mercoledì 23 novembre 2022

Esprimi un desiderio

 

Se potessi esprimere qualche piccolo e innocuo desiderio, chiederei per Natale (ma non solo, anche "spalmati" durante il corso dell'anno vanno bene, eh) dei regali librosi.

Oltre a specifici libri e buoni da spendere in libreria, ci sono delle cosine che costituirebbero un regalo gradito. Ma si sa che faccio prima a comprarmeli da sola :-D

Questa copertina, ad es., non è bellina?

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Segnalibro particolare e gattaro


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Per quando rischio di fare le notti pur di finire un libro:







Una raffinata lampada letteraria:

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Una felpa a tema OUTLANDER, ma anche una più generica, a tema libri.

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Un fermalibro per evitare che caschino impuniti su un fianco!


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La borsetta del mio classico preferito:

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lunedì 21 novembre 2022

Serie tv - tra fede e fanatismo ** IN NOME DEL CIELO **

 

Ho appena finito di guardare una miniserie (una sola stagione, sette episodi) ispirata a drammatici fatti di sangue realmente accaduti: IN NOME DEL CIELO (Under the Banner of Heaven).

È tratta dall'omonimo libro-inchiesta "In nome del cielo. Una storia di fede violenta", in cui l'autore, Jon Krakauer, racconta il duplice omicidio di Brenda Wright Lafferty e della figlia Erica, di soli 15 mesi, compiuto nel 1984 nello Utah, maturato in ambiente mormone; a tal proposito, Krakauer esamina anche l'origine e l'evoluzione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (LDS), ramo integralista dei mormoni.

Ideata da Dustin Lance Black, la serie vede nel cast Andrew Garfield,  Daisy Edgar-Jones, Gil Birmingham e Sam Worthington

Si tratta di un crime drama che ripercorre, appunto, gli eventi di quel 1984, quando a Salt Lake Valley, nello Utah, furono trovate morte in casa la giovane mormone Brenda e la sua bambina.

Ad occuparsi del caso è il detective Jeb Pyre, che si ritrova a indagare su questo terribile duplice omicidio; per lui non è un caso come tutti gli altri in quanto egli stesso è di fede mormone e dover scavare nei torbidi segreti della Chiesa alla quale appartiene, lo fa star male, lo fa sentire quasi un traditore.

Purtroppo ciò che scopre non è nulla di edificante; nell'indagare sulla numerosa famiglia Lafferty, grazie anzitutto alle informazioni e all'aiuto di Allen (il più piccolo dei fratelli Lafferty, nonché marito della povera Brenda), emerge una realtà di fanatismo religioso da far accapponare la pelle.

Il racconto del presente - dei comportamenti violenti e assurdi dei Lafferty e di tutto l'odio e il folle fondamentalismo da essi portato avanti con la scusa di servire il Padre Celeste e di fare la Sua volontà sulla terra - si alterna a quello del passato, ai giorni in cui è stato fondato il movimento mormone, ad opera di John Smith.

Ad accomunare presente e passato è purtroppo la violenza: uomini che dicono di credere in Dio, di seguire le Scritture, e che invece sono capaci di architettare e commettere le peggio cose.

In particolare, a dare inizio alla frangia ribelle in famiglia è Dan, che si ribella all'autorità paterna e decide di essere lui il portavoce del Signore, un nuovo profeta, insomma.

Ovviamente non resterà solo nei suoi vaneggiamenti, ma verrà affiancato dagli altri fratelli, non solo carnali - tra cui Ron, che assume, via via che si procede con gli episodi, sempre più importanza nell'evolversi dell'indagine, perché anche lui si farà prendere da un fervore religioso pericoloso - ma anche "in fede".

Questi uomini predicano un ritorno alle origini, ai primi insegnamenti del loro profeta Smith: sì alla poligamia, sì al prendere in moglie addirittura le figlie, sì ad azioni efferate e sanguinose contro chi vuole contrastarli, no all'obbedienza alle leggi dello stato.

La dolce ma decisa Brenda si accorge dal primo momento che la famiglia Lafferty, pur essendo 

la vera Brenda con Erica
"credente", ha modi di fare estremi, troppo conservatori, ma i suoi timori peggioreranno quando capirà che i cognati hanno perso la testa e si credono "dio in terra", tanto da poter decidere chi merita di vivere e chi no.


Cercherà di fermarli? In fondo, anche lei è una devota e sincera mormone, ma vede che i parenti acquisiti si sono incamminati in una strada piena di insidie, che invece di avvicinarli a Dio li sta allontanando, rendendoli cattivi, violenti, vendicativi, prepotenti.

Pyre viene messo seriamente in crisi perché si scontra con una comunità - neanche tanto piccola e isolata - di fedeli ("santi"), fratelli e sorelle, che non ha molta voglia di collaborare, ma anzi queste persone hanno alzato una barriera protettiva per non far trapelare le verità scomode e le usanze discutibili all'interno della loro congregazione.

Perdere lucidità nel corso del lavoro, negli interrogatori, nella ricerca di informazioni, nello scavare nel marcio presente in quella che Jeb considera la propria Chiesa, è quindi un rischio più che concreto; a salvarlo da questo pericolo di viziare le indagini ci pensano anzitutto il collega (un nativo) Bill Tapa, e poi anche il forte senso di giustizia e di onestà che Jeb si sforza di mettere davanti a tutto.

Non lo aiuta il fatto che sia la moglie sia i fratelli della propria comunità non condividano il suo lavoro (per i motivi già detti), ma un poliziotto deve fare il suo lavoro e farlo bene, senza lasciarsi influenzare da convinzioni personali e sentimentalismi sterili, ed è ciò che - non senza sofferenza - farà il detective.

Personalmente sono sempre affascinata dalle storie (se sono vere, ancora di più) in cui la fede è una forte componente e in cui essa diventa un vile strumento, purtroppo, in mano a individui egoisti e invasati che rispolverano dogmi vecchi e ne inventano di nuovi,  e che quasi sempre celano solo una cieca voglia di primeggiare e tiranneggiare, di manipolare gli altri, di imporre la propria voglia insana di far ciò che vogliono dentro e fuori casa, millantando una "chiamata del Signore" che, manco a dirlo, hanno sentito e ricevuto solo loro.

Non per nulla, all'aspetto religioso (che comunque ha delle ripercussioni a livello civile, legale..., come nel caso della poligamia, che non è consentita dalla legge) si aggiunge anche uno di tipo sociale e politico, visto che i fratelli Lafferty si convincono che Dio li voglia esonerare dal pagare le tasse...

Una serie tv che a me è piaciuta, l'ho seguita con interesse perché lascia entrare nei meccanismi - non tutti e non sempre limpidi - e nelle credenze di questa organizzazione religiosa della quale so decisamente poco; gli eventi narrati sono inquietanti e mi ha stupito vedere come in questo stato americano la presenza di mormoni fosse (se lo sia ancora non lo so) tanto forte da pensare di influenzare pure le indagini di polizia (!!!).

Se l'argomento non vi dispiace, provate a darle un'occhiata, anche perché è pure breve ^_-


domenica 20 novembre 2022

★☆ RECENSIONE ☆★ IL TEMPO DELL'ATTESA di Elizabeth Jane Howard ("I Cazalet" #2)

 

Nel secondo libro della saga famigliare "I Cazalet", Elizabeth J. Howard prosegue nel raccontarci la quotidianità dei membri di questa numerosa famiglia inglese che, a motivo dello scoppio del secondo conflitto mondiale, ha dovuto salutare gli anni spensierati fatti di gite, pic-nic e sontuosi pranzetti, per adeguarsi ad una nuova fase della vita, meno serena e accompagnata da difficoltà e preoccupazioni.



