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lunedì 16 gennaio 2023

** NUOVI ARRIVI IN LIBRERIA ** FIGLI DELLA LIBERTÀ di Paullina Simons || MRS ENGLAND di Stacey Halls




Dall’autrice di Una valigia piena di sogni (RECENSIONE) e La casa delle foglie rosse (RECENSIONE), il prequel de Il cavaliere d'inverno (RECENSIONE): una storia di sulla forza dell’amore e della passione, popolato da personaggi indimenticabili in un’America che corre veloce verso il futuro.


FIGLI DELLA LIBERTÀ
di Paullina Simons 



Bur_rizzoli historiae
trad. R. Zuppet
Prezzo: 17.00 €
Pagine: 368
Dal 17 GENNAIO 2023
È una mattina del 1899, il porto di Boston è avvolto nella nebbia.
Un piroscafo partito da Napoli comincia le operazioni di attracco; a bordo c’è Gina, un’adolescente con il fuoco nelle vene che ha lasciato il suo paesino alle falde dell’Etna in cerca di un futuro migliore. 
Quando Gina mette piede nel nuovo mondo, l’America l’accoglie con i suoi spazi infiniti e le sue ciminiere, il melting pot di visi e lingue, il labirinto di strade e palazzoni: per Gina quel caleidoscopio di promesse e opportunità è una vera e propria folgorazione e non vede l’ora di gettarsi anima e corpo in quella nuova vita. 
Quasi fosse un segno del destino, la prima persona che incontra sul molo è Harry Barrington, un giovane timido e insicuro. 
I due non potrebbero essere più diversi – lei, un’immigrata senza un soldo; lui, rampollo di uno degli uomini d’affari più in vista di Boston –, eppure l’amore tra loro è immediato, inesorabile, e, come prevedibile quando si incontrano mondi tanto lontani, ostacolato dalle rispettive famiglie. 
È con queste premesse che Gina e Harry saranno chiamati a fare una scelta di campo, sofferta e radicale: seguire la strada che altri hanno tracciato per loro o disegnarne una propria, contro tutto e tutti, trovando un difficile equilibrio tra vecchio e nuovo, obblighi e desideri, aspettative e realtà. 


❤❤❤❤❤❤


Mrs England è il ritratto di un matrimonio inglese di inizio Novecento: un matrimonio che cova, sotto la cenere delle relazioni fallite, le braci dell’inganno e della brama di potere.


MRS ENGLAND
di Stacey Halls

Ed. Neri Pozza
trad. M. Ortelio
336 pp
19 euro
Dal 24 GENNAIO 2023

Riposta la graziosa divisa del Norland Institute, la prestigiosa scuola londinese di bambinaie qualificate in cui si è diplomata, e indossatigli abiti adatti a un faticoso viaggio in treno, in un giorno del 1904 Ruby May giunge nello Yorkshire per prendere servizio presso la famiglia di Mrs England. 
Ha accettato l’incarico senza batter ciglio. Benché è la direttrice dell’istituto le abbia detto che nessuna famiglia è perfetta, gli England, con i loro bambini, la nursery separata dal resto della casa, una fabbrica tessile di proprietà e una grande dimora di campagna, le sono sembrati davvero la famiglia perfetta per una giovane bambinaia alle prime armi. 
Ad accoglierla nella fitta oscurità della notte è Charles England in persona. Grandi baffi neri, panciotto verde e l’aria di un avvenente locandiere venuto a prendere una cliente, nell’aria densa e umida dello Yorkshire, Mr England la conduce in carrozza fino a una grande casa incastonata nel fianco di una collina, poi scompare lasciandola sola in una stanza al buio con un vago odore di muffa. 
Di lì a poco, Ruby si ritrova al cospetto di Mrs England, una giovane donna con la vestaglia aperta sopra la camicia da notte, i capelli lunghi fino alla vita, un naso aggraziato e grandi occhi scuri. Soprattutto, una donna così sorpresa e impaurita da quell’incontro che a Ruby viene il dubbio di aver sbagliato casa. 
Una sensazione che si accrescerà nei giorni seguenti nei quali, in quella dimora silenziosa come una tomba e cupa, cinta com’è da una fitta foresta, Lilian England, così misteriosamente indifferente alla cura con cui una madre dovrebbe trattare i suoi figli, la guarderà non più con occhi smarriti, ma con ferocia e risentimento allorchè Mr England si concederà un atteggiamento troppo confidenziale nei suoi confronti.

martedì 10 gennaio 2023

☆★ RECENSIONE ☆★ I DONI DELLA VITA di Irène Némirovsky

 

Ambientato nel periodo che comprende le due guerre mondiali, questo romanzo della scrittrice ucraina ci racconta la storia di una famiglia, gli Hardelot, ci narra di matrimoni, nascite, morti, piccole e grandi gioie accompagnate da problemi e preoccupazioni, e soprattutto ci mostra, con grazia e decisione insieme, come la quotidianità delle esistenze venga scossa da quell'evento terribile che è la guerra, che inevitabilmente porta con sé sangue, bombardamenti, figli e mariti chiamati alle armi, donne che aspettano angosciate di ricevere notizie dal fronte, gruppi di sfollati e disperati. Macerie su cui bisognerà ricostruire.

Può la vita continuare ad andare avanti, a resistere, a mostrare i propri meravigliosi doni nonostante attorno ci siano morte, paura, desolazione?


I DONI DELLA VITA
di Irène Némirovsky


Adelphi Ed.
trad. L.Frausin Guarino
218 pp
18 euro
Pierre Hardelot è un giovanotto di buona famiglia, erede delle cartiere del burbero e severo nonno Julien; costituisce sicuramente "un buon partito" per le signorine di Saint'Elme in attesa di marito e ad averla spuntata è la paffutella Simone, anch'ella appartenente ad una ricca famiglia.
Peccato che Pierre non ne sia innamorato: il suo cuore batte solo per una donna di nome Agnès, una ragazza snella, carina, delicata, con cui il ragazzo è praticamente cresciuto assieme.
I due si amano e si incontrano di nascosto; se le rispettive famiglie sapessero dei loro tentativi di vedersi e stare insieme, ne verrebbe fuori uno scandalo e sui due si abbatterebbe l'ira funesta della madre di Pierre (Marthe) e della famiglia di Simone.

Pierre sta per acconsentire a un matrimonio combinato pur di non disubbidire a genitori e al nonno (che sarebbe capace di diseredarlo), consapevole che essi non darebbero mai il consenso al matrimonio con Agnès, che appartiene sì a una rispettata famiglia ma piccolo-borghese e priva dei mezzi per procurare una buona dote alla fanciulla. 

Che fare? I due innamorati riusciranno a far valere la forza del sentimento che li unisce e a combattere contro pregiudizi e divieti?

Mentre leggevo le prime pagine del romanzo, quasi mi sembrava di essere in un classico "alla Austen", in cui al centro vi sono questioni di amore, l'osservanza di etichette e convenzioni sociali, unioni matrimoniali che sanno più di contratti d'affari che di appassionate promesse al chiaro di luna.
Ma questa sensazione dura poco: sì, il lettore assiste alla vittoria dell'amore ma la gioia per una coppia innamorata, che può vivere in libertà il proprio sentimento, presto viene oscurata dall'ombra cupa e terribile della prima guerra mondiale.

Siamo nell'estate del 1914 e il mondo intero sembra "vacillare e franare da ogni parte come il fondale di un palcoscenico, e anche Saint-Elme ne era scossa. Erano gli ultimi giorni del luglio 1914. Non si voleva ancora credere alla guerra, ma se ne avvertiva il soffio ardente."

Pierre Hardelot è costretto ad arruolarsi per difendere il proprio Paese, insieme a tanti altri.
Con lui lontano, in casa cresce l'angoscia per quel figlio e giovane sposo che da un momento all'altro potrebbe essere ferito, morire, dato per disperso. L'attesa di notizie dal fronte diventa di giorno in giorno più snervante e carica di ansia e, come se non bastasse, il nemico a un certo punto penetra nel Nord della Francia e arriva nei pressi di Saint-Elme. 
Eppure, nonostante le voci di questa marcia giungano frenetiche e spaventosamente sempre più vicine, la gente sembra anestetizzata, incredula, impaurita ed immobile: che fare? Fare fagotto e scappare?

