti, che succedono le "peggio cose".
A dispetto di quello che sembra un ambiente allegro e accogliente (tra l'altro total white tipo ospedale o casa di cura), Seong Su-ji capisce subito che le ragazze della sua classe sono molto misteriose, che non danno molta confidenza alle new entry e, soprattutto, tra di loro vi sono gruppetti dai confini abbastanza netti.
Ovviamente, che in una classe si formino delle cricche è più che normale, ma a non esserlo sono le ragioni per cui si formano e il modo in cui si comportano le studentesse.
Su-ji apprende sin dai primissimi giorni che ogni mese, l'ultimo giovedì, in classe si verifica un gioco di gruppo denominato "il gioco della piramide".
Dovete sapere che queste studentesse hanno sempre il cellulare (ultramoderno, of course) a disposizione, lo consultano spasmodicamente e si lanciano messaggi in chat anche in presenza dell'insegnante di turno, senza che la cosa dia il benché minimo fastidio o che l'adulto prenda dei provvedimenti seri.
Ebbene, questo gioco è legato al telefonino, nel senso che per parteciparvi bisogna scaricare l'app creata appositamente (da un'alunna della classe?).
E così, quando Seo Do-ah - la secchiona con gli occhiali rotondi in stile manga, tutta linda e pinta, ricca, taciturna e schiva, che assolve al ruolo di capoclasse-rappresentante - chiede alla nuova compagna se desidera o no partecipare al gioco, scaricando l'app, un'ignara Su-ji accetta.
Sarà l'inizio di un incubo che durerà per tutto l'anno scolastico.
In cosa consiste il gioco: esso si basa su un sistema di voti, grazie ai quali le partecipanti esprimono ciascuna un massimo di cinque nominativi, dando un punto a cinque compagne diverse; non possono votare due volte la stessa persona né possono autovotarsi.
Ovviamente, chi riceve più voti va in cima alla "piramide", e man mano si scala sino ad arrivare alla base (in base ai tanti o pochi voti ricevuti dalle compagne); la piramide virtuale, infatti, è come divisa in quattro sezioni: A, B, C e D.
Chi si trova nella D ha in pratica ricevuto un solo voto e si è "salvato" per il rotto della cuffia.
Salvato da cosa?
Dall'essere una F.
Essere una F è l'incubo di ogni ragazza, quanto meno di tutte coloro che sanno di non rientrare tra quelle più popolari (che solitamente sono anche - guarda caso!!! - le più ricche, le "figlie di papà") e che quindi, ogni fine mese, sudano all'idea di non essere votate da nessuna o di essere tradite dalla compagna che aveva promesso un voto per riceverne almeno uno in cambio a sua volta.
Insomma, essere una F (fuori dalla piramide) significa non avere alcun diritto, alcuna protezione e finire in balia delle compagne delle sezioni più alte, che possono - a discrezione delle "A", le uniche a comandare - infliggere alle sfortunate umiliazioni fisiche, verbali, psicologiche, ogni giorno e quando e come vogliono; i momenti di ricreazione sono i peggiori, proprio perchè, non essendoci il docente, le bulle fanno ciò che vogliono alla compagna F.
Su-ji, in quanto nuova, non riceve alcun voto... per cui è destinata ad essere F almeno per un mese, sino alla prossima votazione.
La ragazza viene immediatamente presa di mira da due-tre B, che cominciano a bullizzarla pesantemente; ma Su-ji non è una codarda e si ribella a questi quotidiani e ingiusti soprusi, anche perché qui non si tratta di tagliare una ciocca di capelli o nascondere l'astuccio...: parliamo di obbligare il bersaglio del mese a ingoiare vermiciattoli schifosi vivi, ad essere umiliata davanti a tutti, picchiata e altre azioni deplorevoli che, solo a guardarle, mi facevano salire il sangue al cervello per il nervoso.
Ma in classe Su-ji non è l'unica F; ce n'è un'altra che lo è, praticamente, sempre: Myung Ja-Eun, che è anche la compagna di banco di Su-ji.
Ja-Eun è l'emarginata della classe, continuo oggetto di prese in giro, scherni e risate perfide, dispetti, e ovviamente percosse e atti di bullismo che sfociano in veri e propri reati contro la persona.
Come mai questa ragazza - sempre silenziosa, discriminata e allontanata come un'appestata, odiata da alcune delle A (tipo Baek Ha-Rin, proveniente da una famiglia agiata e con le mani in pasta ovunque) - non fa nulla per difendersi, per denunciare i soprusi quotidiani di cui è vittima?
Il problema è che le vittime non denunciano e le testimoni o si girano dall'altra parte (tirando un sospiro di sollievo al pensiero che non sono loro le F) o addirittura sono complici.
E gli adulti?, vi chiederete. Possibile che nessuno si accorga di nulla?
Sugli adulti ci sarebbe un capitolo a parte.
La maggior parte degli insegnanti chiude gli occhi davanti a quelle che vengono giudicate come ragazzate, giochetti innocui tra adolescenti; ma a indignare sono soprattutto i genitori delle ragazze A, cioè le più popolari e benestanti, la cui arroganza e sicumera è figlia della consapevolezza di essere intoccabili.
Ad ogni modo, la serie - composta dai dieci episodi della prima stagione - ruota attorno ai tentativi della protagonista di non essere una F, allontanando da sé lo spettro del bullismo pesante che le renderebbe la scuola un inferno.
Ma se all'inizio il suo è uno scopo egoistico (se riesce a farsi delle amiche per ricevere almeno un voto e diventare D, vuol dire che qualcun altro non verrà votata, divenendo la nuova F), per quanto giustificato e legittimo, pian piano diventa qualcosa di più: e se si provasse a far crollare la piramide?
Chi ha stabilito che debbano esserci delle alunne che tiranneggiano sulle altre? Chi ha ideato questo pyramid game basato sul maltrattare i più deboli?
La missione di Su-ji diventerà quella di scardinare i livelli della piramide minandola dalla base, fino ad arrivare in cima.
Ce la farà?
Dovrà scontrarsi con l'omertà, la paura di ritorsioni, i tradimenti, i segreti, avvenimenti del passato che non conosce ancora bene, l'indifferenza di preside, insegnanti e genitori..., non sarà per niente facile ma lei è una tipa tosta, determinata, coraggiosa e andrà avanti per la propria strada, supportata via via da diversi alleati.
Sono molte le riflessioni che scaturiscono nel corso della visione: l'uso eccessivo e ossessivo del cellulare, senza il quale ste ragazze non possono vivere e dal quale dipende il loro benessere e successo a scuola; la presenza di comportamenti sociopatici in adolescenti viziati, abituati a non sentirsi mai dire di no o, al contrario, che vivono a casa situazioni di estrema violenza; la sofferenza che i comportamenti dei bulli - che si sentono forti nell'agire in gruppo, prendendosela con una persona sola - produce nella vittima, che si sente incapace di reagire, denunciare, ribellarsi; la forza del gruppo in senso positivo, quando ci si allea per difendersi, per aiutarsi, per combattere insieme contro i prepotenti.