IL TEMPO DELL'ATTESA
di Elizabeth Jane Howard



Fazi Ed.
trad. M. Francescon
640 pp
Li abbiamo conosciuti, uno per uno, nel primo volume (Gli anni della leggerezza > RECENSIONE <): il Generale e sua moglie (la Duchessa), i loro quattro figli - Hugh, Edward, Rupert e Rachel, ciascuno con le proprie personalità, i propri stili di vita, i piccoli segreti - e le rispettive famiglie, con mogli, amanti, amiche speciali e prole al seguito.

La guerra è scoppiata, la preoccupazione per le conseguenze di ciò che ha cominciato a compiere Hitler in Europa si fa sentire ed è palpabile, concretizzandosi nell'urgenza di provvedere maschere antigas per tutti in casa, di pensare a dove collocare i bambini nel caso di bombardamenti (la campagna è la soluzione migliore? Di certo lo è rispetto a Londra, no? I più grandicelli...: non sarà il caso di ritirarli dai collegi? E poi i bimbi della casa per orfani di cui si occupa Rachel: anch'essi hanno bisogno di essere salvaguardati e sfamati!), di organizzare il lavoro nella fabbrica di legnami, tenendo conto che Edward e Rupert probabilmente saranno impegnati in prima linea nella guerra (cosa che, effettivamente, accade) e che il Generale - ormai ultra ottantenne - non è più in grado di mandare avanti l'attività, il che significa che dovrà occuparsene il buon Hugh.

Il lettore fa ritorno a Home Place, nel Sussex, per accomodarsi nuovamente accanto agli uomini, alle donne e ai ragazzini che vivono al sicuro tra quelle mura famigliari - amate dagli adulti e a volte mal sopportate dai più giovani - e segue le vicende di tutti, di tre di loro più da vicino.
La narrazione, infatti, si sofferma in particolare su tre giovanissime Cazalet: Louise, Clary e Polly e attraverso i loro occhi osserviamo non solo ciò che succede ad esse personalmente, ma anche le vicissitudini cui va incontro il resto della famiglia, non escluso il personale e l'insegnante privata.

La guerra ha portato timori, domande, un forte senso di smarrimento e precarietà, ha privato tutti di ogni leggerezza per catapultarli in una dimensione esistenziale contrassegnata dalla paura di qualcosa di più grande, di imprevedibile, che potrebbe sconvolgere le loro vite in modo irreversibile o anche solo portare cambiamenti scomodi, sgradevoli.

Il più affascinante dei fratelli Cazalet, Edwardcontinua ad avere il vizietto di volare di fiore in fiore, pur conservando l'amante fissa (Diana); non solo, ma la sua condotta a dir poco disdicevole (per usare un eufemismo) adottata con la figlia maggiore Louise, la ritroviamo anche qui...

Il caro e dolce Hugh si fa in quattro per i suoi, cercando di ottemperare ai propri obblighi imprenditoriali (praticamente da solo) e accettando, suo malgrado, di star molto tempo lontano da casa (a Londra) per lavoro, ma purtroppo, anche quando rimette piede in campagna, la serenità sembra sfuggirgli: sua moglie Sybil, tanto cara e amata, sta vivendo un gravissimo problema di salute; tutti sono preoccupati ma, al contempo, tutti fanno finta di niente (tipico dei Cazalet), continuano a comportarsi come sempre, fingendo allegria e ottimismo quando invece, da soli, versano lacrime di tormento e sofferenza.

"In questa famiglia non c'è verso di parlare delle cose brutte. Io invece credo che bisognerebbe parlarne proprio perché sono brutte."

"Il peggio stava accadendo, e loro si comportavano come niente fosse. Era così che faceva la sua famiglia quando le cose andavano male." 


La stessa Sybil è combattuta: sa che il male che le sta camminando nel corpo è molto grave... ma non sa come comportarsi con i famigliari. Deve dire esplicitamente che ha capito che la situazione è drammatica o deve, per amore degli stessi, mostrarsi serena, positiva, fingendosi ignara delle proprie reali condizioni?

Rupert, l'insegnante pittore - di cui abbiamo appresto i tentennamenti circa il prendere o meno in mano le redini della fabbrica, insieme al padre e ai fratelli -, adesso è di fronte a una prospettiva di gran lunga più pericolosa: la guerra e l'arruolamento in Marina, decisione obbligata che implica lasciare i ragazzi e la moglie, Zoë, che tra l'altro è incinta.
Chiaramente, l'uomo non potrà tirarsi indietro dai propri doveri e questo getterà incertezza e paura circa la sua sorte. Del resto, si sa: la guerra toglie tanto, e non solo in termini di serenità, pace, cibo, comodità... ma, nei casi peggiori, può togliere anche la vita.

Rivediamo anche Rachel, sempre molto impegnata dentro e fuori casa, con i famigliari e con gli orfanelli; anche a lei e al suo rapporto speciale con l'innamoratissima Sid viene dato spazio tra queste pagine.

Se la comprensiva e rassicurante Sybil deve vedersela con una salute che la sta tradendo e col cumulo di emozioni e stati d'animo negativi legati alla malattia, le cognate hanno altro di cui occuparsi.

Villy vive male la vita coniugale: sotterrata ogni velleità artistica legata al ballo, giunta all'età che ha, con un marito sempre via (prima per lavoro, poi per la guerra), tre figli ormai grandicelli e l'ultimo ancora molto piccolo, chiusa in quella grande casa assieme a suoceri, cognate e nipoti, ha l'impressione che le sue giornate siano di un noioso incalcolabile.
A offrirle brividi e fantasticherie su possibili relazioni extraconiugali che la facciano sentire ancora una donna desiderabile, interviene un direttore d'orchestra, oggetto di una alquanto patetica infatuazione. 

Zoë non riesce a darsi pace dopo gli errori commessi e riprendersi dalla morte del bambino che portava in grembo non è facile; i sensi di colpa verso un marito così premuroso e pieno di attenzioni come Rupert l'hanno sfinita e logorata dentro. E proprio quando sembra che le cose si siano sistemate al posto giusto, arriva questa maledetta guerra, che porta Rupe lontano da lei e da Neville e Clary.
E se la felicità dura quanto un battito d'ali, le brutte notizie non di rado viaggiano lungo una linea telefonica: una brutta notizia, riguardante proprio Rupert Cazalet e la sorte cui è andato incontro in guerra, sconvolge tutti, Clary per prima, in quanto è colei che risponde al telefono.

Clary è una dei tre personaggi principali di questo romanzo; è un'adolescente molto intelligente, sveglia, una grande osservatrice, critica e pungente, sincera e senza peli sulla lingua, insomma ha un bel caratterino! Ama scrivere e tiene un diario su cui riporta osservazioni, pensieri e fatti, e che le serve per esercitarsi nella scrittura. Polly (sua coetanea) è la sua migliore amica e le due si confidano apertamente, ci sono sempre l'una per l'altra; questo rapporto molto stretto è un punto di riferimento per ambedue, che sono in fase di crescita e hanno in testa tante domande, perplessità, insicurezze, desideri, paure, aspettative, speranze che però nessun adulto riesce a comprendere davvero, né tanto meno si premura di aiutarle a risolvere eventuali interrogativi.

In questo senso, l'unica figura adulta che viene in soccorso alle ragazze è Miss Milliment, l'insegnante, che col suo fare fermo, saggio ed empatico si assicura la fiducia delle due ragazze.

Clary è apparentemente un tipetto sicuro di sé, quasi un maschiaccio dai modi spicci e dal grande senso pratico, ma nasconde anch'ella fragilità e timori.
L'abbiamo lasciata imbronciata e scorbutica verso la "matrigna" Zoë, ma qualcosa interverrà a cambiare il loro legame e a renderlo più sereno; a dire il vero, tra le due a maturare maggiormente sarà proprio Clary.

