giovedì 6 maggio 2021

Recensione: ELBRUS di Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa



A fronte del grave problema del surriscaldamento globale - che sta producendo ormai effetti devastanti, tanto da compromettere seriamente la sopravvivenza dell’umanità e di tutte le specie animali e vegetali del pianeta Terra -, un gruppo di scienziati è disposto a sfidare le leggi della scienza, della genetica e dell'etica pur di garantire al genere umano di continuare ad esistere. 


ELBRUS 
di Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa


Armando Curcio Editore
313 pp
La storia è ambientata in un futuro non troppo vicino al nostro presente e, più precisamente, ci si muove tra due differenti periodi: il periodo tra il 2113 e il 2118, e il 2155.

La vita sulla Terra è diventata un problema: i cambiamenti climatici prodotti dal riscaldamento globale hanno determinato nuovi equilibri geopolitici, per cui i paesi prima poco popolati perché più freddi, adesso vivono una situazione di sovrappopolamento e migrazioni di massa; questo porta con sé una problematica non irrilevante in quanto le risorse, che permettono il sostentamento del genere umano nel prossimo futuro, scarseggiano. 

Che fare?
Si è cercato di provare a vedere se fosse possibile la colonizzazione di altri pianeti ma l’esplorazione spaziale ha fallito, finora.

I limiti non risiedono in un insufficiente progresso tecnologico, bensì nelle caratteristiche della natura stessa della specie umana.

Ma, del tutto inaspettatamente, l'aiuto arriva dallo spazio...

Negli anni Settanta del XX secolo gli Stati Uniti avevano sviluppato un programma per la ricerca di vita intelligente extraterrestre: venivano inviati nel cosmo segnali della presenza umana con la speranza che potessero essere captati da altre civiltà.

Ed è quello che succede, ma in modalità che innescheranno una serie di decisioni ed iniziative dalle quali scaturiranno conseguenze dal peso etico e morale non indifferente.

Ad un certo punto, infatti, una nave extra-terrestre, durante uno dei suoi viaggi nel sistema solare, va in avaria; a bordo ci sono degli alieni, che inviano segnali di aiuto, ma i soccorsi giungeranno troppo tardi; moriranno quasi tutti i membri dell'equipaggio, tranne cinque sopravvissuti, che vengono fatti approdare in superficie nella base mineraria dell’EASA (agenzia spaziale).
Col tempo ne sopravvive soltanto uno, chiamato il Viaggiatore, e nonostante egli resti in coma per molti anni, una parte di lui resterà sempre vigile, tanto da riuscire incredibilmente a comunicare con i suoi simili, lontani nel tempo e nello spazio.

Intanto, uomini di scienza molto determinati ed ambiziosi cercano di capire se la presenza di questo essere alieno in coma possa tornare loro utile, in qualche modo; studiando la fisiologia della specie aliena, arrivano ad individuare le caratteristiche genetiche che differenziano gli umani da loro. Le ricerche mostrano da subito una sorprendente somiglianza fra le due specie, in quanto anche le cellule degli extra-terrestri contengono DNA! Attraverso una successiva mappatura genetica, gli scienziati possono compararla col genoma umano e individuare le eventuali mancanze presenti negli esseri umani e capire come conferire loro maggiore adattabilità fisiologica, in vista di future colonizzazioni su altri pianeti del sistema solare.

Per arrivare a questo scopo si renderà necessario prendere delle decisioni eticamente discutibili per dare il via ad un programma speciale di studio e manipolazione genetica.
L'approccio della scienza, in questo caso, è quello di raggiungere un obiettivo ad ogni costo, anche chiedendo a tutti i collaboratori di mettere a tacere la propria coscienza e di partecipare ad un programma scientifico straordinario nel suo genere ma che pone molti interrogativi di carattere etico e morale.

Non tutti gli uomini di scienza chiamati a dare il proprio importante contributo lo faranno a cuor leggero e con l'entusiasmo di chi sta partecipando a un tipo di studi mai affrontato prima di allora e che potrebbe dare una svolta alla propria carriera; tra essi, il genetista David Dunn, ad es., vivrà questa adesione al progetto con un peso sul cuore, metterà a rischio anche il proprio matrimonio e, negli anni, maturerà non pochi rimorsi e tormenti...

Passano gli anni e arriviamo nel 2155, anno in cui conosciamo vari personaggi, come un certo Lubomìr, programmatore ed esperto di realtà virtuale e intelligenza artificiale; cos'ha in comune quest'uomo con un certo Sokolov, stilista impazzito che ha tentato il suicidio in seguito a deliri spaventosi, caratterizzati da allucinazioni vivide che lo portano sull'orlo della follia?

E poi c'è Mark, un individuo particolare, che vive in una base posta sotto il Monte Elbrus (Russia), là dove è collocata la base dell'EASA. Anche lui è ossessionato da fitte alla testa, incubi ad occhi aperti e allucinazioni molto forti, che lo confondono e lo spaventano.

Mark non è come gli altri umani, però: quando si guarda intorno, nella base dove vive, e vede gli altri ospiti con cui condivide l'esistenza, è come se si guardasse nello specchio e vedesse tante copie di sé stesso: sotto l'EASA, infatti, vive una colonia di persone tutte uguali tra loro, dei cloni, concepiti in laboratorio e che costituiscono l’ultima possibilità per garantire all’uomo la continuità della specie, mettendolo in condizione di andare lontano dalla Terra, ormai contaminata dalle radiazioni di una guerra passata e devastante.

"La base sotterranea è un ambiente simulativo, concepito per prepararli alla colonizzazione di nuovi mondi. I coloni della base sono il futuro dell’Umanità e a questo sono addestrati fin dalla nascita."

Ma è davvero così? Qual è l'origine di queste creature, che da decenni hanno  contatti solo tra loro e senza poter mai recarsi fuori dalla base?

Le grigie esistenze di questi cloni vengono scosse da una serie di segnali e messaggi che vengono da qualcuno ad essi strettamente collegato, che si sta mettendo in comunicazione con loro, in una sorta di telepatia empatica.