È una serie che ho cominciato a scatola chiusa, senza averne mai sentito parlare, attratta dal discorso del gioco, che mi ha ricordato un po' la logica malefica di Squid Game.
Bullismo, rapporti di amicizia, discriminazioni sociali, ricchi vs poveri, i poteri forti che allungano i tentacoli dappertutto ricattando e facendo sentire tutto il peso della propria influenza, tendenze suicide, lassismo educativo, disturbi borderline, famiglie disfunzionali, le aspettative dei genitori sui figli, vendetta/perdono...: sono le tematiche che ritroviamo in questa produzione coreana, che io ho guardato con molto interesse e coinvolgimento.
I nomi coreani sono una croce, perché è tutto un cincin, ciucciuà, iangìn, iusul..., insomma su dieci puntate, otto se ne vanno per raccapezzarti coi nomi e associarli correttamente a volti bellini, pelle di porcellana e boccuccia rosa che, diciamolo, si somigliano spesso tra loro.
Non sarà una serie perfetta, i più esperti in materia troveranno sicuramente dei difetti, però io la consiglio ugualmente se vi piacciono i teen drama ambientati a scuola e, in particolare, i korean drama.
Oggi vi presento alcune pubblicazioni che spero possano interessarvi.
La prima è il romanzo di Scarlett Douglas Scott: "La Rondine e i Narcisi", che raccoglie in un unico volume l'inedito "Quando torneranno le rondini" insieme a "La Stagione dei Narcisi" e "Quando i narcisi fioriranno a dicembre".
GENERE: REGENCY – ITALIA/INGHILTERRA 1815-1919
TEMA TRATTATO: relazioni familiari, contesto storico Congresso di Vienna e Battaglia di Ligny, Carboneria italiana.
LA RONDINE E I NARCISI
di Scarlett Douglas Scott
Self publishing
Ebook 2,99 euro
cart. 17,00 euro
417 pp
Agosto 2024
Sinossi
Londra 1815. Le vicende della famiglia Dunford si intrecciano con i venti di guerra in Europa. Rodhry Dunford, figlio del Barone Brecon, è un giovane avvocato che il Reggente ha assunto tra i suoi agenti governativi e insieme al suo migliore amico, il Conte Damian Mersey viene inviato in Austria per infiltrarsi tra la nobiltà delle ambasciate europee per scovare alcuni ricercati dalla Corona Britannica, spie e assassini.
Mersey, osservatore per conto del Reggente, dovrà occuparsi degli intrighi politici che rallentano le operazioni del Congresso di Vienna. Entrambi saranno coinvolti nella battaglia di Ligny, dove perderanno le tracce l'uno dell'altro.
Italia, 1819 Sofia Arisi, figlia di mercanti italiani della borghesia milanese e promettente pittrice, a causa delle sue idee politiche è costretta insieme alla madre Maddalena a lasciare l’Italia e l’uomo che ama, di cui non riesce a ottenere notizie da molto tempo. Considerata una sovversiva, accusata di partecipare ai moti rivoluzionari e braccata dalla Polizia Austriaca, fugge in Inghilterra con sua madre sotto falsa identità.
Il fortunato incontro con un’artista, Vera Martin, la porterà a conoscere il Barone Brecon che la invita a soggiornare nel suo castello in Galles per dipingere il ritratto della sorella Betrys. Maddalena vede finalmente spianata la strada per il successo economico, ma non contenta concorda con il Conte Mersey, amico di Brecon, un matrimonio di convenienza con la figlia. Costretta a obbedire e intrappolata dalle troppe menzogne, Sofia si troverà a un bivio: accettare un matrimonio senza amore o rivelare la sua vera identità?
Una rivelazione che la porterebbe a perdere tutto proprio quando dal passato ritorna l’ombra di un nemico che non ha mai smesso di cercarla dopo la fuga da Ventimiglia.
Ambientato tra l’Italia al tempo dei moti carbonari e l’Inghilterra della Reggenza, La stagione dei Narcisi racconta le vicende di due donne, madre e figlia, e del loro legame possessivo e succube.
Maddalena, rigida e razionale, convergerà le proprie aspettative sulla figlia, la quale, raffigurazione di un archetipo femminile di sottomissione e obbedienza, grazie alla tragedia dell’esilio e all’incontro con un nuovo amore troverà il coraggio di ribellarsi alle convenzioni e a far riemergere la propria forza interiore.
Biografia dell'autrice. Scarlett Douglas Scott è il nome d’arte di Solange Mela, autrice di lungo corso presente nel mondo editoriale da vent’anni. Le sue prime pubblicazioni si concentrano sul genere noir/paranormale con la saga di Savanne in tre volumi, pubblicata prima con Effedue Edizioni e successivamente con Edizioni Domino. Contemporaneamente esordisce con una raccolta di racconti storici ambientati nella provincia di Piacenza che accentrano l’attenzione sulla famiglia Scotti Douglas, opera che le avvale il Premo di Autore dell’anno 2008, medaglia d’argento e Laurea ad Honorem rilasciata dall’Accademia Internazionale “Francesco Petrarca” di Viterbo. Nel 2006 fonda la casa editrice Domino, pluripremiata dal Premio Cittadella e Premio Italia per le opere di genere Fantasy e fantascienza, attiva fino a dicembre 2013. Segue i corsi avanzati di scrittura creativa, sceneggiatura e storytelling condotti da Alessandro Forlani, e i corsi di diritto editoriale dell’Agenzia Letteraria Herzog. Da febbraio 2023 dirige la Collana Editoriale Milos per Pubme.
Proseguiamo con tre opere attese per Stranimondi 2024.
W’UNKER DI ROCCA D’OMBRA
di Adriana Comaschi
Ed. Collana Milos (Pubme) cart. 20,90 euro Ebook: 4,99 euro 648 pp Agosto 2024
GENERE: FANTASY
PUBBLICO DI DESTINAZIONE: adulto. TEMA TRATTATO: difficoltà relazionali, storie familiari, fantasy, romanzo di formazione
SINOSSI
W'Unker di Rocca d'Ombra, Duca della lontanissima Norlandia, tenta l'invasione delle Isole Dorate, la cui disperata resistenza cercherà di spezzare ricorrendo alle sue terribili arti magiche. E quando evoca al suo fianco la paurosa figura del leggendario Negromante, sembra che più nulla possa salvare i Mari Interni dal suo aspro dominio.
