lunedì 14 febbraio 2022

14 febbraio 1996: moriva Lady Caroline Blackwood


Il 14 febbraio 1996 moriva in una suite elegante al Mayfair Hotel in Park Avenue, New York, Lady Caroline Blackwood, giornalista e scrittrice di origine irlandese.

Nata il 16 luglio 1931 nell'Irlanda del Nord, il suo nome per intero è Caroline Maureen Hamilton-
Temple-Blackwood; ha contratto tre matrimoni.

Figlia maggiore del 4° marchese di Dufferin e Ava e dell'erede del birrificio Maureen Guinness, discendente del drammaturgo del 18° secolo Richard Brinsley Sheridan, ha vissuto in Irlanda fino all'età di 17 anni. 

Oltre a dedicarsi al giornalismo (ha lavorato per Encounter, London Magazine e altri periodici), si è dilettata  come modella e attrice, apparendo su Vogue e in un film tv western americano.

Ha cominciato a scrivere narrativa abbastanza tardi (dopo i 40 anni), ricevendo negli anni critiche positive; in particolare, venivano apprezzate le sue trame, le psicologie complesse dei personaggi e la sua penna caratterizzata da un umorismo nero e malizioso.
La Blackwood è stata ritenuta brava nell'analizzare i personaggi femminili; amava utilizzare la commedia nera per cimentarsi con storie incentrate sulle tante difficoltà affrontate da donne e ragazze, ed infatti la sua opera letteraria si concentra principalmente su personaggi femminili problematici.

Il suo primo libro (For All I Found There, 1973) è una raccolta di racconti e saggistica, tra cui ricordi  della vita in Irlanda del Nord; fu suo marito Robert Lowell ad incoraggiarla a buttarsi nella scrittura.
Il romanzo La figliastra (1976; ediz. italiana La figliastra, Codice Ed., 2016) è un monologo conciso e avvincente di una donna ricca, abbandonata dal marito in un lussuoso appartamento di New York e tormentata dalla sua figliastra obesa; il libro ha ottenuto il prestigioso David Higham Fiction Prize per il miglior esordio letterario del '76.
Ma il suo capolavoro è considerato Great Granny Webster (1977; ediz. ital. Mrs Webster, Ed. Elliot, 2014), selezionato per il premio Booker: un romanzo dalle atmosfere gotiche con riferimenti autobiografici (si ispira all'infanzia dell'Autrice e alla  famiglia Blackwood), che rivela ciò che si cela di inquietante dietro le quinte delle grandi famiglie dell'aristocrazia; ritrae quattro generazioni di donne tenute prigioniere da una grande casa dell'Ulster, attraverso gli occhi di Caroline, adolescente ironica e sveglia, che fa da voce narrante.
Altri libri:  The fate of Mary Rose (1981), che descrive l'effetto che, su un villaggio del Kent, ha la scoperta dello stupro e della tortura di una bambina di dieci anni di nome Maureen; The Last of the Duchess (1995; ed. ital. La duchessa, Codice Edizioni, 2015), che racconta i tentativi della Blackwood di scrivere sull'anziana duchessa vedova di Windsor, e poi memorie e reportage vari, una biografia e un libro di cucina. 
Nonostante sia stata giudicata una voce molto originale e dal talento irrefrenabile, Caroline Blackwood è stata piuttosto sottovalutata e trascurata, e forse la sua stella è stata oscurata dalla sua vita tumultuosa, dai mariti famosi, dalle discendenze aristocratiche e dalla straordinaria bellezza. 

Qualcuno, tra coloro che hanno commentato i suoi scritti, ha ipotizzato che la fama della 
source
Girl in bed, 1952

Blackwood non risiedesse tanto nella sua arte quanto in quella che lei stessa ha ispirato negli altri, in particolare nei suoi ex mariti, di cui è stata musa ispiratrice: il pittore Lucian Freud, il compositore Israel Citkowitz (maggiore di lei di oltre vent'anni) e il poeta Robert Lowell. 

Girl in Bed è uno dei ritratti che di lei fece il marito Freud.


Malata di cancro, muore a sessantaquattro anni.


https://www.britannica.com/
https://www.irishtimes.com/
https://wikiita.com/lady_caroline_blackwood

domenica 13 febbraio 2022

[[ PROSSIMAMENTE IN LIBRERIA ]] TREMA LA NOTTE di Nadia Terranova - LE MOGLI HANNO SEMPRE RAGIONE di Luca Bianchini



Due libri che troverete in libreria prossimamente e che personalmente mi interessano perché scritti da autori di cui ho già letto opere precedenti, per la precisione Addio fantasmi di Nadia Terranova e diversi romanzi del simpaticissimo Luca Bianchini (DIMMI CHE CREDI AL DESTINO, NESSUNO COME NOI, IO CHE AMO SOLO TE, LA CENA DI NATALE: BACI DA POLIGNANO, SO CHE UN GIORNO TORNERAI).


TREMA LA NOTTE
di Nadia Terranova



Einaudi Ed.
176 pp
USCITA
22 FEBBRAIO 2022

28 dicembre 1908: il più devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo Messina e Reggio Calabria. 
Nadia Terranova ci racconta di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma più somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente.

«C'è qualcosa di piú forte del dolore, ed è l'abitudine». 
Lo sa bene l'undicenne Nicola, che passa ogni notte in cantina legato a un catafalco, e sogna di scappare da una madre vessatoria, la moglie del più grande produttore di bergamotto della Calabria. 
Dall'altra parte del mare, la ventenne Barbara, arrivata in treno a Messina per assistere all'Aida, progetta di fuggire dal padre, che vuole farle sposare un uomo di cui non è innamorata. 
I loro desideri di libertà saranno esauditi, ma a un prezzo altissimo. La terra trema, e il mondo di Barbara e quello di Nicola si sbriciolano, letteralmente. 
Adesso che hanno perso tutto, entrambi rimpiangono la loro vecchia prigione. 
Adesso che sono soli, non possono che aggirarsi indifesi tra le rovine, in mezzo agli altri superstiti, finché il destino non li fa incontrare: per pochi istanti, ma cosí violenti che resteranno indelebili. 
In un modo primordiale, precosciente, i due saranno uniti per sempre.



LE MOGLI HANNO SEMPRE RAGIONE
di Luca Bianchini



Mondadori
240 pp
USCITA
8 MARZO 2022
Tra canzoni stonate, melanzane alla parmigiana, segreti inconfessabili e voci di paese in cui tutti parlano e nessuno dice, Luca Bianchini scrive una commedia esilarante e ci fa vivere nella sua amata Polignano una nuova avventura ricca di colpi di scena, in cui tutte le tessere del mosaico si mettono lentamente a posto per rivelare una sorprendente verità.


Il maresciallo Gino Clemente ama la canottiera bianca, il karaoke, il suo labrador e soprattutto la moglie Felicetta, e coltiva un unico desiderio: andare presto in pensione. 
Dopo anni passati lontano da casa, viene finalmente trasferito nel suo paese d'origine, Polignano a Mare, a ridosso della festa patronale di San Vito che dà inizio all'estate. 
Per l'occasione, la famiglia allargata degli Scagliusi decide di celebrare il compleanno della piccola Gaia con una "festa nella festa", durante la quale Matilde può inaugurare e soprattutto mostrare la sua nuova masseria a parenti e pochi amici. 
Non mancano i manicaretti peruviani preparati dalla fedele Adoración, la tata tuttofare della famiglia. 
Oltre a Ninella, don Mimì e a tutti i protagonisti di Io che amo solo te è stato invitato anche il maresciallo Clemente che però declina, ma sarà chiamato con urgenza sul posto: Adoración è stata trovata senza vita nel salottino degli angeli collezionati con amore dalla padrona di casa. È subito chiaro che non si tratta di una morte accidentale. 
Chi può essere stato? 
Nel pieno della notte di San Vito, il maresciallo si troverà ad affrontare un po' controvoglia la sua prima vera indagine. Ad aiutarlo nell'impresa ci penseranno la brigadiera Agata De Razza, salentina dai capelli ricci e dalla polemica facile, e l'appuntato Perrucci, il carabiniere più sexy del barese, oltre naturalmente al suo fiuto, a quello del suo cane Brinkley e ai consigli disinteressati della moglie. 
Per tutti gli abitanti della zona sarà il giallo dell'estate. 

venerdì 11 febbraio 2022

RECENSIONE: I FIGLI DEL DILUVIO di Lydia Millet


Questa è la storia di un gruppo di ragazzi che si trova ad affrontare le conseguenze disastrose di uragani e inondazioni, che trasformano la loro vacanza estiva in un'esperienza decisamente più avventurosa del previsto e, di certo, più drammatica.