Le allucinazioni di Lubomìr e Sokolov sono collegate con ciò che sta accadendo ai cloni?
Il giornalista Nigul Leppik è intenzionato a scoprirlo e, partendo da un dato di fatto - i due uomini condividono il medesimo passato: sono stati ospiti di una Fondazione (su cui non girano molte informazioni), poi affidati a delle famiglie.
Forse il punto nevralgico è la Fondazione: cosa accadeva tra quelle mura, che è rimasto segreto finora? 

Insomma, ci sono dei quesiti importanti cui dare risposta, ogni nodo verrà al pettine e, proseguendo nella lettura, aggiungeremo gradualmente ogni tessera al puzzle finale, che diverrà via via chiaro e completo.

È un romanzo di fantascienza/distopico davvero bello, scritto benissimo; all'inizio ammetto di aver avuto qualche piccola difficoltà perché vengono introdotti diversi personaggi in differenti contesti, e quindi può sembrare che ci sia un po' di confusione, ma stando attenti ai due differenti periodi temporali e alle storie dei diversi personaggi principali, pian piano si trova il filo che collega tutto e tutti.

Ho trovato oltremodo interessante tutta la parte relativa alla manipolazione genetica e a come queste modifiche non possano prescindere da interrogativi morali e che, a mio avviso, si racchiudono in questa frase, presente nel libro: 

"Abbiamo giocato a fare Dio e ci deve essere sfuggito qualcosa di mano."

Ecco, tra queste pagine, mirabilmente narrate, emerge tutta la follia e l'intelligenza del genere umano: l'intelligenza di scienziati che riescono a mettere a punto programmi e studi ambiziosi, e la follia per due ragioni: perché questi studi si son resi necessari dopo che la Terra è stata vergognosamente maltrattata, al punto da portare a conseguenze climatiche disastrose per la natura e per l'uomo; e ancora folle perché l'Uomo, nel voler risolvere problemi da lui stesso creati, pretende di voler giocare a fare Dio, non tenendo in alcun conto il rispetto per i propri simili né - nel nostro caso - per specie aliene, che manifestano una capacità di amare, una sensibilità ed un'empatia che l'essere umano, con tutta la sua boria e il suo delirio di onnipotenza, non possiede.

Credo che il fatto di non essere amante del genere me l'abbia fatto apprezzare ancora di più, paradossalmente; lo consiglio, ovviamente in  particolare a chi ricerca questo tipo di letture: non delude le aspettative da nessun punto di vista, a cominciare dalla scrittura precisa, chiara, lucidissima e dalla trama ben articolata, per continuare con l'esaustiva caratterizzazione dei personaggi principali e finendo con le tematiche affrontate.


martedì 4 maggio 2021

Recensione: DA ME A TE di Loredana Falcone



DA ME A TE è un libro di ricette ma lo è in un senso tutto particolare: contiene, certamente, le ricette di piatti della tradizione italiana ma, lungi dall'essere una mera lista di ingredienti e procedimenti culinari, la presenza di aneddoti autobiografici e lo stile colloquiale ed ironico conferiscono al testo  una grande fluidità narrativa che intrattiene amabilmente il lettore.


DA ME A TE
di Loredana Falcone


Ed. Il Vento Antico
101 pp
"Le donne della nostra famiglia, in un’epoca in cui si spendono
migliaia di euro per andare in analisi, hanno curato ansie e depressioni col cibo".

Scrivere un ricettario per la propria figlia come una sorta di messaggio  da inviarle affinché le prelibatezze cucinate dalle donne di casa nel corso delle generazioni non vadano perdute, ma siano tramandate, insieme al racconto di certi simpatici episodi di famiglia legati al cibo: questo è ciò che fa la scrittrice Loredana Falcone in questo bel "ricettario narrativo".

Le ricette di famiglia, che hanno riempito non solo la pancia ma anche il cuore di madri, padri, sorelle, fratelli, nipoti, figli e figlie, diventano l'occasione per raccontarsi e raccontare le proprie radici: sono "storie della nostra famiglia, del nostro modo di percepire il cibo, della nostra capacità di sublimarlo da alimento che nutre il corpo a sostanza che accarezza il cuore".


L'Autrice si rivolge direttamente alla destinataria - la figlia Jessica - spiegandole come cucinare tante buone pietanze, ma - come dicevo - non si limita a fare un elenco di ingredienti e a descrivere il procedimento perché il piatto riesca bene, ma arricchisce ogni ricetta con commenti umoristici, prevenendo simpaticamente eventuali obiezioni della figlia, dandole consigli utili per fare una bella figura ai fornelli, intervallando aneddoti familiari divertenti, molti dei quali fanno riferimento ad errori fatti in cucina che poi sono diventati un modo per ricordare certe marachelle e riderci su assieme.

A dare sapore al tutto ci pensa l'ingrediente fondamentale: l'amore, perché la cucina è amore, e questo elemento è capace di rendere prelibato qualsiasi piatto, magari anche uno non perfetto.

Prendere in mano un ricettario così è un piacere perché a legare ogni ricetta è l'affetto, la voglia di trovarsi insieme a “pasticciare” tra i fornelli, a sentire il ragù "pippiare" in pentola e lasciarsi coccolare dai profumi di pranzetti che "sanno di casa", che ci ricordano le tavolate, piccole o grandi, attorno a cui la famiglia si è sempre riunita negli anni.

Un manuale culinario diverso dal solito, godibilissimo per il tono leggero e simpatico, che ci ricorda piatti tipici della nostra meravigliosa penisola (che quanto a cucina ha di che vantarsi), risultando interessante e molto utile per chi vuol cimentarsi ai fornelli; si spazia dal nord al sud Italia, con un'occhiata anche a qualche leccornia straniera.



domenica 2 maggio 2021

Recensione: SHARON E MIA SUOCERA di Suad Amiry

 

Con l'ironia e l'intelligenza che la contraddistinguono, l'architetto palestinese Suad Amiry racconta, sotto forma di diario, i grossi disagi vissuti durante i quarantré giorni di coprifuoco imposti dai militari israeliani ai residenti di Ramallah nel marzo 2002.