"...Saint-Elme non si muoveva. Adagiata nella sua ingannevole sicurezza, dormiva; metteva la testa sotto la sabbia e si credeva invisibile. Se qualcuno diceva: «Potrebbero combattere anche da queste parti...», veniva guardato con incredulità. A Saint-Elme? Ma via!"
Eh sì, non resta che quello, se si vuol tentare di salvare la pelle: fare armi e bagagli e mettersi in marcia, unirsi alla schiera di sfollati che lascia in fretta e furia le proprie case, i mobili, gli arredi, gli oggetti, i ricordi di una vita, per cercare rifugio, per provare a non morire sotto i colpi del nemico.

L'autrice descrive con parole semplici ma efficaci i sentimenti e gli stati d'animo che emergono in frangenti drammatici come quelli indotti dallo stato di guerra.

All'inizio di un conflitto, ci si dispera per tutti i caduti, si piange per tutti quelli che partono, per poi - purtroppo! - farci l'abitudine; il pensiero man mano si fa più "egoistico" e si pensa unicamente al proprio caro, ma prima di arrivare a quel momento, si condivide con gli altri una comune pena e i giovani caduti sono un po' figli di tutti.

La guerra arriva, distrugge, divide, uccide, impoverisce, costringe singole persone, famiglie, città, nazioni, a ricostruire ciò che è stato ridotto in macerie, a ricominciare a vivere dopo lo sconquasso.

Passa il 1918, le esistenze di tutti sembrano pian piano tornare alla normalità; è così anche per Pierre ed Agnès, che hanno due figli: Guy e Colette.
Guy cresce, diventa un giovanotto sfuggente, tormentato...; i suoi non riescono a capire cos'abbia, finché tutto diventa chiaro a seguito di un gesto drammatico da parte di Guy.
Ma non ci si ferma: la vita è affamata e prosegue e così, tra vecchi rancori fra genitori, il nonno sempre arcigno e testardo, tradimenti, figlie ribelli, sopraggiunge anche la seconda guerra mondiale.

"...questa guerra non sarà l'ultima, come abbiamo sempre creduto, ma la prima di una lunga serie di guerre più implacabili, più atroci. Guerre e rivoluzioni. Sangue e ancora sangue."

Dopo la fine del primo conflitto, il mondo si era rialzato a fatica per assomigliare "a un malato che si sveglia e geme, e si gira e rigira nel letto cercando invano di dimenticare i suoi dolori."

Ma è il ciclo della vita e della storia: ritorna, e nella sua forma peggiore e più temuta.

La gente si ritrova di nuovo ad aspettare la guerra, come l'uomo aspetta la morte: sa che non può sfuggirle, al massimo, può sperare che la sua ora sia solo rimandata di un altro po': ancora qualche mese di pace, ancora un anno, ancora una stagione dolce e spensierata... 

Ed ecco che la storia si ripete: giovani e meno giovani costretti ad imbracciare armi, a rischiare la vita per combattere contro un nemico che avanza pericoloso; donne - madri, fidanzate, mogli, sorelle... - che restano a casa ad aspettare, ancora una volta!, notizie, a sperare, a piangere in silenzio e di nascosto, a cercare di placare i palpiti del cuore al solo pensiero - terribile!! - che il proprio congiunto non torni più.

Le persone devono accettare la comune sventura, grande oltre ogni dire, e trarre da essa - volenti o nolenti - la forza per non cedere.

"I doni della vita" è un romanzo dalle tinte cupe, tristi, e non potrebbe essere diversamente, visti il periodo storico e l'ambientazione; la Némirovsky ha una penna delicata e decisa allo stesso tempo, ci dipinge il quadro di una società borghese persa nelle proprie abitudini, in certi suoi pregiudizi, impegnata a coltivare troppo spesso sentimenti di diffidenza, animosità, risentimenti, rancori, egoismi, facendo attenzione a proteggere il proprio "orticello" da pericoli e insidie di ogni tipo.

Fino al giorno in cui qualcosa di enorme si abbatte sulle loro vite, sulle case e sulle città, travolgendo tutto e tutti.
Leggendo, ci si sente un po' sfollati e smarriti tra le strade di questa Francia immersa in una straziante desolazione; si ha pietà per queste famiglie allo sbaraglio, per i reduci di guerra - che si portano dietro una fatica immensa, fisica, mentale, spirituale.

Avvertiamo la forza distruttiva della guerra: già soltanto il pensiero, l'idea che essa possa scoppiare basta a stritolare il cuore; i presagi di conflitti imminenti pervadono e si respirano in ogni momento, in ogni gesto e parola.

"...niente concedeva all'anima un attimo di tregua; tutto sembrava ripetere: «È la guerra... la guerra... la guerra...».

Ma non vorrei che passasse il messaggio che questo libro trasudi e trasmetta qualcosa di negativo, di opprimente, di triste nel suo senso più cupo e tragico: c'è in esso una grande forza che figlia della speranza.
I personaggi della Némirovsky hanno il loro bel carattere, anche coloro che, a prima vista, possono sembrarci dei deboli; Pierre, ad es.,può apparire, in alcune occasioni, come un uomo volubile, insofferente, tendente allo scoraggiamento e ad ad abbattersi, a differenza di Agnès (e, più tardi, di sua nuora Rose) che mantiene costantemente un temperamento vigoroso, una maggiore fermezza nel prendere decisioni. Ma anche Pierre maturerà e avrà modo di mostrare la propria forza interiore, il proprio valore, quando la Storia glielo chiederà.

Ci si affeziona a queste persone, si spera con tutto il cuore che non soccombano, che possano vedere sorgere l'alba di un nuovo giorno e poter dire: "C'è stata la guerra. Ma ora è finita e per noi, per i nostri figli, c'è ancora la vita ad attenderci, con i suoi doni."

«Nonostante le apparenze, è questo che conta. La guerra finirà, finiremo anche noi, ma questi piaceri semplici e innocenti ci saranno sempre: la freschezza, il sole, una mela rossa, il fuoco acceso in inverno, una donna, dei bambini, la vita di ogni giorno... Il fragore, il frastuono delle guerre si spegneranno. Il resto rimane... Per me o per qualcun altro?».


Un romanzo intenso per l'ambientazione, piacevole per la sua trama e fluido nello stile.

venerdì 16 dicembre 2022

< 🦁 RECENSIONE 🦁 > COME LEONI - RITORNO A BULL MOUNTAIN di Brian Panowich



Un cerchio tragico che non smette mai di girare e non risparmia nessuno, nemmeno i bambini: questo è Bull Mountain.
Tra queste aspre montagne della Georgia o sei duro come l'acciaio o non sopravvivi, e lo sceriffo Burroughs lo sa bene.
Zoppo, stanco e con troppi pesi sul cuore, cerca di andare avanti, convincendosi che in fondo la sua vita non è così orribile, nonostante quello che è successo tempo prima (e a cui è sopravvissuto): ha ancora il suo lavoro, la sua meravigliosa moglie e il loro piccolo bambino.
Ma i fantasmi del passato sono come quelle montagne: ingombranti e solidi.
Difficili da spostare. Quasi indistruttibili, insomma.
E a volte un quasi può fare la differenza.



** ATTENZIONE: POSSIBILI SPOILERS! **
Essendo il secondo volume di una trilogia, è inevitabile che alcune informazioni ed eventi siano la conseguenza di ciò che è accaduto nel primo libro (BULL MOUNTAIN); per precauzione e per evitare sgradevoli rivelazioni a chi non ha ancora iniziato la saga e non esclude di farlo (fatelo! :-D), evidenzio in nero i probabili spoiler 



COME LEONI - Ritorno a Bull Mountain 
di Brian Panowich



NN Editore
trad. A. Colitto
272 pp
19 euro
2018
Finalmente su Bull Mountain regna la pace: una volta tolto di mezzo "il re delle montagne", colui che dominava sulla gente di quella zona a colpi di soprusi, violenze e attività criminali, ecco che si può tirare un sospiro di sollievo.

Certo, lo sceriffo di McFalls County, Clayton Burroughs, ha dovuto uccidere suo fratello Halford e la drammatica esperienza lo ha lasciato menomato nel corpo e nello spirito, ma magari ne è valsa la pena, no?

La vita sua, di Kate, del loro piccolo e innocente Eben, e di tutti i montanari del posto, scorre tranquilla come un placido fiumiciattolo in quella verde e immensa vallata.