Ma contro di lui e il suo malefico padrone si erge Gofrid D'Aurel, il figlio disperso del Condottiero delle Isole, che si è riunito ai Magi e alla sorella.
Al loro fianco si ritrovano la bella e intelligente Solea, Aleja, salita a un'altissima e non desiderata carica, l'ambizioso Nevir Tumish e tutti i popoli e i Signori delle Isole Dorate, ancora una volta chiamati a difendere la fede, la libertà e la civiltà dei loro mari.
L'autrice Adriana Comaschi è nata a Venezia. Ha studiato fino a conseguire la maturità classica e la laurea in Scienze Sociali e ha lavorato per molti anni nei Servizi Sociali del Comune; contemporaneamente, ha insegnato per alcuni anni come docente teorico e pratico nei corsi universitari della sua facoltà. Appassionata lettrice, è stata presto attratta dalla scrittura ed è riuscita a pubblicare un paio di romanzi, racconti e poesie su una fanzine, vincendo segnalazioni e premi, tra cui il Premio Italia 1989 per racconto Italiano su pubblicazione amatoriale con Il Maligno e il Premio Italia nella categoria romanzo fantasy di autore italiano nel 2015 per L'artiglio di fuoco (ciclo del Duca di Norlandia). Ha pubblicato le sue opere con Edizioni Domino, I doni delle Muse, Solfanelli e Tabula Fati. Con Milos ha pubblicato Il Condottiero delle Isole e La Ragnatela e il TeschioMuto.
LE CRONACHE DI GAIA
di Claudia Tonin
Ed. Collana Milos (Pubme)
cart. 24,70 euro
821 pp
Luglio 2024
GENERE: FANTASCIENZA
PUBBLICO DI DESTINAZIONE: adulto. TEMA TRATTATO: difficoltà relazionali, storie familiari, space opera, futuro alternativo
SINOSSI
Le Cronache di Gaia raccontano una storia divisa in tre momenti che immagina il futuro distopico della Terra. Attraverso tre generazioni di donne, si dipana la vita nel nuovo mondo di Gaia, dove il predominio femminile sembra perfetto, ma limita ogni scelta autonoma individuale, preferendo la società al singolo. Nel 2109, sette leader mondiali, guidate dalla scienziata Han Chan Mei, creano le Sette Sorelle Fondatrici e stabiliscono un nuovo ordine mondiale dominato dalle donne, chiamato Gaia. Cinquant’anni dopo, la pace regna sul pianeta unificato, con strutture familiari disgregate e pochi uomini sopravvissuti in colonie protette. Le adolescenti Moira e Nancy crescono insieme, una diventando genitrice e l’altra comandante e pilota di astronavi, mentre Amélie, giornalista, scrive la storia di Gaia e scopre che una nuova resistenza sta emergendo.
Dodici anni dopo, Han Chan Mei e Andrej Kurikov si sfidano in una partita a scacchi, mentre una nuova generazione entra nella lotta. Nel 2197, Johanna e Tashia, terminati gli studi su Marte, si trasferiscono su Gaia per contribuire alla società. Anche Sam e Marco si preparano per il futuro. Sotto il governo di Amélie Rousseau, Europa prospera, ma il vento della rivolta costringe Amélie a tornare su Marte per affrontare Kurikov. La rivoluzione divamperà, travolgendo Marte e Gaia, e mettendo Johanna e Sam su fronti opposti in una guerra che minaccia le vite delle persone a loro care.
L'autrice Claudia Tonin si laurea in Lettere all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2011 esordisce con “Esedion” un romanzo fantasy per ragazzi edito da Linee Infinite Edizioni. Dal 2012 al 2014 pubblica con Edizioni Domino la saga di fantascienza “Le cronache di Gaia” composta dai romanzi: “Pearls”, “Nautilus”, “Marea”. Il romanzo “Nautilus” è stato finalista della IV Edizione 2015 del Premio Ernesto Vegetti. La trilogia completa de “Le cronache di Gaia” torna a essere edita nel 2024 nella Collana Milos di PubMe. Dal 2012 con lo pseudonimo di A.I. Cudil, Antonia Iolanda Cudil, ha scritto molti romanzi d’amore, la sua serie Six Senses è stata pubblicata da Giunti Editore. In self publishing invece pubblica la serie Provence, la serie Pessimi Soggetti e alcuni romance stand alone (Rouge Club, La chiave del mio cuore, Fireworks) e un romanzo storico non romantico, Gallica. Nel 2020 pubblica “Pretty Devil” una commedia romantica ambientata a New York nel mondo dei business angel e che sarà uno dei bestseller di Amazon di quell’anno di cui recentemente è uscito lo spin off Dirty angel. Nel 2021 esce con Triskell Edizioni il romanzo ambientato a Venezia “La sindrome di Rubens”. Ritorna alla commedia romantica con “Il castello sulla collina”, un enoromance ambientato tra i vigneti del prosecco docg di Conegliano e Valdobbiadene. Nel 2024 con la novella “Jasmine” inizia la collaborazione con la Collana Milos dell’editore PubMe. Jasmine è la prima novella della collezione “Le Perle” e viene presentata in anteprima al Salone del Libro di Torino.
DIMENSIONI COESISTENTI
di Max Penna
Ed. Collana Milos (Pubme)
cart. 15,00 euro ebook 3,99 euro 192 pp Uscita
SETTEMBRE 2024
GENERE: FANTASY
PUBBLICO DI DESTINAZIONE: adulto. TEMA TRATTATO: fantasy, realtà alternative, new age
Sinossi
Valeria ed Evelyn, due anime unite dallo stesso destino. Due dimensioni che condividono lo stesso spazio, ma non lo stesso tempo. Folli ricercatori, senza scrupoli, disposti a tutto pur di saziare il loro ego. Una scoperta sconcertante: la tua dimensione non è l'unica, il tempo non è lineare, la morte non esiste.
L'autore. Max Penna, pseudonimo di Massimo Procopio, nasce a Reggio Calabria nel 1979. Fin da piccolo sviluppa una forte passione per diversi interessi, ma l'amore per le Scienze e la Filosofia acquisiscono un ruolo di prim’ordine, e il tempo e la relatività diventano presto il centro delle sue principali riflessioni, illuminate dalla luce notturna di Cassiopea. Consegue la maturità presso il Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci” con ottimi voti e, successivamente, si trasferisce a Torino per frequentare il corso di laurea in Ingegneria Elettronica presso il Politecnico. Ottenuta la laurea, riesce subito a inserirsi in un contesto lavorativo molto stimolante, con il ruolo di progettista informatico, meccanico ed elettronico. Ricomincia quindi a dare sfogo alla sua creatività, in azienda e in privato, sfruttando il tempo libero per migliorarsi e rispondere alle proprie curiosità. Negli anni a seguire, le continue ricerche e gli studi inerenti la Fisica Quantistica, la Filosofia, la Medicina alternativa, la Spiritualità, l’Economia e la Psicologia, gettano le basi per la formulazione di un particolare pensiero: la Scienza non è lontana dallo Spirito ma, anzi, entrambe sembrano essere indissolubilmente legate. Decide di raccogliere le sue deduzioni su carta e inizia a scrivere sperando di poter ispirare il pensiero di quei tanti che vogliono continuare a vivere come eterni bambini, con gli occhi spalancati e pieni di stupore davanti agli incredibili misteri dell'Universo.