SHARON E MIA SUOCERA.
Diario di guerra da Ramallah, Palestina
di Suad Amiry


Ed. Feltrinelli
trad. M. Nadotti
135 pp
Come si vive in una città in cui la presenza dell'esercito è costantemente "a portata di mano"?
Com'è la quotidianità di chi ha difficoltà a spostarsi, per qualsivoglia motivo, da una città all'altra nei territori occupati, perché deve sottoporsi a continui controlli per "motivi di sicurezza"? Di chi non ha il permesso neppure di andare a prelevare un parente all'aeroporto?

Partendo dai contenuti di corrispondenze via mail tenute in un arco di tempo di più di vent'anni, l'Autrice rievoca la vita quotidiana nella città di Ramallah in Cisgiordania, andando indietro con la memoria ad episodi del passato, tra cui quello doloroso di cercare di tornare nella casa paterna a Jaffa, qualche anno dopo la morte di suo padre (costretto a lasciarla nel maggio 1948). 

La narrazione, procedendo tra presente e passato, esprime tutta la frustrazione per la situazione vissuta, la rabbia impotente nel vedere gli edifici storici buttati giù, lo sconforto per le brutte notizie, il pericolo di trovarsi sotto tiro da parte di soldati israeliani, l'assurdità del suo cane che riceve una carta d'identità di Gerusalemme quando migliaia di palestinesi non potevano averla, la rinuncia ad una cosa semplice come far sistemare la porta della casa della suocera, perché i soldati potrebbero insospettirsi nel vedere gli attrezzi da lavoro del fabbro, e soprattutto le difficoltà derivanti dal prelevare la povera suocera ultranovantenne da casa sua per portarla al sicuro nella propria, durante il coprifuoco, e la successiva convivenza con quest'anziana donna chiacchierona e un tantino petulante.

Tenere un diario "di guerra" diventa un modo, tutto personale, per metabolizzare la realtà e meglio sopportare questa forzata reclusione fra le pareti domestiche: una sorta di terapia per cercare di restare lucida durante quel brutto periodo tra il novembre 2001 e il settembre 2002 (giorno in cui gli israeliani si sono definitivamente ritirati dalla Muqataa, il quartier generale di Arafat).


"Non credo di aver mai capito o perdonato i miei genitori, né le centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti dalle loro case nel 1948, finché mio marito e io non siamo stati costretti ad abbandonare la nostra casa di Ramallah, il 18 novembre 2001, a seguito dell'occupazione del nostro quartiere, alIrsal, da parte dell'esercito israeliano. Data l'intensità delle sparatorie e dei bombardamenti, l'evacuazione è stata inevitabile e così ci siamo trasferiti ad alBireh, a casa dei nostri amici Islah e Saleh. Mia suocera, che nel 1948 è fuggita a sua volta da Jaffa, mi dice: «Ciò che ho sperimentato qui, vicino alla Muqataa, nel settembre 2002, non è stato meno terribile di quanto ho vissuto a Jaffa nel 1948. Da quando sono arrivati è stato uno "shawasher" continuo, un disordine senza fine»."

 
Nel libro emergono gli ostacoli quotidiani, le umiliazioni, l'assurdità - e l'agonia - della vita sotto un'occupazione militare, condizione che inevitabilmente ha portato dal primo momento un disordine continuo, che ha reso di fatto la vita dei palestinesi difficile.

Leggiamo questo breve libro prendendo in prestito gli occhi di Suad, la sua attenzione per i dettagli, il suo riportare con vivacità e dovizia i dialoghi, il suo sguardo acuto e la sua penna ironica e schietta; nel leggere come la donna sia stata "costretta" dal primo ministro israeliano Ariel Sharon a mettere in salvo la suocera (il cui appartamento si trovava vicino al complesso di Ramallah di Yasser Arafat) ci viene da sorridere, perché volutamente l'Autrice racconta fatti, che di per sé non sono affatto divertenti, con un tono leggero, spiritoso, evitando vittimismi e melodrammi (il che non significa che a volte lo stress, la paura, le preoccupazioni ecc... non le provochino crisi di pianto).

Nel trascrivere il presente, il passato si affaccia alla mente e Suad Amiry lo lascia entrare, narrandoci di quando negli anni '80 decise per la prima volta di tornare in Palestina per insegnare architettura alla Birzeit University in Cisgiordania e dei sentimenti che hanno accompagnato questa decisione:


"Ce la stavo mettendo tutta a familiarizzare con l'ignoto. L'inquietudine e l'ansia di andare verso un ignoto che mi era familiare erano troppo forti. Mi era difficile ammettere che della Palestina sapevo ben poco.(...) Io ero nata a Damasco, ero cresciuta ad Amman e avevo studiato a Beirut. D'un tratto mi sono ritrovata a pensare che la mia dimestichezza con la Palestina nasceva dai ricordi dei miei genitori e da qualche sporadica memoria d'infanzia."


Un memoriale breve, scorrevolissimo, dallo stile molto piacevole, che mette a fuoco la complessa situazione vissuta in Palestina attraverso un punto di vista personale (intimo, se consideriamo che il diario non fu scritto per essere pubblicato), raccontando la vita nel proprio quartiere, la commovente storia della propria famiglia e la lotta per vivere una vita normale in un contesto che di normale ha ben poco.
Consigliato!

sabato 1 maggio 2021

LE MIE LETTURE DI APRILE 2021

 

Le mie letture di aprile non sono quantitativamente molte, ma devo dire che, per ragioni diverse, praticamente tutte mi hanno colpito; ad es. mi sono lasciata coinvolgere dalla tormentata ma sincera amicizia tra un palestinese e un israeliano: ho accompagnato Mastro Titta per le strade di Roma per scoprire l'assassino di diversi omicidi; mi sono lasciata cullare dalla dolcezza e dall'intensità di una storia in cui la riconoscenza fa da filo conduttore; ho partecipato al tormento interiore e spirituale di un uomo messo in crisi nel proprio rapporto con Dio...