Beh, più o meno.
I fuorilegge da quelle parti crescono come funghi e ce ne sono alcuni che aspettavano solo il momento giusto per prendere il controllo dei traffici di marijuana, whiskey e anfetamina, sostituendosi a Burroughs. 

E proprio questi criminali decidono di alzare la cresta - convinti di essere rimasti i soli galli nel pollaio - e di far sentire la propria presenza e intraprendenza, ma devono fare i conti con ciò che comunque rimane del "clan Burroughs".

E la domanda sorge spontanea: cosa, o meglio chi, è rimasto in piedi in questa famiglia potente?

Clayton è sempre stato fuori dal giro, avendo preso la strada della giustizia; ma dopo la morte di Hal per mano sua e dopo lo scontro a fuoco con l’agente federale Simon Holly,, non si è ancora ripreso dalle ferite riportate, non ha né la forza né la voglia di reagire e ha anche ripreso il viziaccio di bere, di far tardi (e non sempre al lavoro), insomma è demotivato, infelice, frustrato.
Nemmeno l’amata moglie Kate o il piccolo Eben riescono a scuoterlo dallo stato depressivo in cui si trova.

Pur avendo una personalità forte e un carattere deciso, Clayton ha le sue umane debolezze:

"si attaccava a tutto. Accumulava dolore e sensi di colpa come altri accumulavano giornali e riviste, finché a un certo punto non diventavano parte del paesaggio quotidiano."


Eppure, che lo voglia o no, la vita va avanti non solo per lui ma ancor più per i clan che vogliono prendere possesso di Bull Mountain e usarla per portare avanti affari illeciti e criminali; la lotta è appena cominciata e i Viner - capeggiati dallo spietato e crudele Coot - sono intenzionati a smantellare i commerci dei rivali e diventare i nuovi punti di riferimento.

Quando il figlio di Coot, insieme con degli amici, commette una sciocchezza contro i Burroughs che gli costerà molto cara e che vedrà coinvolto, suo malgrado, proprio Clayton, inizierà una vera e propria guerra che metterà in pericolo la famiglia dello sceriffo.

Clayton non si ritrova da solo, però, a dover arrestare la folle avanzata dei Viner: con lui ci sono gli uomini da sempre fedeli ai Burroughs, al padre Gareth prima e ad Halford poi; in particolare, Clayton sa di poter contare su Scabby Mike, alleato devoto, sincero e leale, che in più di un'occasione cercherà di dare allo sceriffo saggi consigli.

Ad aggiungergli ulteriori pensieri, poi, ci pensa un certo Bracken, desideroso di proporgli "un affare" per continuare ciò che aveva iniziato Halford.
In pratica, si vedrà servita l'occasione propizia per prendere il posto del padre e del fratello maggiore, così da continuare a controllare Bull Mountain.

“Nessuno crede davvero che ci siano cose più importanti del denaro o dell’amore, finché non arriva il momento di sedere a capotavola: di riconoscere il potere. Ecco cosa sentiva Clayton su quella sedia: il potere”.

C'è solo un "dettaglio": Clayton avrà pure tanti difetti ma resta pur sempre un uomo di legge!
Ok, non è un uomo perfetto, non è lo sceriffo limpido e irreprensibile che McFalls County  merita, ma una cosa è certa: lui non si sente come tutti gli altri Burroughs; non è un criminale, né uno spacciatore né tanto meno un assassino. Non solo, ma quel giogo di violenza e paura imposto agli abitanti dalla sua famiglia è terminato con la morte di Halford e non sarà certo lui a rimetterlo.

Il castello di carte costruito su questa montagna si è sempre retto sulla paura. La paura è lo strumento migliore per farsi obbedire senza se e senza ma; la gente ha cominciato a scambiare la paura con il rispetto che aveva per i Burroughs, finendo per non vederne più la grande differenza e restando soggiogata alla volontà e ai capricci di chi ha più potere, più soldi, più scagnozzi, più armi.

Clayton Burroughs è stufo e disgustato di "tutta la violenza e la depravazione che scendevano dalla montagna" ma, se le insidie e gli affari disonesti portati avanti dal fratello adesso non sono più un problema, non è negando che ne stanno nascendo altri che terrà al sicuro la sua famiglia e la sua gente: lui deve fare qualcosa, non può starsene con le mani in mano mentre vede i Viner avanzare, ammazzare e minacciare.

Purtroppo per lui, i nemici sono violenti e senza scrupoli, pronti a prendersela non solo con lo sceriffo ma anche con degli innocenti; Kate, dal canto suo, capisce che sono tutti in pericolo e sa che deve fare anche lei qualcosa per combattere questa minaccia e difendere così Eben e lo stesso Clayton.

Sarà una faida all'ultimo sangue e non mancheranno rapimenti, incendi, colpi di pistola, coltellate..., insomma di azione ce n'è a bizzeffe e si sta con l'adrenalina sempre in circolo, come al cospetto di un film avventuroso, in cui non sai mai cosa aspettarti e dal protagonista e dai suoi nemici.

Kate è la donna adatta a Clayton perché è una certezza, è un pilastro per lui: ama il marito ma non è  disposta ad assecondarlo nelle sue debolezze, anzi, lo sprona anche con durezza pur di aiutarlo a rialzarsi, a non crogiolarsi nei rimorsi, negli errori commessi in passato, nelle mancanze sofferte in famiglia.

C'è in lui un'eterna lotta tra i fantasmi del passato e del presente, che lo hanno affondato nel senso di colpa e nella vergogna per gran parte della sua vita adulta;  a volte Clayton sente un'indefinibile nostalgia per una famiglia che non ha più, per un padre cattivo che però - misteri della vita e dei legami basati "sul sangue" - gli manca, per un fratello che non gli ha mai voluto bene; ma in realtà, la sua è la nostalgia di chi sa di appartenere a qualcosa (la sua famiglia) che non ha mai sentito come sua.

Tutta la sua vita era sempre andata in due direzioni: o stare in cima alla montagna o finirci schiacciato sotto.
C'è una terza opzione?
Sta a te scoprirlo, sceriffo.


Anche questo secondo capitolo della saga di Bull Mountain è un romanzo dal ritmo incalzante, un crime ambientato in una zona di montagna suggestiva ma resa "sporca" e pericolosa da personaggi tutt'altro che raccomandabili; tra quelle montagne, se vuoi vivere senza problemi, devi fare ciò che ti dice chi comanda, senza prendere iniziative personali; non è semplice voltare le spalle ai famigliari criminali per scegliere strade diverse, ma c'è chi vuol farlo a tutti i costi e Clayton vive proprio questo "dramma": appartenere ai Burroughs è un marchio che può renderti un privilegiato, un potente, oppure un reietto. Quale direzione darà alla propria esistenza?

I personaggi, come già nel precedente libro, sono molto ben caratterizzati e per lo più si tratta di uomini duri, privi di morale, che fanno della violenza e della sopraffazione il loro linguaggio; Clayton mi piace perché è complesso, non è un santo, ok, ma neppure un bruto, tanto meno è un uomo che si fa trascinare dagli eventi: lui vuol essere libero di operare delle scelte e di affrontarne le conseguenze, nel bene e nel male.

La descrizione del contesto e dell'ambiente naturale è sobria, equilibrata e soprattutto essenziale e funzionale alla storia, a cui fa da cornice e da contrasto: la vedete quant'è bella questa montagna? Ebbene, non lasciatevi ingannare: dietro di essa c'è un universo umano la cui bruttura, malvagità, spietatezza, è da brividi.

Leggendo e addentrandoci con sempre maggiore coinvolgimento nelle appassionanti vicende che coinvolgono il protagonista, la famiglia, gli amici e gli avversari, ci sembra di essere lì, di vedere il sole mentre sta per tramontare e il cielo, ancora di un morbido color mandarino, fare da sfondo alle Blue Ridge Mountains, accompagnandole verso la sera, mentre man mano diventano sagome scure che torreggiano in lontananza.
Ancora pochi minuti e quel cielo arancione fuoco svanisce sotto i nostri occhi: è lo sfondo perfetto, che ci ricorda come lassù c'è comunque posto per una bellezza perfetta... ma attenzione, è un'illusione destinata a durare poco: la luce del giorno sta per essere inghiottita dal buio e non ci resta che guardarci le spalle da chi vuol farci le scarpe.