Neville continua ad essere un ragazzetto tutto pepe, vivace, che ne pensa sempre una delle sue, pronto a rispondere male tanto alle "femminucce" quanto a quei rompiscatole degli adulti. 

Polly è come la ricordiamo: riflessiva, mite, comprensiva, sempre pronta a dire parole di incoraggiamento a tutti (in particolare alla sua affezionata Clary, nonostante questa a volte sia scontrosa, ma Polly capisce che soffre per il padre); una cosa non le sta bene, però, e su quella riesce ad essere meno accomodante: che le si dicano bugie e la si tratti come una bambina. Non lo è, non più, e certe situazioni delicate le comprende forse anche meglio degli adulti e da loro vuole rispetto e considerazione.

E poi c'è Louise, la diciassettenne alla ricerca del proprio posto nel mondo, che desidera diventare un'attrice e decide di dedicarsi a questo nonostante la famiglia non la sostenga con entusiasmo; di lei, seguiremo l'amicizia con Stella (una compagna di collegio acculturata, dalla lingua sciolta e veloce a commentare ed esprimere giudizi su tutto), il lavoro in una compagnia teatrale e il sorgere dei primi sentimenti amorosi.

"Il tempo dell'attesa" è un romanzo caratterizzato proprio da un tempo, da un periodo in cui ciascun personaggio vive un po' come sospeso, (basti pensare al titolo originale: "Marking time", "segnare il tempo"), aspettandosi che qualcosa di importante accada, nel bene o nel male, e dia un corso decisivo a tutte quelle esistenze che gravitano l'una accanto all'altra - in questa villa di famiglia, come fuori (per chi la lascia temporaneamente).

"Si limitavano a infilare un giorno dietro l'altro senza che accadesse mai niente".


La Howard continua a guidare lo sguardo del lettore in questo piccolo cosmo famigliare, invitandolo ad osservare bene le relazioni marito-moglie (c'è la coppia ormai lontana, non innamorata, che sta insieme per inerzia e per una questione di rispettabilità; c'è quella matura, legata da un amore e da una complicità solidi; c'è quella poco equilibrata, in cui uno dei due è più immaturo; e poi le bugie, i tradimenti, i segreti...), le relazioni genitori-figli (i primi che vedono i secondi sempre bambini da accudire, da rimproverare, a cui ordinare questo o quell'altro; i secondi, al contrario, si sentono ad ogni stagione più grandi, più indipendenti e vogliono essere rispettati come soggetti pensanti e con dei sentimenti, e non come degli sciocchini incapaci di affrontare discorsi seri), quelle tra fratelli e tra amici; è presente la malattia e le reazioni dell'ammalato e dei suoi cari alla stessa (i silenzi, le difficoltà comunicative e il tentare di nascondere delle verità per proteggere l'amato dal dolore); la perdita di una persona cara e l'ineluttabile prova di affrontare questa situazione; non manca l'argomento spinoso degli abusi in famiglia (su di esso l'autrice non si sofferma in maniera estesa, tanto meno 
morbosa); l'affermazione della propria identità, il bisogno/desiderio di individuare e mettere a frutto i propri talenti, di disegnare il proprio cammino in questo mondo già di per sé spaventosamente grande e imprevedibile, reso ancor più complicato dalla guerra in corso, che contribuisce - essa per prima - a mettere tutti in attesa, inducendoli a starsene buoni in una sorta di limbo, aspettando - chi in modo più statico, chi dandosi da fare in ciò che ama - che i tempi migliorino, che i rumori di guerra cessino e che si possa tornare a vivere, ad organizzarsi l'esistenza, a programmare il futuro, a innamorarsi e fidanzarsi, a crescere figli, a trovare un lavoro, a imbandire la tavola come prima.

Il cibo - merende, colazioni, pranzi e cene - occupa, anche in questo libro, il suo bel posto, ma in maniera differente in quanto esso è visibilmente razionato e la povera cuoca deve fare i salti mortali per accontentare i padroni, maneggiando la materia prima a disposizione con parsimonia e perizia.
Una cosa è certa: guerra o non guerra, se ci sono ospiti improvvisi, "si aggiunge un posto a tavola" senza troppi problemi, anche un letto per dormire non manca, e in effetti gli ospiti sono una concreta possibilità davanti alla quale la Duchessa non può tirarsi indietro.

C'è sempre qualche personaggio esterno ai Cazalet che passa per casa a creare qualche dinamica in più: dai vecchi amici di famiglia a Jessica (la sorella di Villy) con i figli, tra cui Angela - che ha lasciato il "nido" per vivere da sola, esperienza sì necessaria per crescere ma ovviamente non priva di problemi e difficoltà legate, in particolare, all'amore - e il giovane Christopher, già conosciuto in precedenza per le sue posizioni di pacifista e che vivrà un periodo delicato dal punto di vista emotivo, ma il soggiorno a Home Place costituirà per lui una buona terapia ricostituente. 

E anche questo secondo libro della serie è filato liscio; come col primo, non posso dire di averlo letto trattenendo il fiato e di corsa, perché è una lettura che si gusta pian piano ed è proprio il ritmo languido e lento a richiederlo; la scrittura è sempre accurata, minuziosa,  attenta ai dettagli, capace di tenere il lettore concentrato su ciascun personaggio di volta in volta, senza dimenticare gli altri e senza creargli confusione.
Ci si affeziona ai componenti di questa famiglia inglese: ci fanno sorridere, emozionare, intenerire, scuotere il capo e, pur dalla nostra prospettiva privilegiata di spettatori esterni, ci sentiamo un po' Cazalet anche noi.

Riconfermo il mio parere sulla saga: da leggere, in special modo se vi piace il genere.

sabato 19 novembre 2022

"...chi scrive una cosa la possiede"




Un passaggio molto bello sul potere della parola e sulla meraviglia della scrittura, e che ci ricorda quanto prezioso sia il tempo trascorso a imparare e di come questo ci permetta di far nostre, di possedere le cose che apprendiamo.

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"L’universo è nato gradualmente da parole. 
Così la scuola è diventata il fertile terreno di gioco dell’immaginazione. Ci andavi di corsa con la gioia di uno a cui è stato promesso il dono della scoperta, non soltanto per mandare a memoria la lezione, ma per acquisire la capacità di nominare le cose. Tutto quel che era lontano, si avvicinava. Tutto quel che era sigillato, si apriva. (...)
Anche il cielo è diventato di tua proprietà quando non hai più sbagliato a scriverlo nel dettato. Tutto quello che le tue manine non riuscivano a raggiungere, cadeva in loro possesso se lo scrivevano bene, senza sbagli, poiché chi scrive una cosa la possiede." (...)

Ecco le lettere, sono a tua disposizione, strappale dunque alla loro neutralità e giocaci come il conquistatore nel delirio d’onnipotenza. Lettere irrequiete, affamate d’immagine, mentre l’immagine è assetata di significato. Lettere come vasi vuoti, riempile dunque con l’insonnia della prima conquista. Lettere come muto richiamo nei sassolini sparsi sul selciato del significato. Sfrega lettera contro lettera e nasce una stella, avvicina una lettera a un’altra e ascolta il rumore della pioggia, metti lettera su lettera e trova il tuo nome disegnato come una scaletta."

Una trilogia palestinese, Mahmud Darwish

mercoledì 16 novembre 2022

** RubRicordando ** José Saramago



José De Sousa Saramago nasce il 16 novembre 1922 nel villaggio di Azinhaga, nella provincia di Ribatejo, in Portogallo, in una famiglia di contadini poveri; sono i suoi nonni analfabeti, con cui trascorreva le vacanze, ad introdurlo al folklore e alla fantasia.
La sua famiglia si trasferisce a Lisbona nel 1924, dove suo padre trova lavoro come agente di polizia; le difficoltà economiche non finiscono e questo fa sì che all'età di 12 anni José venga spostato da una scuola di grammatica a una scuola tecnica.