La Millet, attraverso i suoi figli del diluvio, ricorda all'umanità le proprie responsabilità e i propri doveri verso le giovani (e le future) generazioni: c'è un pericolo che ci riguarda tutti e che non può essere più ignorato o preso sotto gamba e che risponde a una "semplice" domanda: quale mondo stanno lasciando le attuali generazioni, non tanto e non solo a chi verrà dopo, ma... a loro stesse e ai bambini/giovani di oggi?
Ma soprattutto, ci dice che questo gruppetto di ragazzi è capace di restituire al mondo ciò che gli adulti incoscienti ed egoisti hanno provato a rubare loro: la parola futuro.
Nonostante le devastazioni attorno a loro, i ragazzi stanno imparando che "la parola paradiso fa parte di un codice, vuol dire solo un buon posto sulla Terra dove abitare." 
Ma questo posto devono essere capaci di amarlo e custodirlo.



I FIGLI DEL DILUVIO
di Lydia Millet



Edizioni NN
trad. G. Guerzoni
208 pp

"In quel periodo, come molti di noi, stavo venendo a patti con la fine del mondo. Il mondo che mi era familiare, perlomeno. Gli scienziati dicevano che stava per finire, i filosofi che stava per finire da sempre. Gli storici dicevano che c’erano già state epoche oscure. Tutto si sarebbe risolto comunque, perché alla fine, se eri paziente, l’illuminazione sarebbe arrivata..."


Cosa c'è di peggio e di più noioso per un adolescente che andare in vacanza con i propri genitori?
Evie (voce narrante) e il suo fratellino Jack seguono mamma e papà per il periodo estivo in una villa a due passi dall’oceano, dove è previsto che trascorrano, insieme ad altre famiglie con prole, una lunga villeggiatura. 

La ragazza fa amicizia con il gruppo eterogeneo di altri figli, alcuni coetanei, altri più piccoli; e se questi ultimi si divertono, in qualche modo, a giocare con bambole e avventurandosi nella natura circostante, i più grandi si aggirano annoiati in spiaggia o per casa, cercando di passare il tempo e, soprattutto, di evitare i terribili adulti.

Hanno inventato anche una sorta di "gara a punti", fatta di regole da osservare, tra cui la più importante: fare in modo che gli amici  non scoprano l'identità dei genitori di ciascuno.
Sarebbe davvero motivo di grandissimo imbarazzo, per non dire vergogna.

Sì, perché i ragazzi si vergognano moltissimo dei propri genitori e fanno di tutto per ignorarli e nascondersi da loro pur di non svelarne la incresciosa e svilente parentela.
Questi padri e madri sono puntualmente oggetto di risatine di scherno, di pungenti commenti al vetriolo per il loro aspetto fisico, il modo di vestire, di parlare, gli atteggiamenti sciocchi, vanesi, patetici, irritanti..., insomma né ad Evie né agli altri verrebbe mai in mente di dire: "Ecco, quelli sono i miei vecchi!".

Tra qualche goccio di alcool e un po' di erba, le giornate passano in modo sonnacchioso; a meravigliare (in senso negativo) il lettore è però la constatazione di come i primi a darsi a festini fatti di vizi e stravizi, dove scorrono fiumi di alcool e di droga (non solo "leggera") e sesso, sono proprio madri e padri, totalmente immersi in un infinito happy hour e completamente indifferenti ai loro ragazzi, salvo che per ordinare loro qualcosa ogni tanto, giusto per rammentare (a se stessi?) chi sono i "grandi" e chi comanda (hanno pure confiscato ai figli i cellulari).

A destare preoccupazione, però, tra un tiro e l'altro e chiacchierate in riva al mare, è la notizia di un imminente uragano.

Notizia che pare allarmare solo i figli e non i genitori; in particolare, a prendere molto sul serio la cosa è il piccolo Jack, che - guidato dal racconto biblico di Noè contenuto nella sua copia di Bibbia illustrata per ragazzi - si convince di dover fare qualcosa perché la vita possa continuare dopo che sarà passato il diluvio, che forse non sarà universale ma di certo qualche danno lo farà...!
Il ragazzino decide di mettere in salvo tutti gli animali che può raccogliere, dal barbagianni alle capre agli opossum.
Sua sorella Eve - che adora il bambino, è molto protettiva nei suoi confronti e lo asseconda amorevolmente - e gli altri ragazzi lo aiutano, raccogliendo anche viveri nelle case sugli alberi. 

Purtroppo la tempesta infuria, forti venti distruggono la villa e le città, creano ovviamente problemi nei trasporti, nelle comunicazioni, e per salvarsi i ragazzi sono costretti ad abbandonare i genitori e a cercare un rifugio di fortuna altrove.
I "vecchi" tentano blandamente di fermarli, ma in realtà essi sono così scarichi, depressi, disorientati e, purtroppo, anche annebbiati da alcolici e droghe, da non avere le forze né fisiche né psicologiche per opporsi.

Questi adulti, che dovrebbero avere a cuore il destino dei figli prima ancora che il proprio, lasciano che i ragazzi vadano via, verso il nulla o, peggio, verso pericoli sconosciuti, mentre essi restano là dove sono a leccarsi le ferite e a subire passivamente gli eventi.

Eve e gli altri si mettono in viaggio su un paio di furgoni per cercare di arrivare nella grande e bella casa di uno di loro (Juicy), ma il progetto per ora è irrealizzabile, così giungono e si fermano in una casa abbandonata, dove trovano dei viveri alimentari per sopravvivere per un po' di tempo; decidono - aiutati anche da uno sconosciuto, Burl, che si rivela una presenza preziosa e un valido aiuto per i giovani vagabondi - di sostare lì, provando a tirare avanti insieme, collaborando, come una piccola comunità che cerca di resistere allo sfacelo attorno a sé, aspettando e sperando nell'arrivo di tempi migliori.

Ogni tanto, durante il giorno, il pensiero di quei genitori disgraziati, lasciati soli nella villa delle vacanze (o ciò che ne resta), li afferra e li induce a mandare - di nascosto dagli amici - un messaggino per sapere come stanno, e apprendono che purtroppo le cose non vanno benissimo, perché in molti si sono ammalati.
Del resto, era inevitabile, vista la scarsa capacità di prendersi cura di se stessi (figuriamoci della prole!) e senza i figli a spronarli (seppur con scarsa delicatezza).

Intanto, il loro soggiorno in questa casa sperduta si arricchisce di avvenimenti imprevisti e complicati, tra cui la nascita della sorellina di una di loro (Sukey), l'incontro con quattro persone molto disponibili e gentili che si aggiungono alla loro piccola comunità (a ricordare ai ragazzi che, dopotutto, non tutti i "grandi" sono pigri e irresponsabili!), e l'arrivo di un convoglio di soldati bifolchi e dalle intenzioni tutt'altro che rassicuranti.