In questo romanzo (preceduto da "Texas blues") di Attica Locke, il lettore continua a seguire la storia del Texas Ranger Darren Mathews, impegnato ad affrontare problemi relazionali, sfide personali e professionali, il tutto mentre indaga sulla sparizione di un ragazzino e su dinamiche razziali.
BLACK BLUES
di Attica Locke
Bompiani trad. A. Padoan 336 pp
Levi King è un bambino di nove anni che conosce le regole di casa: sa di dover obbedire a sua madre, che gli ha ordinato di tornare a casa presto e invece lui ha preso una barca ed è andato a fare un giro nel lago Caddo.
E sa anche che trovarsi solo, al buio, nella vastità di quelle acque che sembrano, di minuto in minuto, sempre più minacciose, non può portare a nulla di buono.
E infatti..., immerso nel silenzio, ode un rumore improvviso e... tutto diventa buio.
Di Levi si perdono le tracce e per provare a cercarlo - vivo o, Dio non voglia, morto - lo sceriffo chiama il ranger Darren Mathews.
Darren è un uomo complicato, con una vita piena di difficoltà: è in crisi con la moglie (Lisa), sta cercando di non toccare più l'alcool e ha un rapporto con la propria madre alquanto in bilico.
La donna (Bell) non è proprio la genitrice amorevole e rassicurante che ogni figlio vorrebbe, tutt'altro: è un'opportunista, egoista, inaffidabile, ha sbalzi d'umore repentini e, soprattutto, pare si diverta a creare problemi al figlio.
E Darren è bravo a cercarsene di grossi già da solo!
L'ultimo caso cui ha lavorato gli ha lasciato non poche preoccupazioni, in quanto ha dovuto mentire alla polizia per proteggere un amico (Mack) e ha fatto l'errore di consegnare un oggetto importante per quel vecchio caso (che se venisse fuori, sarebbero guai per la sua carriera e la sua reputazione di ranger) a quella squinternata di Bell, che osa pure ricattare il figlio, minacciandolo di spiattellare all'FBI il ruolo ambiguo di Darren.
Insomma, non c'è pace per quest'uomo che vorrebbe solo fare il suo lavoro con tranquillità e provare a ricucire il legame con la moglie, da cui si è non poco allontanato.
Quando arriva a Jefferson (Marion County), una piccola città sul lago Caddo, nel Texas orientale, si ritrova a indagare sulla scomparsa misteriosa di un ragazzino proveniente da una realtà famigliare che definire "disfunzionale" è un eufemismo.
Lui, Darren, un ranger dalla pelle nera, deve cercare di capire che fine ha fatto questo bambino, Levi, che è il figlio di un pregiudicato, Bill King, in carcere per omicidio e noto per la sua appartenenza all'ABT - l'Aryan Broterhood of Texas - che, si intuisce dal nome, altro non è che un'associazione di razzisti (detta anche Fratellanza ariana) convinti della superiorità della "razza bianca" sulle persone "colorate".
L'odio razziale - e la violenza che ne consegue - è profondamente radicato in questa cittadina, in cui la comunità nera affonda le sue antiche radici e in cui ha convissuto pacificamente accanto ad alcune tribù di nativi americani per tanto tempo, prima che i bianchi venissero a dar loro fastidio.
Darren comincia a far domande, ad entrare nelle case delle persone coinvolte e a far loro domande: conosce Marnie, la giovane mamma di Levi, che purtroppo ha un nuovo compagno - Gil - che è peggio dell'ex-marito e padre dei suoi due figli (Levi, appunto, e la figlia maggiore Dana), vale a dire un ubriacone e un violento.
Conosce la cinica e astuta Rosemary King, madre di Bill King, nonna di Levi: una donna ricca, sicura di sé e molto pericolosa, più preoccupata di far uscire di prigione il figlio delinquente che di ritrovare il nipotino.
E poi c'è Leroy Page, un anziano di colore che dichiara di aver visto il piccolo Levi tornare con la barca e rimetterla a posto; l'uomo è in pratica l'ultima persona ad aver visto lo scomparso e, stando alla sua testimonianza, era vivo e vegeto e non se l'è inghiottito il lago Caddo, per quanto sia insidioso da navigare.
Ma Leroy, ben presto, viene prima sospettato della sparizione di Levi e poi incriminato del suo possibile omicidio; in effetti, Darren - che pure vuol credere a tutti i costi all'innocenza di Leroy - scopre che questi gli ha mentito.
E se dietro la scomparsa di Levi King ci fosse un sequestro e, forse, addirittura un omicidio per scopi razziali?
Potrebbe essere la pista giusta: Levi è il figlio di uno dei capi della Fratellanza ariana, che sta letteralmente perseguitando la comunità nera, rendendo a questa gente la vita impossibile, Leroy compreso.
Potrebbe essere che il vecchio non ce l'ha fatta più a sopportare le angherie dei bianchi e abbia riversato la propria rabbia facendo del male al bambino?
Dopotutto, niente esclude che possa trattarsi di un caso di discriminazione e crimine d'odio "al contrario", cioè dei neri verso i bianchi.
E un'indagine di questo tipo - con questo genere di incriminazione - potrebbe giocare un ruolo notevole nel corso della campagna elettorale che vede impegnato Trump nelle elezioni presidenziali.
In un paese lacerato, dove si consumano crimini e ingiustizie e dove lo stato di diritto non sempre arriva puntuale a far giustizia, Darren deve combattere contro pregiudizi secolari e provare a salvare non solo Levi King, ma anche sé stesso.
"Black blues" è un poliziesco ambientato nel Texas orientale, con al centro i temi della razza, della giustizia, dei rapporti tra le comunità bianche, nere e dei nativi, del rispetto dell'altro, del perdono.
Ho apprezzato non solo le tematiche ma anche il modo in cui sono sviluppati i personaggi, la trama ricca e complessa, la capacità dell'autrice di immergere il lettore nel contesto e di porlo davanti sia a questioni sociali che più personali, riguardanti la sfera privata e famigliare del protagonista.