La parola "Saramago" (lett. "ravanello selvatico" in portoghese) era in realtà il soprannome di suo padre, ma fu per sbaglio aggiunto sul certificato di nascita e quindi divenne il suo cognome.

Dopo aver completato gli studi, il giovane Saramago intraprende vari lavori, come meccanico d'auto, metalmeccanico, traduttore, giornalista e assistente redattore di un giornale, fino a quando inizia a scrivere a tempo pieno.

Il suo primo romanzo, "Land of Sin", viene pubblicato nel 1947, originariamente intitolato "La vedova"; il successivo romanzo, "The Skylight", vedrà la luce solo dopo la sua morte.

Nel 1944 sposa Ilda Reis, una dattilografa della compagnia ferroviaria, dalla quale ha una figlia nel 1947, Violante.

Verso la fine del 1950 trova lavoro come direttore di produzione presso una casa editrice, "Estudios Cor", che lascia nel 1971 per unirsi al giornale 'Diario de Lisboa' come redattore; due anni dopo passa al "Diario de Noticias" come vicedirettore.

'Lavora anche come traduttore, attività che lo vedrà impegnato dal 1955 al 1981.

Per 19 anni rimane fuori dal mondo della scrittura, al quale torna nel 1966 pubblicando la sua prima raccolta di poesie intitolata "Le poesie possibili".

Nel 1969 divenne membro del Partito Comunista Portoghese, cui resta associato per il resto della sua vita.

Sulla scia della rivoluzione dei garofani del 1974,  si vede costretto a lasciare il lavoro e si dedica  definitivamente alla letteratura. I suoi due libri – "L'anno Mille993" (1975) e "La notte" (1976) sono stati ispirati da questo processo rivoluzionario.

"Baltasar e Blimunda" (1982), una storia  ambientata in Portogallo nel 18° secolo durante l'Inquisizione spagnola, è il romanzo con cui Saramago raggiunge la fama internazionale.

Nel 1988 sposa Pilar del Rio, una giornalista spagnola.

Nel 1991 pubblica "Il Vangelo secondo Gesù Cristo", criticato dal governo conservatore portoghese perché "offendeva le comunità cattolica ed ebraica". L'opera voleva essere una sorta di riscrittura della vita del Messia alla luce dei Vangeli ritenuti dalla Chiesa apocrifi, confrontati con i vangeli sinottici.
Deluso dalla risposta della gente al suo "Vangelo", lascia Lisbona e si trasferisce a Lanzarote, un'isola delle Isole Canarie, in esilio simbolico autoimposto, con sua moglie.

Alcuni dei suoi altri lavori importanti sono: "Cecità" (1995), "Tutti i nomi" (1997), "L'anno della morte di Ricardo Reis" (1984), "Le intermittenze della morte" (2005), "Il viaggio dell'elefante" (2008) e "Caino" (2009).

Oltre a oltre 20 romanzi, Saramago ha scritto e pubblicato saggi, racconti per l'infanzia, opere teatrali e poesie; nel 2006, ha completato un memoir incentrato principalmente sulla sua infanzia e sulle difficoltà che affrontate quando viveva in povertà.

In un articolo pubblicato sul quotidiano spagnolo “El Pais” nell'aprile 2002, lo scrittore viene accusato di antisemitismo da tutta la comunità ebraica per aver dichiarato: 

«Vivere nell'ombra dell'olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza passata, mi sembra un eccesso di pretese. Evidentemente non hanno imparato molto dalla sofferenza dei loro genitori e dei loro nonni (...) Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi di concentramento nazisti, che furono perseguitati per tutta la Storia, che furono trucidati nei pogrom, che marcirono nei ghetti, mi chiedo se questa immensa moltitudine di infelici non proverebbe vergogna per gli atti infami che i suoi discendenti stanno commettendo. Mi chiedo se il fatto di aver sofferto tanto non sarebbe il miglior motivo per non far soffrire gli altri.»

«Quello che sta accadendo in Palestina è un crimine che possiamo paragonare agli orrori di Auschwitz»


Nella sua carriera ha vinto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Nobel per la letteratura nel 1998, primo scrittore di lingua portoghese ad essere insignito di questo prestigioso premio.
Nel 1999 viene istituito il Premio Letterario biennale Josè Saramago.

Malato di leucemia, muore il 18 giugno 2010 a 87 anni. Il suo funerale si è tenuto nel centro di Lisbona il 20 giugno, metà delle sue ceneri vennero portate ad Azinhaga, mentre l'altra metà fu posta sotto un ulivo nella sua casa di Lanzarote, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.

AVETE LETTO QUALCOSA DI QUESTO SCRITTORE?
 ANCORA NO, PER CUI ACCETTO VOLENTIERI CONSIGLI ☺📚


POESIE

NON IMPORTA QUANTI ANNI HO

Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma,
ma con l’intento di continuare a crescere.
Ho gli anni in cui si cominciano ad accarezzare i sogni con le dita
e le illusioni diventano speranza.
Ho gli anni in cui l’amore, a volte, è una folle vampata,
ansiosa di consumarsi nel fuoco di una passione attesa.
E altre volte, è un angolo di pace, come un tramonto sulla spiaggia.
Quanti anni ho, io? Non ho bisogno di segnarli con un numero,
perché i miei desideri avverati,
le lacrime versate lungo il cammino al vedere le mie illusioni infrante valgono molto più di questo.
Che importa se compio venti, quaranta o sessant’anni!
Quel che importa è l’età che sento.
Ho gli anni che mi servono per vivere libero e senza paure.
Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
Quanti anni ho, io? A chi importa!
Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento.


COME IL MARE

Cos’è il mare? Distanza smisurata
di larghi movimenti e di maree,
come un corpo assopito che respira?
O questo che da presso ci raggiunge,
battito blu su spiaggia scintillante,
dove l’acqua si fa aerea spuma?
Amore è forse la scossa che percorre
turgide vene nel rossor del sangue
e tende i nervi come fosse lama?
O forse questo gesto indefinibile
che il mio corpo trasporta verso il tuo
quanto il tempo ritorna al suo principio?
Come il mare, l’amore è pace e guerra,
ardente agitazione, calma profonda,
lieve sfiorar di pelle, unghia che segna.


Articoli consultati



lunedì 14 novembre 2022

Ultimi acquisti in libreria 📚

 

Nell'augurarvi un buon inizio di settimana, condivido con voi i miei ultimi acquisti librosi 📚


LA PRIGIONE PIÙ GRANDE DEL MONDO di Ilan Pappè (Fazi Ed., trad. M. Zurlo, 400 pp., 20€).

.

Dall’autore di La pulizia etnica della Palestina, uno sguardo incisivo sui Territori Occupati, che riprende la storia da dove si era interrotta nel precedente libro. Il noto storico israeliano, attingendo a ricerche d’archivio rivoluzionarie, documenti di ONG e resoconti di testimoni oculari, rivolge la sua attenzione all’annessione e all’occupazione di Gaza e della Cisgiordania.

In questa esplorazione completa di uno dei conflitti più prolungati e tragici del mondo, Pappe utilizza materiale d’archivio recentemente declassificato per analizzare le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici, nonché lo stesso processo decisionale, che hanno gettato le basi dell’occupazione.
Da un’indagine sulle infrastrutture legali e burocratiche messe in atto per controllare oltre un milione di palestinesi, ai meccanismi di sicurezza che hanno imposto vigorosamente quel controllo, Pappe dipinge un quadro di ciò che è a tutti gli effetti il più grande carcere del mondo.