Dal momento in cui questi criminali prepotenti fanno irruzione nella casa, per i ragazzi inizia il momento più difficile, in cui dovranno cercare di far fronte comune e provare a resistere alla violenza imprevedibile di questi malintenzionati.

Riusciranno a venirne fuori sani e salvi, a raggiungere la casa di Juicy - che sembra, ai loro occhi, una sorta di terra promessa da conquistare per ritrovare finalmente una parvenza di pace e stabilità, chiudendo fuori il caos e la devastazione?
I genitori usciranno dal loro torpore apatico ed infantile per riconciliarsi con i loro figli, che stanno dimostrando di essere più maturi e coraggiosi di loro? 
Il piccolo Jack riuscirà a salvare i suoi adorati animali, come un moderno e giovane Noè?


I figli del diluvio ci racconta una storia che non è incentrata sulla catastrofe climatica in sè (il diluvio, per quanto da esso prenda avvio) quanto sui veri protagonisti, i figlida bambini di sette anni ad adolescenti di diciassette, essi si muovono tra le macerie delle inondazioni e dei venti d'uragano e cercano non soltanto di resistere alla rovina del loro mondo, ma di fare qualcosa; contrariamente agli adulti - passivi, demotivati, narcisisti, menefreghisti, immaturi, senza scopi e motivazioni, con scarso amore per le proprie creature, con il cervello ormai obnubilato da ecstasy e bourbon -, i giovani prendono in mano la situazione e non accettano di restar fermi davanti alla natura che si ribella, ma provano a sopravvivere, dimostrando carattere e più sale in zucca dei loro "vecchi".

Questi genitori, ai loro occhi, non sono innocenti; certo, non sono materialmente colpevoli di quel disastro, ma moralmente sono comunque responsabili del disinteresse e della mancanza di rispetto verso l'ambiente, che sta facendo sentire la propria voce.
Eppure non sono padri e madri sempliciotti, di basso ceto sociale: parliamo di persone ricche
(a parte qualche eccezione), istruite, con una vena artistica e con un posto nella società in virtù del loro lavoro; ma hanno la grande colpa di non aver fatto nulla di concreto, ciascuno nel suo piccolo, per lottare, per lasciare ai figli un briciolo di speranza in un futuro migliore.

«Siete stati solo stupidi» dice Sukey. «E pigri». (...) «Avete abbandonato il mondo» (...) «Avete lasciato che andasse tutto in vacca». (...)
«Mi spiace deludervi, ma non abbiamo tutto quel potere» dice un padre. 
«Già. Non sapete dire altro» (...). 
«Sentite. Vi abbiamo deluso, lo sappiamo» dice una madre. «Ma cos’avremmo potuto fare, secondo voi?». 
«Lottare» (...) «Avete mai lottato?».


Nella prima parte del libro (prima del diluvio), non vi nascondo di aver pensato che questi ragazzini fossero esageratamente sprezzanti e maleducati verso i loro genitori, ma mi son dovuta ricredere e accettare la realtà: erano gli adulti ad aver tradito il proprio ruolo di guide, di punti di riferimento per i figli, mentre questi - per quanto a volte cinici, duri, sgarbati e senza peli sulla lingua - hanno dovuto fare i conti con un presente difficile, caotico e hanno tirato fuori le proprie personali risorse per affrontarlo con intelligenza, saggezza, collaborando, andando oltre i facili egoismi, per conservarsi in vita, tendendo acceso il lumicino della speranza.

"Una volta lasciavamo che facessero tutto loro, lo davamo per scontato. Poi era arrivato il giorno in cui avevamo fatto da soli. Eppure, tempo dopo, ci eravamo resi conto che i nostri genitori non avevano fatto proprio niente. Si erano dimenticati la cosa più importante, nota anche come: il futuro."

Drammatico e ironico, il libro della Millet, oltre a parlarci di incomprensioni generazionali, di adulti che hanno perso ogni visione, di una società che corre ciecamente verso i disastri ambientali, ci rammenta anche che la speranza può risiedere nelle giovani generazioni, a condizione che esse raccolgano la sfida di trovare nuovi linguaggi, nuove prospettive e nuove risorse per reinventare il mondo.

Consigliato ^_- 

lunedì 7 febbraio 2022

Recensione: LA STANZA DELLE ILLUSIONI di Diego Pitea



Pasticche di liquirizia sempre in bocca, due mattoncini lego perennemente in tasca e quello sguardo indecifrabile verso il soffitto, di chi si perde facilmente nel proprio complicatissimo mondo: lo psicologo Richard Dale (già protagonista del giallo L'ultimo rintoccorispetto al quale però narra episodi accaduti prima), dal carattere davvero particolare, è più che mai intenzionato a sfoderare tutte le proprie abilità investigative per stanare un assassino molto scaltro.



LA STANZA DELLE ILLUSIONI 
di Diego Pitea

AltreVoci Edizioni
342 pp
Allo psicologo Richard Dale è capitato di collaborare, in passato, con la polizia di Roma e di dare il proprio prezioso contributo per risolvere alcune complesse indagini.
Adesso, però, a chiamarlo non è il burbero commissario Marani, bensì un noto avvocato penalista, Roberto Calli, che si rivolge a lui 
per sottoporgli un problema: il suo assistito, un finanziere di nome Cesare Borghi, sta ricevendo delle lettere anonime nelle quali si preannuncia la sua morte. 
Detta così, a Richard non sembra un caso che meriti molta attenzione, ed infatti all'inizio è restio ad accettare, se non fosse per un’incongruenza che nota sulle buste: l’indirizzo è scritto a mano e la scrittura sembra quella di un bambino.

E così, il nostro psicologo con la sindrome di Asperger, accetta il misterioso incarico - nonostante quel Calli non gli ispiri la minima fiducia, anzi - e apprende che parlare con Borghi deve recarsi in una sua villa sita nelle Dolomiti.

Ingenuo lui, crede di andarci da solo, ma non ha fatto i conti con la gelosia cronica di Monica, la sua adorata e inseparabile mogliettina.

Accompagnati dal giovane segretario Severo, arrivano nella bellissima villa, circondata dalla neve e isolata dal resto del mondo; una volta lì, Richard e Monica scoprono di essere in compagnia: sono presenti, infatti, oltre all'avvocato e al padrone di casa, anche la moglie di quest'ultimo (Beatrice), un'amica di famiglia (Vanessa), il socio in affari Crescenti, Severo e il medico di fiducia di Borghi, Robaldi.
Ah... e il maggiordomo Ruggero; del resto, un maggiordomo tutto serio e ligio ai propri compiti non può mai mancare in un giallo che si rispetti.
E questo lo è.

Una dimora bella, grande - con molte stanze, sottoscala, corridoi silenziosi -, un gruppo di persone oculatamente scelte e praticamente costrette a condividere il tetto (fuori il tempo è così brutto che andare e venire da quel posto è praticamente impossibile, il che significa che si è "prigionieri" in questa villa), un mistero da risolvere in partenza e al quale si aggiungerà presto un delitto per il quale saranno in molti ad essere sospettati:
l'Autore, proprio come nel più classico e avvincente dei gialli, crea tutte le condizioni perché il protagonista si trovi all'interno di un contesto lontano dal mondo esterno (come avvolto da una nebbia di misteri, segreti e di possibili e sconcertanti pericoli, difficili però da prevedere) ed impelagato, sin dal primo momento, in una situazione intricata, con personaggi che non ispirano fiducia - ciascuno per diversi motivi -, a partire dall'antipatico e ruvido finanziere.

Cesare Borghi è un uomo che non suscita alcuna simpatia: riservato, quasi asociale, appassionato d’arte e ossessionato dalla civiltà Maya; ha fatto fortuna tenendo le mani in pasta in tanti affari, in particolare attraverso il commercio con il Sudamerica.