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  1. DOVE STA IL LIMITE di R. Shehadeh: in che modo l'occupazione israeliana ha inciso sulla vita dell'autore, sulla sua quotidianità, isu suoi rapporti interpersonali e, in particolare, sulla sua amicizia con l'israeliano Henry?
  2. MASTRO TITTA E L'ACCUSA DEL SANGUE di N. Verde: giallo/noir storico ambientati nella Roma della seconda metà dell'Ottocento.
  3. LE GRATITUDINI di D. de Vigan: un romanzo, che riesce ad essere intenso e commovente nella sua brevità e semplicità, è racchiusa la bellezza della gratitudine.
  4. NELLE SUE OSSA di M.E. Gualandris: un giallo "made in Italy" che ruota attorno ad un segreto racchiuso in un mucchietto d'ossa seppellite in una villa semi abbandonata.
  5. LA SIGNORA DELLA NEVE di I. Vecchietti è un racconto ispirato al Sol Levante, con i suoi miti e tradizioni.
  6. CHIARO DI LUNA  di P. Biagioli: una storia d'amore il cui ricordo dolce e nostalgico resiste al tempo, alle distanze, alle circostanze della vita che, se dà, altrettanto toglie.
  7. TRADITO! di S. Telchin: la testimonianza di un ebreo che, attraversando una profonda crisi, riconosce Gesù quale Messia.
  8. IL ROMANZIERE di D. Esposito: metaromanzo che ruota attorno alle innumerevoli difficoltà incontrare da uno scrittore che prova a vivere della propria passione.


Continuo la lettura di 

  • ELBRUS, distopico fantascientifico di Di Clemente, Capocasa;
  • LA CONGIURA DELLE PASSIONI di P. De Sarlo (romanzo storico);
  • SHARON E MIA SUOCERA di S. Amiry (biografico).



CITAZIONI DEL MESE:

"amo le parole, ma l’istinto è quello di custodirle. Ho imparato a maneggiare la loro arte, ma dentro di me è ancora salda la convinzione che alcuni, pochissimi, sentimenti non abbiano bisogno di suoni e non richiedano dialettica. Si espandono nei gesti, cantano nei sensi."

"...i libri parlano dell’umanità e all’umanità, in essi uomo e Storia si riconoscono e rincorrono, e non importa quanto tempo addietro siano stati scritti. Sono immortali."
(Ilaria Tuti, FIORE DI ROCCIA)


CANZONE DEL MESE

OFFESO (Niccolò Fabi)

Dillo pure che sei offeso
Da chi distrugge un entusiasmo
Da chi prende a calci un cane
Da chi è sazio e ormai si è arreso
Da tutta la stupidità
Chi si offende tradisce il patto
Con l'inutile omertà
Rimane senza la protezione del silenzio, dell'assenso
Del "Tanto dobbiamo sopravviverci qui dentro"
Ma quando vivere diventa un peso
Quando nei sondaggi il tuo parere non è compreso
Quando dire amore diventa sottinteso
Quando davanti al sole la mattina non sei più sorpreso, ooh
E allora dillo pure che sei offeso
Dalle donne che non ridono
Dagli uomini che non piangono
Dai bambini che non giocano
Dai vecchi che non insegnano
Ma se hai qualcosa da dire, tu dillo adesso
Non aspettare che ci sia un momento
Più conveniente per parlare
Quando vivere diventa un peso
Quando nei sondaggi il tuo parere non è compreso
Quando dire amore diventa sottinteso
Quando davanti al sole la mattina non sei più sorpreso
Tu dillo pure, tu dillo pure
Tu dillo pure che sei offeso.




giovedì 29 aprile 2021

Segnalazione e recensione: “La Signora della neve” di Ilaria Vecchietti (racconto)

 

“La Signora della neve” di Ilaria Vecchietti è un racconto contenuto nella raccolta "Novelle Giapponesi" di Autori vari (Idrovolante Edizioni, a cura di Durio Detti e Linda Lercari, 250 pp), che - come si intuisce dal titolo - comprende lavori ispirati al  Sol Levante, alla mitologia, alle tradizioni e agli aspetti più dark di questo Paese. In queste narrazioni, il Giappone non è un semplice luogo fisico, ma un altro pianeta in tutto e per tutto.

La raccolta è nata in seguito al contest letterario “Racconta il Giappone” (2° edizione), indetto da Idrovolante edizioni (www.idrovolanteedizioni.it) in collaborazione con il sito Cultora (www.cultora.it).
 

Ne "La Signora della neve" leggiamo di un coraggioso e determinato samurai di nome Hiroji, che parte alla ricerca di una misteriosa creatura grazie alla quale potrà compiere la missione che ha a cuore: aiutare il suo giovane signore Fumihiro ad essere una persona migliore, il cui agire è dettato da nobili pensieri.

Il ragazzo, infatti, purtroppo si comporta in modo malvagio e solo la cosiddetta signora della neve è in grado di risvegliare la bontà e la giustizia che egli sembra aver smarrito nel gelo che attanaglia il suo cuore.

Non sarà facile trovare questa creatura perché nessuno l'ha mai vista, ma un incontro inaspettato con una ragazza speciale potrebbe aiutare il samurai, che ha un animo generoso e un cuore impavido, mantenere la promessa fatta al padre del suo giovane padrone, cioè trasformarlo in un ottimo signore.

È un racconto che, per quanto breve, coinvolge piacevolmente il lettore collocandolo in un tempo e in uno spazio antichi, lontani da noi, affiancandolo al protagonista che parte per quest'avventura; di lui intuiamo la sua bontà, la prontezza a soccorrere chi è in difficoltà, virtù che fanno di lui un samurai disposto al sacrificio pur di riuscire nella sua impresa.


