mercoledì 6 ottobre 2021

In uscita oggi: "Tutte feriscono, l'ultima uccide" (Edizioni Il Vento Antico) di Laura Costantini e Loredana Falcone

 


Cari lettori, oggi vi presento un romanzo che è in uscita proprio in questo giorno.

"Tutte feriscono, l'ultima uccide" (Edizioni Il Vento Antico) di Laura Costantini e Loredana Falcone è un thriller in cui si indagherà su dei sacrifici umani ispirati al culto di Vesta e del fuoco sacro dell'antica Roma pagana.

Si tratta in realtà di una riedizione, abbastanza rimaneggiata, di "Fiume Pagano", uscito nel 2010 e poi andato fuori catalogo.  È un romanzo autoconclusivo ma primo di una trilogia.

LINK SITO EDITORE
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https://ilventoanticoeditore.com/tutte-feriscono-lultima-uccide/

Trama 

«Uno è un caso, due una fatalità, quattro fanno una maledizione.»

Così il maresciallo Quirino Vergassola dice al suo amico Nemo Rossini, giornalista, di fronte all’ultimo cadavere affiorato dalle acque del Tevere. Tutti senzatetto, apparentemente suicidi, ma tutti indossano una tunica bianca, sul petto portano lettere marchiate a fuoco e gli esami tossicologici evidenziano tracce di assenzio. L’unico testimone della loro morte è un altro clochard, che affida al suo talento per il disegno il compito di lanciare l’allarme: a Roma, di notte, qualcuno accompagna i condannati a un sacrificio rituale. Un’indagine complessa, quella che il maresciallo Vergassola si trova tra le mani mentre a Roma impazza il Carnevale. Ben presto si rende conto che nulla è come appare e i più sospettabili sono, forse, innocenti.

Un thriller carico di tensione, un intreccio le cui tessere si incastrano a una a una fino a formare un disegno cupo e illuminante al tempo stesso.


lunedì 4 ottobre 2021

PROSSIMAMENTE IN LIBRERIA: "Sempre tornare" di Daniele Mencarelli || "La casa vicino alle nuvole" di Nickolas Butler


 Due romanzi in uscita che mi interessano: il primo è di Mencarelli, che l'anno scorso mi aveva conquistata con "Tutto chiede salvezza"; il secondo è di un altro autore che per me si sta confermando una garanzia: Nickolas Butler.


Sempre tornare di Daniele Mencarelli (Mondadori, 324 pp, USCITA 5 OTTOBRE 2021).

È l'estate del 1991, Daniele ha diciassette anni e questa è la sua prima vacanza da solo con gli amici.  
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Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. 
Ma c'è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. 
È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma. 
Libero dalle distrazioni e dalle recite sociali, offrendosi senza difese alla bellezza della natura, che lo riempie di gioia e tormento al tempo stesso, forse riuscirà a comprendere la ragione dell'inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. 
In compagnia di una valigia pesante come un blocco di marmo, Daniele si mette in cammino, costretto a vincere la propria timidezza per chiedere aiuto alle persone che incontra lungo il tragitto: qualcosa da mangiare, un posto in cui trascorrere la notte. 
Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti inguaribili. E incontrerà l'amore, negli occhi azzurri di Emma. 
Ma soprattutto Daniele incontrerà se stesso, in un fitto dialogo silenzioso in cui interpreta e interroga senza sosta ciò che gli accade, con l'urgenza di divorare il mondo che si ha a diciassette anni, di comprendere ogni cosa e, su tutto, noi stessi: misurare le nostre forze, sapere di cosa siamo fatti, cosa può entusiasmarci e cosa spegnerci per sempre. 
Questo viaggio lo battezzerà infine all'arte più grande di tutte. L'arte dell'incontro.

Un romanzo vitale, picaresco e intimo, che ha dentro il sole di un'estate in cammino lungo l'Italia, l'energia impaziente dell'adolescenza e la lingua calibratissima e potente di uno scrittore al massimo della sua forma.

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La casa vicino alle nuvole di Nickolas Butler (Marsilio Ed., trad., F. Cremonesi, 384 pp, USCITA 7 OTTOBRE 2021) è un romanzo rurale che si tinge di noir, un'immersione dolceamara in un'America ormai orfana del sogno, stretta tra il miraggio del benessere e la ferocia di un capitalismo che macina nel suo ingranaggio forti e deboli allo stesso modo; un'America miserabile a cui rimangono solo le sirene di una corsa all'oro che è in realtà una lotta per la sopravvivenza.

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Gretchen Connors sembra avere tutto: il fascino, un impiego prestigioso, un ricchissimo conto in  banca  e diverse proprietà tra una costa e l'altra degli Stati Uniti. 
Ma allora perché si è messa in testa di far costruire una lussuosa dimora tra le aspre montagne del Wyoming? E soprattutto perché pretende che sia pronta in pochi mesi? 
Quando Cole, Bart e Teddy, titolari della True Triangle Construction e amici da una vita, vengono assoldati per la gestione del cantiere, nutrono molti dubbi sulle motivazioni reali della signora, ma la somma esorbitante che gli viene offerta per consegnare l'appalto nei tempi prescritti, con la prospettiva di ricavare più soldi di quanti ne abbiano mai sognati, li convince ad accettare. 
Quella casa abbracciata alle rocce e impreziosita da una sorgente termale non è un lavoro qualsiasi: chi la realizzerà avrà l'occasione di cambiare le proprie sorti, di dire addio a un'esistenza passata a spaccarsi la schiena per risparmiare pochi spiccioli o per rimediare qualche droga capace di far dimenticare la solitudine; chi se la godrà potrà finalmente ricongiungersi alle proprie radici, sposare la magnificenza selvaggia della natura. 
Quella casa tra le nuvole non è un progetto qualsiasi: è una casa per cui vale la pena vivere, una casa per cui vale la pena morire. 

domenica 3 ottobre 2021

Recensione: SCRUBLANDS NOIR di Chris Hammer



Un prete ammazza a fucilate un gruppetto di parrocchiani; il caso è chiuso, eppure un anno dopo un giornalista curioso e tenace scopre che dietro quel gesto c'è tutta una rete di intrighi e bugie che aspetta solo che qualcuno la porti a galla.



SCRUBLANDS NOIR
di Chris Hammer

Ed. Neri Pozza
trad. V. Guani, A. Biavasco
432 pp

"La gente crede a quel che vuole credere, ma questo non significa che sia la verità."

Riversend (località fittizia) è una piccola cittadina australiana in cui le esistenze dei suoi abitanti procedono placide, al limite del sonnacchioso, quasi prive di slancio e vitalità, al pari dell'arida terra che la circonda e che soffre per la prolungata siccità.

Tutti conoscono tutti; ciascuno sa vita, morte e miracoli del proprio vicino e mai penserebbe che quest'ultimo possa nascondere degli inquietanti scheletri nell'armadio.
Eppure la tranquillità di Riversend è solo apparente: in realtà sotto di essa scorrono vite, affari e relazioni parallele e nascoste, e più d'uno in città ha i suoi bei segreti da nascondere.

Quando il giovane parroco della comunità, in procinto di officiare la messa della domenica mattina, esce dalla chiesa imbracciando il fucile e, con impressionante freddezza, uccide alcuni suoi parrocchiani riuniti sul sagrato, il tempo sembra fermarsi per tutti.

Byron Swift - l'assassino - muore anch'egli, quel giorno, ucciso dal poliziotto (Robbie) accorso sul luogo della strage dopo aver saputo della sparatoria.

Com'è potuta accadere una simile tragedia?