Quando lo incontra per la prima volta, Richard è un po' spiazzato da quest'uomo che ha comportamenti indecifrabili, vittima di sbalzi d'umore che lo rendono ora iracondo e poco socievole, ora più ragionevole.
Più le ore in compagnia degli ospiti di Borghi passano, più lo psicologo registra tutta una serie di perplessità e dettagli misteriosi, fino al momento fatidico in cui la situazione precipita: un grosso lampadario precipita in salone mentre Borghi ci sta passando sotto, ma l'incidente provoca giusto qualche piccola ferita e molto spavento.
Ciò che però tutti si affrettano a etichettare come una casualità, per Richard non lo è: si convince, per una serie di motivi, che qualcuno ha fatto in modo che quel lampadario pesante cadesse giù.
Il che significa una cosa sola: qualcuno ha intenti omicidi e tutto fa pensare che la vittima designata sia proprio Borghi (che, non per nulla, è il destinatario delle famose lettere minatorie).
Chi ha motivo di volerlo morto?

Richard non si perde in chiacchiere e comincia a tenere sotto tiro ogni uomo e donna presenti in casa, per osservarli e cercare di cogliere gesti, parole, silenzi, sguardi..., tutto ciò che possa rivelare cosa  ciascuno di loro possa covare dentro di sé e chi potrebbe effettivamente arrivare a macchiarsi di un delitto.

Una cosa è certa: Cesare aveva dato a molti dei presenti (se non a tutti) delle ragioni per farsi odiare.

Poco dopo essere giunti nella villa, Richard scopre, ad esempio, che Borghi e Vanessa erano amanti, il che potrebbe rendere Beatrice una possibile colpevole: in fondo, non sarebbe la prima volta che una donna tradita e ferita maturi l'idea di uccidere il proprio marito fedifrago, no?

E Vanessa, l'amante, è a sua volta una donna enigmatica, che suscita più di un dubbio in Dale: è molto bella e seducente, e anzi punta molto sul proprio aspetto fisico e sulla propria sensualità per far colpo sugli uomini. È possibile che anche lei nasconda qualcosa, nel proprio passato, che potrebbe metterla nella lista di coloro che provano risentimento e odio verso Cesare?

Ma, a ben guardare, non c'è nessuno che possa definirsi completamente al di fuori di ogni sospetto, che sia il socio, Crescenti (che, scopre Monica, ha uno strano tatuaggio sul polso, lo stesso che ha anche Cesare...), o Severo, col suo ghigno un po' strafottente.
Forse solo il maggiordomo o il medico sembrano esenti da ogni dubbio, ma il suo sesto senso gli suggerisce di non dare nulla per scontato.

Intanto, uno di seguito all'altro, continuano ad accadere tanti avvenimenti che gettano sia Richard che Monica in allarme, perchè si rendono conto che questi giorni sulle Dolomiti non sono affatto una villeggiatura e che la dimora si sta trasformando in un posto poco sicuro e dove si respira un'atmosfera densa di tensione e nervi a fior di pelle.
Non ci si può fidare di nessuno; è bene chiudersi dentro la propria camera perché di notte si sentono rumori nei corridoi che mettono un po' i brividi.

Ombre che camminano in piena notte con una scala in mano, un anello con un’iscrizione misteriosa e una data, un ritaglio di giornale di trent’anni prima in cui si dà notizia di un tragico incidente stradale, un quadro famoso che sembra celare un segreto...: insomma, Dale è davanti ad un vero e proprio rebus, dove gli elementi per giungere alla soluzione sono a portata di mano e bisogna solamente analizzarli e decifrarli.

Quando la morte, nelle sue forme più delittuose, irromperà nella villa, diverrà chiaro come Richard e Monica siano in balia di una mano assassina intelligente e che ha organizzato ogni cosa con lucidità.

"Quell’omicidio sembrava, appunto, il gioco di un abile illusionista, uno di quelli in cui le mani si muovono così velocemente da rendere impossibile cogliere il trucco, e come in ogni gioco di magia, per trovare la soluzione doveva capire dove stava la diversione, quella tecnica che i maghi usano per spostare l’attenzione degli spettatori lontano dal punto in cui avviene l’inganno."

Richard è intenzionato a raccogliere questa "sfida" in qualità di investigatore che si trova a ragionare su un omicidio compiuto in una camera chiusa dall’interno, quella da Borghi definita la “stanza delle illusioni”, perché tra quelle pareti si illudeva di tener fuori la bruttezza e il dolore.

Come un puzzle i cui pezzi vanno inseriti nella loro giusta posizione per ottenere l’immagine completa, così i vari elementi e misteri di questo caso vanno sistemati nell'ordine giusto per permettere a Richard di vedere con chiarezza il volto dell’assassino.

Anche di questo romanzo, al pari del precedente, ho un parere assolutamente positivo ed entusiasta, perchè l'Autore si conferma un ottimo narratore, sia dal punto di vista della forma e dello stile, che da quello squisitamente narrativo; trovo sia tutto perfetto, dalla trama (articolata, complessa, sempre aperta a sorprese e imprevisti, coerente nello sciogliere ogni nodo e rispondere a ogni curiosità del lettore) alla location (suggestiva la località di montagna e la villa, grande e isolata per il cattivo tempo, per questo anche pericolosa perchè può succedere qualsiasi cosa e chiamare i soccorsi è difficile), dai riferimenti alla "regina del giallo, Agatha  Christie (e a un suo celebre romanzo, in special modo) ai personaggi, a partire dal protagonista.

Dale è un uomo singolare, non facile da inquadrare e anche relazionarsi con lui è un'impresa; Monica lo sa meglio di chiunque altro: lui è così sfuggente, tende a starsene per i fatti suoi e poi pensa..., pensa tanto e non condivide sempre tutto, finendo per smarrirsi nel marasma di ragionamenti cervellotici. Però lei lo ama per quello che è, con pregi e difetti, e sa che, quando si impunta, raggiunge ogni obiettivo prefissatosi.
Anche gli altri personaggi sono tutti ben tratteggiati nelle loro personalità e l'Autore è molto bravo nel darci di ciascuno una certa immagine e idea, per poi instillare dei dubbi, che il perspicace Richard scioglierà un po' alla volta.

Ringrazio Diego Pitea per avermi proposto di leggere il suo libro, scritto molto bene, che mi ha coinvolta sempre più ad ogni capitolo e... non mi resta che consigliarvene la lettura!


domenica 6 febbraio 2022

La "mia" canzone sanremese



SEI TU
(Fabrizio Moro)


Sei tu che dai origine a quello che penso
La distanza compresa fra me e l’Universo
Il motivo per cui la mia vita è cambiata
Sei tu che hai visto i miei sbagli ma non l’hai giudicata
E sei tu quel confine fra il giorno e la notte
Dove io mi nascondo con le mie mani rotte
Che continuo a scagliare su un muro che non cade giù
Ma la forza che sento dentro ad ogni sospiro imperfetto
Sei tu
Che attraversi il mio ossigeno quando mi tocchi
Sei tu
Il mondo che passa attraverso i miei occhi
E sei tu che mi inietti nel sangue il destino
E accompagni i miei passi come fossi un bambino
Sei la cosa più bella che ho sempre difeso
E hai sconfitto i miei dubbi quando io mi ero arreso
Che ci vuole una forza incredibile per dire buongiorno
Mentre provi a vagare fra te e chi sta intorno
Mi hai visto credere in me e poi non crederci più
Ma l’insistenza di esistere appesi ad un filo sottile
Sei tu
Che attraversi il mio ossigeno quando mi tocchi
Sei tu
Il mondo che passa attraverso i miei occhi
Oggi è un giorno per credere in te
Oggi lasciami senza parole
Voglio vivere i sogni che ho fatto anche se
Hai deciso di essere altrove
Oggi è un giorno per credere in te
Oggi lasciami senza parole
Prendi ancora se vuoi la mia rabbia in affitto
La distanza fra un uomo che ha vinto ed un uomo sconfitto
Sei tu
Che attraversi il mio ossigeno quando mi tocchi
Sei tu
Il mondo che passa attraverso i miei occhi
Sei tu
Il mondo che passa attraverso i miei occhi
Sei tu



sabato 5 febbraio 2022

|| Lista dei desideri || - On my wishlist (febbraio 2022)



Alcuni libri che mi piacerebbe comprare, prossimamente. 
Li ho "scovati" navigando in web, su Instagram soprattutto ^_-


PREZIOSO VELENO di Mary Webb (Elliot Ed., trad. A. Veneziani, 283 pp).