Un libro che ho letto "di fretta", nel senso che mi sono adattata al ritmo narrativo, alla densità della storia in sé, piena di fatti e dinamiche tra i personaggi; Come leoni appartiene, per me, a quei libri adatti a questo periodo, in cui fuori fa freddo e io mi godo il calore del camino e intanto faccio un salto con l'immaginazione tra criminali, sceriffi e donne con non poca cazzimma.

sabato 10 settembre 2022

** RECENSIONE ** GLI ANNI DELLA LEGGEREZZA di Elizabeth Jane Howard (I Cazalet #1)



Nel primo volume della saga dedicata ai Cazalet conosciamo i membri di questa famiglia inglese dell'alta borghesia che trascorrono l''estate del 1937 e del 1938 nella loro tenuta nel Sussex.



GLI ANNI DELLA LEGGEREZZA
di Elizabeth J. Howard


Fazi Ed.
trad. M. Francescon
394 pp
È l’estate del 1937 e la numerosa famiglia Cazalet è pronta per riunirsi nella dimora di campagna e trascorrervi le vacanze. 

È un appuntamento irrinunciabile, un modo per ritrovarsi tutti insieme in un luogo che sa di casa, di ricordi e rassicuranti abitudini di famiglia.
La Duchessa e il Generale (gli anziani genitori) accolgono figli e nipoti con quel loro misurato e pacato entusiasmo che caratterizza i signori della loro classe sociale.

E i Cazalet sono persone benestanti, proprietari di una ditta di legnami che permette loro di vivere negli agi; è gente abituata ad avere in giro la servitù, la cuoca eccellente in cucina, le giornate scandite in modo prevedibile e rigoroso da colazioni,  i momenti del tè con biscottini e pasticcini, le merende in giardino, le cene.

È in una quotidianità come questa, contrassegnata dal ritmo lento, placido e sereno delle calde giornate estive trascorse dentro e fuori la grande Home Place, che il lettore conosce i membri di questa bella famiglia inglese.
Tutti, uno per uno: il padre e nonno, William, un po' avanti negli anni ma ancora assolutamente lucido, interessato agli affari dell'azienda di famiglia, preoccupato che i figli la gestiscano con profitto, come sempre è stato; ora che non riesce a leggere bene i quotidiani a causa dei problemi alla vista, ama che qualcuno dei suoi cari lo faccia per lui ad alta voce, così da essere sempre aggiornato su ciò che accade nel mondo. E di motivi per esserlo ce ne sono e ce ne saranno in particolare l'anno successivo, quando in Europa soffieranno temibili venti di guerra.

La Duchessa è la madre composta, educata, ligia all'osservanza delle etichette, delle buone maniere, della morale, che accoglie con un sorriso cortese i quattro figli, di cui una figlia femmina e tre maschi con le mogli e l'eterogeneo gruppo di nipoti vivacissimi; è colei che dirige, con calma e precisione, la servitù, che fa la lista della spesa (facendo molta attenzione a non sprecare nulla: essere ricchi e avere disponibilità economiche non vuol dire scialacquare), che si raccomanda con fermezza e gentilezza che tutto sia in ordine, pulito e a posto, in ogni camera da letto come in sala da pranzo o in giardino.

E ovviamente ci sono loro, i tre figli sposati:  Hugh, Edward e Rupert, con le rispettive consorti, Villy, Sybil e Zoë, e i loro bambini. *
 
Nel corso della narrazione c'è modo di soffermarsi su tutti loro, di seguirli nelle loro attività svolte durante il giorno e ogni volta ne traiamo delle informazioni per inquadrare ciascun personaggio, per cominciare a familiarizzare con esso e la sua personalità, conoscendone i desideri, i pensieri, le ambizioni, i segreti e i modi di reagire alle situazioni vissute.
C'è un grande ordine in questa narrazione, in sintonia con quell'armonioso equilibrio che vige in famiglia (almeno in apparenza) e che ci permette di orientarci, di seguire ogni scena e ogni momentaneo protagonista senza confonderci ma assecondando la strada tracciata dall'autrice, senza fretta.

È come se la Howard ci invitasse ad entrare in questa ampia dimora e a respirarne l'atmosfera d'altri tempi, quel modo di vivere che potremmo definire vintage, lontano sì da noi eppure ancora affascinante, tranquillizzante con i suoi rituali precisi e i modi di fare tipici di quell'epoca di persone abbienti nella loro tenuta in campagna,  dove al mattino i domestici servono il tè a letto e per cena è bene indossare un abito da sera. 

Un mondo perfetto dove regnano la pace, la serenità famigliare e dove si conversa amabilmente di argomenti rispettabili e decorosi.

"...discrezione, moderazione e senso della misura erano i fari stessi della vita dei Cazalet, nonché i segni dell’affetto reciproco e della buona educazione."

Ma in realtà, dietro e sotto la rigida morale vittoriana, covano i germi di tante situazioni personali e di famiglia che ci rivelano come anche in microcosmi come questi - che appaiono così ben organizzati e ordinati - si muovano correnti sotterranee che potrebbero dar vita a cambiamenti, a stravolgimenti, scuotendo il candido tappeto della rispettabilità e mostrare i cumuli di polvere che vi si annidano sotto.

Così vediamo come Hugh, il maggiore dei fratelli Cazalet, sia ancora tanto scosso dalla terribile esperienza della prima guerra mondiale, che gli ha lasciato in eredità una mano in meno, fitte lancinanti alla testa e quello che oggi chiameremmo disturbo da stress post-traumatico; è un uomo molto sensibile, gentile,  innamorato della moglie Sybil, una donna intelligente, saggia e comprensiva. 
Hanno due figli (Simon e la buona e riflessiva Polly) e un altro in arrivo; Hugh lavora nell'azienda di famiglia assieme al secondogenito dei Cazalet, Edward.

Edward è il più affascinante dei tre: bello e carismatico, simpatico e di compagnia, piace a tutti, uomini e donne...
E a tal proposito, Edward ha purtroppo il vizietto di guardarsi un po' troppo attorno, in fatto di donne, cosa che lo induce ad essere infedele alla sua talentuosa consorte, Villy; quest'ultima è un'ex ballerina, che ha rinunciato ad una meravigliosa e promettente carriera per divenire la signora Cazalet e per occuparsi dell'educazione dei tre figli. 

Lei aveva acconsentito a rispettare la sentenza del Vecchio: la sua carriera doveva finire. «Non puoi prenderti in casa una ragazza che ha tutt’altro per la testa. Se il matrimonio non è l’unica carriera della moglie, non può essere un buon matrimonio».
In realtà, per quanto lei si convinca di aver fatto questa scelta consapevolmente e volontariamente, ne sente tutta la frustrazione perché non è questo il futuro che immaginava per sé: stare sempre in casa, a dare ordini alla servitù e a preoccuparsi dei ragazzi.
Ma ormai è tardi per i rimpianti e in fondo ha poco da lamentarsi. No?

La quattordicenne Louise, il vivace e avventuroso Teddy e la piccola Lydia sono i loro tre figli; se la terza è impegnata a giocare con i cuginetti coetanei e il secondo a imparare ad usare il fucile, è Louise quella che sta vivendo il periodo della sua vita più delicato: il passaggio dall'infanzia all'adolescenza.
In merito a Louise assisteremo ad un episodio famigliare brutto, di quelli che, oltre ad indignare, fanno riflettere su come anche nelle famiglie cosiddette  perbene possano nascondersi torbidi segreti.

E poi c'è Rupert, il terzo Cazalet.
È l'artista di casa, il pittore dolce e carino con tutti, che vorrebbe vivere della propria arte ma, ahilui, si rende conto di quanto sia arduo campare vendendo quadri...
Dopo essere rimasto vedovo (la prima moglie è morta partorendo il secondo figlio), si è risposato con la bellissima e giovane Zoë, che lo ama ma con quella leggerezza e un pizzico di egoismo propri più di un'adolescente che di una donna adulta.
Mentre Rupert è indeciso se insistere con la strada della pittura (accontentandosi dello stipendio da insegnante) o accettare l'offerta paterna di entrare in azienda, Zoë vive giorni particolari, che  scombussoleranno lei e il matrimonio con Rupert.
La donna sa di essere molto avvenente e teme che gli altri - marito compreso - vedano solo questo di lei, ritenendola una sciocchina senza pensieri e argomentazioni. Sa di non essere simpatica alle cognate e soprattutto che la piccola Clary (la figlia maggiore di Rupert; il maschio si chiama Neville) la odia con tutta se stessa; di dare lei dei figli al buon Rupert, per ora, non ci pensa proprio...