Darren mi è piaciuto molto perché è un ranger convinto della bontà e necessità del proprio ruolo, ama quella stella sul petto ma al contempo è cosciente che ci sono posti in cui essa non basta affinché la gente lo accetti e lo rispetti.
È un outsider, un uomo pieno di insicurezze, contraddizioni, ha un suo codice etico ma non è irreprensibile e, benché sia fondamentalmente una persona buona e onesta, se deve venir meno ai propri doveri di ranger per proteggere un amico, è disposto a farlo, anche rischiando di mettersi nei guai.
Una lettura densa, ricca di dettagli, dialoghi, introduzione di nuovi elementi atti a creare dinamiche e sorprese, per cui il ritmo narrativo si fa via via sempre più serrato, e quindi più coinvolgente, man mano che il protagonista scioglie ogni dubbio e risponde a ogni interrogativo, fino ad arrivare alla verità.
Mi è piaciuto, anche perché amo i libri che affrontano tematiche sociali; lo consiglio ma voi, a differenza di me, non fate l'errore di leggerlo senza aver prima letto "Texas blues": per quanto Black blues sia di per sé staccato dal precedente, ci sono comunque degli elementi narrativi che rimandano alle vicende raccontate nel primo romanzo.
Citazione
"Non si possono fare tutti quei discorsi d'odio
senza che in un modo o nell'altro finiscano in violenza.
È la natura umana.
A forza di parlarne l'odio ti entra nel cuore,
e una volta che è lì ti autorizza a fare le cose peggiori
Settembre è giunto ma, quanto ad afa, è come se stessimo ancora ad agosto (almeno qui in Puglia).
Ecco le mie letture del mese scorso:
1.IL CAPANNO DEL PASTORE di T. Winton: narrativa australiana - un' amicizia improbabile tra un ragazzo e un vecchio, diversi in tutto ma uniti da una profonda solitudine (3,5/5). SE CERCHI UN ROMANZO CON PERSONAGGI PARTICOLARI SU UNO SFONDO SELVAGGIO.
2. ANIME di M.C. Buoso: romanzo breve su identità e disforia di genere (4/5). SE CERCHI UNA LETTURA BREVE MA DI SPESSORE.
3. OMBRE DI LUCE. LE FIGLIE DI NAPOLIdi G. De Gennaro: romanzo in cui l'amore per l' arte fa da sfondo all' incontro tra il terreno e l' ultraterreno (4/5). PER CHI DESIDERA UNA LETTURA ORIGINALE E MAGNETICA.
4. CONFUSIONE di E. J. Howard: terzo capitolo della saga familiare incentrata sui membri della famiglia Cazalet (4/5). ADATTO A CHI SI SENTE UN CAZALET D'ADOZIONE.
5. LA DIGA di M. McDowell: secondo capitolo della saga familiare a tinte gotiche (4.5/5). SE TI SEI INNAMORATO DI PERDIDO E NON RESISTI AL FASCINO DELL' ENIGMATICA ELINOR.
Per la Reading Challenge ho scelto l' obiettivo LIBRO DI UN AUTORE DEL CUORE:
6. MARE AL MATTINO di M. Mazzantini. narrativa italiana - il dramma di due ragazzi e delle loro madri, costretti a divenire esuli, profughi (4.5/5). BREVE MA INTENSO.
Le mie vacanze, chi mi legge da un po' lo sa, si svolgono in Svizzera, per ragioni familiari.
Nel viaggio di andata, ci siamo fermati a dormire in un hotel in Emilia Romagna, in cui già avevamo soggiornato in passato.
Vi lascio alcune foto delle mie vacanze.
Montecchio Emilia
Svizzera
Di rilevante, in merito alle serie TV, ho visto IL GIOCO DELLA PIRAMIDE e NI UNA MÀS.
Conto di parlarvene in un post a parte!!
Spero che abbiate trascorso una bella estate!💓(◍•ᴗ•◍)❤
Un adolescente fuggito di casa e da un padre violento si imbatte in un anziano prete, "in esilio" in una zona dell'Australia selvaggia e desolata.
Nonostante le differenze d'età e caratteriali, tra i due si instaura un legame, una sorta di amicizia che permette a entrambi, per mesi, di sopravvivere sentendosi un po' meno soli e in balia dei cattivi pensieri.
IL CAPANNO DEL PASTORE
di Tim Winton
Fazi Ed. trad. S.Tummolini 276 pp 18.50 euro
Jaxie Clackton è soltanto un adolescente quando trova suo padre privo di vita nella rimessa della loro abitazione.
Spaventato, il ragazzo scappa via senza avvicinarsi al corpo né preoccupandosi di chiamare qualcuno: vuole solo allontanarsi di là e magari evitare che la gente - polizia in primis - possa sospettare che a far fuori il padre sia stato lui.
Forse Jaxie poteva avere delle (valide) ragioni per uccidere il padre?
Evidentemente sì e chiunque conoscesse i Clackton lo sapeva bene.
Dopo la morte della madre, Jaxie è rimasto solo con un padre - chiamato "affettuosamente" Capitan Segaiolo - estremamente violento e rozzo; l'uomo ha da sempre avuto la terribile abitudine di picchiare moglie e figlio, e quando beveva (ed era un alcolizzato, per cui accadeva spesso) la sua violenza sadica raggiungeva picchi alti, tanto da lasciare, ad es., brutti segni sul corpo del ragazzo. Insomma, non proprio un genitore amorevole, tutt'altro: aggressivo fisicamente e verbalmente, sempre pronto a riempire Jaxie di calci, ingiurie e rimproveri, ci sta che il figlio non abbia versato lacrime per un tipo che non ha fatto granché per farsi amare e rispettare.
La stessa mamma - per quanto le abbia voluto bene - non ha saputo essere una donna pronta a difendere il figlio dalle botte del marito ubriacone, anzi, gli è stata sottomessa fino all'ultimo momento, lasciando il povero Jaxie solo e senza qualcuno che gli dimostrasse cura, protezione e affetto.
Quindi, nel vedere il padre (finalmente...) morto stecchito in garage, Jaxie non può che prendere questa morte accidentale come un'occasione per andarsene, ormai libero da una famiglia che, in realtà, era già smembrata, e soprattutto libero di andare alla ricerca del suo unico amore: la fidanzatina Lee, che gli è stata strappata dagli adulti proprio per porre fine al loro legame, da essi giudicato sbagliato.
Confuso e smarrito, Jaxie prende uno zainetto blu e poche altre cose (una tanica con dell'acqua, un binocolo...), utili per resistere in un territorio aspro e solitario, con la speranza di non morire prima di aver raggiunto Lee; quello che non immagina è che ad attenderlo c'è un vagabondaggio irto di difficoltà e solitudine, lungo distese semidesertiche e alla costante ricerca di qualche albero sotto cui ripararsi.