.
 Pubblicato per la prima volta nel 1924 questo classico della letteratura inglese racconta la storia di Prue Sarn, una giovane donna dallo spirito libero, nata con una malformazione al volto e per questo sempre malvista dagli abitanti del villaggio in cui abita, nelle Midlands Occidentali. 
Solo l'umile tessitore Kester Woodseaves sembra apprezzarla nonostante la sua "deformità", mentre il fratello della ragazza, animato da un'incontenibile ambizione materiale, si dedica anima e corpo al lavoro per poter migliorare le proprie condizioni di vita. 
Ispirato ai ritmi e ai colori espressivi delle Sacre Scritture, questo è il romanzo con il quale Mary Webb mostrò al mondo la bellezza, non soprannaturale ma terrena, della vita rurale dell'Inghilterra ai tempi di Napoleone. In quei territori infestati dalle superstizioni e dalle leggende popolari, solo un'eroina come Prue poteva convertire il "veleno" di una maledizione in qualcosa di "prezioso", tramite un amore finalmente libero e vissuto.



Poetico, drammatico e commovente, "Tornata alla terra" è un grande romanzo fuori dal tempo che ha la forza conturbante della tragedia greca e la grazia della poesia. 

TORNATA ALLA TERRA
di Mary Webb (Elliot ed., 320 pp, trad. C. Alvaro)

,
Hazel Woodus è  la solitaria figlia di una zingara gallese e di un allevatore di api che vive in un cottage  sperduto tra le colline e i boschi della regione inglese dello Shropshire. 
La sua unica amica è Foxy, un cucciolo di volpe al quale la ragazza dedica il suo affetto e le sue cure. Tutto cambia però quando incontra due uomini radicalmente diversi tra loro: il nobile, tenebroso quanto rozzo Jack Reddin e il premuroso, gentile reverendo Edward Marston. 
Entrambi si innamorano della ragazzina e cercano di averla; entrambi l'avranno, uno come marito, l'altro come amante, ma nessuno la possiederà mai, mentre Hazel, lontana dal suo mondo fatto di naturalezza e ingenuità, dovrà affrontare i pericoli della vita cosiddetta civile, sconosciuta e infida, da cui finora si è sempre tenuta lontana. 



Il terzo libro è per quando mi viene voglia di una dose di romanticismo :-D
Confesso che ad attirarmi è stata la copertina, a primo impatto.

L'EREDITA' DEI MADDOX di Christina Courtenay (Ed. Newton Compton, 358 pp).

m
Mia si trova davanti a un dilemma: ha appena ereditato dalla sua adorata nonna il cottage di famiglia in Svezia; il fidanzato Charles le consiglia di vendere quella vecchia casa e comprare un appartamento a Londra, dove vivono, ma Mia esita perché sa che i desideri di sua nonna sarebbero stati altri. 
L’avvio di uno scavo archeologico proprio nel giardino della proprietà le consente di prendere tempo: a quanto pare ci sono preziosissimi manufatti che potrebbero tornare alla luce. 
Così parte per la Svezia, dove fa la conoscenza dell’affascinante archeologo Haakon Berger, responsabile dei lavori. Mentre lo scavo procede, tra i due sembra nascere un’intesa particolare… Cercando di resistere all’attrazione crescente, Mia e Haakon iniziano a ricostruire la storia di una nobildonna gallese, Ceri, e del misterioso vichingo noto come “Falco Bianco” che la portò via dal suo popolo. Può una storia d’amore antica di secoli condizionare due vite nel presente?



Concludo con un fantasy per ragazzi che mi attirato perché scritto da Jennifer Donnelly, autrice di cui ho letto diversi libri che mi sono piaciuti tanto tanto.


STEPSISTER. SORELLE DI SANGUE di Jennifer Donnelly (Mondadori, trad. B. Servidori, 468 pp).

.

In un mondo dove una ragazza può essere solo brava, obbediente e soprattutto bella, non c'è posto per  giochi di guerra e corse a cavallo: ovvero per tutte le cose che Isabelle ama. 
Quando, costretta da Maman, si mozza le dita dei piedi per farle entrare nella scarpetta e aggiudicarsi il matrimonio con il principe, Isabelle viene scoperta. 
E al suo posto viene scelta Ella, la sorellastra buona, la perfetta Cenerentola delle fiabe. 
A Isabelle resta solo la vergogna più nera e l'ostilità di tutta Saint-Michel. 
Ma è proprio vero che il destino di una sorellastra "cattiva" è vivere ai margini e che l'unica strada possibile è quella dell'infelicità? 
Il marchese de la Chance non la pensa così e forse l'unica cosa che può salvare Isabelle è capire che per tutte c'è una possibilità, e che la vera bellezza è scegliere la propria strada e percorrerla senza voltarsi indietro. 
Questa è una fiaba oscura. È una fiaba crudele. È una fiaba da un altro tempo, un tempo in cui i lupi restavano ad aspettare le bambine nella foresta. Quel tempo è ormai passato. Ma i lupi sono ancora qui e sono due volte più scaltri. Le bestie rimangono. E la morte ancora si nasconde in una spolverata di bianco. È crudele per qualunque ragazza che smarrisca il sentiero. Più crudele ancora per una ragazza che smarrisca se stessa. Sappi che è pericoloso allontanarsi dal sentiero. E tuttavia è molto più pericoloso non farlo. 

Età di lettura: da 13 anni.

Chicchi di Jennifer sul blog

giovedì 3 febbraio 2022

Recensione: "Amore e amicizia" di Jane Austen



Amore e amicizia (Love and Freindship) è una breve novella in forma epistolare di Jane Austen scritta nel 1790 e facente parte degli scritti giovanili, i cosiddetti Juvenilia, risalenti al periodo 1787 - 1793, quando cioè l'autrice era davvero molto giovane (dodici-diciotto anni).
 
166 pp
Si tratta di un racconto composto da una serie di lettere che una giovane, Laura, invia alla figlia della sua migliore amica, Marianne, raccontandole le proprie (dis)avventure dopo essersi sposata con un giovanotto, Edward, il quale l'ha portata via da casa dei suoi genitori e da quel momento si sono susseguite vicende bizzarre, disgrazie, incontri con vari personaggi altrettanto strani e molti svenimenti.

Laura ha un modo tutto suo di parlare di sé e delle persone che le stanno simpatiche o di quelle che disprezza; se delle prime sottolinea la grazia e la sensibilità, delle seconde la grettezza e la pochezza nei sentimenti.
Lei e Edward si sposano senza la benedizione del padre di lui, che lo avrebbe voluto unito ad una donna di ben altro "partito", e non con una ragazzetta senza dote.
Ma Laura e il marito paiono vivere alla giornata e disprezzano il vil danaro; diventano amici di un'altra coppia, Augustus e Sophia, ma pure questi due amici non hanno molto sale in zucca: nessuno che pensi a come portare la pagnotta a casa, l'unica cosa che conta è spendere e spandere i pochi quattrini che hanno, e quando finiscono... si cerca il modo di recuperare qualche sterlina, in un modo o nell'altro.
Quando poi accade una doppia tragedia nella vita delle due amiche, già avvezze per indole a svenire, lamentarsi e sospirare l'una nelle braccia dell'altra per ogni minimo problema, le due passano un po' di tempo languidamente svenute per poi reagire e cercare di tirare avanti trovando qualcuno a cui spillare soldini.