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martedì 27 aprile 2021

Recensione. LE GRATITUDINI di Delphine de Vigan



Grazie è una delle parole più belle che si possano dire e ricevere, ma spesso la si dice senza darle davvero importanza, senza tener conto del grande significato che c'è dietro espressioni di riconoscenza verso qualcuno con cui ci sentiamo debitori.
In questo romanzo, che riesce ad essere intenso e commovente nella sua brevità e semplicità, è racchiusa la bellezza della gratitudine: dei grazie pensati ma mai pronunciati; di quelli rimandati ad un momento più opportuno; di quelli sussurrati con un groppo in gola o tra le lacrime; di quelli comunicati con lo sguardo perché in certi momenti le parole proprio non vogliono saperne di uscire.


LE GRATITUDINI 
di Delphine de Vigan



Ed. Einaudi
trad. M. Botto
131 pp
"Vi siete mai chiesti quante volte al giorno dite grazie? (...) Vi siete mai chiesti quante volte nella vita avete detto grazie sul serio? Un vero grazie. Espressione della vostra gratitudine, della vostra riconoscenza, del vostro debito."


Quanto può essere angosciante e frustrante non riuscire a pronunciare parole semplici, che abbiamo detto per una vita, quotidianamente..., e che tutto ad un tratto sfuggono alla mente e alle labbra, rendendo il parlare un'attività difficile e faticosa?

Michka è un'anziana donna che non trova più le parole; le sta perdendo giorno dopo giorno e questo la innervosisce, la rattrista, la fa sentire imprigionata in una gabbia di parole pensate che si fermano lì, sulle labbra, e non riescono ad uscire correttamente.

Che bizzarra e beffarda la vita! Lei, Michka, che non riesce ad esprimersi! E pensare che per tutta la vita è stata correttrice di bozze per una grande rivista e le parole per lei non sono mai state un problema!

Ma l'età avanzata ha portato con sé uno sgradevole ospite: l'afasia; da allora il suo eloquio ha subito una battuta d'arresto e ora la donna non riesce più a orientarsi nella nebbia di lettere e suoni che si addensa nella sua testa. 

Avendo perso anche la sua autonomia, la donna si è ricoverata in una residenza per anziani; a malincuore, a dire il vero, perché lei sarebbe rimasta volentieri nel suo accogliente appartamento parigino. 

Ma forse è meglio così: in questa struttura riceve assistenza continua, e anche la sua deliziosissima ex vicina di casa, la giovane Marie, a cui ha fatto da seconda madre, è d'accordo con il ricovero, così Michka non rischia di farsi male dentro casa.
Marie vuol bene a Michka e le è riconoscente perché l'anziana s'è presa cura di lei quando era piccolina e s'era ritrovata sola; adesso che è la donna ad essere fragile e bisognosa, Marie è intenzionata a non lasciarla sola, ed infatti va a trovarla in RSA, le fa compagnia, parla con lei e l'ascolta.

Certo, si rende conto di come essere chiusa in questa struttura renda Michka insofferente, triste, però non si può fare diversamente e allora biscottini, sonnellini, uscitine, passettini diventano ben presto la sua quotidianità: giornate sempre uguali, dal ritmo fiacco tipico della vecchiaia, cui si alternano le stravaganze degli altri residenti (da Michka chiamati, causa afasia, «resistenti») e gli incubi infestati dalla temibile e rigidissima direttrice. 

A far compagnia alla sempre più fragile e indifesa Michka, ci pensano non solo le visite di Marie, ma anche le chiacchierate con Jérôme, il giovane ortofonista che lavora nella casa di riposo. 

Il ragazzo, pur restando molto professionale, presto cede alla simpatia irresistibile della sua paziente, che cerca sempre di sottrarsi agli esercizietti volti a stimolare la memoria, le associazioni, l'eloquio, trovandoli faticosi.

Lei preferisce intrattenere il giovanotto chiacchierando amabilmente e facendogli domande personali anche un po' impertinenti, che fanno sorridere Jérôme.

A poco a poco, però, le parole diventano più rare, barcollanti, e, anche se non ha perso la sua ironia Michka è consapevole di non poter deviare né evitare l’inesorabile corso degli eventi. 
Ed è proprio per questo che vorrebbe realizzare un ultimo, importante desiderio, che ha a che fare con la parola grazie: ci sono delle persone, che per lei sono state fondamentali - in un momento delicatissimo della sua vita passata - e che vorrebbe poter ringraziare, prima che sia troppo tardi.

A portare avanti questa piccola missione ci pensano Marie e Jérôme, che sono affezionati alla cara  Michka e vorrebbero alleviarle il cuore (e il tempo che le resta da vivere) da rimpianti e malinconie. 

Questo libro di Delphine de Vigan è molto breve e tanto tanto scorrevole, si divora in un soffio ed è un piccolo ma intenso viaggio nei sentimenti; la narrazione è affidata alle due voci di Jérôme e Marie, ognuno con la propria sensibilità e il proprio affetto verso l'anziana signora.
Lo stile di questa scrittrice si contraddistingue per la grazia e la delicatezza, con la quale tocca, come una carezza, le corde del cuore dei suoi lettori, offendo loro una storia che di per sé non ha nulla di sensazionale, non ci sono sorprese e colpi di scena, ma c'è il racconto di esistenze comuni, straordinariamente normali, che risultano teneri e commoventi proprio per questo.
Mi ha provocato un'incredibile tenerezza e simpatia questa vecchina che fa tanti inevitabili errori nel parlare, che pronuncia le parole in modo sbagliato, se ne accorge ma non sempre riesce a "correggere il tiro"; ci fa sorridere la sua dolce ironia, il suo essere sensibile e acuta nonostante la mente le giochi, col passare dei giorni, sempre più "scherzi".
Tra queste pagine respiriamo il senso della gratitudine, e come dire grazie faccia bene, soprattutto a chi lo dice e lo manifesta.
Se dovessi dire un difetto di quest'opera, è che... è troppo breve e avrei continuato volentieri a gustare la penna lieve e profonda di quest'autrice che con estrema naturalezza parla di sentimenti e ha raccontato una piccola storia che fa bene al cuore. 