A chiudere il cerchio c'è l'unica figlia femmina della Duchessa: Rachel.

Rachel è il punto di riferimento della famiglia: è nubile, non ha un fidanzato, ha studiato come infermiera ma vive ancora con i suoi genitori; la donna è completamente devota alla famiglia, è indispensabile a tutti loro e la sua vita è dedita ad andare incontro alle esigenze dei fratelli, delle loro mogli e dei loro figli.
Generosa, dolce, mite e gentile con tutti, anche Rachel ha diritto ad una vita, ad avere interessi fuori casa, a tessere relazioni sociali.
Ad avere un amore.
E il suo cuore è innamorato! Di Sid, la sua cara amica, che vorrebbe poter vivere una relazione con Rachel più piena, libera da condizionamenti, in cui dedicarsi l'una all'altra.

Insomma, in questo primo libro della saga, la Howard si prende il tempo di presentarci tutta la famiglia, collocandola nel suo ambiente, in cui però difficilmente i singoli componenti (quanto meno gli adulti) possono sentirsi liberi di essere realmente e totalmente sé stessi, di seguire reali inclinazioni e desideri.
Quelle descritte ci sembrano esistenze serene, rilassate, privilegio di chi è ricco e può permettersi di  trascorrere lunghi pomeriggi oziando nei giardini, organizzando pic-nic al mare, passare le serate parlando e ascoltando il grammofono o la radio.
Almeno fino a quando la radio non comincia a diventare veicolo di possibili cattive notizie.
Nell'estate del '38 Hitler inizia a muovere le proprie pedine, che porteranno allo scoppio del secondo conflitto mondiale. L'approssimarsi di questa terribile eventualità colpisce anche i nostri Cazalet, adulti e ragazzini compresi (almeno quelli più sensibili, come Polly) e getterà ombre di preoccupazione su tutti.
A proposito di Hitler, l'autrice fa accenno all'antisemitismo tramite Sid, un personaggio secondario (per lo meno in questo primo volume) ma di cui comprendiamo già la forza di carattere, la determinazione e la schiettezza, qualità che emergeranno quando ci sarà da esprimere la propria franca opinione sui pregiudizi razziali sugli ebrei (lei lo è per metà).

I Cazalet suscitano per lo più simpatia, per quanto mi riguarda, nonostante abbiano modi di pensare che oggi definiremmo retrogradi (ma per quel tempo erano "normali"), ad es. circa il sesso o il ruolo e le competenze della donna dentro e fuori dalle mura domestiche.

La lettura è andata avanti con un ritmo lento, non posso dire di aver divorato il libro, perché le vicende più movimentate (in cui succede qualcosa di rilevante) non occupano un grandissimo spazio e comunque sono intervallate da un sacco di descrizioni scrupolose di tanti dettagli legati alla quotidianità, alla casa, ai pasti, ai giochi dei bambini e alle inquietudini adolescenziali.
Dettagli che potrebbero quasi sembrare inutili ma che in realtà assolvono alla funzione di "gettare le basi", le fondamenta del racconto di questa famiglia, di introdurcela in modo da fare amicizia con tutti questi personaggi, che - proseguendo nella lettura - si impara a conoscere bene, e viene spontaneo chiedersi cosa ne sarà di loro e delle loro singole vite nel successivo capitolo della saga.

Perché una cosa è certa: ho terminato il romanzo avendo molta voglia di continuare.
Del resto, avevo davvero un gran desiderio di "affezionarmi" ad una famiglia letteraria per seguirne le vicissitudini e le dinamiche intra/inter/extra-famigliari.
La penna di Elizabeth Jane Howard è ordinata, elegante, minuziosa, il suo sguardo è acuto, intelligente e ironico e sono questi gli occhi che "presta" ai suoi lettori affinché vedano i suoi Cazalet senza pregiudizi, per ciò che sono veramente, andando oltre la facciata di perbenismo e le convenzioni sociali dietro cui essi stessi tendono a proteggersi.

Non posso che consigliarla a chi ama le saghe famigliari.



ad inizio libro c'è l'albero genealogico dei Cazalet, utile per cominciare a capire (e ricordare) chi è figlio a chi, perché inevitabilmente si può rischiare di confondersi tra tutti i cuginetti.

giovedì 4 agosto 2022

RECENSIONE ★ L'AMULETO D'AMBRA di Diana Gabaldon ★



Se nel primo libro della saga "Outlander" l'infermiera Claire Randall, dopo aver inconsapevolmente attraversato nell'anno 1945 un magico cerchio druidico, è stata catapultata nelle Highlands del 1743 - lei, una straniera (un'inglese!) in una terra scozzese dilaniata dalla guerra e dalle faide dei clan rivali -, in questo secondo volume la storia parte dal 1968, quando la donna - oramai da vent'anni nel proprio tempo - deve raccontare a sua figlia Brianna chi sia il suo vero padre.

L'AMULETO D'AMBRA 
di Diana Gabaldon



Tea Ed.
trad. V. Galassi
500 pp
Avevamo lasciato Claire e Jamie pronti per andare in Francia, lontano dalla Scozia, terra amata ma dove Jamie non era al sicuro.
L'incubo vissuto nella maledetta prigione di Wentworth, ad opera del malefico e spietato capitano Jack Randall, non ha impedito alla coppia di provare a ricominciare un nuovo capitolo della loro vita, in un altro Paese.

Ma quando il lettore inizia a leggere il prosieguo si ritrova in una località nota (Inverness) ma nel 1968.
Rivediamo Roger Wakefield: lo abbiamo incontrato brevemente nel 1945, quando era un bimbo di cinque anni che viveva, come figlio adottivo, nella canonica del Reverendo Wakefield, vecchio e colto amico di Frank Randall (marito di Claire); adesso è un insegnante ad Oxford ed è appassionato di Storia.
Il caro reverendo è deceduto da poco e Roger è giunto nella vecchia casa di famiglia per sistemare gli effetti personali del padre e la sua immensa biblioteca; lavoro non proprio semplice, considerata la quantità di volumi e scartoffie varie, ma a fornirgli una piacevole e intrigante distrazione ci pensa lei, la nostra Claire.

Claire si reca a casa di Roger ma non da sola: è con Brianna, la sua splendida ragazza dai capelli color del rame.

Tra i due ragazzi scatta una simpatia, all'arguta Claire non sfugge ma ella resta concentrata sul proprio duplice scopo, per il quale le serve l'aiuto, appunto, dell'intelligente e riflessivo Roger, il quale - scopriamo - fa di cognome... MacKenzie!

Ad ogni modo, nel parlare con il giovane professore di ciò che accadde nella tragica battaglia di Culloden - che vide gli Highlanders battuti dagli inglesi, da essi barbaramente trucidati e, con la loro sconfitta, la fine dei clan delle famiglie scozzesi -, alla dottoressa Randall interessa avere la risposta ad una fondamentale importante: all'interno dei vari clan, chi è sopravvissuto alla fine di quella battaglia? È possibile avere un elenco dei nomi dei guerrieri scozzesi che non sono morti sul campo?

Ovviamente, il cuore di Claire grida un nome, lo stesso per cui da vent'anni a questa parte non ha smesso di provare quell'amore intenso e immortale che ha superato ogni logica e ogni barriera spazio-temporale: James Fraser.
Il suo adorato Jamie, suo marito, quel giovano uomo dalle spalle possenti, l'ampia schiena deturpata da cicatrici, il petto su cui lei ha posato il capo innumerevoli volte, quelle braccia che l'hanno abbracciata, protetta...: anche Jamie ha perso la vita a Culloden nel 1746?

L'altra ragione che ha spinto la donna a intraprendere questo viaggio dagli States alla Scozia in compagnia di Brianna, è il desiderio di poter finalmente rivelare il segreto che custodisce da anni: la sua adorata Bree non è la figlia naturale di quel padre tanto amato e che altrettanto l'ha amata, crescendola con tenerezza e devozione. Frank Randall accolse la piccola sapendo che non era sua figlia.
Perché Brianna è, in realtà, figlia di Jamie Fraser.
E per Claire è arrivato il momento di dirle la verità, di parlarle di Craigh Na Dun, del suo assurdo e affascinante viaggio nel passato attraverso le pietre, e di quell'uomo meraviglioso, pieno di coraggio e forza fisica e morale e del loro amore vissuto intensamente in un'altra vita e in un'altra epoca.