Il racconto è spassoso, simpatico, romantico sì ma in senso ironico, in quanto la 14enne Jane ci descrive le sue donne attraverso le emozioni amorose da loro vissute, che loro stesse raccontano con toni forti e ferventi, dimenticando ogni traccia di buon senso ma generando situazioni così scioccamente assurde da far sorridere il lettore: donne che perdono i sensi come se niente fosse, che si abbracciano e si raccontano segreti dopo due secondi di conoscenza, che giudicano gli altri con criteri superficiali e poco intelligenti, che si comportano in modo frivolo e senza alcuna lungimiranza.

È un romanticismo portato all'estremo, volutamente stucchevole e zuccheroso, che fa il verso a questi protagonisti dalla personalità mediocre, prendendoli un po' in giro; mediocrità che emerge soprattutto quando passano per difficoltà e disgrazie, che li vedono sempre staccati dalla realtà, sciocchi e vanesi, e mai maturi e saggi.

Tra queste pagine ritroviamo la vivace fantasia di una scrittrice-ragazzina che si diletta a giocare con i propri personaggi con un'ironia e un gusto per la parodia che matureranno e confluiranno nei cosiddetti "romanzi canonici".

Breve ma delizioso; una Jane in erba -  non ancora la nostra "zia", quella di Liz Bennet - ma che già manifestava la propria intelligenza e finezza nel catturare con amabile humor certi tratti, modi di fare, contraddizioni ecc... della società del suo tempo.

mercoledì 2 febbraio 2022

GENNAIO 2022: LE LETTURE E I FILM DEL MESE

 

Buongiorno, lettori cari!!

Eccoci al primo monthly recap del 2022: i miei libri di gennaio, con qualche incursione nel cinema ^_^





  1. BIANCO È IL COLORE DEL DANNO di F. Mannocchi: racconto autobiografico su come la scoperta di avere una patologia cronica potenzialmente invalidante abbia cambiato la vita dell'Autrice.  4,5/5
  2. UNA BAMBINA E BASTA di L. Levi: racconto autobiografico di una bimba ebrea che negli anni Quaranta, con la sua famiglia, trova rifugio in un convento a Roma per scampare alla deportazione. 4/5
  3. TEMPI DIFFICILI di Les Edgerton: un crime cupo, violento, con personaggi caratterialmente molto forti. 5/5
  4. LA RAGAZZA DEL SOLE di L. Riley: romanzo che mescola finzione e realtà, raccontando storie di donne coraggiose e determinate. 5/5
  5. IN VIAGGIO VERSO DOVE di A. Albano: romanzo di formazione che racconta la storia di una donna alla ricerca di se stessa e pronta a rivoluzionare la propria esistenza. 4.5/5
  6. IL MARCHIO PERDUTO DEL TEMPLARE di G. Scavuzzo: thriller storico paranormal con sfumature horror in cui il Male si palesa attraverso creature demoniache. 3.5/5
  7. IL CASTELLO D'ESTATE di M. Pregnolato: un romance contemporaneo ambientato in una location da favola. 3.5/5
  8. I CARIOLANTI di S. Naspini: la storia crudissima di un ragazzino affamato di pane e d'amore che prende a morsi il duro e avaro destino che gli è toccato vivere. 5/5

In vetta colloco I Cariolanti, la cui lettura è stato un pugno sui denti per quanto è stata feroce; Tempi difficili per la storia trascinante e ricca di dinamiche avvincenti; Bianco è il colore del danno per la capacità dell'Autrice di immergere il lettore nella propria vita, nei propri pensieri di donna, mamma, figlia, cittadina... che si scopre "guasta" da un giorno all'altro.

Attualmente ho in lettura:

  1. LA STANZA DELLE ILLUSIONI di Diego Pitea: un giallo contemporaneo intrigantissimo, scritto bene bene e che strizza l'occhio alla mitica Agatha Christie;
  2. UN'AMICIZIA di Silvia Avallone: al centro ha, appunto, il legame stretto tra la narratrice e una sua amica del liceo, con cui però nel presente non ha più alcun contatto;
  3. LA STRANIERA di Diana Gabaldon: il primo volumone della famosa serie, che vede la protagonista viaggiare nel tempo dal 1945 a 1743, nel pieno dei sanguinosi ed aspri conflitti tra gli inglesi e i combattivi guerrieri delle Highlands scozzesi; mi sto godendo ogni pagina delle oltre 800 che formano il libro *______*


CITAZIONI DEL MESE

"La letteratura fu, in fondo, il solo modo che mi capitò per colmare il (...) vuoto. Potrà mai esistere una passione senza prima un vuoto?" Silvia Avallone. Un'amicizia

"...c’è un punto oltre il quale non si può andare. Forse, dopo aver pianto tante lacrime, un po’ ci stanchiamo del dolore. È come un’ombra che ormai ti ha gelato l’anima, ti accadono le cose e tu ne resti sempre un po’ fuori, le guardi da lontano, non sono più tue". Sacha Naspini, I Cariolanti


FILM DEL MESE

Di Don't look up ho già parlato in un post ad esso dedicato - QUI - e ribadisco che mi è piaciuto e che, oltre le atmosfere volutamente grottesche, satiriche ed eccessive, è un film che fa riflettere sul rischio che le nostre vite - così dipendenti dai social - vengano da essi anestetizzate, tanto da restare indifferenti alla notizia scioccante che il nostro mondo sia in pericolo.

Ho guardato TRE PIANI, diretto da Nanni Moretti e ispirato liberamente all'omonimo romanzo di Eshkol Nevo (ed. Neri Pozza); non mi dilungherò in merito al mio parere sulla pellicola in quanto ho intenzione di parlarne in un post specifico, dico soltanto che l'ho apprezzato nonostante certe discrepanze rispetto alla storia originale, a partire dal'ambientazione e proseguendo con i nomi (scelta, però, coerente con la quella del "set") dei personaggi; ma a parte aspetti come questi, il film in sé mi è piaciuto e ho trovato perfetto tutto il cast.

Anche di PARASITE di Bong Joon-ho ho intenzione di parlarvi: è un film sudcoreano particolare, che - un po' come Squid game - mette l'uno di fronte all'altro due estremi, la povertà più nera e la ricchezza più naturalmente ostentata, che ovviamente implicano tipi umani e modi di vivere diametralmente opposti, che a loro volta generano un approccio alla vita, desideri, ambizioni, reazioni ed emozioni anch'essi differenti e che, se stimolati da determinate cause, possono dare il via a dinamiche incontrollabili. Una famiglia molto povera riesce, in modo ingegnoso ma subdolo e ingannevole, a infilarsi nella bella dimora e nelle agiate esistenze di una famiglia molto ricca: che cosa ne uscirà di buono?


Infine, mi son tuffata nello sporco e poco sicuro Vecchio West con la bella e tostissima Natalie Portman, protagonista del western (contemporaneo) JANE GOT A GUN, un film del 2015 diretto da Gavin O'Connor.

Jane Hammond/Natalie vive in una fattoria bruttina ed isolata col marito Bill, sulla cui testolina pende una generosa taglia, che ovviamente fa gola a molti. Ma i primi a volere la sua testa sono i cinici e cattivissimi fratelli Bishop (che considerano Bill un traditore, in quanto in passato apparteneva alla loro gang), che Jane purtroppo conosce molto bene, e nel corso del film si scopre il perché...