♠♥♣♦

NEL BOSCO di Tana French (Einaudi, trad. M. Benuzzi, 512 pp., 14.50€)

Un pomeriggio di agosto, tre ragazzini

.

scendono dalle loro biciclette per andare a giocare nel bosco lì vicino, e la sera non fanno ritorno a casa.
Soltanto uno di loro viene ritrovato, in stato catatonico, avvinghiato a una grossa quercia, le scarpe da ginnastica sporche di sangue.
Non ricorda niente di quanto è accaduto e dei suoi compagni non c'è alcuna traccia.

Vent'anni dopo, Rob Ryan, detective della Omicidi della polizia di Dublino, viene incaricato di indagare sull'uccisione di una ragazzina di dodici anni.
Ma, nel raggiungere la scena del delitto, si rende conto che il suo passato traumatico è legato proprio a quello stesso bosco:  è giunto il momento per lui di affrontare i fantasmi che popolano la sua mente.

🔵🔶🔴🔷

LA MASSERIA DELLE ALLODOLE di Antonia Arslan (Rizzoli Ed., 233 pp.).

Ispirato ai ricordi familiari dell'autrice, il

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racconto della tragedia degli armeni e la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute.
La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell'Anatolia, dove nel maggio 1915, all'inizio dello sterminio degli armeni da parte dei turchi, vengono trucidati i maschi della famiglia, adulti e bambini, e da dove comincia l'odissea delle donne, trascinate fino in Siria attraverso atroci marce forzate e campi di prigionia.
In mezzo alla morte e alla disperazione, queste donne coraggiose, spinte da un inesauribile amore per la vita, riescono a tenere accesa la fiamma della speranza; e da Aleppo, tre bambine e un "maschietto-vestito-da-donna" salperanno per l'Italia...







sabato 12 novembre 2022

// RECENSIONE // PUTIN, L'ANGELO DI DIO di Giovanni Boschetti



Due angeli, dalla loro dimensione celeste e senza tempo, osservano gli esseri umani e il loro agire nel corso della storia, e si ritrovano a fare delle amare considerazioni su quanto male ci sia sulla Terra, su come l'allontanamento da Dio e il disprezzo di ogni spiritualità abbiano condotto gli uomini a farsi la guerra, ad ammazzarsi a vicenda.
Quali e quante possibilità ci sono perché l'Uomo rinsavisca e smetta di scegliere la strada della violenza?


PUTIN, L'ANGELO DI DIO 
di Giovanni Boschetti 



Edizioni Brè
134 pp
Salathiel e Kranithel sono due creature angeliche, vicine al Creatore ma anche al genere umano, del quale osservano e soppesano, attentamente e con viva partecipazione, le azioni.
Le malefatte come i gesti lodevoli, le virtù come le colpe. 

I due angeli vedono che c'è una guerra in atto (e non è certamente la sola) in uno specifico luogo della terra: l'Ucraina è stata attaccata dalla Russia di Putin.

Questo ha generato inevitabili meccanismi perché l'Occidente si è immediatamente schierato al fianco dell'Ucraina per aiutare il suo popolo a difendersi dall'aggressore.

Lungi dal volersi schierare e dal giustificare qualcosa che SEMPRE è deprecabile - la guerra - e lo è a qualsiasi latitudine, l'Autore immagina i suoi protagonisti che dibattono accoratamente su cosa abbia portato a questa invasione da parte della Russia, che da sempre considera l'Ucraina una sorta di patria spirituale e, quindi, una parte inseparabile di sé.
Cederla alle mire dell'Occidente colonialista? Giammai!

Le riflessioni di Salathiel e Kranithel partono "da lontano": gli uomini (come del resto, prima di essi, Lucifero e gli angeli ribelli che lo seguirono) hanno preferito allontanarsi da Dio, agire come se Egli non esistesse, preferendo un modello di vita privo della dimensione spirituale, in cui a contare e a muovere le loro azioni erano la cupidigia, il potere, il danaro...
Col tempo e con l'avanzare del progresso tecnologico e scientifico, l'uomo non ha fatto che tenere Dio sempre più fuori dai propri disegni, e non solo: Dio è diventato un argomento di scherno, "qualcosa" attorno al quale ridacchiare e da sbeffeggiare.

Ma tranquillo, lettore, questo non è un manuale per il catechismo e i due amici toccano tematiche oltremodo attuali e concrete, "terrene": che dire di come l'Ovest si sia fatto portavoce di presunte idee di libertà e di uguaglianza, "predicando" e diffondendo un altro tipo di "religione", quella del più sterile consumismo? 
Senza Dio, senza regole, senza etica, senza nulla a moderare e frenare gli impulsi degli individui, in balia della chimera della "libertà assoluta", dove è diretta l'Umanità tutta?

La globalizzazione, riflettono gli angeli,  non ha portato a delle reali conquiste in termini di libertà e, semmai, si è  accompagnato ad una sempre più pericolosa cancellazione delle identità culturali e religiose e a una scialba rivendicazione delle comuni radici cristiane.

Per contro, notano gli angeli, c'è chi - "quelli dell'Est" - ha tentato di arrestare l'avanzata di questa progressiva crisi dei valori e il diffondersi di un sempre maggiore vuoto spirituale.

«È tosto questo capo orientale, fa di tutto per mantenere la presenza di Dio all'interno del suo popolo" (...)»
« Se lui difende i nostri valori, gli altri, invece, cosa fanno?»
« Anche gli altri popoli dell'ovest della Terra sono convinti di volere Dio, ma lo fanno con un certo lassismo. Sotto questo profilo, sono meglio quelli dell'est».
« Sì, ma la guerra... ti rendi conto? Ammazzare innocenti, donne e bambini...»

Gli angeli, nel riportare il pensiero di terzi (fra cui artisti e uomini politici) manifestano opinioni diverse e contrastanti sulla controversa figura di Vladmir Putin, della cui vita vengono  menzionati alcuni fatti principali e, soprattutto, come egli abbia "...riproposto ai massimi livelli la "cristianizzazione" come matrice identitaria della Russia, della sua forza e del suo protagonismo storico".

L'autore ha scelto la forma del romanzo breve per sottoporre ai suoi lettori una disamina senza sconti e senza ipocrisie sugli errori in cui incorre da sempre l'Umanità, da ambo le parti, che sia Est o che sia Ovest e, non senza un pizzico di intento provocatorio - ma di una provocazione intelligente e non fine a sé stessa - ci chiede di togliere gli occhiali dei pregiudizi, delle prese di posizione a priori, delle opinioni acritiche, e di scegliere la via della riflessione, del desiderio sincero e pulito di conoscere l'altro e la sua "versione" dei fatti, condizione indispensabile per comprendere le cause, le origini, i motivi di ciò che accade attorno a noi, senza sentirci schiacciati dal peso di accuse trite e ritrite, come "filoputiniano" (il termine non ricorre nel libro, lo sto usando io) o "tu giustifichi la guerra".

È un invito a chiederci "semplicemente" (ma è davvero semplice?) come viene valutato un medesimo avvenimento se lo si guarda da un punto di vista invece che dall'altro; è scontato dire che la narrazione della guerra in corso, vista dalla parte russa, sarà totalmente diversa da come la racconta l’occidente.

Ho trovato originale l'idea di assumere come prospettiva quella esterna (e super partes?) degli angeli, che ovviamente - per deformazione dovuta alla propria natura di creature celesti - non possono che dare molto risalto ed importanza alla dimensione spirituale e alla necessità di "recuperare" la presenza di Dio, e non di continuare a tenerlo fuori dagli affari terreni; c'è da dire - e questo ai due amici ultraterreni non sfugge - che anche "in nome di Dio e della fede" gli uomini sono capacissimi di farsi la guerra e di macchiarsi le mani di sangue innocente.