Bree le crederà?
Non sarà facile continuare a credere alla salute mentale della madre, che di punto in bianco le confessa: Sai, Bree cara, tu sei figlia di un uomo che ho amato nel 1743. Sei stata concepita nel 1743, ma sei nata nel 1958. E no, tuo padre non è Frank, bensì l'Highlander Jamie Fraser.

Claire capisce che l'unico modo per far sì che l'attonita figlia le creda sia quello di raccontarle con esattezza ciò che accadde quando lei finì per caso (?!?) nella selvaggia, aspra e tormentata Scozia del 18° secolo, di come conobbe il terribile capitano "Black Jack" Jonathan Randall e di quanta sofferenza egli abbia arrecato a Jamie e a Claire stessa.

La narrazione, quindi, si sposta di nuovo nel passato, con Claire e Jamie impegnati a districarsi tra gli intrighi nella sfarzosa corte di Versailles.
Grazie all'ospitalità del cugino Jared, Jamie riesce ad entrare nel mondo del commercio del vino e a farsi conoscere dalla nobiltà parigina; sapendo, grazie alla moglie, che solo tre anni più tardi si verificherà la disfatta di Culloden, i due sono intenzionati a provare a cambiare la Storia e ad evitare tutti quei morti tra i guerrieri scozzesi...
Come? 
Infiltrandosi nella ribellione giacobita guidata da Bonnie Prince Charlie (Carlo Edoardo Stuart)!

Jamie e Claire conosceranno da vicino il licenzioso mondo della società francese, dove i ricchi non fanno che sollazzarsi tra divertimenti, feste, intrighi e tradimenti.

Nonostante il loro impegno nel voler alterare il corso della storia, la sfida sarà tutt'altro che semplice, anzi: i pericoli saranno dietro l'angolo e avranno ora il volto nuovo del Comte St. Germain, invischiato in affari oscuri e con risvolti esoterici, ora quello già noto di un nemico che credevano morto e invece...

Claire e Jamie dovranno vedersela, quindi, con nemici e pericoli vecchi e nuovi, cercando intanto di sabotare i piani del pretendente Prince Charlie, intenzionato a riportare sul trono il casato degli Stuart.
Fermare lui significa evitare Culloden.

Ma ci saranno anche incontri piacevoli, con persone amiche: Madre Hildegard dell'Hopital des Anges, la struttura in cui Claire si recherà quotidianamente per rendersi utile come "guaritrice"; Mastro Raymond, un uomo particolare, misterioso, saggio, che condivide con Claire la passione per erbe e intrugli; Fergus, un ragazzino di dieci anni, cresciuto in un bordello e abile nel furto, che verrà accolto in casa Fraser come un figlio.

Tra Jamie e Claire l'amore e la passione non diminuiscono mai, anzi, ma avranno anche loro problemi, incomprensioni, richieste e promesse difficili da realizzare, perdite dolorose che rischieranno di allontanarli.

Ma il loro amore sa come resistere al tempo, alla storia, al passato e al futuro.

E anche questo secondo capitolo della saga è stato bellissimo, coinvolgente; che dirvi? La Gabaldon scrive divinamente, leggerla è un piacere, mi sento immersa totalmente nel contesto, mi sembra di essere lì con i protagonisti; Jamie è un personaggio meraviglioso perché è sì forte, coraggioso, pieno di ardore, ma è anche così fragile, molto consapevole delle sue debolezze e, rispetto a Claire, desidera/sente il bisogno di esternarle, di tirarle fuori per esaminarle e, se può, superarle.

Bello bello.

mercoledì 6 luglio 2022

RECENSIONE ☀☀ RITORNO A RIVERTON MANOR di Kate Morton ☀☀



In questo romanzo (l'esordio letterario della scrittrice australiana Kate Morton) ambientato in Inghilterra, nei ruggenti Anni Venti, una cameriera fedele e devota, ormai anziana, decide di ricordare e raccontare cosa accadde nel bellissimo ed elegante maniero inglese in cui lavorava in una tragica sera del 1924, quando le vite di due sorelle e di un poeta promettente ma "maledetto" furono stravolte per sempre.


RITORNO A RIVERTON MANOR 
di Kate Morton


Ed. Sonzogno
trad.M. Ortelio
515 pp
11 euro
Grace Bradley ha abbondantemente superato i novant'anni.
Pallida, magra, gli occhi acquosi, il volto rugoso, il vigore che abbandona, inesorabile e di giorno in giorno, il suo corpo sempre più fragile.
Però la sua mente è ancora lucida ed in grado di ricordare; ma ancora per quanto lo sarà?, si chiede la vecchina, seduta nella sua stanza nella casa di riposo in cui è ricoverata.

Grace sa di non avere più molto tempo: ha un segreto custodito dentro il proprio cuore che sente il bisogno di raccontare.
Lei, che ha lavorato per decenni come archeologa, è decisa a fare ciò che ha amato sempre fare: scavare nel passato, portare alla luce non più fossili e reperti, bensì voci, sussurri, sorrisi tristi e rassegnati, brevi istanti di felicità, promesse di fedeltà, rinunce, amore, disperazione, lacrime.
Sangue.

Certo, l'occasione per poter finalmente dire la verità, la versione vera ed unica di ciò che accadde nello splendido giardino di Riverton Manor nel 1924, quando il giovane e tormentato poeta Robbie Hunter si suicidò con un colpo di pistola alla presenza delle sorelle Hartford (Hannah ed Emmeline), si presenta all'improvviso e potrebbe essere allettante: una regista sta girando un film proprio sui tragici eventi di quell'estate, con lo scopo di soffermarsi in particolare sulla drammatica ma romantica storia d'amore tra i tre protagonisti; si diceva, infatti, ai tempi, che il poeta fosse fidanzato con una di loro ma avesse l'altra come amante.
Un soggetto ideale e stuzzicante per un film, no?
E così, la regista - avendo saputo che un membro del personale di Riverton (nonché cameriera personale di Hannah) è ancora nel regno dei vivi ma ha una certa età e potrebbe tra non molto lasciarlo per trasferirsi in quello dei morti - decide di far visita all'anziana Grace per farle qualche domanda e ottenere informazioni preziose ed esclusive sui fatti accaduti quella sera, ma anche sulla villa, su come si viveva a quel tempo..., insomma, cercare di arricchire la narrazione cinematografica con qualcosa di vero, attendibile, che sia stato effettivamente vissuto da chi c'era in quella magnifica villa a cavallo tra le due guerre mondiali, quando essa ancora risuonava di voci, chiacchiere,  rumori dalla cucina, feste mondane, uomini aristocratici impegnati a parlare di affari e politica e donne di diverse età pronte a spettegolare e a scambiarsi frivolezze.

A Grace, la novantenne madre di Ruth (figlia unica, con cui non è mai riuscita a costruire un legame forte, intimo, spontaneo, affettuoso) e nonna dell'amato nipote Marcus (figlio di Ruth) viene chiesto di ritornare con la memoria a Riverton, di far rivivere con le parole un tempo, un luogo, delle persone che non ci sono più da molti anni.

Ma è a Marcus e non a Ursula che Grace desidera aprire lo scrigno dei ricordi; a lui, che è uno scrittore affermato che però sta attraversando un periodo buio, in cui non riesce a scrivere né a vivere. Il giovane ha infatti subito un grave lutto e questo lo ha buttato giù moralmente, inducendolo ad allontanarsi da tutto e tutti. Anche dall'affezionatissima nonna, che però aspetta fiduciosa il suo ritorno.
Nel frattempo, in attesa che lui si rifaccia vivo, la donna ha pensato di raccontare la sua vita a Riverton incidendo il proprio racconto orale su dei nastri, da consegnare a Marcus.