"Faccio l’ortofonista. Lavoro con le parole e con il silenzio. I non detti. Lavoro con la vergogna, il segreto, i rimpianti. Lavoro con l’assenza, i ricordi scomparsi, e quelli che riappaiono, evocati da un nome, un’immagine, un profumo. Lavoro con i dolori di ieri e quelli di oggi. Le confidenze. E la paura di morire. Fa parte del mio mestiere. Ma quello che continua a stupirmi, quello che mi lascia addirittura esterrefatto, quello che – ancora oggi, dopo oltre dieci anni di professione – a volte mi toglie il fiato è constatare il persistere dei dolori dell’infanzia. Un marchio a fuoco, incandescente, nonostante gli anni. Che non si cancella."


lunedì 26 aprile 2021

** SEGNALAZIONE FANTASY ** MERAWEN. IL MISTERO DI EOLIN di Davide Napolitano



Buongiorno, lettori!
Oggi vi segnalo un romanzo per ragazzi, appartenente al genere epic fantasy: Merawen. Il mistero di Eolin di Davide Napolitano (Algra editore, 176 pp., 14 euro), dove compaiono spettri, elfi, ma è anche un giallo pieno di mistero, una storia di sentimenti raccontata con umorismo, gioia, ironia.

Per chi ha viaggiato verso Mordor con Frodo e Sam. Per chi ha combattuto a Hogwarts insieme a Harry. Per chi ha conosciuto il Signor Tumnus di Narnia. 

Eolin ama duellare con la spada appartenuta al padre e possiede una particolare inclinazione a infrangere le regole. Non sa ancora di essere la Portatrice, fortemente desiderata dalle forze dell’oscurità che minacciano il ritorno del Tiranno Darza.

La notte in cui ruba un misterioso talismano, il suo destino si legherà a quello di Ben. 
Solo con il reciproco aiuto riusciranno ad affrontare il lungo percorso che li costringerà a scelte difficili e momenti di smarrimento, causati dalla scoperta che è impossibile fuggire dal passato, soprattutto quando ad esso è legata la sorte di un mondo intero, quello di Merawen.

Il libro è disponibile in libreria e, tra alcuni giorni, ordinabile tramite gli store online.


INCIPIT

"Il cielo minacciava tempesta a meridione di Merawen e il gelido vento, che spirava dal profondo sud, istigava le onde del mare a infrangersi contro le falesie della costa rocciosa, portando l’odore di salsedine sino al limitare del bosco.
D’un tratto si udì una voce:
– Padrona.
– Mostrati, Nadir! – una donna ammantata di tenebra si voltò.
– Padrona… – si sentì ancora quella voce, mentre un uomo sgusciò fuori dal bosco e s’inchinò umilmente. Era alto quanto un bambino di dieci o undici anni, ricoperto di stracci, puzzolente e cieco da un occhio. Appariva come un ometto raccapricciante ma, in realtà, nascondeva tanta bontà e dietro il volto tumefatto ne celava un altro, uno diverso, tanto deforme quanto sensibile.
– Non temere, Nadir, pagheranno per il dolore che ti hanno arrecato. – mormorò aspra la donna, accarezzando il volto sfigurato del servo – Non dimenticare che sono stati loro a ferirti, a ridurti in questo misero stato, ma io ti aiuterò. Curerò le tue ferite, proprio come ti ho promesso, anche se non potrò restituire la vista al tuo occhio poiché la logomanzia elfica che l’ha danneggiato, per me, è ancora impossibile da infrangere. Dovrai attendere tempi migliori, mio fedele servitore.
– Grazie padrona, grazie – rispose baciandole la mano.
– Ora basta! Dimmi: sei riuscito a trovare il luogo? – la donna ritrasse la mano disgustata.
– Sì, padrona. L’ho trovato per te."


L'autore.
Davide Napolitano nasce nel 1992 a Vasto (CH), città della costa dei Trabocchi. Diplomato all’Istituto tecnico geometra di Vasto e laureando in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti, ex collaboratore della rivista universitaria “Rombo” nella sezione “Il Cinematografo”. Ha già dato alle stampe il saggio Critica letteraria moderna e contemporanea. Studi critici novecenteschi (2015) e i romanzi Un nemico di parole (2018) e Jamilah (2020). Sue poesie e suoi racconti brevi sono presenti in diverse antologie
.


domenica 25 aprile 2021

Recensione: NELLE SUE OSSA di Maria Elisa Gualandris

 

Il macabro e triste ritrovamento di ossa umane in una villa ottocentesca, bella e disabitata, porta alla luce un omicidio irrisolto e risalente ad almeno quarant'anni prima: a chi appartengono quelle ossa? L'assassino è ancora in giro? 
In questo giallo, ambientato in una cittadina che s'affaccia sul lago Maggiore, una giornalista testarda e piena di passione per il proprio lavoro cercherà ad ogni costo di scoprire la verità che si cela dietro quelle povere ossa e che chiede di essere dissepolta e conosciuta.



NELLE SUE OSSA
di Maria Elisa Gualandris

Bookabook
311 pp
Cosa c'è di più intrigante e "succoso" (per quanto umanamente drammatico) per un giornalista di cronaca nera che il ritrovamento casuale, in una bellissima villa sul lago Maggiore, di ossa umane che sono lì da chissà quanto?

È quello che succede alla trentacinquenne Benedetta Allegri, giornalista, che si fermata presso la dimora incriminata, Villa Camelia, proprio il giorno in cui vengono rinvenute dei resti umani; a trovarli, degli operai durante un restauro nel seminterrato nella villa, commissionato dai proprietari, che però raramente si fanno vedere.

Lo sbigottimento è tanto e turba la cittadina di Pallanza; la notizia non la lascia indifferente Benedetta, che ha sempre sentito una certa romantica attrazione per quella villa grande e lasciata un po' a se stessa, tanto più che essa potrebbe rivelarsi un caso su cui lavorare.