Intense le pagine dedicate a chi (uomini, donne, bambini...) la guerra - con i suoi devastanti effetti - la vive, la subisce, vedendosi portar via persone care, la propria stessa esistenza.

Quale scenario attende il genere umano?
La bomba atomica che distruggerà tutto e tutti?
"Il capo dell'ovest" che umilia quello dell'est, ottenendo accordi di pace più esteriori che reali?
Dio che si stanca di questa stupida umanità e la lascia a sé stessa, a un ritorno all'istintualità primitiva, animalesca?

Il fatto che lo scrittore abbia scelto di presentarci una prospettiva "diversa", meno diffusa e adottata, non implica assolutamente che non vi sia la ferma condanna a una guerra che si poteva e doveva evitare e che, come tutti i conflitti, non porta mai dei veri e assoluti vincitori o vinti, ma solo tante povere vittime.

Di agile lettura, il libro di Giovanni Boschetti è un testo interessante e originale, che stimola discussioni e riflessioni su argomenti complessi e importanti e che invita a non sentirsi mai detentori della verità assoluta, ma a porsi sempre con un atteggiamento di critica, di desiderio di valutare i fatti e gli eventi (e la guerra è un evento che non giunge dall'oggi al domani, ma ha sicuramente delle cause complesse, che si sono formate nel tempo e che non andrebbero semplificate, perché si rischierebbe di falsificare la verità storica) sempre con la sincera voglia di capire e andando oltre una mera e poco utile partigianeria.


giovedì 10 novembre 2022

🌙 RECENSIONE 🌛 LA SETTIMA LUNA di Piergiorgio Pulixi



Eva Croce, Mara Rais e Vito Strega tornano a lavorare insieme ad un nuovo e complesso caso: la vittima è una giovane donna la cui vita sembrava rasentare la perfezione. Eppure qualcuno ha voluto farle del male, strappandole crudelmente la vita: perché? E soprattutto, chi è stato? C'è un serial killer che va assolutamente fermato prima che mieta altre vittime? E come mai l'assassino sembra aver replicato l'omicidio di Dolores Murgia, la povera ragazza uccisa in Sardegna e di cui si occuparono proprio Croce e Rais?
Molte sono le domande, poche le certezze e il colpo di scena è assicurato, tanto per i protagonisti quanto per il lettore.


LA SETTIMA LUNA 
di Piergiorgio Pulixi



Nero Rizzoli
408 pp
In Sardegna, sulla terrazza di uno degli hotel più incantevoli della regione, quattro amici stanno brindando per festeggiare la nascita della nuova unità investigativa sui crimini seriali, di cui faranno parte: sono il vicequestore Vito Strega, le inseparabili ispettrici Eva Croce e Mara Rais (accompagnata da sua figlia) e l'ispettore  Bepi Pavan.
Scherzano, si prendono in giro (in particolare Mara si diverte a "sfottere" Pavan per la sua smodata passione per il buon cibo e la relativa, inevitabile, pinguedine), bevono, chiacchierano in un'atmosfera finalmente rilassata e non sanno che, a molti chilometri da loro, nel pavese, qualcuno sta per commettere un terribile omicidio. 

Teresa Poletto è una ragazza dai bellissimi capelli rossi, molto carina, con buon gusto nel vestire, è fidanzata con un ottimo partito (il ricco "figlio di papà" Samuele Bongiorni), amata e ammirata dai genitori e conduce una vita tranquilla, appagata.

Ma un giorno esce di casa per non farvi più ritorno.

La famiglia (la madre Natalia, il padre Italo - proprietari di un albergo a Garlasco e che versa attualmente in cattive acque - e la sorella minore Alice) dà l'allarme dopo qualche ora di inspiegabile assenza da parte di Teresa, che non è il tipo da non comunicare per troppo tempo con i famigliari, né da tenere spento il cellulare per ore... Qualcosa deve esserle accaduto. 
E non sarà qualcosa di bello, pensano genitori e sorella.

Ad occuparsi della scomparsa è la polizia di Pavia; il punto di riferimento per i Poletto diventa l'ispettrice toscana Clara Pontecorvo, una giovane donna la cui notevole altezza mette a disagio donne e uomini, oltre che la stessa poliziotta, che ha seri problemi sia a trovare vestiti e scarpe adatte alla sua stazza, sia un uomo da guardare negli occhi... e non dall'alto in basso!

Passano lunghe ore di silenzio e attesa: Teresa continua a non dar notizie di sé e la Pontecorvo cerca di rassicurare Alice Poletto, preoccupatissima per la sorella maggiore, alla quale purtroppo sta per succedere qualcosa di atroce ad opera di una persona che conosce bene quelle zone paludose, in cui proprio in quei giorni il cielo sta rovesciando giù tanta di quell'acqua da rendere molto difficoltose le ricerche.

Dopo aver ripescato l'auto della giovane, ad essere rinvenuto, nelle terre acquitrinose del Parco del Ticino, è il corpo senza vita della povera Teresa. 

Quando Clara arriva sul posto, resta interdetta e turbata: la vittima ha le mani legate dietro la schiena e indossa una maschera bovina; il modo in cui il cadavere è stato "sistemato" fa pensare a qualcosa di rituale, come se l'omicida avesse avuto un intento quasi artistico, per quanto ovviamente macabro ed efferato.

Ma ciò che più fa rabbrividire e impensierire l'ispettrice è l'accostamento inevitabile ad un altro delitto: quello avvenuto tempo prima in Sardegna e del quale si erano occupate le due colleghe Rais e Croce.

Non sarà il caso di chiamarle e di richiedere il loro validissimo e necessario contributo e aiuto?
Così, il vicequestore Strega riceve la richiesta di collaborazione dalla Questura di Pavia e, abbandonando ogni velleità di relax e vacanze, accetta e, assieme ad Eva, Mara e Bepi, va al nord.

« era la sua maledizione. Non poteva godersi un attimo di felicità senza che il buio riuscisse a scovarlo e tormentarlo.»

La fama che le due ispettrici hanno acquisito prima con il caso di Dolores Murgia (L'ISOLA DELLE ANIME) e poi con quello del Dentista (UN COLPO AL CUORE), risolto insieme a Strega, rende le due donne le più adatte a chiarire se ci siano davvero dei collegamenti con gli omicidi rituali in Sardegna: se è vero che non può trattarsi della medesima mano assassina di allora..., si tratta forse di un emulatore, altrettanto pericoloso?

Quando Eva e Mara analizzano, accompagnati da Pontecorvo e da Vito, le caratteristiche della scena del crimine, si rendono conto che sì, effettivamente ci sono delle similarità, ma anche delle innegabili incongruenze.

E se l'assassino avesse architettato quel genere di omicidio per attirare di proposito Strega&Co. nel pavese? In questo caso, ciò vorrebbe forse significare che ce l'ha con loro? Quel tipo di omicidio è un messaggio diretto a loro tre?

L'ossessione che travolse Vito e le due poliziotte, quando lavorarono insieme, si ripresenta, impietosa: c'è una povera e giovane vita spezzata con crudeltà che chiede giustizia.
C'è una famiglia distrutta che aspetta che il colpevole venga chiuso dietro le sbarre.

I tre, supportati dalla dirigente a capo della Mobile, Michela Guarino, da Pavan e da Clara Pontecorvo, si buttano a capofitto nella ricerca di ogni minimo indizio, di ogni più piccola traccia che possa far luce sulla morte violenta di Teresa Poletto.