Ed ecco che l'autrice, attraverso lunghi flashback, ci porta nel 1914, quando Grace è solo una ragazzina di quattordici anni ed è pronta ad attraversare il portone di Riverton Manor per andare a servizio presso la famiglia Hartford, in sostituzione della propria madre, che ha smesso di fare la cameriera, riuscendo a conservare il posto a favore della sua unica figliola.
Intimorita e curiosa, Grace entra in una villa sontuosa, immensa, a contatto con gente aristocratica, lavorando accanto a un personale ligio ai propri doveri, severo all'occorrenza ma anche accogliente, che la farà sempre sentire a casa.
Perché Riverton diventa la casa di Grace, che scoprirà di trovarsi meglio con la collega Nancy e la signora Townsend (la cuoca), che con la propria madre, una donna schiva, di poche parole, scontrosa e un po' burbera, e decisamente poco amorevole ed affettuosa con la figlia.

Quando conosce le figlie del padrone (Frederick), Hannah ha quasi quindici anni ed Emmeline undici; la giovanissima cameriera è fortemente incuriosita e attratta dalle padroncine, dal loro carattere esuberante, dai loro giochi segreti, e adora essere al loro servizio; del resto, sono le persone più vicine a lei per età ed è comprensibile che si senta più a suo agio con le signorine che con gli altri, davanti ai quali è più timida ed in particolare con loro padre, che non le rivolge mai parola e, quando si sofferma a a guardarla, è sfuggente e corrucciato, come se a malapena la sopportasse.

Hannah ed Emmeline hanno un fratello maggiore (David) e i tre sono legatissimi; ma l'arrivo della guerra porta i primi uragani in famiglia e comincia a minare la serenità di Riverton.
David parte per il fronte e con lui va un suo carissimo amico, Robbie; quest'ultimo è stato ospite degli Hartford ed ha conosciuto le sorelle di David, restando colpito dalla bellezza e dalla determinazione di Hannah.

Il racconto di Grace procede minuzioso, ricco di particolari, vivido, e conduce il lettore in un mondo ormai appartenente al passato ma ancora ricco di seduzione, mondanità, leggerezza e fascino malinconico; il periodo successivo al primo conflitto, conosciuto con l'espressione "Anni ruggenti", vede l'aristocrazia inglese ancora ricca, sì, eppure qualcosa sta cominciando a cambiare: il sistema aristocratico inizia a sgretolarsi, molti nobili hanno rimpinguato le proprie casse investendo durante la guerra ma adesso si ritrovano spesso a corto di soldi, e a rimpiazzarli c'è una nuova classe sociale, resa potente dal denaro e non più dal lignaggio, dall'appartenenza ad antiche famiglie nobiliari.
E se è vero che tra i nobili vigono ancora determinate regole di buon costume, atte a mantenere pulito il buon nome della famiglia, è altrettanto vero che le donne cominciano a desiderare di liberarsi da certi schemi e rigide convenzioni sociali che vogliono relegarle unicamente nel ruolo di mogli fedeli e madri felici.

In tal senso, Hannah è all'avanguardia e si inserisce proprio in questa voglia di cambiamento, di trasgredire le regole non tanto per il puro gusto di essere anticonformista, quanto per cercare la propria strada, vivendo in sintonia con il proprio modo di essere.
Benché molto giovane e cresciuta in un ambiente privilegiato, abituata ad essere servita e riverita, Hannah non ha alcuna intenzione di fare la vita da signorina perbene in attesa di essere impalmata da un lord rispettabile e ricco: lei vuole uscire da Riverton, lasciare la campagna inglese, andare in città e lavorare!
Hannah ha una personalità ben definita sin da ragazza: è caparbia, al limite dell'ostinatezza, curiosa, vuol conoscere il mondo, essere una donna indipendente, libera, non sottomessa al padre o a un futuro marito; è pronta ad andare incontro alle sfuriate paterne pur di conquistare la propria libertà, ma a un certo punto, smaniosa di andar via dalla casa paterna - che per lei ha i contorni di una prigione, comoda e dorata sì, ma pur sempre una prigione - accetta di sposarsi con un giovanotto che sembra essere il partito ideale per poter vivere come una donna indipendente... ma in realtà questo matrimonio si rivelerà solo un'altra prigione.

Lui è Teddy Laxton, proviene da una famiglia di banchieri, di origine americana, e con il padre è impegnato in affari commerciali e politici; e si sa, quando ti senti sempre in campagna elettorale non puoi permetterti scandali, anzi, devi ostentare una vita praticamente perfetta.
Hannah lo sposa, pur non essendosene innamorata, andando contro le obiezioni del padre e le lagne della sorellina, che vorrebbe averla sempre con sé, come nei giorni felici dell'infanzia.

Dal canto suo, Emmeline è una ragazza sveglia, con un carattere deciso, è testarda e capricciosa, spumeggiante, vivace e anche lei vuol essere libera di vivere come vuole; ma mentre la sorella maggiore è più matura, responsabile ed equilibrata, Emmeline ha un fuoco dentro che la rende imprevedibile, eccessiva, imprudente, e questo suo modo di essere e comportarsi disordinato cela un malessere interiore: Emmeline si sente sola, poco amata e purtroppo abbandonata da chi ama.
Da David, morto in guerra.
Dal padre, che le ha sempre preferito Hannah, più simile a lui.
E da Hannah stessa, che la lascia per diventare la signora Luxton, trasferendosi a Londra.

A sconvolgere le loro quotidianità - contrassegnate da party, pranzi e cene con amici, e colpi di testa da parte di Emmeline, che raggiunge la sorella nella capitale, infilandosi non di rado in qualche guaio - di giovani donne, ci pensa una vecchia conoscenza, la quale sbuca dritta dritta dal passato: Robbie Hunter, l'amico di David.

Robbie è ormai un poeta che ha all'attivo dei libri di poesia apprezzati dalla critica, ma non è più il giovanotto ironico ed affascinante di un tempo.
L'esperienza della guerra l'ha cambiato radicalmente; sul suo volto e nel suo sguardo ci sono i segni visibili di una sofferenza interiore da cui è difficile guarire.
Del resto, è la stessa riscontrabile (etichettata come "nevrosi da guerra") in tutti coloro che hanno combattuto, sono sopravvissuti al conflitto e son tornati a casa col corpo, ma con la mente sono ancora sul fronte: nella loro testa ancora odono grida, pianti, rumori di guerra, e le loro mani sono ancora lorde del sangue che hanno visto scorrere.

Grace in persona si confronta con questo "problema" quando dal fronte francese torna Alfred, anch'egli un domestico di Riverton; ebbene, egli non è più il ragazzo chiacchierone e simpatico di un tempo, che faceva battute e che aveva fatto intendere alla piccola Grace di nutrire un interesse sentimentale per lei.
Ora è distante, impaurito, nervoso, taciturno: non è più lui..., e Grace vorrebbe tanto riavere indietro il suo Alfred e, chissà, magari vivere insieme la tanto sognata storia d'amore, mettere su famiglia...!

Ma la vita a volte prende strade imprevedibili, inaspettate e non sempre piacevoli; costringe a fare rinunce, mette davanti a scoperte sbalorditive e inimmaginabili, desta sentimenti e affinità che sarebbe meglio non alimentare perché pericolose e inappropriate.

E mentre Grace fa le sue scelte e resta accanto alla sua padrona Hannah (che ha seguito a Londra dopo le nozze), quest'ultima prende consapevolezza del sentimento che cresce dentro di lei quando è in presenza di Robbie.
Quell'attrazione provata dieci anni prima, quand'erano solo ragazzi, esplode in modo irrefrenabile e li travolge, dando vita ad una relazione adulterina.
Ma questa tresca amorosa e piena di passione, che costituisce il loro dolce segreto, è destinata ad essere la più grossa tragedia della loro vita, soprattutto perché Hannah non è l'unica donna ad amare Robbie...

Come dicevo, il romanzo procede alternando il presente (1999) e il passato (1914-1924); la parte relativa ai flashback è ovviamente quella più corposa perché è nel passato che hanno luogo le vicende che compongono la trama del libro e che riguardano le sorelle Hartford, Robbie e Grace, che è sia narratrice che personaggio coinvolto, certamente secondario ma comunque con la sua importanza, in quanto sarà depositaria di segreti di famiglia, uno su tutti quello riguardante ciò che accadde presso la fontana nel giardino di Riverton Manor, nell'estate del '24, e che vide Robbie perdere la vita.