Quando un giorno il crudele John Bishop (Ewan McGregor) riduce in fin di vita Bill (Noah Emmerich), la volitiva Jane decide di chiedere l'aiuto del suo ex Dan Frost (Joel Edgerton) per proteggere il consorte (allettato e messo maluccio per le pallottole che s'è beccato), se stessa e la loro figlioletta.

Dan all'inizio non è che abbia proprio tutta 'sta voglia di infilarsi in un problema che non lo riguarda manco da lontano, tanto più  che la bella Jane era fidanzata con lui sette anni fa, prima che lui andasse in guerra, ma non ha esitato a dimenticarlo e a rifarsi una vita accanto ad un altro uomo. E ora viene a chiedere aiuto proprio a lui per difendere il fuorilegge che gli ha rubato la promessa sposa?

Ma i tentennamenti durano poco, per cui accetta e da un certo momento in poi la coppia si barrica in casa per difendersi, a colpi di pistolettate, dai Bishop.
Chi sopravviverà ai tanti bang bang da ambo le parti?

Mah..., non mi intendo tantissimo di western, a me non è sembrato particolarmente brutto né tanto meno un capolavoro... Insomma, ci sono film migliori con cui intrattenersi per un'ora e mezza, ecco... Io l'ho scelto un po' a caso nel catalogo di Tim Vision :-D Senza infamia e senza lode.

lunedì 31 gennaio 2022

Recensione: BIANCO È IL COLORE DEL DANNO di Francesca Mannocchi



Come e quanto ci cambia la malattia? In che modo cambia la percezione che abbiamo di noi stessi e quali nuovi termini utilizzeremo per poter descrivere questa "nuova versione" di noi?
E gli altri..., come ci vedono, con quali occhi? Quali nuove parole impareranno ad usare per parlare di
noi, del nostro corpo ormai irrimediabilmente malato, "guasto"?
L'Autrice, con onestà e lucidità, si guarda, si analizza, vede in questo corpo che, a un certo punto, ha cominciato a tradirla, tutta l'incertezza futura che l'aspetta e che dipenderà dal progresso della malattia - sclerosi multipla -, e in questo corpo danneggiato si specchia, riconoscendo tutta la propria fragilità umana, di donna, mamma, figlia.



BIANCO È IL COLORE DEL DANNO 
di Francesca Mannocchi

Einaudi Ed.
216 pp
"ora so che ho un danno, che il mio danno è di colore bianco e che il condizionale è un modo miserabile.".

Ha trentanove anni Francesca quando la malattia fa il proprio improvviso ingresso nella sua esistenza.
Com'è svegliarsi in una camera d'albergo, da sola, e non sentire più alcune parti del proprio corpo?
(Solo a dirlo, più di un brivido di paura attraversa la mia schiena.)

Tornata a casa, la giornalista si affretta a sottoporsi a tutti gli esami necessari e scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura: sclerosi multipla, "una malattia autoimmune cronico-degenerativa che può essere ingravescente e colpisce il sistema nervoso centrale. Qui la parola chiave è ingravescente: «di situazione patologica che si aggrava progressivamente».
Si può aggravare. E progressivamente."


E ora?
Anzi, e da ora, che si fa? Come si gestiscono casa, famiglia, lavoro... con una spada di Damocle di questo genere sulla propria testa?

Francesca è una giornalista e il suo lavoro spesso la porta in zone di guerra, là dove la morte e le sofferenze sono all’ordine del giorno, ma questa nuova, personale presenza e forzata convivenza con un ospite decisamente indesiderato cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. 

La malattia la mette davanti a sè stessa e la induce ad indagare nel profondo del proprio animo, ma anche nella propria famiglia, scavando nelle pieghe delle relazioni più intime, dove si sedimentano le parole non dette, i borbottii poco chiari che confondono e dividono, gli sguardi che dicono tutto nonostante ci si barrichi dietro muri di incomunicabilità e di frasi date per scontato.

E così il lettore si ritrova (autorizzato) a spulciare pagine di diario, a leggere di nonna Rita, diventata vedova piuttosto presto, e dell'attaccamento di Francesca a questa donna zoppa che andava a lavorare nella famiglia di uno stimato dottore; nonna Rita, la cui morte è stata difficile accettare ed elaborare, e che "è stata, inconsapevolmente, la mia educazione politica.

Leggiamo del rapporto con i genitori, in particolare con il padre, rinchiuso nella gabbia di un lavoro che non si è scelto spontaneamente, un uomo di poche parole e che non riesce ad esprimere alla figlia i propri sentimenti.
E poi c'è il compagno Alessio e il loro figlioletto Pietro; è il pensiero di lui, di questa creaturina che le appartiene e della quale è chiamata a prendersi cura in quanto madre, che la fa sentire smarrita, inadatta: non può, infatti, non domandarsi se sarà in grado di crescere suo figlio sapendo che la malattia potrebbe aggravarsi e renderla una mamma disabile.

"Che madre è una madre che ti promette l’altra sponda senza essere certa di potertici accompagnare? Che madre è una madre che raggiunta l’altra sponda può non saperti riportare a riva?"

La malattia non cambia solo il malato, ma anche i suoi famigliari e chi gli è attorno.

"La malattia di uno diventerebbe la malattia di tutti. La disabilità di uno, la disabilità della famiglia."

Come ti guarda e che pensieri formula chi sa che vivi portando su di te una malattia da cui non guarirai mai e che non tornerai più ad uno stato "pre-morbo"?

"Penso: è sempre lo sguardo degli altri che ci forma e ci deforma."
"Lo sguardo degli altri quando siamo malati ci tiene in ostaggio. Siamo prigionieri della pietà, della commiserazione, del difetto che può diventare principio e fine della nostra biografia."

Francesca è cosciente che lei non è la sua malattia; non è i "suoi sintomi", bensì è una donna con dei sintomi.
E dall'esterno, in fondo, neppure si direbbe che sta male, perchè finché sei inferma ma il "guasto" non si vede, puoi ancora cavartela e sfuggire agli sguardi curiosi e compassionevoli degli altri; ma quando il danno è evidente, non sei più solo un malato: sei vittima. 
E la vittima si riconosce; di lei i sani hanno pietà, commiserazione, tolleranza.

"Essendo commiserato puoi commiserarti a tua volta e su questo costruire un pezzo di identità. Cosí il danno finisce per coincidere con quello che sei."

Essere malata ha costretto Francesca a riconsiderarsi sotto più aspetti, ad esempio come una cittadina che usufruisce di visite e cure che - se dovesse pagare - costerebbero un occhio della fronte; il dover andare di frequente in ospedale inevitabilmente la porta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, la mette a confronto con altri malati come lei ma anche con infermieri e medici che si occupano del suo corpo malato.
La malattia l'ha costretta a fare i conti con un modo di percepire lo scorrere del tempo differente da prima: ha imparato, ad esempio, in quanto paziente, che il mondo ospedaliero non è solo lo spazio della cura, perché dopotutto non è detto che la medicina abbia sempre tutte le risposte e tutte le cure, o che, dopo le cure, ci sia una guarigione, o che ancora, essa sia completa.
Francesca accetta che l'imponderabile che ha attaccato il suo cervello, il midollo spinale..., non è un problema risolvibile in senso definitivo e, anzi, davanti a patologie come la sua, la scienza medica si configura come lo "spazio dell’incertezza".

Neanche la terminologia viene in aiuto, in questi casi: già, perché la lingua della medicina non ha lo stesso vocabolario della gente comune e non coincide quasi mai col male che prova a descrivere, anzi lo imbriglia in gabbie rigide e sterili.

Scrivere, raccontare e raccontarsi diventa allora uno strumento per permettere alla Francesca di prima e a quella di oggi di incontrarsi e inventare una lingua nuova per mettere insieme i pezzi, per reinventarsi e riconoscersi attraverso l’esperienza della malattia, affrontando la paura di dover lasciare andare "il peso di una Francesca che non c’è più".