Solitamente, quando succedono questi fatti di sangue, ci si fa tante domande non solo sui perché ma anche sulla prevedibilità di una tale azione da parte dell'assassino: il prete aveva forse dato segnali di essere impazzito? O di avere delle ragioni per veder morte proprio quelle persone su cui ha sparato? Del resto, ne ha risparmiato altre lì presenti: c'è una ragione dietro questa scelta?

Il caso viene archiviato nel giro di poco tempo, anche perché c'è poco da indagare, secondo la polizia: Swift evidentemente è stato colto da un raptus omicida di cui mai si saprà la causa: il colpevole è lui - su questo non ci sono dubbi - e non è possibile né interrogarlo né fargli scontare la pena... Insomma, che c'è da indagare ulteriormente? Forse conoscere le motivazioni di una tale sciagura che ha tolto la vita a mariti e padri di famiglia, restituirebbe loro la vita?
Ovviamente no, per cui... caso chiuso.

Ma un anno dopo un giornalista del Sydney Morning Herald, il quarantenne Martin Scarsden, viene incaricato dal suo giornale di recarsi a Riversend e di redigere una sorta di reportage da mandare in stampa il giorno stesso dell'anniversario della strage.
L'idea è di raccontare come vanno le cose in paese a un anno di distanza dalla sciagura che ha sconvolto tutti.

Martin è bravo nel proprio lavoro, è sempre stato un giornalista serio, professionale, distaccato nell'approcciarsi ai fatti di cronaca su cui lavorava; ma a un certo punto della sua carriera, qualcosa s'è spezzato, cambiandolo come uomo e come reporter.

Tempo prima, infatti, è stato nella Striscia di Gaza come corrispondente estero del proprio giornale, e lì ha fatto esperienze crude, traumatiche, al limite della sopravvivenza, che l'hanno segnato profondamente e hanno anche modificato il suo modo di vedere le cose.
È come se soffrire in prima persona la violenza e la follia di cui l'essere umano è capace, vivere dal di dentro una tragedia e non solo come osservatore esterno, privilegiato e super partes, l'abbia reso più empatico, meno freddo e calcolatore, inducendolo ad "aggiustare" il proprio modo di fare cronaca, dando più importanza alle persone, alle loro motivazioni, al loro passato, e non più soltanto ai fatti in sé, su cui di frequente i giornalisti amano ricamare, abbinandoli a titoloni sensazionalistici che attirano l'attenzione delle masse ma restano lontani dalla realtà.

Martin non si accontenta delle risposte superficiali e scontate che ricava dalle sue conversazioni con la gente del posto, da cui si fa raccontare la personale versione dei fatti.

Conosce le mogli di alcuni uomini vittime della strage, cercando così di capire perché Byron abbia scelto proprio loro. Sempre che le abbia uccise per una o più ragioni e che il suo non sia stato un'azione folle ed irrazionale...!

Una cosa è certa: Byron era considerato da molti un bravo sacerdote, un giovanotto gentile, affabile, devoto, che cercava in tutti i modi di essere d'aiuto alla comunità e, in special modo, ai giovani, togliendoli dalla strada.

Certo, c'è anche chi ha messo in giro la voce che il prete fosse un pedofilo.
Pare, infatti, che fosse stato accusato - poco tempo prima della mattanza - di aver abusato di alcuni ragazzini frequentanti la parrocchia.
Se fosse vero, questa potrebbe essere stata la causa del pluriomicidio! Forse le cinque vittime, quella mattina, erano andate da Swift per minacciarlo, avendo saputo della presunta accusa di pedofilia?

La libraia di Riversend, la giovane e bellissima Mandy, è categorica: Byron non era un pedofilo! Tutt'altro, era un parroco dalla fede sincera, generoso e pronto ad ascoltare e aiutare chi era in difficoltà.

A Martin piace Mandy, e non solo per perché è bella e single: c'è in lei un misto di fragilità e forza che lo attrae come una calamita, pur consapevole di essere in quella zona non per amoreggiare o sedurre signorine, bensì per lavorare e scrivere un pezzo da urlo, che possa far vendere copie su copie del giornale per cui lavora.

Instancabile e cocciuto, Martin persevera con le domande (anche scomode) e comincia a comprendere i legami che uniscono tra loro alcuni degli abitanti di questa cittadina; si rende conto che le ragioni del gesto di Byron sono tutt'altro che chiare, e che egli nascondeva un passato oscuro, sconosciuto ai parrocchiani.
Ma non a tutti, evidentemente.

Il giorno della strage il giovane sacerdote non ha agito in preda alla follia: era calmo, metodico e ha sparato con l'infallibilità di un cecchino.

Chi era davvero Byron Swift?

In quei giorni, accade un altro fatto sconcertante: nella proprietà privata (collocata nelle Scrublands, un'enorme penisola di mulga, una landa desolata dove il clima è rovente) di un certo Harley Snouch vengono ritrovati i corpi di due ragazze, scomparse misteriosamente un anno prima, pochi giorni prima della tragedia fuori dalla chiesa.

Di nuovo, qualcuno vocifera che potrebbe essere stato il prete ad ucciderle e a cercare di nascondere i cadaveri. Magari era un serial killer, chissà!

Spinto dal suo istinto di reporter e da una sempre più insaziabile sete di verità, Martin decide di continuare a raccogliere quante più informazioni possibili su Swift, anche a costo di pestare i piedi a qualcuno e di farsi dei nemici.

La sua curiosità rischia di sollevare cumuli di polvere nascosta sotto i tappeti e di renderlo antipatico e molesto anche agli occhi di persone che inizialmente lo avevano preso in simpatia, come Mandy e Fran, una delle mogli rimaste vedove un anno prima.
Entrambe rimarcano tutta la loro stima verso Swift e non è un caso: il giovane religioso non si prendeva la briga di praticare il voto di castità e pare che, alla stregua di un fascinoso marinaio, avesse amanti disseminate lungo il cammino, Riversend inclusa.

Ma non è l'unico peccato che nascondeva e, proprio mentre cerca di capire qualcosa sulla personalità e l'identità di Byron, Martin si ritrova man mano sempre più avviluppato in un'indagine molto complicata, in cui approdare alla verità (o alle molte verità) sarà tutt'altro che semplice, perché troppi sono coloro che hanno tutto l'interesse a sotterrare informazioni scomode, depistare, spargere dubbi, bugie, sollevarsi da responsabilità recenti e passate, così da continuare ognuno la propria vita  inducendo all'errore quell'impiccione di un giornalista.

Quest'ultimo si accorge che più va avanti con le domande, i collegamenti, ascoltando con attenzione le confessioni di chi non riesce più a tenersi tutto dentro, e più è solo nelle sue ricerche.
Ma uno come lui, che è stato vicino alla morte, chiuso per ore nel bagagliaio di un'auto in una striscia di terra in Medioriente e poi uscitone fuori come per una specie di resurrezione, non ha più nulla da temere, perché cercando la verità non si può che andare incontro alla luce.

Scrublands noir è un romanzo denso di fatti, relazioni, menzogne, segreti, personaggi che sembrano in un modo ma in realtà bluffano; la ricerca della verità - ciò che ha portato alla strage davanti alla chiesa - è il motore che spinge il protagonista a non accontentarsi di informazioni semplicistiche, preconfezionate, volutamente parziali e fuorvianti, ma a infilarsi sempre più nel profondo del tessuto sociale di Riversend, che non è poi così anonima e tranquilla come sembrava inizialmente.
Il ritmo è sempre costante, placido anch'esso come il fiume che scorre presso la cittadina; non si registrano picchi di tensione emotiva e anche quando, avanzando nella lettura, aggiungevo un tassello in più al puzzle, non avvertivo il brivido del colpo di scena, perchè la scrittura di Hammer restava sempre molto pacata. Forse un tantino troppo.