Nel giro di pochi giorni, la sua avventura assume l'aspetto di una vera e propria quotidiana lotta per la sopravvivenza in uno dei luoghi più ostili del pianeta, in cui c'è tanto da camminare e poco di utile per trovare le forze e proseguire il cammino.
Resistere e non morire di fame e sete in quelle terre ostili è un'impresa non facile, ma per fortuna, proprio quando non gli è rimasta neanche più una goccia d'acqua, i suoi abiti sono ridotti a stracci puzzolenti e il suo fisico è praticamente debilitato, gli capita di notare un capanno che, per quanto non sia in ottime condizioni, è comunque abitato.
Grazie al suo binocolo, Jaxie capisce che nella catapecchia vive un vecchio tutto solo.
L'uomo, quando si accorge del giovanotto - che da ore è acquattato tra i rovi per non farsi vedere ma che lo sta tenendo d'occhio con l'inseparabile binocolo -, lo invita ad entrare per mangiare, bere e lavarsi; diffidente e scontroso, Jaxie non è certo di potersi fidare, ma è consapevole di non avere molte alternative: o accetta le sue focacce, i suoi tè e la sua carne arrostita... o morirà di fame e sete.
Consapevole di come si stia riducendo a uno scheletro maleodorante e privo di energia, e di come non potrebbe mai presentarsi dalla sua Lee in quelle condizioni, Jaxie accetta di farsi ospitare dal vecchio, così può finalmente darsi una sciacquata e mettere qualcosa nello stomaco.
Quella che doveva essere un'ospitata breve, una sosta per poi riprendere il viaggio, diventa una convivenza, governata da una regola ben precisa: nessuno dei due è obbligato a raccontare nulla del proprio passato né deve fare domande impiccione e inopportune all'altro.
Il padrone del capanno si chiama Fintan MacGillis ed è un individuo molto strano; oltre a essere sordo, non fa che parlare e parlare di cose sciocche e inutili, e anche con Jaxie è eccessivamente loquace, riempiendolo di chiacchiere che snervano il ragazzo, che - se potesse - gli tapperebbe la bocca a suon di pugni.
Stando ogni giorno per settimane l'uno accanto all'altro, inevitabilmente i due hanno modo di parlare e conoscersi un po', seppur con le dovute reticenze: Jaxie scopre, ad es., che Fintan è un prete che si trova in quel capanno abbandonato, in cui non va a trovarlo nessuno (se non delle misteriose persone che gli portano cibo, e altre cose pratiche, al massimo due volte all'anno), in esilio per aver compiuto azioni non degne delle tonaca che portava.
Jaxie ne resta sconvolto e indignato: cosa avrà mai fatto quel vecchio prete per meritarsi una vita di completo isolamento, come un appestato da scansare e tener lontano dalla società?
Forse è un bavoso pedofilo??
Il ragazzo è per sua natura già molto diffidente e poco incline a dare confidenza, ma quando il dubbio di star condividendo il tetto con un essere abietto si infila tra di loro, diventa ancora più scorbutico.
Ma non se ne va.
Perché avere un tetto sulla testa, un tè caldo e della carne di capra nella pancia, dei vestiti lavati e asciugati sulla pelle, è sempre meglio che starsene da soli in una zona priva di segni di civiltà e umanità.
E poi, Fintan si sgola nell'assicurargli che no, non si tratta di pedofilia e schifezze simili: ci sono tanti altri peccati che un uomo - prete compreso, purtroppo - può commettere, danneggiando il prossimo, e che lo rendono meritevole di tutta quella solitudine.
Passano i giorni e ad ogni alba Jaxie è intenzionato ad andarsene per raggiungere Lee, ma chissà perché rimanda; un giorno, poi, facendo un giro di perlustrazione della zona attorno al capanno, fa una scoperta che cambierà ogni cosa, per lui e per il vecchio prete chiacchierone.
Come in "Il nido", anche nel presente libro abbiamo un protagonista dal carattere spigoloso, burbero, tendente all'asocialità, anche se qui parliamo di un adolescente dal passato segnato da violenze domestiche, accanto al quale v'è un co-protagonista, anch'egli solitario, che proprio nell'isolamento spera di trovare una specie di espiazione per i propri inenarrabili peccati.
Questa è la storia di un incontro bizzarro tra due individui che, per quanto lontani anagraficamente e per esperienze di vita, uniscono le proprie personali solitudini per tentare di... non dico salvarsi, ma sopravvivere a vicenda, tra una risata sguaiata e un insulto.
Il linguaggio scelto da Winton è assolutamente in sintonia con la voce narrante, affidata a Jaxie: maleducata, scortese, senza filtri, infarcita di parolacce, rozza e molto schietta, caratteristiche che sicuramente rendono il personaggio (che, ricordo, ha comunque quindici anni) e il suo racconto più naturali e genuini.
Anche la scelta di non usare le virgolette nei dialoghi, a mio parere, contribuisce a conferire ulteriore spontaneità al contesto umano, alle parole, agli atteggiamenti e, pur non prediligendola, riconosco che può velocizzare il ritmo della lettura e avvicinare, in modo più "intimo", il lettore al punto di vista del narratore.
Mi è piaciuta l'ambientazione australiana selvaggia, brulla, impervia, che ben riflette sia le personalità dei protagonisti che il loro personale stato di alienazione.
Si affrontano i temi della famiglia, della complessità delle relazioni umane, dell'amore e dell'amicizia, del rapporto con la fede e con Dio.
Confessione: le mie aspettative sul romanzo erano differenti da ciò in cui poi mi sono imbattuta; non più alte o più basse, ma proprio diverse, forse perché mi ero immaginata (a torto, evidentemente) che questo prete avesse un altro tipo di carattere, di vissuto e di "profondità", e invece mi sono ritrovata con un individuo strambo, ciarlone, che del proprio passato da espiare non ha detto granché.
Il finale ha note quasi commoventi, tenere, e lasciano un misto di amarezza e timida speranza.
Non posso dire che mi abbia entusiasmata al 100%, anche se non mi ha tolto la voglia di provare a leggere altro di questo scrittore; non lo consiglierei a chi ha voglia di una lettura leggera e spensierata ma, semmai, a chi ha voglia di incontrare personaggi complicati e ai margini della società.
CITAZIONE
"La prima volta che riesci a capire il cielo, quando realizzi che quelle lune e quei pianeti sono dei posti che esistono davvero, è come toglierti il coperchio dalla testa. I corpi celesti. È bello vedere le stelle, sapete, ma la cosa più pazzesca è pensare che sono lì davvero, e che vivono e muoiono. E quando hai avuto una giornataccia, chiudere gli occhi e pensarci è una gran bella cosa, secondo me."