Questa professione, per quanto eccitante, ha innumerevoli "contro": bisogna stare sempre "sul pezzo", avere gli informatori giusti, scrivere articoli intriganti che stuzzichino la curiosità dei naviganti del web (e soprattutto il loco click)... e la concorrenza è ovviamente spietata!
Insomma, precarietà è la parola d'ordine ma, nell'imbattersi nella vicenda delle ossa, Benedetta si rianima e spera che possa essere l’occasione per rilanciare la sua carriera che pare non decollare mai.

Dopotutto, ha dalla sua una penna accattivante, che sa come catturare l'attenzione dei lettori, e ha pure molti preziosi informatori, con cui ha intrecciato rapporti di sincera stima; tra essi c'è l’affascinante commissario Giuliani, la cui arrogante bellezza a volte la irrita ed altre la turba, come non dovrebbe succedere ad una ragazza fidanzata qual è lei.
Benny, infatti, sta con Andre, architetto con una carriera avviata e soddisfacente; ne è innamorata, lui è un punto di riferimento per lei, eppure... ultimamente qualcosa stona nel loro rapporto - che è sempre stati tranquillo - e la ragazza sente di non riuscire a fare progetti di coppia stabili né tanto meno a breve termine.

Ai dubbi sul rapporto con Andre si aggiungono le preoccupazioni per la sorella, che sembra avere  qualche problema col marito; e poi c'è la sua cara amica Viola, avvocato, che si sta lanciando in una conoscenza con un uomo "incontrato" in una chat online.

Fortunatamente per Benedetta, c'è questo caso a tenerle impegnata la mente e le giornate, e lei, con la tenacia e l'intuito che le appartengono, comincia a far domande e a voler capire quali indizi seguire per arrivare all'identità dei resti ritrovati nella villa, vicino ai quali viene trovato un piccolo crocifisso in madreperla, particolare che aiuta la nostra giornalista a dare un nome alla "donna delle ossa": si tratta di Giulia Ferrari, una studentessa scomparsa nel 1978 che nessuno ha mai veramente cercato.

Benedetta non perde tempo e comincia a contattare i genitori di Giulia, fa un salto anche nell'istituto religioso presso cui ella studiava, e tutto per cercare di ricostruire chi fosse Giulia e cosa possa esserle accaduto; emerge che la ragazza aveva un fidanzato di nome Emanuele, anch'egli scomparso lo stesso giorno e su cui a quel tempo giravano voci che lo riconducevano addirittura alle Brigate Rosse.
Forse Giulia s'era messa in mezzo a qualcosa più grande di lei a causa di questo amore con Emanuele? O magari è stato lui ad ucciderla e poi a seppellirla nella villa, fuggendo poi all'estero?

Sapere cosa sia accaduto alla giovanissima Giulia diventa un pensiero fisso per Benedetta, che non esita a mettersi nei pasticci pur di procedere nella propria personale indagine; continua a farlo anche quando non è tenuta più ad occuparsene, attirandosi le ire di molta gente: i proprietari della villa, in primis, e poi di Zanzi, il sostituto procuratore che si occupa del caso e che pare avere una gran fretta di archiviarlo, scegliendo di sostenere l'ipotesi più scontata - far ricadere la colpa su Emanuele -, ma non necessariamente vera.

Benedetta, però, non s'accontenta delle risposte cui sembra giungere con troppa facilità la pista ufficiale, ma intuisce che dietro la sparizione dei due fidanzati ci sia una storia piena di segreti, che lei è intenzionata a svelare.

La sua ricerca le porterà non pochi grattacapi, perché si metterà contro qualcuno che farà di tutto per farle capire che deve smetterla di impicciarsi in questa vecchia storia, e non mancheranno le minacce per scoraggiarla ad andare avanti.

Benedetta è una donna caparbia e determinata, ma lo scoraggiamento fa capolino perchè diversi aspetti nella sua vita sembrano subire battute d'arresto: dal lavoro all'amore alle peripezie legate al caso.
Ma più apprende informazioni su Giulia e più la sua storia smette di essere semplicemente un cold case per diventare un "fatto personale": sapere chi ha fatto del male a Giulia e perché è per Benedetta come aiutare un'amica che ha subito un grosso torto e che merita di ricevere quella giustizia che non ha ancora ricevuto.

La protagonista riuscirà a trovare tutte le risposte che cerca e a non lasciarsi intimorire da chi vorrebbe frenarla nella sua ricerca della verità?

"Nelle sue ossa" è un giallo "made in Italy" inserito in una doppia cornice suggestiva: quella della villa, che dietro la sua aria un po' decadente e romantica, ha custodito al suo interno un segreto drammatico e doloroso; e poi il lago, che "appare innocente e benigno, ma, quando ti
ti inghiotte, ti imprigiona sul suo fondale buio e gelido e non vedrai mai più la luce del giorno."

Un romanzo che mi è piaciuto, che ho trovato molto piacevole leggere, con una narrazione che scorre in modo molto fluido, con un bel ritmo; il lettore giunge gradualmente a sciogliere ogni nodo insieme alla protagonista, che ho apprezzato per la sua personalità sfaccettata, i suoi momenti di debolezza come l'intraprendenza, il carattere deciso, risoluto, che non si arrende davanti agli ostacoli se si prefigge un obiettivo, tanto più se raggiungerlo asseconda una sete di giustizia e verità che merita di essere soddisfatto.

sabato 24 aprile 2021

#pernondimenticare - 24 aprile 1915, il genocidio del popolo armeno



Il 24 aprile 1915 è una data importante per gli Armeni: è la loro "giornata della memoria".

METZ YEGHERN ("il grande male") è l'espressione con cui gli armeni chiamano il genocidio del proprio popolo perpetrato dai turchi, compiutosi tra il 1915 e il 1916, quindi, in pieno primo conflitto mondiale nell’area dell’ex Impero ottomano, in Turchia.
È stato il primo genocidio del XX secolo ma è, forse e purtroppo, uno dei più dimenticati.