Ecco, de dovessi ravvisare un neo, direi questo: mi è mancato un ritmo un po' più incalzante, che mi tenesse col fiato sospeso, almeno nei momenti clou.

Vero è che non siamo in presenza di un thriller mozzafiato, ma di un giallo labirintico in cui a guidarci non è la frenetica caccia all'assassino, in quanto egli è noto dalle primissime pagine ed è pure deceduto, ma la psicologia del protagonista, del colpevole e degli altri personaggi che gli gravitavano attorno.

Ho apprezzato il contesto (la piccola cittadina australiana e questo territorio secco, che non vede spesso la pioggia, e dove il sole scotta tanto non solo a mezzodì) e in particolare le personalità presenti in queste pagine, il loro saper condurre (per anni) un'esistenza sotterranea e parallela, nascosta agli occhi dei più, i quali si illudono di conoscerli ma in realtà non sanno nulla.
Veritiero il quadro che emerge dei mezzi d'informazione e di certi giornalisti sciacalli, non di rado interessati fin troppo agli scandali, ai pettegolezzi, alle voci di corridoio, che più sono morbose più permettono di vendere copie, a discapito della verità (non sempre univoca, né immediata).
Mi è piaciuto Scarsden, in quanto l'ho trovato complesso, interessante, coraggioso e testardo nonostante i mille dubbi e la paura di restare solo e senza legami importanti (l'amicizia particolare con Mandy sfocerà in qualcosa di serio e duraturo?), e mi ha fatto pensare che ci vorrebbero più giornalisti come lui, nel mondo: assetati di verità, che non si stanchino di cercarla anche nei posti più scomodi o quando sarebbe più facile accettare la versione "ufficiale".

Nel complesso, e nonostante una certa lentezza nel ritmo narrativo, è un romanzo che si lascia leggere ed apprezzare, con una trama intricata,  personaggi ben strutturati, e alla fine ogni nodo viene dipanato, fornendo tutte le risposte al lettore curioso.

venerdì 1 ottobre 2021

Libri a poco prezzo (ottobre 2021)



Buonasera, readers!!

Domenica scorsa ho fatto un paio di acquisti; uno di questi è un libro vecchiotto che segnalai già sette anni fa sul blog.

Fortuna ha voluto che mi imbattessi in esso tra i volumi sparsi di una bancarella di libri usati. 

Fatemi sapere che ne pensate, se li conoscete e/o li avete letti!


FINCHÉ VERRÀ IL MATTINO di Han Suyin (Oscar Mondadori, 738 pp, 1985)

Stephanie Ryder, giornalista americana, si trova in Cina per inseguire un sogno, più che per amore di un dongiovanni fallito (e sposato), il quale la desiderava in quella terra remota, solo per compagnia e per soddisfare i suoi appetiti sessuali.
È la storia di un amore impossibile ambientata in un periodo in cui era molto forte l'ostilità tra gli americani e i cinesi.
Il loro amore però, dopo tante prove difficili, sarà più forte di tutte le guerre e riuscirà a diventare possibile ma il finale non è così scontato come può sembrare. 
È una storia d'amore che attraversa e supera tutta la storia della cina, tutti i suoi orrori.




Per quanto riguarda l'altro acquisto, non ne avevo mai sentito parlare ma la trama mi è sembrata interessante; sono andata "a sensazione", insomma ^_^


CROCODILE ROCK di Carl Hiaasen (Meridiano Zero, trad. M. Vicentini, 382 pp) 

Jack Tragger è un reporter di successo, o meglio lo era fino al momento in cui non ha pensato bene di
dire all'arrogante editore del suo giornale la sua opinione su di lui. 
Ora vive relegato alla sezione necrologi, tenacemente deciso a non abbandonare il suo posto di lavoro, e nella speranza che il decesso di qualche persona famosa gli offra l'occasione per riscattare la propria carriera. 
L'opportunità sembra arrivare con la morte di Jimmy Stoma, leader della storica band Jimmy and the Slut Puppies. 
Jimmy, a metà strada tra un Kurt Cobain e un Jeff Buckley, è annegato durante un'immersione. 
Unici testimoni: la moglie e il tastierista della band, James Burns. 
La sparizione delle nuove registrazioni di Stoma, la frettolosa cremazione del corpo senza autopsia, le versioni contrastanti date dalla vedova - Cleo Rio, mediocre cantante in cerca di notorietà - e la relazione di questa con Loréal, gretto produttore discografico, spingono Jack a indagare.


martedì 28 settembre 2021

Dal libro... alla serie tv

 

Una delle letture più belle dello scorso anno è stata “Tutto chiede salvezza” (recensione libro) di Daniele Mencarelli; ebbene, il libro diventerà una serie tv targata Netflix, diretta da Francesco Bruni e con Federico Cesari nei panni del protagonista.


Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio.
È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. 
Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati.

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Il romanzo “La vita bugiarda degli adulti” (The Lying Life of Adults) di Elena Ferrante diventerà una serie tv per Netflix, prodotta da Fandango, con Edoardo De Angelis alla regia e Valeria Golino nel ruolo di zia Vittoria. Le riprese inizieranno a ottobre a Napoli.

Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.



Alessandro Borghi sarà il protagonista di "The Hanging Sun", un film diretto da Francesco Carrozzini e scritto da Stefano Bises, tratto dal romanzo "Sole di mezzanotte" di Jo Nesbø. 
Un progetto internazionale prodotto da Sky, Cattleya e Groenlandia. 
Le riprese inizieranno a settembre in Norvegia, tra Oslo e Ålesund.

“The Hanging Sun” è un thriller noir ambientato tra le atmosfere rarefatte dell’estate norvegese dove il sole non tramonta mai, la vita e la morte si intrecciano, presente e passato si sovrappongono.

John è in fuga. Trova riparo nel fitto della foresta, vicina a un villaggio isolato dell’estremo Nord, dove domina la religione, il sole non tramonta mai e le persone sembrano appartenere a un’altra epoca. Tra lui e il suo destino ci sono solo Lea, una donna in difficoltà ma dalla grande forza, e suo figlio Caleb, un bambino curioso e dal cuore puro. Mentre il sole di mezzanotte confonde realtà e immaginazione, John dovrà affrontare il tragico passato che lo tormenta.




fonti: 

https://www.rbcasting.com/
mymovies

domenica 26 settembre 2021

Recensione: FIGLIE DEL MARE di Mary Lynn Bracht



"Figlie del mare" è la storia di due sorelle legatissime l'una all'altra ma costrette a separarsi quando la maggiore viene rapita per diventare una "donna di conforto", una prostituta per i soldati dell'esercito imperiale giapponese prima e durante la Seconda guerra mondiale.


FIGLIE DEL MARE
di Mary Lynn Bracht


Longanesi Ed.
trad. K. Bagnoli
370 pp

"La compassione è gentilezza (...). Ognuna di noi merita compassione, ma in questa terra abbandonata nessuno ha la compassione di riservarci un po' di gentilezza. Perciò siamo prigioniere di questa umiliazione, torturate giorno dopo giorno. A noi non resta altro che concederci a vicenda quel poco di gentilezza che abbiamo".


Nel 1943 Hana ha sedici anni, vive con i genitori e la sorellina Emiko (di sette anni più piccola) nell'isola di Jeju (Corea) ed è una bravissima haenyeo, una figlia del mare che si tuffa tra le acque in cerca di tutto ciò che può essere venduto al mercato, così da guadagnare qualcosa e contribuire alla vita famigliare; la ragazza è orgogliosa di questo lavoro che non è solo un modo per campare, ma è molto di più: è una tradizione di famiglia (anche sua madre è un'esperta tuffatrice ed è un'attività che si tramanda di generazione in generazione) portata avanti con impegno, devozione, preghiere, e una haenyeo è tale fino a quando riesce ad immergersi, a restare in apnea e a pescare, e tante donne lo fanno anche a ottant'anni.

