LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di Stefano Apuzzo – Serena Baldini – Barbara Archetti è una raccolta di lettere e pensieri di alcuni bambini palestinesi che vivono nei campi profughi gestiti dall'UNRWA alle porte di Gerusalemme.
Il libro è diviso in due parti: se nella seconda (arricchita da fotografie di bambini palestinesi) è possibile
leggere le lettere dei protagonisti, nella prima gli autori riassumono la situazione in cui versa la Palestina, andando a ritroso nel tempo, sin da quando nel 1948 è stato fondato lo Stato di Israele e migliaia di famiglie furono espulse a suon di fucilate, terrore e massacri, dai propri villaggi e case.
Stampa Alternativa 165 pp |
leggere le lettere dei protagonisti, nella prima gli autori riassumono la situazione in cui versa la Palestina, andando a ritroso nel tempo, sin da quando nel 1948 è stato fondato lo Stato di Israele e migliaia di famiglie furono espulse a suon di fucilate, terrore e massacri, dai propri villaggi e case.
Quello fu l'inizio della Nakba ("catastrofe") e della massiccia colonizzazione delle terre arabe in Palestina; ancora oggi centinaia di migliaia di palestinesi vivono da profughi in campi che sono luoghi in cui crescere, vivere, realizzare sogni... è davvero difficile.
“Cadono le foglie dagli alberi sulla terra e da lontano viene il vento per raccoglierle, ma il loro grido di aiuto cade nel vuoto, perché sono rinchiuse dentro queste mura che si chiamano campo profughi” (Marah, 9 anni).
Cosa significa per dei bambini nascere e vivere tra rifiuti e macerie, ingabbiati da un muro di cemento alto 9 metri, senza la possibilità di uscire dai campi, a meno che non si abbia la "carta blu"?
Cosa significa vivere in quella parte di muro dove ogni scelta è condizionata dai checkpoint, dal coprifuoco, dalle incursioni militari?
Come cresce, con che pensieri, sentimenti, prospettive per il futuro..., un bambino che è figlio o nipote di rifugiati, che ha sentito i tristi e dolorosi racconti della Nakba e che tocca con mano ogni giorno le innumerevoli difficoltà di vivere sotto occupazione?
L’occupazione militare israeliana influenza ogni ambito dell’esistenza dei palestinesi e nelle lettere scritte dai bambini ai loro coetanei italiani emergono i numerosi problemi che essi incontrano nella quotidianità della vita nei campi profughi.
Un aspetto importante che emerge sin dalle prime pagine di questo testo è la necessità che ciascuno di noi (occidentali) ha di andare oltre stereotipi e pregiudizi; troppo spesso siamo vittime di un meccanismo di disumanizzazione del “nemico”: bollandolo in maniera semplicistica con l'etichetta "arabo=terrorista", lo rendiamo crudele, malvagio, un mostro che agisce e uccide senza pietà degli innocenti, e così diventa molto più semplice giustificare ogni sorta di negazione, di violazione e di sopruso nei suoi confronti.
"L’intento di Lettere al di là del Muro è di restituire ai palestinesi, soprattutto ai bambini palestinesi, la più reale immagine di esseri umani, simili a noi. Sono lettere di bambini che scrivono ad altri bambini".
L'iniziativa nasce nel 2003, ad opera di una Onlus di Milano, Vento di Terra, che da allora organizza uno scambio con una delegazione di bambini palestinesi dal campo profughi di Shu’fat, Gerusalemme est, e dal campo di Qalandia, nei pressi di Ramallah.
Sono occasioni di condivisione, di arricchimento, di scambio interculturale e soprattutto umano; offrono ai bambini palestinesi la preziosa occasione di sperimentare l’esistenza di un mondo fuori dal campo che non è solo ostilità, privazioni, persecuzione, bombe e morte.
"È ora di sottrarre i bambini alla firma delle bombe, perché tornino a giocare e a colorare il mondo con sorrisi di pace".
Leggendo le parole semplici, schiette e sincere dei bambini che scrivono, abbiamo modo di vedere le cose con i loro occhi, di capire quali sono le cose importanti per loro, quello che vorrebbero cambiare, eliminare o costruire: il ruolo fondamentale della scuola e dell'istruzione ("L’istruzione è l’arma della libertà, un’arma per battere l’ignoranza” - Rasha, 11 anni), la scarsa salubrità dell'ambiente in cui vivono, a causa delle strade piene di rifiuti, delle fogne a cielo aperto, delle case attaccate le une alle altre, dell'aria malsana, la disoccupazione, il sovraffollamento, l'assenza di spazi in cui giocare liberamente (centri per bambini, parco-giochi...), quel muro di separazione che impedisce ai profughi di sentirsi liberi, di vedersi rispettati nelle proprie esigenze di spostarsi (per motivi di lavoro, di salute ecc...).
In molti racconti è chiaro e commovente il forte attaccamento dei bambini alla propria terra, la solidarietà, le amicizie e, in generale, i legami che si creano nel campo profughi che, pur essendo pieno di criticità e aspetti negativi, resta la loro "casa".
"Sogno di vivere in una casa grande, dove posso avere la mia stanza da sola, dove nessuno mi disturba e dove posso tranquillamente giocare e dormire. Sogno che la gente mi rispetti nella città e nei villaggi, perché quando esco dal campo sento che per me c’è meno rispetto. Io non ho nessuna colpa, perché sono stata cacciata dal mio villaggio" (Marah, 12 anni).
È una raccolta molto significativa, interessante e stimolante, perché induce a informarsi su come vivono i palestinesi nei Territori Occupati, a riflettere, ad eliminare o affinare o modificare opinioni dettate da preconcetti o "prese di posizioni" acritiche (che riducono la "questione palestinese" a un parteggiare per una "tifoseria" piuttosto che per l'altra) e non da reali e accurate conoscenze; e poi può rivelarsi un valido strumento per quegli adulti coinvolti in prima linea in ambito educativo perché sentono il desiderio di raccogliere la sfida urgente di educare le nuove generazioni, al rispetto, alla tolleranza, alla solidarietà, alla pace
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz