"Figlie del mare" è la storia di due sorelle legatissime l'una all'altra ma costrette a separarsi quando la maggiore viene rapita per diventare una "donna di conforto", una prostituta per i soldati dell'esercito imperiale giapponese prima e durante la Seconda guerra mondiale.
FIGLIE DEL MAREdi Mary Lynn Bracht
Longanesi Ed. trad. K. Bagnoli 370 pp |
"La compassione è gentilezza (...). Ognuna di noi merita compassione, ma in questa terra abbandonata nessuno ha la compassione di riservarci un po' di gentilezza. Perciò siamo prigioniere di questa umiliazione, torturate giorno dopo giorno. A noi non resta altro che concederci a vicenda quel poco di gentilezza che abbiamo".
Nel 1943 Hana ha sedici anni, vive con i genitori e la sorellina Emiko (di sette anni più piccola) nell'isola di Jeju (Corea) ed è una bravissima haenyeo, una figlia del mare che si tuffa tra le acque in cerca di tutto ciò che può essere venduto al mercato, così da guadagnare qualcosa e contribuire alla vita famigliare; la ragazza è orgogliosa di questo lavoro che non è solo un modo per campare, ma è molto di più: è una tradizione di famiglia (anche sua madre è un'esperta tuffatrice ed è un'attività che si tramanda di generazione in generazione) portata avanti con impegno, devozione, preghiere, e una haenyeo è tale fino a quando riesce ad immergersi, a restare in apnea e a pescare, e tante donne lo fanno anche a ottant'anni.
Hana è una ragazzina sveglia, libera, che ama la propria famiglia e ha molto rispetto per i genitori e per i loro grandi sacrifici.
E poi c'è Emiko, la sua sorellina: ha tanto desiderato una sorella e, adesso che ce l'ha accanto, è disposta a tutto pur di proteggerla.
E purtroppo, questo sacrificio arriva in un brutto giorno d'estate del '43.
La Corea è sotto il dominio giapponese, in Europa è scoppiato un conflitto che ben presto ha assunto una portata mondiale, e un destino atroce sta bussando alla porta di Hana e della sua famiglia.
Un giorno, mentre è con sua madre in acqua ed Emi è sulla spiaggia (è ancora troppo giovane per diventare una haenyeo), Hana vede in lontananza un soldato giapponese che avanza lungo la spiaggia, proprio verso il punto in cui è seduta la piccola Emiko.
Hana ha sentito dire che quei maledetti soldati giapponesi vanno in giro a rapire le ragazze coreane per portarle chissà dove...!
La ragazza comincia a correre disperatamente verso la riva, pronta a salvare la sorellina da quell'orco malvagio che si sta avvicinando a lei, e ci riesce: si pone davanti al soldato, in modo che non veda Emi (che intanto si è nascosta come può) e si lascia portar via di peso da altri due militari sopraggiunti in spiaggia.
Da quel momento, la povera ragazza viene portata via, assieme ad un gruppo di altre giovani come lei, tra cui addirittura una bambina poco più grande di Emi; le rapite vengono trattate come oggetti senza valore e alcune di loro subiscono i primi stupri nel corso del tragitto che le condurrà in Manciuria, compresa Hana, che sarà violentata proprio dal soldato che l'ha trovata presso il suo mare a Juju. L'uomo si chiama Morimoto e dal primo momento manifesta un interesse pericolosamente morboso verso la ragazzina, che ne è ovviamente terrorizzata.
Lì incontra altre donne, alcune giovani come lei, altre un po' più grandi, che sono rinchiuse da diverso tempo; le condizioni di vita sono all'insegna della miseria, della mancanza di igiene e della scarsità di cibo e, soprattutto, della violenza più bestiale.
Leggere cosa subisce Hana all'interno di quelle squallide mura è stato qualcosa di molto forte dal punto di vista emozionale, perché c'è la consapevolezza che non è frutto dell'immaginazione dell'autrice, ma è ciò che realmente accadeva a queste ragazze/donne costrette a prostituirsi.
Come fantocci senza vita, private della dignità, di ogni diritto sul proprio corpo, tolte brutalmente alle loro famiglie, queste "donne di conforto" (già soltanto l'espressione fa rabbrividire per quanto è crudele: è deplorevole già solo pensare che si possa obbligare una donna a subire violenze quotidiane per tenere alto il morale dei soldati) venivano costantemente picchiate, brutalizzate, stuprate, schernite, umiliate da decine di militar
Esatto, avete letto bene: decine. Una donna poteva essere costretta ad "accogliere" anche fino a trenta-quaranta depravati a notte.
È qualcosa di tremendo, di inimmaginabile, ancor più se pensiamo che la narrativa ufficiale giapponese ha fatto passare per anni la versione secondo cui queste donne non erano state rapite e costrette a prostituirsi, bensì avevano accettato questo ruolo volontariamente.
Ma grazie a diversi storici e alle testimonianze delle coraggiose sopravvissute, nel corso del tempo è emerso invece come siano state almeno 200mila le ragazze (principalmente coreane e cinesi) rapite e rese schiave del sesso durante gli anni della guerra.