Hana è una ragazzina sveglia, libera, che ama la propria famiglia e ha molto rispetto per i genitori e per i loro grandi sacrifici.
E poi c'è Emiko, la sua sorellina: ha tanto desiderato una sorella e, adesso che ce l'ha accanto, è disposta a tutto pur di proteggerla.

E purtroppo, questo sacrificio arriva in un brutto giorno d'estate del '43.

La Corea è sotto il dominio giapponese, in Europa è scoppiato un conflitto che ben presto ha assunto una portata mondiale, e un destino atroce sta bussando alla porta di Hana e della sua famiglia.
Un giorno, mentre è con sua madre in acqua ed Emi è sulla spiaggia (è ancora troppo giovane per diventare una haenyeo), Hana vede in lontananza un soldato giapponese che avanza lungo la spiaggia, proprio verso il punto in cui è seduta la piccola Emiko.
Hana ha sentito dire che quei maledetti soldati giapponesi vanno in giro a rapire le ragazze coreane per portarle chissà dove...!
La ragazza comincia a correre disperatamente verso la riva, pronta a salvare la sorellina da quell'orco malvagio che si sta avvicinando a lei, e ci riesce: si pone davanti al soldato, in modo che non veda Emi (che intanto si è nascosta come può) e si lascia portar via di peso da altri due militari sopraggiunti in spiaggia.
Da quel momento, la povera ragazza viene portata via, assieme ad un gruppo di altre giovani come lei,  tra cui addirittura una bambina poco più grande di Emi; le rapite vengono trattate come oggetti senza valore e alcune di loro subiscono i primi stupri nel corso del tragitto che le condurrà in Manciuria, compresa Hana, che sarà violentata proprio dal soldato che l'ha trovata presso il suo mare a Juju. L'uomo si chiama Morimoto e dal primo momento manifesta un interesse pericolosamente morboso verso la ragazzina, che ne è ovviamente terrorizzata.

In Manciuria, lontana dalla famiglia e da tutto ciò che conosce e ama, Hana viene imprigionata in un bordello gestito dall’esercito giapponese. 

statua donne di conforto, San Francisco
Lì incontra altre donne, alcune giovani come lei, altre un po' più grandi, che sono rinchiuse da diverso tempo; le condizioni di vita sono all'insegna della miseria, della mancanza di igiene e della scarsità di cibo e, soprattutto, della violenza più bestiale.

Leggere cosa subisce Hana all'interno di quelle squallide mura è stato qualcosa di molto forte dal punto di vista emozionale, perché c'è la consapevolezza che non è frutto dell'immaginazione dell'autrice, ma è ciò che realmente accadeva a queste ragazze/donne costrette a prostituirsi.
Come fantocci senza vita, private della dignità, di ogni diritto sul proprio corpo, tolte brutalmente alle loro famiglie, queste "donne di conforto" (già soltanto l'espressione fa rabbrividire per quanto è crudele: è deplorevole già solo pensare che si possa obbligare una donna a subire violenze quotidiane per tenere alto il morale dei soldati) venivano costantemente picchiate, brutalizzate, stuprate, schernite, umiliate da decine di militar
Esatto, avete letto bene: decine. Una donna poteva essere costretta ad "accogliere" anche fino a trenta-quaranta depravati a notte.

È qualcosa di tremendo, di inimmaginabile, ancor più se pensiamo che la narrativa ufficiale giapponese ha fatto passare per anni la versione secondo cui queste donne non erano state rapite e costrette a prostituirsi, bensì avevano accettato questo ruolo volontariamente.
Ma grazie a diversi storici e alle testimonianze delle coraggiose sopravvissute, nel corso del tempo è emerso invece come siano state almeno 200mila le ragazze (principalmente coreane e cinesi) rapite e rese schiave del sesso durante gli anni della guerra.

Ad Hana e alle sue compagne viene "tolto" anche il loro nome ed assegnato uno giapponese: cosa resta a queste poverette se non arrendersi ad un triste e crudele destino, cercando di resistere e non soccombere, con la segreta speranza che... chissà!, magari alla fine della guerra tutte loro possano essere liberate da questa prigione infernale?

Hana resiste, infatti: lei è e resta, a dispetto dell'ignobile tentativo dell'impero giapponese di spersonalizzarla, di strapparle di dosso la sua dignità e il suo valore in quanto persona, una figlia del mare, per cui non può arrendersi senza lottare: la ragazza sa che dovrà fare ricorso a tutte le sue forze per riconquistare la libertà e tornare a casa, dalla sua famiglia, da Emi.

La narrazione della disumana esperienza vissuta da Hana negli Anni Quaranta si alterna a quella di sua sorella Emiko, che nel 2011 vive in Corea del Sud ed è un'abile pescatrice, una haenyeo instancabile nonostante abbia superato i settanta.

Si è sposata con un soldato coreano, con cui ha avuto due figli (un maschio ed una femmina), ma la sua vita non è stata tutta rose e viole, nè il matrimonio un nido d'amore.
Emiko ama i propri figli (ha anche un nipote), ma non ha saputo dimostrare loro il proprio amore apertamente e con spontaneità; attraverso i suoi ricordi di persona in là con l'età, ma ancora molto presente a se stessa, apprendiamo le traversie sue e della madre  dopo la fine della guerra; disgraziatamente, nonostante il sacrificio della sorella l'abbia sottratta allo sfruttamento sessuale, Emi non se l'è vista comunque bene e si è trovata costretta a sposare un giovane soldato per garantire a se stessa e alla mamma la sopravvivenza.
Col passare degli anni, la sua mente - forse per "proteggerla" - aveva quasi rimosso il pensiero di Hana, eppure nei suoi sogni la donna rivedeva questa figura femminile famigliare, ne sentiva la voce, ne avvertiva la presenza in modo forte, e il suo cuore le suggeriva che quella ragazza che le compariva in sogno era una parte importante di lei, e non poteva dimenticarla o fingere di non sapere chi fosse.

statua della pace, Seul
Ma non si può trovare la pace continuando a fuggire dal passato: bisogna affrontarlo, guardarlo in faccia
; ora che lei, i suoi figli e il suo Paese vivono ormai una vita serena, forse è arrivato il momento di pronunciare il nome di quella sorella perduta, strappatale via a causa della ferocia di una guerra che non ha pietà di nessuno, e di raccontare che se lei è lì ed è viva, lo deve a lei, ad Hana e al suo coraggioso sacrificio.
A offrirle questa importante opportunità è una delle cerimonie che le "donne di conforto" sopravvissute organizzano ogni anno per far sentire la propria voce, per innalzare il proprio sdegno e far valere il proprio diritto a non essere dimenticate, perché il mondo deve sapere cosa hanno vissuto e sopportato; a Seul, durante uno di questi incontri, Emiko osserva turbata la statua dedicata a queste donne e capisce che non può più tacere e far finta che Hana non ci sia mai stata.