Chi era davvero Teresa? Bella, giudiziosa, amata da tutti coloro che la conoscevano, ammirata dalla sorellina "sfigata" (Alice è l'esatto opposto dell'elegante e solare Teresa, nel carattere - più cupo, riservato e solitario -, nel modo di vestire - poco curato e molto casual -, nelle ambizioni) ed elogiata dai genitori: era davvero la ragazza perfetta?

Con l'avanzare degli esami e delle indagini, vengono fuori particolari agghiaccianti, che fanno capire come chi l'ha ammazzata abbia voluto farla soffrire, come per vendicarsi...; per arrivare a capire chi le ha fatto del male e perché, la polizia mette sotto torchio chiunque fosse vicino a Teresa e ciò che emerge è inquietante: più di una persona vicina alla vittima ha comportamenti strani, come se nascondesse qualcosa, e mente sfacciatamente nel fornire le risposte alle pressanti domande dei poliziotti. 
Come mai?

Cos'hanno da nascondere i coniugi Poletto in merito al loro hotel, che continua ad essere aperto pur avendo essi molti debiti e pochissimi clienti? Grazie alla testimonianza di Alice, si scopre che l'albergo è frequentato da gente poco raccomandabile. Di chi si tratta e in che guaio si sono cacciati i genitori di Teresa? Forse in qualcosa di più grande di loro che ha potuto ripercuotersi sulla figlia?

A destare ulteriori perplessità si aggiungono gli strani rapporti che Italo Poletto ha con il maresciallo Pappalardo; questi è un soggetto arrogante, dalla reputazione poco pulita, che in questa occasione sta adottando comportamenti sospetti: nasconde qualcosa anche lui? E che ha da spartire col padre di Teresa e con Samuele, il fidanzato di Teresa?
Anche quest'ultimo non la racconta giusta e il suo alibi, per la notte dell'omicidio, non è dei più solidi...

Mentre Strega-Croce-Rais si danno da fare per mettere al posto giusto ogni tessera del puzzle, il lettore fa la conoscenza di un giovanotto: Pietro Paralupo, un vaccaro che vive da solo in una località isolata del pavese; si prende cura quotidianamente e con perizia dei suoi animali, intrattiene scarsi contatti sociali e le sue uniche e costanti compagnie sono costituite dalle bestie in suo possesso e dalle voci che gli risuonano nella testa...
Pietro ha avuto una brutta infanzia, fatta di maltrattamenti, di legami famigliari sfaldati, di una sola presenza nella sua vita: il nonno, che però non gli ha dato alcun amore, protezione, cure, anzi, lo ha continuamente umiliato e sottoposto a percosse e abusi psicologici.

Pietro è un essere solo, infelice, con l'ingombrante fantasma di quel vecchio orco del nonno che continua a far sentire la sua maledetta voce.
Una voce che lo irride, lo schernisce, lo fa sentire il solito incapace.
Una voce che lo istiga: Vediamo se sei davvero in grado di portare a termine ciò che ti sei prefisso.
Cosa ha intenzione di fare Paralupo? 

A differenza di Vito e gli altri, il lettore viene presto messo a conoscenza di quale sia il ruolo di quest'uomo nella vicenda di Teresa.  

La strada per arrivare alla soluzione del caso non è in discesa e Vito, Mara ed Eva devono tener gli occhi aperti e stare attenti a tutto (anche se questo significa dubitare di un collega...), finché a un certo punto - inaspettatamente! - sembra che il colpevole sia lì, davanti a loro, e che ogni indizio conduca a questa persona, che - a ben vedere - in effetti poteva avere delle ragioni per uccidere Teresa.

Ma un intervento inatteso rimescola le carte, scagiona l'indiziato numero 1 e i tre poliziotti riprendono le proprie ipotesi investigative..., fino ad arrivare a svelare a chi appartiene la mano assassina.

Eppure, la domanda che sin dall'inizio accompagna Strega e anche noi lettori resta: chi sta dando la caccia a chi? Sono davvero i poliziotti a inseguire il killer o è lui a dare la caccia a loro?


Ritrovare Vito Strega, Mara Rais ed Eva Croce è stato come incontrare di nuovo dei "vecchi" (se mi sentisse Mara!) e  affezionati amici, ciascuno indimenticabile per quel che è.

Di Vito non si può non amare la grande professionalità, la sua serietà sul lavoro, il suo essere "tutto d'un pezzo" senza però mai perdere di vista la propria umanità: egli è e resta sempre una persona sensibile e molto empatica, desidera con tutto il cuore rendere giustizia alle vittime e sente su di sé tutta la responsabilità verso di esse che, con il loro inarrestabile canto degli innocenti, gli chiedono di non abbandonarle nel limbo dei troppo numerosi casi irrisolti.

Vito sta bene da solo e non sembra aver bisogno di altro che non sia il proprio lavoro, ma quando è in compagnia di Eva e Mara, si sente finalmente a casa, in famiglia. Loro sono diventate importanti per lui, insieme sono una squadra formidabile e il feeling che li unisce va al di là della sfera professionale.

« Eva e Mara gli avevano restituito interezza: si erano insinuate nelle sue crepe e con la loro presenza avevano ritemprato il suo spirito aiutandolo a ricostituirsi. In un momento di totale fragilità e smarrimento lo avevano ricomposto, regalandogli delle splendide cicatrici dorat. Strega non lo avrebbe mai dimenticato. Per questo sentiva l'urgenza di averle vicino. La loro presenza aveva un che di salvifico per lui.»

In particolare, la sua anima è affine a quella di Eva, con cui condivide un carattere schivo, sobrio, razionale ed equilibrato..., oltre a tormenti personali e fantasmi del passato.

E se ad unirlo ad Eva è un affetto misto ad una comunanza di vissuto e stati d'animo, a non dargli tregua per avere "qualcosa di più" di una bella amicizia è la vulcanica e vivace Mara Rais.
La sua lingua tagliente, irriverente e impertinente e la sua "ossessione erotica" per Strega danno vita a momenti di vivacità e leggerezza, che strappano più di un sorriso; lo stesso vale per le sue provocazioni all'indirizzo della seria (e per lei noiosa) collega Croce, e ancor più verso Pavan, oggetto di continue battute ironiche in merito al peso e alla fame da lupi che lo contraddistinguono.

Se Pavan aggiunge una componente simpatica e umoristica con i suoi modi fare "leggeri" (nonostante il grasso che lo avvolge) e la sua parlata veneta, a dare un'ulteriore sfumatura piacevole e ironica ci pensa anche Clara Pontecorvo, un nuovo personaggio femminile che mi è piaciuto molto.

Come non manco di dire ogni volta che leggo un romanzo di Pulixi, apprezzo tantissimo la sua scrittura immersiva e intensa, i suoi personaggi così ben tratteggiati psicologicamente e tanto appassionanti da staccarsi dalle pagine e coinvolgere il lettore con le loro vicende, i casi d'omicidio ben strutturati e precisi (a partire dall'uso di termini specifici in ambito criminologico), la presenza del male che si annida in personalità complesse, i capitoli brevi che conferiscono agilità al ritmo narrativo e tengono viva la curiosità e l'attenzione del lettore, che a ogni fine capitolo è invogliato ad andare avanti.
La narrazione è caratterizzata dalla presenza di diversi piccoli colpi di scena, ma quello finale.. è il top e, per quanto mi riguarda, mi ha lasciata a bocca aperta.

«Siamo alle solite» commentò Croce. «Ti eravamo mancati, vero, Strega?»
«Non avete idea di quanto» sorrise il vicequestore.

Quando arrivo all'ultimo rigo, a me Strega, Croce e Rais già mancano ma mi consola il pensiero di rivederli in un prossimo libro e poter dire, come Vito, "Non sapete quanto mi siete mancati!".