Era il 1908 quando i Giovani Turchi (partito politico, attivo in Turchia prima del 1870, volto ad attuare nel paese vaste riforme e a contrastare il predominio delle potenze europee nella vita politico-economica turca, fonte: Treccani) presero il potere, mettendo in atto l’eliminazione dell’etnia armena (presente in quella zona dal 7° secolo a.C.) attraverso una struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S.), diretta da due medici, Nazim e Chakir. 

L’obiettivo era riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa;
poiché la comunità armena di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di uguaglianza, costituiva un ostacolo al progetto di omogeneizzazione del regime, essa andava cancellata come soggetto storico, culturale e politico. 

La notte del 24 aprile 1915, i notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e massacrati.

Si procedette poi al disarmo e al massacro dei militari armeni, costretti ai lavori forzati; poi ci fu la fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sui civili: gli uomini spesso furono fucilati immediatamente, oppure con le donne stuprate in massa.

Ad essa seguirono le terribili marce della morte verso il deserto; gli armeni furono derubati di tutti i loro averi, la quasi totalità di essi perse la vita. 
Tanti di quelli che giunsero nel deserto, morirono e furono gettati in caverne e bruciati vivi, altri annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero.

Diversi bimbi furono risparmiati ma, divenuti proprietà dei Turchi, furono costretti a dimenticare le proprie origini, a "convertirsi all’islam e ad essere trattati come degli schiavi. 
Le giovani donne armene furono tatuate o marchiate nel viso e nelle mani e inviate negli harem. 

In totale, si stima che furono sterminate circa 1.500.000  persone. 

Purtroppo ancora oggi il governo e la maggior parte degli storici turchi negano che nel 1915 sia stato commesso un vero e proprio genocidio ai danni del popolo armeno. Nelle scuole elementari turche circolano libretti nei quali gli armeni vengono definiti come mangiatori di bambini; ma soprattutto, attraverso l'art. 301 del codice penale turco (“Attentato alla turchicità dello stato”), le autorità turche in passato hanno perseguito penalmente tutti coloro (giornalisti, scrittori, editori, professori) che hanno osato fare riferimento al genocidio armeno. 

Nel 2008 l’articolo 301 del Codice Penale Turco è stato riformato anche in conformità a un’espressa richiesta dell’Unione Europea, per cui se col vecchio testo era punibile chi offendeva genericamente l' “identità turca”, attualmente sono punibili solo coloro che offendono lo Stato turco e gli organi costituzionali. 

“Il negazionismo è l’ultimo atto di un genocidio, che lo trasforma in un crimine perfetto”  (Elie Wiesel).



Il pianto di Dio

Quando nello spazio non si era ritirato
ancora il Nulla di questo Universo,
io credo che Dio cercasse qualcosa,
come rimedio alla ferita della noia.

In un istante girò intorno allo spazio,
e non trovò nulla tranne se stesso:
volle un’Essenza della sua Essenza: –
e la sua Essenza fu la sua eco.

Poi ritornando, triste e addolorato,
dal sordo Silenzio e dal cieco Nulla,
anche da loro volle qualcosa, ed essi
diedero se stessi, cioè non diedero nulla.

Quando Egli trovò l’Immensità così vuota,
provò un profondo, crudele dolore:
e sul Silenzio e sul Nulla
pianse dal cuore la sua disperazione.

Cadendo, le sue lacrime lo esaudirono,
formando ogni stella nel cielo: –
e come al Poeta anche a Dio,
per creare, fu necessario piangere.


****


Il carro dei cadaveri

Verso sera per le strade deserte
passa un carro cigolando.
Un cavallo sauro lo tira, dietro
cammina un soldato ubriaco.

E’ la bara dei massacrati, che va
al cimitero degli Armeni.
Il sole al tramonto distende
sul carro una sindone d’oro.

Il cavallo è magro: trascina a stento
il raccolto dei suoi padroni crudeli.
Con le orecchie pendenti, sembra
riflettere intensamente a quanti

secoli servono per arrivare all’ultimo
fienile dei santi mietuti…
E sui muri intorno la sua coda pendente
spruzza sempre, sempre sangue.

E ancora sangue continua a sgorgare
dai cerchi delle ruote,
come se il carro trasportasse rose, come se fosse
dell’aurora il carro di fuoco.

Sono uno sull’altro i cadaveri, il figlio
nei riccioli della madre avvolto.
Uno ha ficcato l’intero pugno
nella calda ferita aperta dell’altro.

E un vecchio con la mandibola in frantumi
fissa gli occhi nel cielo,
dove una maledizione e una preghiera
si mescolano alla nera vendetta.

L’intestino uscito fuori di un altro
penzola giù dal carro:
un cane da dietro l’afferra
e si dedica a divorarlo.

Non hanno più forma né testa: portano
ferite di mille armi.
Il loro corpo è già fratello alla terra:
ecco, vanno al cimitero.

Su di loro nessuno viene a piangere
o a dare l’estremo saluto:
nel silenzio della città solo l’odore del sangue
va attorno con lo zefiro.

Ma nel buio di finestra in finestra
ecco, candele si accendono:
sono le nonne che pregano di nascosto
sulla bara rossa.

E allora su un balcone
esce bella una vergine,
e piangendo lancia un pugno di rose
sul carro che passa.

(Daniel Varujan, vittima del massacro)






Siti consultati:

http://www.comunitaarmena.it/
https://it.gariwo.net/
https://www.lottavo.it/
http://poesiamondiale.blogspot.com/2015/08/daniel-varujan.html
https://www.lasepolturadellaletteratura.it/daniel-varujan-genocidio-armeno/

venerdì 23 aprile 2021

Cover a tema floreale

 


Il post di oggi fa appello al "semplice" gusto estetico; mi hanno colpito queste copertine a tema floreale; la prima e la seconda le trovo molto primaverili, mentre l'altra ha sfumature più calde e sul rosso, che non posso non associare all'autunno e a un che di malinconico.

Voi che ne pensate?  ^_-

Cliccando sui link sarete rimandati alle trame.


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