In questo libro così personale, Francesca Mannocchi si racconta e lo fa con una voce che, nel suo essere asciutta, razionale, lucidissima, sa comunicare efficacemente tutte le emozioni, i timori, i turbamenti, gli interrogativi, la profondità del proprio vissuto, condividendo con il lettore l'esperienza della scoperta della malattia, come essa abbia portato una rivoluzione dentro e attorno a lei, cambiandola per sempre e per forza di cose, costringendola ad accogliere nuove realtà, nuove parole, a costruire una nuova identità, a far pace con un passato ormai già disegnato, ad accettare un presente incomprensibile e un futuro incerto ma comunque da vivere.

Ci narra, dunque, di malattia (e di percezione di sé, di come pensiamo che gli altri guardino il disabile), dell'approccio con gli aspetti medico-sanitari della propria nuova condizione di salute, ma anche dell'esperienza della gravidanza e della maternità, dei legami con i propri famigliari,  della forza della memoria e dei ricordi, delle mille paure in quanto mamma che vorrebbe poter giurare al proprio bambino "Tranquillo, ci sarò sempre per te".

Per quanto mi riguarda, ogni scritto in cui l'autore trova il coraggio di parlare di sé, affrontando anche tematiche molto personali e facendolo con tanta onestà, merita di essere letto, quindi ve lo consiglio perché nelle parole di Francesca, nelle sue considerazioni, nell'esternazione di ogni paura, perplessità, incertezza, speranza..., il lettore può ritrovarsi.


Citazioni.

"È per gli altri che vogliamo essere perfetti, bellissimi, desiderabili.
È dagli altri che cerchiamo approvazione.
È l’altro che ci vede e vedendoci ci racconta, è l’altro a suggerirci chi siamo.
È lo sguardo, dunque, la gabbia?"

"Custodiamo i ricordi con una cura eccezionale. Li trasformiamo in parole, immagini, fotografie, filmini, superotto, oscillando di continuo tra l’essere protagonisti della nostra vita e diventarne testimoni. Vogliamo che niente ci sfugga, che ogni evento possa diventare cimelio. I ricordi sono le narrazioni che ne facciamo, e noi, tutti, vogliamo raccontarli. Vogliamo raccontarci."

"...ho avuto un’idea precisa di cosa sia il ricordo quando il muscolo della memoria non viene allenato. Diventa proiezione dei dolori di altri, delle loro rimozioni, del modo di sopravvivere al presente, alterando il passato, se serve, oppure congelando i fatti che resistono a diventare ricordi."

domenica 30 gennaio 2022

Dietro le pagine di... "La ragazza del sole" di Lucinda Riley


Come dico ogni volta che scrivo la mia opinione sui romanzi di Lucinda Riley, uno degli aspetti che più gradisco delle sue narrazioni è il mix tra finzione e realtà: mi piace molto che i personaggi inventati dei suoi libri interagiscano (e la loro vita è spesso da essi rivoluzionata) con personaggi realmente esistiti.

È ciò che si verifica anche nel sesto libro della saga Le Sette Sorelle, LA RAGAZZA DEL SOLE (recensione), dove la giovane protagonista è in qualche modo collegata a una donna nera che ha dato il suo notevole contributo per aiutare concretamente i figli di tossicodipendenti nel quartiere di Harlem, a New York: sto parlando di Mother Clara Hale.


Clara McBride è nata nel 1905 a Elizabeth City, nella Carolina del Nord; rimasta orfana molto giovane, dopo il liceo sposa Thomas Hale e insieme si trasferiscono a New York, ad Harlem.

C'è da dire che negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Harlem era un quartiere piuttosto povero e con un elevato tasso di disoccupazione e criminalità, tanto che per anni è stato considerato tra i più pericolosi e malfamati nell'isola di Manhattan.

Purtroppo, dopo pochi anni dal matrimonio, Thomas muore di cancro, lasciando la giovane vedova con tre bambini (Nathan e Lorraine, Kenneth era stato adottato) piccoli da crescere e mantenere. Avendo bisogno di soldi, Clara comincia a lavorare come donna delle pulizie nelle case durante il giorno e nei teatri di notte.

Essendo lei per prima ad incontrare non poche difficoltà nel crescere i propri figli ad Harlem e da madre sola, la signora Hale sente una forte empatia per i bambini abbandonati e trascurati. 
Così, negli anni '40 apre le porte della propria casa per fornire assistenza a breve e lungo termine ai bambini della comunità; si preoccupa anche di trovare alloggio a bambini senzatetto e questo suo impegno fa sì che venga chiamata affettuosamente "Mother Hale", essendo stata riconosciuta come  madre affidataria autorizzata che fornisce assistenza a centinaia di bambini nella propria casa. Inizialmente il suo aiuto è volto a prendersi cura di bambini i cui genitori lavorano durante il giorno, offrendo ai piccoli ospiti un ambiente premuroso ed e amorevole.  

"hold them, rock them, love them
 and tell them how great they are."
Nel 1969 le cose cambiano: Lorraine Hale (la figlia, medico, di Clara) incontra in un parco di Harlem una donna eroinomane, con il suo bambino di due mesi, e le dà l'indirizzo di sua madre. 

Da quel momento Clara decide di prestare assistenza e aiuto ai figli di persone tossicodipendenti, supportata dai propri figli; insieme a Lorraine fondano Hale House, una comunità in cui venivano accolti bambini/ragazzi tossicodipendenti per fornire loro cure ed assistenza: li cresceva come fossero figli suoi e, una volta guariti dalla dipendenza, si preoccupava di trovare famiglie interessate all'adozione.

Ad Hale House, inoltre, i genitori con problemi di droga venivano aiutati ad imparare a prendersi cura di se stessi e dei loro bambini partecipando a un programma di riabilitazione. 
Negli anni '80, Hale ha ampliato i servizi di Hale House includendo l'assistenza ai bambini colpiti dall'HIV e a coloro che avevano perso i genitori a causa dell'AIDS.

Durante gli anni in cui ha operato ed aiutato tante persone, Mother Clara Hale ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi per il suo servizio alla comunità; nel 1985 il presidente Ronald Reagan l'ha definita una "eroina americana" per il suo impegno nei confronti dei bambini a rischio.

Clara McBride Hale è morta il 18 dicembre 1992 a New York City all'età di 87 anni.





Come spiegato già nella sinossi del libro, la storia si sviluppa su due piani temporali: il 2008 e gli anni '40 del Novecento, in cui conosciamo la co-protagonista la newyorchese Cecily, che trascorrerà non pochi anni in Kenya.
Là viene in contatto con la comunità di bianchi aristocratici denominata Happy Valley.

Si tratta di un gruppo di ricchi signori e signore britannici e anglo-irlandesi, stabilitisi nella regione Happy Valley della Wanjohi Valley, vicino alla catena montuosa di Aberdare, tra gli anni 1920 e gli anni 1940; l'area intorno al lago Naivasha è stata una delle prime ad accogliere comunità bianche.
In particolare negli anni Trenta il gruppo diventò noto per i suoi stili di vita "decadenti", edonistici, per l'abitudine all'uso di droga e per la promiscuità sessuale.

Tra i membri di Happy Valley sono annoverati personaggi cui si è ispirata la stessa Lucinda e che vengono da lei menzionati: Kiki Preston (1898 - 1946), Jock "Jack" Delves Broughton e la moglie Diana Delves Broughton, Josslyn Hay, 22esimo conte di Erroll, Alice de Janzé.


Wanjohi Valley, Kenya





Kiki Preston


lago Naivasha



https://blackdoctor.org/
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bursarts.wordpress.com
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https://therake.com/stories/happy-valley-set/
https://www.kenyavacanze.org/safari/lago-naivasha/
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