Non posso non suggerirvi di leggere questo ed altri libri di Piergiorgio Pulixi; chiaramente "La settima luna" narra fatti che cronologicamente vengono dopo L'isola delle anime e Un colpo al cuore, per cui io consiglio di leggere prima questi due.

BRIGHTSIDE (Jesse Roper)

I just wanna live my life on the bright side 
I wanna choose to believe, in the quality of human kind 
Because there’s going to be some hard times
Somethings got to push me through the night 
I just want to live, I just want to survive this old world 
I just want to live, on the bright side






martedì 8 novembre 2022

[ DIETRO LE PAGINE ] "L'isola delle anime" di Johanna Holmström e l'ospedale di Själö



Ho in lettura L'isola delle anime, un romanzo di Johanna Holmström ambientato a Själö, in un manicomio per donne ritenute incurabili, un luogo di reclusione dal quale in poche se ne andavano, dopo esservi entrate.

Cosa spinse la scrittrice a concentrarsi su un tema delicatissimo quale la follia, e a farlo da una prospettiva unicamente femminile?

Uno dei motivi che l'hanno spinta è stato constatare come molti dei suoi lettori tendessero a vedere nei suoi personaggi femminili immaginari delle patologie di tipo psichiatrico, indicando queste donne come borderline, depresse o psicotiche. 
Johanna aveva già scritto di donne in situazioni di crisi di vario tipo, ma qualcosa la indusse a chiedersi con quali occhi stesse guardando alla salute e alla malattia mentale.

Nel 2012 cominciò a cercare su Google "storia delle malattie mentali femminili in Finlandia", imbattendosi subito nella tesi della ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn sulle donne di Själö nel periodo 1889-1944
All'epoca non sapeva nulla di Själö, ma intuì di aver appena trovato il soggetto per un nuovo libro.

Nel romanzo il lettore incontra un certo numero di donne e la domanda sorge spontanea: avendo raccolto dati e fatti basandosi sulla tesi di Jutta Ahlbeck-Rehn "Diagnosi e disciplina: discorso medico e follia femminile all'ospedale di Själö 1889- 1944" (a cui lei stessa fa riferimento nella postfazione), quanto e cosa di questo materiale Johanna Holmström ha inserito nel proprio libro?

La Holmström ha dichiarato che i personaggi del romanzo sono frutto di un mix di diverse storie di pazienti.

Quando lesse per la prima volta la tesi di Juttas Ahlbeck-Rehn, immaginò di avere davanti a sé le donne di cui la sociologa raccontava le vicende personali all'interno della struttura ospedaliera; si trattava allora "solo" di sceglierle e farle prendere vita, anche se ovviamente le storie specifiche di ciascun personaggio di per sé sono inventate e anche i loro nomi non sono quelli reali (documentati negli archivi), visto che sarebbe stato poco rispettoso menzionare le donne realmente esistite. 
Così decise di creare le proprie storie di vita, plausibili e basate su eventi reali e sulle persone rimaste a Själö.

Johanna Holmström
fonte
Prima di iniziare a lavorare al progetto del libro, aveva un'immagine piuttosto stereotipata dell'assistenza sanitaria: nella sua immaginazione, il tipo di infermiera che lavorava in un manicomio, somigliava alla inquietante Miss Ratched (personaggio che compare nel romanzo "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e attorno al quale ruota la serie RATCHED), fredda e poco sensibile verso i poveri malati. Ma questi pensieri sono cambiati durante il processo di scrittura.
La scrittrice si è presa del tempo per fare ricerche negli archivi di Turku, guidata dal prezioso studio di Ahlbeck-Rehn; ha studiato le storie dei grandi ospedali psichiatrici in Finlandia, ha letto Foucault, Freud, Lacan, consultato i giornali degli anni ’30 e vari materiali.


L'ospedale di Själö è stato chiuso definitivamente nel 1962, in quanto ritenuto troppo lontano rispetto alla terraferma. Paradossale, se si pensa che si scelse quest'isoletta proprio per il fatto che fosse remota, distante, così da lasciare i ricoverati al loro destino...

Själö o Nagu Själö (in svedese) o Seili (in finlandese) è una piccola isola al largo della costa sud-occidentale della Finlandia; fa parte del comune di Pargas. 
Il nome Själö si riferisce, etimologicamente, al fatto che l'isola sia stata dimora di foche.

L'isola è nota per la sua chiesa e la sua natura, per ospitare un istituto di ricerca e, certamente, per l'ex ospedale; quest'ultimo viene menzionato per la prima volta nel 1689, sebbene i pazienti si trovassero sull'isola già da molto prima.

ospedale visto dall'alto
(Wikipedia)


Infatti nel 1619 fu costruito il lebbrosario per ordine del re svedese Gustavo II Adolfo, che scelse Själö per la sua posizione remota. 
Quando, nel 1700, la lebbra iniziò a scomparire dalla Finlandia, sull'isola principale fu costruito un manicomio; più precisamente, nel 1785 l'ospedale da lebbrosario fu convertito in una struttura per malati di mente. 
Nel 1889 tutti gli uomini furono trasferiti da Själö e il nosocomio divenne esclusivamente dedicato alle pazienti di sesso femminile. Alcune di loro erano molto giovani; una aveva solo 9 anni.

Il numero di pazienti a Själö variava tra 30 e 50; all'interno, l'edificio era diviso da un lungo corridoio fiancheggiato da stanze (ciascuna accoglieva una sola persona) di 1,87 x 2,07 metri. 
Il personale si assicurava che i pazienti fossero tenuti in isolamento e non era molto attenta a che le "celle" fossero curate per bene.
Ad essere ricoverati erano persone ritenute incurabili e i "pazzi", che restavano là praticamente fino alla morte e le loro proprietà passavano alla chiesa.

l'interno di una camera
source

I soggiorni delle donne a Själö, dunque, erano spesso molto lunghi, quando non terminavano con la loro morte.

I "metodi di trattamento" dell'ospedale di Själö erano la terapia occupazionale, la camicia di forza, l'isolamento in una cella "calmante" con figure geometriche marroni; non mancò l'utilizzo anche di bagni bollenti o ghiacciati.

Durante i periodi di guerra, le donne non ricevevano molto cibo e spesso si ammalavano; attorno a loro solo sporcizia, fame e miseria.

Dopo la chiusura del manicomio (1962), gli edifici furono rilevati dall'Università di Turku e l'istituto di ricerca concentrò i propri studi sugli ecosistemi del Mare dell'Arcipelago e sull'intera area del Mar Baltico. 

Come dicevo più su, la ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn ha studiato cosa è successo alle donne di Själö e in che modo l'appartenenza a determinate classi sociali influenzasse il loro destino; anche lo stesso genere sessuale contava: le donne, infatti, erano classificate come malate molto più degli uomini. 
Dei quasi 200 pazienti presenti nei dati di Ahlbeck-Rehn, 52 non avevano una diagnosi psichiatrica precisa.
Pochi furono coloro che lasciarono l'istituto; ci sono state donne che hanno fatto ritorno a casa solo dopo essere state sterilizzate...
Le donne povere delle classi sociali inferiori o le donne sessualmente "disinibite" (o ritenute tali) erano le tipologie più frequenti di pazienti.
Negli anni '30 del secolo scorso, criminali appartenenti alla classe inferiore furono mandati all'ospedale psichiatrico di Själö. Secondo la teoria dell'igiene razziale, c'era la convinzione che il sottoproletariato fosse biologicamente incline a malattie, follia e ubriachezza.

In pratica, la follia era un fenomeno sociale, non soltanto un fatto medico.



Fonti consultate:

Articolo 3 (da "Il manifesto")
Wikipedia.org 
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