"Figlie del mare" è un romanzo emozionante, che mi ha coinvolta molto e per il tema delicato e grave che viene affrontato attraverso le tristi vicissitudini di Hana, e per il contesto storico difficile e cupo (come può esserlo quello bellico), tratteggiato con cura dall'Autrice, che a fine libro ci lascia una ricca bibliografia sull'argomento e di cui si è servita lei stessa per scrivere il romanzo.
Ho letto questo libro provando un senso di grande tristezza ed impotenza davanti alle violenze subite da queste donne schiavizzate; ho sperato insieme alla protagonista che lei potesse avere la propria rivincita sulla barbarie di certi "uomini" e su Morimoto in primis; mi ha commossa la sofferenza, intrisa di sensi di colpa, di una Emiko ormai anziana e con un peso troppo grosso per il suo cuore fragile.
La penna di Mary Lynn Bracht è realistica e cruda nel racconto degli abusi fisici e psicologici, ma anche sensibile ed intensa nel presentarci due sorelle teneramente forti, che la guerra ha messo duramente alla prova, piegandole, ferendole, separandole, ma che non è riuscita a spezzare.

Caldamente consigliato.

venerdì 24 settembre 2021

Consiglio di lettura - GAZA di Massimiliano Vertuani



È l’estate del 2014 quando Israele lancia l’operazione Protective Edge in risposta al rapimento e all’uccisione di tre giovani coloni.
Inevitabilmente, la Striscia di Gaza diviene ancora una volta triste teatro di una guerra senza fine ed è in questo contesto che, tra queste pagine, le esistenze di persone molto differenti tra loro per età, nazionalità, religione e cultura, si incrociano, e ciascuno ci offre i propri occhi, i propri pensieri e speranze per guardare a questo complesso dramma umano, che dura ormai da troppi anni, da più angolazioni.
 

GAZA 
di Massimiliano Vertuani

42 pp

"La Striscia di Gaza restava esattamente ciò che era da tempo immemore. La più grande prigione a cielo aperto del mondo, in cui anche donne e bambini venivano segregati, in una nuova e perniciosa forma di apartheid."

La raccolta di Vertuani è composta da dieci racconti, tutti ambientati a Gaza.

A dare il via a questo viaggio nel quotidiano di chi vive costantemente e in prima persona la disperazione, la miseria, la paura, l'odio per il nemico, i bombardamenti, le privazioni di vario genere, è un giovane israeliano, pronto a premere il pulsante per lanciare un razzo su Gaza.
Pochi attimi prima, gli scorrono davanti immagini di un passato che l'ha segnato: non avrebbe voluto essere lì dov'è adesso, a far fuori nemici come in un videogame! Il suo sogno era quello di fare il chirurgo e, quindi, di salvare vite, non toglierle.
Ma poi il destino - o chi per lui - ha fatto sì che un evento tragico e doloroso cambiasse i suoi progetti e inoculasse nel suo cuore il desiderio di vendetta verso i vili terroristi.
Leggiamo le piccole storie di uomini e donne che si trovano coinvolte, per varie ragioni, negli scontri tra israeliani e palestinesi: attivisti pronti a rischiare anche la propria vita pur di fare la loro parte e difendere chi è oppresso, giovani soldati disposti a morire per la Patria, giornalisti che vorrebbero essere altrove e non a fare gli inviati in una terra bagnata dal sangue; ma anche madri costrette a portare avanti la famiglia in condizioni difficilissime, tali da non potersi concedere il tempo di piangere in santa pace per le sofferenze affrontate, o nonne che con dolcezza cercano di spiegare a giovanissimi nipoti quanto terribile sia la guerra, che è in grado di trasformare le persone, accecandole di odio.

Sono racconti che commuovono, fanno riflettere e contribuiscono a spingere il lettore a interessarsi all'annosa e drammatica "questione israelo-palestinese".

Tra queste pagine ho avvertito, da parte dell'Autore, sì l'empatia verso il popolo palestinese, ma altresì il concetto di come sia fin troppo semplice ridurre tutto a una decisione di "schierarsi dalla parte di", quando poi a mettere pesi sulle nostre coscienze dovrebbe essere la consapevolezza che è l'odio, da ambo le parti, a far sì che la Palestina sia sporca di sangue.

Sono storie di giovani vite forgiate nella disperazione e trasformate in modo radicale da certi tragici eventi che li hanno travolti personalmente e instillato germi di vendetta, rancore, animosità.

"...l’abisso che alberga nell’animo umano è senza fondo. Come puoi sapere come agiresti, in quelle condizioni? Riusciresti a conservare la tua umanità? Io lo spero, ma al tuo posto non ne sarei così sicuro."

Potranno mai le future generazioni affrancarsi dall’odio?

Ho condiviso il fatto che l'Autore sottolinei come quello che avviene da decenni in questa striscia di terra non sia più una guerra solo sul campo, ma un conflitto che si combatte ferocemente anche sul piano mediatico, dell’informazione e della disinformazione. Ergo, sarebbe giusto e logico aspettarsi da parte di chi fa cronaca e diffonde informazioni, farlo puntando sempre alla verità, accogliendo anche le idee considerate «estremiste» e differenti/opposte alla versione "ufficiale", dominante.

Resta ferma, però, la responsabilità di ciascuno a informarsi seriamente e senza preconcetti, per avere delle idee proprie e motivate sulla questione.

"Se vuoi farti un’opinione, su questa come su altre faccende, devi informarti, leggere e ascoltare i pareri più disparati, compresi quelli di parte. Solo così puoi costruirti un’idea tua, non imposta dagli altri."


Gaza è una raccolta che si legge in un attimo, per la scorrevolezza e la brevità, caratteristiche che non tolgono nulla all'importanza e alla complessità dell'argomento, ma che anzi possono stimolare ad approfondirlo e a interessarsi a ciò che succede,in questa piccola parte di mondo, a tanti bambini/ragazzi, a uomini e donne come noi.

"Non poté tuttavia fare a meno di domandarsi quante lacrime può versare un essere umano. Un palestinese era forse in grado di versarne più di un americano o un russo? Probabilmente sì, perché solo al suo popolo spettava il compito di portare da decenni il greve peso dell'occupazione straniera."

domenica 19 settembre 2021

IL MARE DI GAZA - il manifesto per Vittorio Arrigoni

 


IL MARE DI GAZA è una raccolta contenente dodici articoli scritti da Vittorio Arrigoni tra il 2009 e il 2010 e pubblicati su il manifesto e, oltre ad essi, il racconto del sequestro che il 15 aprile 2011 portò all'omicidio di Vittorio, con il lutto mondiale che ne scaturì.

122 pp
"Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi." (Egidia Beretta Arrigoni)

Le parole di Vittorio, riportate in questa pubblicazione, rispecchiano tutto il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, e in un certo senso ci spingono a prendere in mano il testimone da lui lasciato. 
Ci ricordano il motto (e il monito) più famoso di Vik e che deve riecheggiare nelle nostre orecchie e responsabilizzarci: Restiamo umani.

Dai suoi articoli traspare tutta l'empatia e la concreta solidarietà provate da Vittorio al cospetto della sofferenza e della disperazione del milione e mezzo di abitanti che, nella Striscia di Gaza, devono ogni giorno lottare per sopravvivere in quello che è un vero e proprio lager a cielo aperto.

Vik denuncia le ingiustizie, la miseria e la disperazione dei palestinesi - i terreni coltivabili resi inaccessibili o distrutti dall'esercito israeliano, i continui attacchi delle navi da guerra israeliane ai rudimentali vascelli palestinesi.

"Secondo un rapporto della Croce Rossa, il 90% dei 4000 pescatori di Gaza sotto la soglia di povertà, e nella loro battaglia per la sopravvivenza rischiano ogni giorno di venire uccisi navigando oltre il limite delle tre miglia imposto dalla marina israeliana."

E poi il duro lavoro che tocca alle donne (giovani, madri, mogli), che devono prendere il posto di fratelli/mariti/padri che non possono più tirare avanti la famiglia, perchè magari sono stati uccisi o resi inabili, come Madeleine Kulab, la prima pescatrice di Gaza, la sedicenne che è ha dovuto sostituire il  padre, costretto a smettere di fare il pescatore in seguito a una paralisi.