Ad Hana e alle sue compagne viene "tolto" anche il loro nome ed assegnato uno giapponese: cosa resta a queste poverette se non arrendersi ad un triste e crudele destino, cercando di resistere e non soccombere, con la segreta speranza che... chissà!, magari alla fine della guerra tutte loro possano essere liberate da questa prigione infernale?
Hana resiste, infatti: lei è e resta, a dispetto dell'ignobile tentativo dell'impero giapponese di spersonalizzarla, di strapparle di dosso la sua dignità e il suo valore in quanto persona, una figlia del mare, per cui non può arrendersi senza lottare: la ragazza sa che dovrà fare ricorso a tutte le sue forze per riconquistare la libertà e tornare a casa, dalla sua famiglia, da Emi.
La narrazione della disumana esperienza vissuta da Hana negli Anni Quaranta si alterna a quella di sua sorella Emiko, che nel 2011 vive in Corea del Sud ed è un'abile pescatrice, una haenyeo instancabile nonostante abbia superato i settanta.
Si è sposata con un soldato coreano, con cui ha avuto due figli (un maschio ed una femmina), ma la sua vita non è stata tutta rose e viole, nè il matrimonio un nido d'amore.
Emiko ama i propri figli (ha anche un nipote), ma non ha saputo dimostrare loro il proprio amore apertamente e con spontaneità; attraverso i suoi ricordi di persona in là con l'età, ma ancora molto presente a se stessa, apprendiamo le traversie sue e della madre dopo la fine della guerra; disgraziatamente, nonostante il sacrificio della sorella l'abbia sottratta allo sfruttamento sessuale, Emi non se l'è vista comunque bene e si è trovata costretta a sposare un giovane soldato per garantire a se stessa e alla mamma la sopravvivenza.
Col passare degli anni, la sua mente - forse per "proteggerla" - aveva quasi rimosso il pensiero di Hana, eppure nei suoi sogni la donna rivedeva questa figura femminile famigliare, ne sentiva la voce, ne avvertiva la presenza in modo forte, e il suo cuore le suggeriva che quella ragazza che le compariva in sogno era una parte importante di lei, e non poteva dimenticarla o fingere di non sapere chi fosse.
statua della pace, Seul |
A offrirle questa importante opportunità è una delle cerimonie che le "donne di conforto" sopravvissute organizzano ogni anno per far sentire la propria voce, per innalzare il proprio sdegno e far valere il proprio diritto a non essere dimenticate, perché il mondo deve sapere cosa hanno vissuto e sopportato; a Seul, durante uno di questi incontri, Emiko osserva turbata la statua dedicata a queste donne e capisce che non può più tacere e far finta che Hana non ci sia mai stata.
"Figlie del mare" è un romanzo emozionante, che mi ha coinvolta molto e per il tema delicato e grave che viene affrontato attraverso le tristi vicissitudini di Hana, e per il contesto storico difficile e cupo (come può esserlo quello bellico), tratteggiato con cura dall'Autrice, che a fine libro ci lascia una ricca bibliografia sull'argomento e di cui si è servita lei stessa per scrivere il romanzo.
Ho letto questo libro provando un senso di grande tristezza ed impotenza davanti alle violenze subite da queste donne schiavizzate; ho sperato insieme alla protagonista che lei potesse avere la propria rivincita sulla barbarie di certi "uomini" e su Morimoto in primis; mi ha commossa la sofferenza, intrisa di sensi di colpa, di una Emiko ormai anziana e con un peso troppo grosso per il suo cuore fragile.
La penna di Mary Lynn Bracht è realistica e cruda nel racconto degli abusi fisici e psicologici, ma anche sensibile ed intensa nel presentarci due sorelle teneramente forti, che la guerra ha messo duramente alla prova, piegandole, ferendole, separandole, ma che non è riuscita a spezzare.
Caldamente consigliato.
Ciao Angela, non conosco il romanzo ma ho letto con interesse la tua recensione! Posso solo immaginare la crudezza della narrazione e l'indignazione provata... ma è giusto che ci siano anche questi libri, che testimoniano fatti così terribili che però non devono essere dimenticati...
RispondiEliminaciao Ariel! Certo, hai ragione, è giusto conoscere certi tristissimi abusi perpetrati nel passato, soprattutto se poi c'è stato chi, per lungo tempo, ha cercato di insabbiare e minimizzare >_<
EliminaLo punto da anni, prima o poi...
RispondiEliminaBuona domenica. :)
Quanti libri vorremmo leggere.. *_* + il tempo che ci frega :-D
Eliminabuona domenica a te!!
Le guerre celano sempre orrori inerarrabili e il genocidio delle comfort women è un orrore che non ha mai avuto voce. Grazie per aver proposto un libro che ci permette di conoscere una pagina di Storia ascoltando la voce dei più deboli! Buona serata :)
RispondiEliminaQuando attraverso un romanzo abbiamo modo di allargare le nostre conoscenze (storiche e non solo) non posso che consigliarlo.
EliminaBuona serata a te :)