Essere sé stessi, vivere la propria vita ogni giorno rispettando davvero e appieno ciò che siamo e vogliamo, senza farci ingabbiare in stereotipi sociali e nelle fitte e insidiose maglie dei ruoli predefiniti all'interno della società in cui viviamo. Dare spazio semplicemente alla nostra anima, perché emerga pura e senza paura di essere giudicata e, peggio ancora, condannata da chi dice di amarci.
L'amore, sì.
Perché alla fine è ciò che tutti desideriamo e che ci rende felici e appagati: poter amare ed essere amati
per ciò che siamo.
ANIME
di Maria Cristina Buoso
PlaceBook Publishing 96 pp 10.40 euro (cart.) 4,90 euro (ebook)
Angelo è un uomo ormai maturo che ha deciso di prendere in mano la propria vita ed essere finalmente sé stesso, di lasciare che la propria anima - la propria natura! - venga fuori, senza più il timore di doversi nascondere agli occhi di chi lo circonda e che, se solo sapesse chi è lui veramente, chissà in che modo lo giudicherebbe.
Il giudizio di due persone in particolare egli teme: quello di sua moglie Laura e di sua figlia Andrea.
Ora che ha finalmente deciso di rivelarsi per ciò che è, cosa gli diranno le due donne più importanti della sua vita?
Cosa deve aspettarsi da loro? Disapprovazione? Rifiuto e negazione?
O saranno disposte a continuare ad amarlo nonostante le nuove rivelazioni su di sé che egli sta per confessare?
Maria Cristina Buoso ci fa comprendere, sin dalle prime righe, che stiamo per entrare in una storia in cui l'interiorità e l'aspetto psicologico costituiscono la dimensione principale in cui "viaggeremo" e in cui, con gradualità e delicatezza, ci sposteremo tra ieri e oggi per conoscere i pensieri, i desideri, i timori, la personalità dei tre protagonisti, le cui voci si susseguono e si alternano lasciandoci ogni volta degli importanti frammenti di anima di ciascuno di essi.
Angelo è davanti alla scelta più difficile della propria vita: dire a moglie e figlia che ha deciso di non soffocare più la propria anima, i propri desideri, la propria vera essenza a vantaggio di un'esistenza forse più"tradizionale" e ben vista ma senza dubbio ipocrita; è giunto il momento di non nascondersi più e di afferrare e affermare concretamente il proprio diritto di essere sé stesso.
Finora l'uomo ha vissuto con indosso una maschera che, a furia di tenerla su, gli si è incollata sulla faccia, divenendo la sua unica pelle.
Ma lui ha un'altra pelle - quella vera, che lo rappresenta intimamente - e adesso sente l'urgenza di mostrarla: quel corpo con cui finora si è identificato, non lo sente più come suo, non c'è alcuna corrispondenza (e non v'è mai stata davvero) tra ciò che egli è esternamente e ciò che sente di essere.
Alla scrittrice sono sufficienti meno di cento pagine per affrontare tematiche oltremodo complesse e delicate, che hanno a che fare con l'identità, la disforia di genere, la sessualità, i cambiamenti cui si va incontro quando si decide di intraprendere un percorso di transizione, l'aspetto psicologico ed emotivo legato a questa scelta, i legami famigliari e come essi possano cambiare in situazioni di questo tipo.
L'autrice ha trattato l'argomento con molta profondità, empatia, maturità, ma anche schiettezza e onestà, dando ampio spazio alla sfera emotiva e psicologica, al turbinio di pensieri e sentimenti contrastanti, alle fragilità, alle paure e alle speranze, alle difficoltà, alle mille domande che prendono d'assalto le tre anime in gioco, che al di là di tutti i legittimi interrogativi, dubbi e timori, sentono che ciò che resta e che li lega è sempre e solo l'amore, quello che continuerà ad unirli a prescindere da qualsiasi cambiamento voluto o da accettare.
I tre protagonisti sono di fronte a scelte e dinamiche difficili, grazie alle quali arriveranno a capire cosa è veramente importante per tutti loro e come l'amore debba necessariamente essere accompagnato dalla sincerità, dal rispetto dell'altro e dal desiderio che esso sia felice proprio perché libero di esprimere la propria natura e di manifestare a tutti la propria anima.
Un romanzo che si legge con piacere e che porta con sé spazi di riflessione su tematiche attuali e delicate.
A settembre torna in libreria lo scrittore sardo Piergiorgio Pulixi, con un nuovo romanzo in cui mescola diversi generi - thriller, noir, commedia.
LA DONNA NEL POZZO
di Piergiorgio Pulixi
Feltrinelli 304 pp 17.10 euro USCITA 24 SETTEMBRE 2024
Un dettaglio. È sempre un dettaglio a fare la differenza.
Capita a Cristina Mandas di dimenticare il compleanno del marito.
Che vuoi che sia. Invece, la svista è il primo scricchiolio di una vita che sta per andare in frantumi.
Perché a quarant’anni Cristina non è la maestra, la moglie, la madre, stimata e ben voluta dalla comunità di quel paesino sardo in cui si è trasferita tempo prima.
Dietro la cortina di un’esistenza comune, custodisce un segreto che deve rimanere sepolto nelle profondità di un pozzo.
E così è stato, almeno fino a un particolare colto di sfuggita, fino a quella dimenticanza.
Qualcuno, però, si è accorto che Cristina non è più la stessa, che è sul punto di cedere. Qualcuno rimasto nell’ombra a spiarla per anni.
Lorenzo Roccaforte è stato uno degli scrittori più amati d’Italia e ha anche vinto il Premio Strega. Ora che il successo è volato via a causa della sindrome da pagina bianca, si ritrova ad aver mancato lo status di “solito stronzo”, lui che puntava a rimanere un “venerato maestro”.
Ermes Calvino ha un cognome di peso, nessuna parentela con il grande Italo e un abbonamento premium coi guai. Generoso, legatissimo alla madre e alla sorella, è anche uno sconosciuto scrittore di talento.
Diversi come il giorno e la notte, Roccaforte e Calvino diventano gli involontari contraenti di un patto diabolico: Ermes scrive i romanzi che Lorenzo firma. Lo chiamano ghostwriting.
L’ideatore del piano è Arturo Panzirolli, un ex galeotto che in carcere ha avuto l’idea del secolo: diventare editore!
Sotto la regia di Panzirolli, un Roccaforte senza più speranze è ritornato sulla scena come autore di thriller e podcaster true crime.
Scrittore e ghostwriter si ritroveranno in Sardegna a indagare sulla morte di Cristina Mandas e su un misterioso delitto di trent’anni prima, che sconvolse l’isola.