I bambini, anche loro pagano un prezzo, e non da poco: infanzie negate, private di un'istruzione decente, del diritto a cure mediche, costretti a fare lavori duri e pericolosi.

E' a Gaza, Vittorio, quando nel dicembre 2008 iniziano i bombardamenti israeliani dell'operazione «Piombo fuso», l'offensiva militare contro la Striscia che si concluderà il 18 gennaio 2009 e che registrerà un bilancio di circa 1400 palestinesi morti (per due terzi civili).

Vittorio è lì che scrive e racconta ciò che vede, si sposta in ambulanza, parla con le famiglie delle vittime, raccontando dal vivo la risposta israeliana al lancio di razzi nello stato ebraico: esecuzioni mirate che finiscono per uccidere tanti innocenti.


"Ho una videocamera con me, ma sono un pessimo cameraman,
perchè non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime.
Non ce la faccio.
Non riesco perchè sto piangendo anche io.

Ambulanze e sirene in ogni dove,
in cielo continuano a sfrecciare i caccia israeliani con il loro carico di terrore e morte."



Affamato di giustizia, libertà, Vittorio sapeva raccontare con passione la realtà che lo circondava, perché lui Gaza la conosceva e la viveva ogni giorno; faceva suoi i sentimenti di un popolo intero e sapeva comunicarli agli altri.

Vik era innamorato di Gaza e dei palestinesi e da essi era ricambiato, e si è speso per dar loro voce con la speranza di arrivare, così, a tutti quei cittadini del mondo che si dichiarano sensibili alla pace e ai diritti umani, affinché non si limitino a esprimere solidarietà da lontano, ma tramutino le parole in fatti e azioni concrete.

Vittorio a Gaza ha rischiato più di una volta la vita, fino a perderla in modo atroce per mano di un (presunto) gruppo islamico salafita, che lo ha rapito e dopo alcune ore ucciso.

Ma la sua voce, il suo esempio, la sua lotta... restano e perché siano vivi più che mai hanno bisogno di altri "testimoni" che si pongano concretamente accanto agli oppressi, condividendone tragedie, sofferenze e speranze, legittime richieste di diritti. 

“Ci sono esistenze più spendibili di altre, più dedite al sacrificio avendo testato sulla propria pelle tutta la sofferenza del mondo, e non riuscendo a scrollarsela di dosso, si impegnano per prevenirla, lenirla a chi sta più a cuore.
La mia è una di queste esistenze.
Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà. Sono convinto che cercare di lenire il dolore di un intero popolo oppresso da più di 60 anni, se è una buona ragione per vivere, lo è anche per morire.”


Nella seconda parte dell'ebook, vi sono le testimonianze di coloro che Vik l'hanno conosciuto da vicino, così come leggiamo le parole di dolore e sgomento di chi ne apprezzava l'impegno umanitario e civile; non mancano i commenti più freddi, distaccati e di circostanza di chi (mondo politico in primis) non aveva e non ha davvero a cuore la sorte dei palestinesi e che non è stato minimamente toccato dalla morte di Vittorio Arrigoni.
Chiudono il libro alcune informazioni sul processo.

Da leggere. Per informarsi, capire e aggiungere la propria voce a quella forte di chi si batte ogni giorno sul campo per difendere chi è oppresso.

giovedì 16 settembre 2021

Recensione: "Il diritto di vivere. La voce di Angela" di Imma Pontecorvo



A quattordici anni si hanno tanti sogni ed è giusto che sia così; ma quando un evento imprevisto e terribile rischia di far crollare tutti quei sogni gelosamente custoditi dentro di sé, la vita può diventare di colpo un incubo da cui ci si vorrebbe svegliare.
È ciò che succede alla giovanissima Angela, che si trova a vivere una prova troppo grande per lei, ma non la vivrà da sola: accanto ha una famiglia e delle amiche che la amano e le daranno tutto il supporto e l'affetto di cui ha bisogno per capire che un futuro pieno di sogni da realizzare è ancora lì per lei.



 "Il diritto di vivere. La voce di Angela" 
di Imma Pontecorvo


145 pp
Angela ha quattordici anni ed è una ragazzina piena di vita, con grandi progetti ed ambizioni; ama cavalcare e sogna di poterlo fare a livello agonistico.
Ma in un brutto sabato pomeriggio la sua vita cambia drasticamente e, a causa di una caduta da cavallo, si ritrova su una sedia a rotelle. 
Esmeralda: questo è il nome che decide di dare alla sua compagna a due ruote, consapevole di come essa ormai farà parte della propria quotidianità, che lo voglia o meno.

Come si reagisce ad una condizione tanto traumatica?

La madre Luciana, all'inizio, non riesce ad accettare le conseguenze di quell'incidente: possibile che la sua bambina abbia definitivamente perso l'uso delle gambe?

Suo padre è forse colui che, pur soffrendo ugualmente tanto, più di tutti cerca di avere un atteggiamento positivo, di reagire in modo da sostenere moralmente tutti, dalla moglie a, soprattutto, la figlia, che è così giovane e già la vita ha costretto ad una prova così grossa e dolorosa.
Anche il fratellino, dopo lo sconvolgimento iniziale, cerca in tutti i modi di far sentire la propria vicinanza e il proprio amore alla sorella maggiore.

Ma nonostante tutti si sforzino di incoraggiarla, per la ragazzina è tutt'altro che facile: ritrovarsi di colpo sulla sedia a rotelle, costretta a dipendere dagli altri, a dire addio a cose normalissime, come correre, fare una passeggiata dove e quando vuole con le amiche Ilaria e Giada, andare alle feste, al mare...: per lei, ormai, tutto questo è praticamente precluso, perché se anche volesse provare ad avere una vita sociale, farlo in carrozzina non è la stessa cosa che reggersi sulle proprie gambe in piena autonomia! 
Angela si sente in trappola in un corpo che è suo, certo, ma sul quale non ha più il pieno controllo: non potrà più camminare, questa è la verità, che le piaccia o no, ed è una condizione che la rende per forza diversa dai suoi coetanei.

Tornare a scuola è il primo ostacolo da superare: Angela teme gli sguardi dei compagni, pieni di compassione, imbarazzo o, peggio, di scherno (sui volti di alcuni, decisamente immaturi e stupidini).
Ma i problemi non sono solo quelli: la sua scuola, purtroppo, non è attrezzata per accogliere persone con disabilità, e presto la povera Angela si renderà conto che sono tanti, troppi, i contesti di vita in cui  le barriere architettoniche impediscono l'accesso a una persona in carrozzina, limitando di fatto la sua libertà e condizionando la scelta dei posti da frequentare.

La consapevolezza di non poter accompagnare le proprie migliori amiche ovunque, rattrista molto Angela, che spesso rifiuta gli inviti sinceri ed entusiastici di Ilaria e Giada, e si rassegna a starsene chiusa in cameretta, annegando in un mare di tristezza e non riuscendo a vedere prospettive future positive...

Ma la sua famiglia e le sue amiche non si arrendono e continueranno a spronarla ad uscire, a stare con gli altri, a continuare ad essere la ragazza solare e ottimista che è sempre stata e che sicuramente è ancora, nonostante i tanti disagi incontrati (e che ancora ci saranno).

I mesi passano, Angela si butta nello studio, passa a pieni voti l'esame di terza media e si iscrive al Liceo Classico, insieme alle sue due affezionatissime amiche, che non la mollano un attimo. 

Non sarà semplice e ogni nuovo giorno porterà con sé una piccola battaglia da affrontare, ma Angela imparerà a lottare, dimostrando tenacia e forza d'animo. 
A distanza di un paio di anni dall'incidente, l'incontro con una persona speciale le farà capire che anche nelle proprie condizioni di "diversamente abile" è possibile vivere la propria vita con pienezza e soddisfazione, e la forza che ha scoperto di avere è un bene prezioso da condividere affinchè altri - che vivono situazioni simili alla sua - possano sentirsi motivati ed incoraggiati a non arrendersi, a far sentire la propria voce, lottando insieme per un obiettivo comune, perché l'unione fa la forza e ciò che conta è non abbattersi qualsiasi cosa accada.

"Se il fatto di non essere soli nelle difficoltà ti rende più forte, più capace di resistere alle tempeste della vita, ti fa scorgere la luce in fondo al tunnel, ti regala energie sempre nuove, la consapevolezza che altre persone lottano insieme a te e per te per realizzare un obiettivo comune può farti sentire invincibile."


La storia di Angela, pur essendo drammatica e raccontata con realismo, non ha toni pietistici e non lascia addosso sensazioni di tristezza perché è, al contempo, intrisa di forza, di tenacia, di speranza; è vero, la giovanissima protagonista viene messa davanti a degli ostacoli notevoli, che butterebbero giù il morale di chiunque, tanto più di un'adolescente; le problematiche legate all'essere su una sedia a rotelle non sono poche e l'Autrice, con estrema delicatezza e con un linguaggio semplice, immediato ed efficace, sa come farci sentire gli stati d'animo di Angela, il sapore delle sue lacrime, l'amarezza di non poter rapportarsi con i coetanei con la spontaneità dei suoi anni, ma sorridiamo di tenerezza nel vedere come l'amore dei famigliari e l'amicizia leale e sincera delle due amiche del cuore, siano due pilastri fondamentali, importantissimi per Angela, che si può aggrappare con sicurezza ad essi e trarne forza, coraggio, autostima, fiducia in se stessa.

Di notevole importanza è poi il messaggio riguardante la necessità dell'abolizione delle barriere architettoniche, un limite davvero grande per tanti diversamente abili, che si vedono limitati (più di quanto non lo siano già) nella propria vita sociale a causa della mancanza di attenzione verso le loro esigenze pratiche; ovviamente, si sottolinea anche come le prime barriere a dover essere abbattute siano quelle mentali, a partire dalla terminologia >> disabile - diversamente abile - handicappato - portatore di handicap. 

Nota personale: nella lettura, mi sono imbattuta in un episodio in cui la protagonista ha dovuto rinunciare ad andare in spiaggia perché inaccessibile alle carrozzine; ebbene, questa situazione spiacevole si è presentata a me e alla mia famiglia quando ci siamo recati al lido (dove avevamo affittato l'ombrellone) a luglio. Mia madre è disabile (non in carrozzina, usa un deambulatore e/o la stampella) e nessun lido era munito di una pedana per l'accesso ai diversamente abili: constatarlo ha prodotto delusione e amarezza, oltre che uno snervante senso di impotenza e di ingiustizia. Possibile che nessuno abbia pensato che anche una persona con difficoltà di deambulazione potesse avere il desiderio di scendere in spiaggia?

Ci definiamo "società civile", ci sentiamo avanti e progrediti, ma in realtà c'è tanto da fare affinché i diritti di ogni persona a vivere una vita ricca e piena di opportunità siano garantiti e ogni discriminazione venga smantellata.

Consigliato; trovo sia una lettura formativa, utile per chi voglia soffermarsi sull'argomento della disabilità, magari anche proponendola a lettori giovani, della stessa età di Angela.

domenica 12 settembre 2021

Recensione: "MIND THE GAP - Distanze Londinesi" di Luisa Multinu



Ida è una delle tante giovani donne laureate che hanno deciso di lasciare l'Italia per cercare qualcosa di più di un lavoretto sotto-pagato col quale permetterti a malapena l'affitto; ora è a Londra ed è in questa città, di cui è innamorata, che vuol restare. È vero, la fortuna non sembra essere dalla sua parte, e ciò da cui è fuggita (la solitudine, la disoccupazione, i sacrifici mai ripagati adeguatamente...) l'hanno seguita come segugi fedeli. 
Lo scoraggiamento è ad ogni passo, resistere in una metropoli multietnica e affollata in cui ci si può sentire più soli che mai, non è affatto semplice. Ce la farà Ida a tenersi stretta la sua amata Londra o  tornerà nel suo paese natio, in Veneto, delusa e con un inevitabile senso di fallimento?


MIND THE GAP - Distanze Londinesi
di Luisa Multinu



Aporema Ed.
224 pp
13.90 euro

"Mind the Gap. Magari è proprio quello, il senso di tutto. Fare sempre attenzione al vuoto presente tra l’aspettativa e la realtà. Evitare di lanciarsi con troppa fretta o speranza oltre il limite. Mind the gap, si ripete, between your life and your dreams."

A trent'anni, con una laurea in tasca e tanti sogni nel cassetto, non è semplice adattarsi ad un lavoretto faticoso in un bar londinese, sopportare gli insulti rabbiosi di superiori frustati che ti umiliano ad ogni piè sospinto e rendersi conto, alla fine del mese, che la paga ricevuta è da fame e con essa riesci solo a pagarti la stanza in una casa condivisa con altri ragazzi rumorosi e disordinati.

Questo pensa Ida, che per risparmiare si accontenta di ingurgitare durante il giorno caffè e sigarette, e latte e biscotti a cena.

Nel seguire la protagonista e nell'immergerci nelle sue giornate scandite dal lavoro e dai pochi momenti di riposo chiusa dentro la propria stanzetta, viene spontaneo chiedersi: ma conviene restare in un Paese straniero a fare la fame, a farsi sfruttare da datori di lavoro spocchiosi e tirchi, giusto per poter dire "Vivo a Londra"? Povertà per povertà, non è meglio casa tua, dove almeno hai una famiglia e degli amici?

Ma il problema, per Ida, è proprio quello: in Veneto lei non ha lasciato nessuno d'importante, fatta eccezione per la nonna, l'unica persona che le vuole bene e con cui è in contatto.
Suo padre è morto tempo fa, dopo aver passato gli ultimi anni della propria vita annegando nell'alcool, lontano dalla figlia, che s'è sentita da lui tradita proprio perché amava molto il genitore; la madre di Ida si è rifatta una vita e ogni contatto con l'unica figlia è andato sempre più diradandosi, fino ad arrivare ad una dolorosa e frustrante indifferenza.

Perché tornare in Italia, dove sbocchi professionali non ce ne sono?

Ida è venuta a Londra con poca roba e tanta, tanta speranza di potersi costruire un futuro luminoso.
Da subito, però, ha dovuto scontrarsi con una realtà tutt'altro che facile e con una Londra che non è stata il massimo dell'ospitalità.
Insomma, diciamocelo: le cose non vanno proprio bene, ma Ida non vuol demordere; travolta da una sconfinata passione per Londra e per tutto quanto la capitale britannica rappresenta e contiene, la ragazza stringe i denti e cerca di resistere e restare.
Londra è anche un po' sua, la sente sua, le è entrata dentro; le sue strade, le sue piazze, i suoi locali, i palazzi..., tutto le scorre dentro come il sangue nelle vene. Londra pulsa di vita e lei vuol farne parte, e sa che questo vuol dire prendere ogni giorno a morsi,  assecondando la fame di vivere che, di certo, non l'ha lasciata, anzi.

Ma ogni tentativo di auto-incoraggiarsi e di convincersi che rimanere nella capitale sia sempre meglio che tornare in Italia, deve fare i conti con la realtà dei fatti e Ida non è una sciocca o un'illusa: si rende conto che il lavoro al bar è diventato ingestibile, mortificante. Non sarà il caso di compiere un atto di coraggio e andarsene, cercando un'altra occupazione?