La drammatica storia di due madri e due figli: una (quella di Angelina e Vito) si inserisce nel quadro dei rapporti che legano l’Italia alla Libia, partendo da quando gli italiani si recarono in Africa spinti dal fascismo, per poi essere cacciati nel 1970 da Gheddafi; l'altra (la storia di Jamila e Farid) ci mostra il dramma della disperazione intrapreso da chi deve lasciare il proprio paese e affrontare i rischi di un viaggio in mare su barche di fortuna, con la speranza di un futuro più roseo.
MARE AL MATTINO
di Margaret Mazzantini
Einaudi 126 pp
Farid è un bambino che vive in Libia e che, da un giorno all'altro, la guerra costringe a scappare via dalla propria casa, da quell'immenso deserto cui è abituato sin da quando è nato, per andare incontro a un'altra distesa, altrettanto infinita e che non ha mai visto prima della fuga: il mare.
"Chilometri di silenzio, solo il rauco motore.È una scena di guerra, di ogni guerra. Umanità deportata come bestiame".
E così, una notte, lasciandosi alle spalle la gazzella che mangiava dalle sue mani e un padre che non rivedrà mai più, il bambino e la sua giovane madre Jamila salgono su un'imbarcazione di fortuna assieme ad altri disperati come loro.
Direzione: Sicilia.
"Farid guarda il mare, limpido e compatto come ceramica azzurr. Cerca i pesci, i loro dorsi, i primi pezzi della vita nuova. Jamila lo bacia, gioca con i suoi capelli. Quanto durerà il viaggio?
Poco, il tempo di una ninna nanna."
In mezzo a quelle onde scure si compie il destino di questa povera gente, che ha dato tutto ciò che aveva per potersi riservare un posto sulla barca.
Ma a che prezzo?
Jamila tiene tra le proprie braccia il suo bambino, e prega e spera che insieme possano giungere a riva, vivi.
Occhi negli occhi, bocca sulla bocca, la gola riarsa dalla sete, non è consentito neppure piangere perché le lacrime della disperazione e del dolore non escono neanche più dagli occhi inariditi; lì, in mezzo al nulla, con solo un gruppo di disgraziati attorno e la distesa del mare sotto, dietro e avanti, una madre tiene stretta la propria creatura, aspettando di toccare terra.
In Sicilia, vicino a Catania, vivono Angelina e suo figlio Vito, un giovanotto inquieto, ribelle, che intrattiene con la madre un rapporto turbolento, fatto spesso di litigi e silenzi arrabbiati.
Angelina vive in Sicilia da quando era una bambina ma si è sempre sentita un po' un'estranea: lei era e resta "l'africana", o meglio "la taliana" che dalla Libia è venuta Italia a rubare case e lavoro agli italiani.
A dire il vero, la stessa Angelina è italiana, solo che alla gente poco importa: è nata e cresciuta in Africa e tanto basta.
Lei e la sua famiglia sono degli ex-tripolini che avrebbero continuato a vivere in Libia se Gheddafi non li avesse cacciati nell'ottobre del 1970.
Un branco di diseredati senza più né casa né patria né appartenenza alcuna, degli sfollati che, costretti a venire a vivere in Italia (il loro Paese, in teoria) divenivano il simbolo di una storia coloniale che si aveva solo voglia di cancellare e non certo di ricordare.
Uomini, vecchi, donne, ragazzi, bambini... colpevoli senza aver fatto niente, fatti sentire degli intrusi da emarginare e da trattare con sprezzante distacco.
"C'è qualcosa nel luogo dove si nasce. Non tutti lo sanno. Solo chi è strappato a forza lo sa.
Un cordone sepolto nella sabbia.
Un dolore che tira sotto e ti fa odiare i tuoi passi successivi".
Angelina cerca di integrarsi a modo suo in questa nuova vita ma le resta dentro un sentimento di struggente nostalgia per la sua vecchia vita in Africa, in cui si sentiva libera e sé stessa.
Vito sa della storia di sua madre e della loro famiglia e dalla genitrice ha preso la stessa irrequietezza di chi sta al mondo ma senza saperci stare, come dei perenni esuli.
Vito ama il mare, nuotare per ore sino a far preoccupare sua madre, che viaggiando per mare ha lasciato la sua Tripoli per venire in Sicilia, e sempre dal mare arrivano barconi di disperati, "letame umano, fuoriusciti per fame, per guerra".
In attesa di capire cosa vuol farne della propria vita, il ragazzo si ferma a guardare quel mare così vasto, e gli sembra, ogni giorno di più, una discarica di avanzi e di barche mai arrivate.
Un giorno Vito fruga e recupera qualche oggetto: sono pezzi di memoria, che testimoniano che tanti poveri esseri umani di cui non si sa neanche il nome, sono passato di lì, hanno vissuto una loro vita prima di perderla nel mare, hanno amato, odiato, sperato, riso, pianto.
Erano nonni, fidanzate, mogli, mariti, fratelli, sorelle, madri con i loro figli.
Mare al mattino sa emozionare e far riflettere, dando voce - seppure in un numero di pagine relativamente modesto - a pochi ma ben definiti personaggi, i cui vissuti emotivi ci arrivano con chiarezza e forza. Il saper esplorare le sfumature dell'animo umano è una delle caratteristiche che più amo di questa autrice, che sa tratteggiare gli uomini e le donne delle sue storie nelle loro complessità, vulnerabilità e punti di forza, così da creare un legame empatico tra essi e i lettori.
Mi è piaciuto molto questo libro ma mi spiace dover realizzare che da questo momento in poi divento ufficialmente "orfana" delle opere di Margaret Mazzantini, avendone letto tutti i libri pubblicati.
Ancora una volta, a colpirmi dritta in faccia è la sua penna schietta e decisa, quel suo modo di scrivere che sa essere crudo e senza filtri nel descrivere realtà umane complesse, dolorose, ferite, e che al contempo riesce, in tanti passaggi, a raggiungere vette di intensità e di lirismo che commuovono.
Mi piace il suo toccare temi profondi e sfaccettati, come in questo caso: l'immigrazione, gli angosciosi "viaggi della speranza" che sono sempre viaggi all'inferno e che, quando non si concludono con un approdo in cui questi nostri simili sono sani e salvi, vanno a riempire di morti innocenti gli abissi del mare; e ancora il rapporto madre-figlio, l'amore, il dolore, l'identità, il legame con la propria terra e le proprie radici.
Lo consiglio a chi desidera leggere un romanzo breve ma emotivamente impattante, dalle cui pagine emergono in modo vivido gli stati d'animo, i pensieri turbolenti, le paure e i sogni di chi è stato costretto, dalla vita, a lasciare, perdere, rinunciare, dare una svolta alla propria esistenza, a volte in cambio di niente.
"...vane diventano le parole ripetute troppe volte. I pensieri sono un gas cattivo".