E così si infila nuovamente nel circuito sconfortante della ricerca di un lavoro che le consenta di vivere con dignità.
Alzarsi ogni mattina, infilare il cappottino consunto (che neanche la scalda più benissimo, ma è meglio di niente, visto che non può permettersene uno nuovo, per ora) e andarsene in giro per la Londra che ha imparato a conoscere ed amare, a lasciare curricula e candidature, con il cuore gonfio di speranza: questo è ciò che fa ogni giorno, dopo essersi licenziata.

Che cavolo, ci sarà posto anche per lei nell'immensa Londra?

Il lettore fa compagnia alla protagonista ed ella gli fa inconsapevolmente da cicerone, portandolo in giro per la metropoli londinese e facendo sì che la guardi con i suoi occhi pieni di meraviglia, sempre pronti a lasciarsi incantare da luoghi, tramonti, dal cielo troppo spesso grigio e pallido, dal mare di gente di qualsiasi etnia, dai locali sempre pieni, dai giovani in giro la sera a divertirsi.

Mi ha affascinata immaginarmi passeggiare accanto a Ida, e anche a me Londra è parsa incantevole, seducente... ma inevitabilmente ho sentito forte anche la sua consapevolezza di essere sola, smarrita e impaurita all'idea di fallire e di non riuscire ad integrarsi, a realizzarsi, a metter l'uno sull'altro piccoli ma importanti mattoncini di futuro.

Eppure, nonostante le riflessioni di Ida siano per la maggior parte intrisi di tristezza, delusione, timore, solitudine, amarezza e rabbia, ogni volta che qualche brutta sorpresa la butta giù, lei riesce incredibilmente a sollevare lo sguardo e dire a se stessa: Non mollare. Resisti.

"Nonostante la stanchezza e le deprimenti incertezze che sta affrontando, non ha alcuna intenzione di mollare. Dentro di sé, sente ancora forte il bisogno di credere che sia per lei possibile una rivalsa: la conquista della propria felicità. È il desiderio di non arrendersi, nient’altro, che associa alla smania di conoscere e vivere più da vicino la città in cui ha sempre sognato di poter risiedere. Non chiede nulla di speciale, in fondo; le basterebbe soltanto un’occasione. Una chance."

Ida non si ferma e, se un lavoro va male, ne cerca un altro.
Certo, le lacrime scendono - lacrime di rabbia, amarezza, frustrazione, impotenza... -, il morale va sotto i piedi e può succedere anche a una testarda come lei di chiudersi in camera a piangersi addosso..., ma fortunatamente c'è sempre qualche ragione per cui rialzarsi.

C'è qualcuno che le è affezionata e che cerca di scuoterla: Marta, coinquilina spagnola dal carattere effervescente, allegro, ottimista; a costo di risultare anche brusca ed insensibile, Marta prova a dare i giusti scossoni a Ida, quando la vede giù di corda, affinché questa la smetta di lamentarsi ed isolarsi.
Se non ci fosse lei, Ida sarebbe davvero sola a Londra!

Certo, c'è anche un ragazzo delle sue parti, con cui a volte si sente e, più raramente, si vede: Giacomo, sfuggente, riservato, distante. Isa ne è attratta e a volte sembra che lei non gli sia indifferente, altre, lui pare scocciato e scostante. 
Come sei davvero, Giacomo? Ci si può fidare di te? Si può contare sulla tua presenza a Londra, dovessi averne bisogno?, si chiede perplessa Ida, rimproverandosi per il suo perdere la testa per i ragazzi sbagliati, che la fanno soltanto soffrire.

Davanti alle cocenti delusioni che le piovono addosso, forse Ida dovrebbe chiedersi se scappare da  Londra - che sa essere tanto ricca di fascino quanto crudele e spietata, avara di allettanti possibilità - non sia forse la cosa più saggia a fare.
"Anche lei può trovare il suo posto nel mondo, trovarlo lì, nella città di cui è innamorata, tra le strade che sanno ipnotizzarla e sconvolgerla, prenderla a pugni, ma anche abbracciarla come una madre."

Resisterà, nonostante lavori umilianti, colleghi poco solidali, superiori meschini, rari sprazzi di umanità e di amicizia? Rinuncerà a cercare la propria strada in questa città che ama disperatamente e da cui vorrebbe essere amata nello stesso modo?

"Mind the gap" è un romanzo che, tra citazioni prese dalla letteratura inglese e altre dal mondo musicale punk e britpop, affronta un tema attualissimo, che è quello dei giovani che, carichi di speranza, lasciano il proprio Paese per emigrare e cercare di farsi una vita altrove, là dove son convinti che ci siano maggiori opportunità - di crescita, di studio e di lavoro - per poter dare una svolta alla propria vita e ai propri sogni. 

Ma, lungi dal raccontarci le esperienze esaltanti di una protagonista piena di talento, bella e affascinante, che riesce a ritagliarsi in breve tempo il proprio posto in un mondo di avvoltoi, l'Autrice ha scelto di restare coi piedi ben piantati a terra e di levare inutili strati di cipria dal volto della sua Ida, di svestirla dei panni di eroina sempre positiva che, con la sola forza di carattere e le proprie capacità, riesce a vincere ogni ostacolo, e di presentarcela per quella che è: una trentenne che ha difficoltà a trovare una stanza da affittare, figuriamoci un lavoro dai lauti guadagni o uno consono agli studi fatti.

Ida non è una di quelle protagoniste da romanzo alle quali, dopo un inizio duro, poi va tutto bene e il successo arriva all'improvviso; non c'è nulla di dorato o sbrilluccicante, tra queste pagine, non ci sono sconti e baci da parte della dea fortuna; Ida non è sempre allegra, ottimista ed è lontana dall'avere la Sindrome di Pollyanna; anzi, ci sono momenti in cui angoscia e tristezza prendono il sopravvento e i frangenti di gioia sono rari.

Ma proprio per questo è così... vera. Sì, vera, perché lei è ciò che sarebbe qualunque persona al posto suo nelle sue condizioni, e il modo di affrontare i problemi è assolutamente realistico, perché non è facile vivere in queste metropoli, consapevoli di dover fare un mucchio di sacrifici quotidianamente, pagando a caro prezzo il desiderio di integrarsi in un Paese che non è il proprio e che accoglie sì, ma allo stesso tempo ti guarda con indifferenza, anzi, forse non ti guarda proprio perché sei uno dei tanti e quindi un fantasma, uno dei tanti che va ad infoltire la schiera degli invisibili. 

Ecco, se dovessi dare un aggettivo a questo romanzo di Luisa Multinu direi che è realistico: racconta la realtà nuda e cruda, senza fronzoli e ottimismi da serie tv; Ida è una giovane donna come tante, la cui prima sfida da affrontare è quella di aprire gli occhi ad ogni alba e iniziare una nuova giornata sapendo che nessuno le regalerà nulla.
Il cielo londinese è troppo spesso nuvoloso e Ida lo sa, e anche nella sua mente si addensano spesso nubi di scoramento; ma sa pure che è sotto quel cielo che vuole stare perché è lì che si sente viva davvero.

Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro che ruota attorno ad una protagonista e ad un contesto di vita concreti, veri, con le difficoltà, le speranze, gli scoraggiamenti e la voglia di farcela che, seppur in misura e in modi differenti, fanno parte del vivere quotidiano di ciascuno di noi.





Ripped gloves, raincoat
Try to swim and stay a float
Dry house, wet clothes
Loose change, bank notes
Weary-eyed and dry throat

(The A Team, Ed Sheeran)



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