L'ambientazione - la grande e magnifica villa nella campagna inglese, il mondo dell'aristocrazia pieno di privilegi (che però è in declino), la devastazione della guerra con le sue perdite (non solo materiali, fisiche, ma anche morali e psicologiche), i rapporti all'interno della servitù, fedele, obbediente e inevitabilmente un po' impicciona (origliare dietro le porte è un classico) - è affascinante ed è molto ben descritta; molto apprezzabile la consistente bibliografia riportata a fine libro e alla quale l'autrice ha attinto, e questo è evidente nella narrazione accurata, precisa, dettagliata.
All'inizio il ritmo narrativo l'ho trovato un po' lento - proprio a motivo della ricchezza di particolari - ma andando avanti mi sono sentita immersa in quel periodo e in quella casa, grazie alla precisa voce di Grace.
I personaggi sono ben caratterizzati e interessanti, non sempre fanno scelte condivisibili ma la loro imprevedibilità e le tante contraddizioni fanno sì che le loro azioni siano funzionali al tipo di dinamiche che si sviluppano.
Il finale spiega quale sia il segreto di Grace, la verità su cosa accadde quella fatidica sera.

Un romanzo che mi è piaciuto molto, per storia, personaggi, ambientazione e per come è narrato.

Non mi resta che consigliare questo romanzo a chi ama le storie dense, piene di segreti, collocate in un ben definito periodo storico; non so voi, ma io aspetto che Kate Morton annunci l'uscita di un suo nuovo libro. Spero di non dover aspettare ancora molto. 



sabato 30 aprile 2022

** RECENSIONE ** I MEDICI. UNA DINASTIA AL POTERE di Matteo Strukul



È il primo libro della saga sulla famiglia fiorentina, la più potente del Rinascimento. 
E proprio in virtù della loro influenza ed importanza, come non mancano i sostenitori, così non mancano gli oppositori.
Tra molte traversie, intrighi e colpi di scena, i fratelli Lorenzo e Cosimo de' Medici dovranno vedersela con chi vuole a tutti i costi liberarsi di loro per poter governare sulla bellissima Firenze.


I MEDICI. UNA DINASTIA AL POTERE
di Matteo Strukul


Ed. Newton Compton
384 pp
È il 1429 quando Firenze vede spegnersi Giovanni de' Medici.
I suoi figli, Cosimo e Lorenzo, si ritrovano privati della solida guida paterna ma ancora esortati dai saggi consigli della loro amata madre, Piccarda, che con amore e fierezza parla al cuore dei suoi figli e delle nuore, incoraggiandoli a continuare a portare in alto il nome della famiglia, amando Firenze e lavorando perché in essa regnino sempre la pace e la bellezza.

Giovanni era stato un uomo potente, che aveva costruito un autentico impero finanziario, e inevitabilmente si era fatto molti nemici negli anni; del resto, Firenze era magnifica ma anche un covo di serpi e traditori, tra i quali spiccavano in particolare
Rinaldo degli Albizzi e Palla Strozzi, esponenti delle più potenti famiglie fiorentine. 

"Firenze è come uno stallone selvaggio: magnifico ma bisognoso di essere domato"

...dice Piccarda al figlio Cosimo, mettendolo in guardia perché sul suo cammino troverà più nemici e uomini spregiudicati che amici sinceri disposti ad aiutarlo.

Ma i due fratelli non sono degli sciocchi o degli sprovveduti e, con scaltrezza, intelligenza, temerarietà e intraprendenza sanno cosa fare per conquistare più potere politico ed economico, rafforzando la propria posizione grazie agli affari, alle banche e al grande amore per l'arte e la cultura, cercando di guadagnarsi anche la devozione e il rispetto del popolo. 

E mentre Cosimo si assicura che il grande Brunelleschi prosegua con la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore, gli avversari di sempre continuano a tessere le loro trame. 

Il già citato Rinaldo è tra i più ostili e determinati nel voler cacciare i Medici da Firenze per impadronirsi della città, anche a costo di scatenare una guerra interna e versare il sangue dei fiorentini.
Ma prima che questo avvenga, riesce comunque a ottenere l'allontanamento di Cosimo, che viene accusato di tradimento verso la città di Firenze.
Nonostante Rinaldo speri nella condanna a morte, la pena che viene comminata a Cosimo è l'esilio, durante il quale però questi non si lascia scoraggiare e, anche da lontano, sa come continuare i suoi affari economici e politici, creando le condizioni per alleanze con Venezia e con Ludovico Sforza, dai quali ottenere aiuti al momento opportuno.

A tramare contro la potente famiglia fiorentina non sono solo uomini avidi di potere, ma anche una donna, tanto bella e sensuale, quanto piena di livore e desiderio di vendetta: Laura Ricci, una ragazza con un passato contrassegnato da violenze e abusi che, crescendo, ha sfruttato la propria avvenenza e il proprio fascino maledetto per sedurre gli uomini e manipolarli, ricavandone sempre qualche beneficio per sè.
In particolare, è la favorita di Rinaldo, che stravede per la donna e con lei condivide l'odio per i due fratelli di Firenze.
Laura è convinta di avere della valide ragioni per volere la morte dei maschi della famiglia de' Medici, e ad aiutarla nei suoi perfidi propositi c'è un mercenario svizzero, grosso e forte, di nome Schwartz, che con un'arma in mano è capace di uccidere molti uomini senza troppo sforzo.

Nell'arco di più di dieci anni (1429-1440, con un salto nel 1453, nell'ultimo capitolo) Cosimo dovrà sfuggire a cospirazioni, alla guerra contro Lucca, dovrà vedersela pure con la peste, passare periodi lontano dalla propria famiglia - dal fratello Lorenzo, dall'amatissima moglie Contessina, dai figli... - ma non smetterà mai di lottare per riappropriarsi della posizione di prestigio che la sua famiglia ormai s'è guadagnata e che tanto lustro ha portato a Firenze.

Questo romanzo narra l'inizio dell'ascesa alla Signoria fiorentina della famiglia più influente del Rinascimento, e di come essa si sia mossa all'interno di un vortice di intrighi; leggiamo di omicidi, battaglie sanguinose, tradimenti, alleanze, giochi di palazzo e colpi di scena che vedono agire aristocratici senza scrupoli e desiderosi solo di tiranneggiare, capitani di ventura e sanguinari mercenari, fatali avvelenatrici.

I romanzi storici li leggo sempre molto volentieri e il Rinascimento è un periodo che mi piace molto perché caratterizzato dal rifiorire delle lettere, delle arti, della scienza e della cultura in generale; inoltre mi hanno sempre incuriosito ed affascinato le storie di queste famiglie così importanti, con i loro "intrallazzi" per conquistare/mantenere il potere, le alleanze, i matrimoni, le pugnalate alle spalle, gli intrighi, ma anche il loro accogliere, proteggere e finanziare artisti, letterati, scultori ecc..., contribuendo così a dare splendore e magnificenza al proprio casato e, di riflesso, alle città da esse governate.

Ho nutrito simpatia per i due fratelli, Lorenzo e Cosimo, per il loro rapporto così stretto e pieno d'affetto e stima; lo stesso vale per il legame fortissimo tra Cosimo e sua moglie, la dolce e saggia Contessina.

Adattissimo a chi ama il genere, il periodo di riferimento e una trama densa di avvenimenti, battaglie e giochi di potere.

venerdì 1 aprile 2022

RECENSIONE ❤❤ "DI MORTE E D'AMORE. La prima indagine di Fortunata, tanatoesteta" di Stefania Crepaldi ❤❤



Fortunata è una bella ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri, e a vederla nessuno penserebbe che fa un lavoro davvero particolare: è, infatti, una tanatoesteta, vale a dire colei che si prende cura, con estrema professionalità, dei corpi delle persone decedute, truccandoli, attenuando i segni della morte così da renderli più presentabili.
E mentre le sue mani toccano le salme, lei sogna di diventare una pasticciera e di allontanare il puzzo di morte per respirare un'aria decisamente meno grave e triste.


DI MORTE E D'AMORE. 
La prima indagine di Fortunata, tanatoesteta
di Stefania Crepaldi   


Ed. IoScrittore
200 pp
USCITA:
24 MARZO 2022
Fortunata vive nella bella Chioggia con suo padre Emilio e la sua amorevole nonna, da cui ha preso il nome; la madre è morta da anni ma il suo ricordo aleggia dentro casa e la sua assenza addolora il vedovo, la cui sofferenza non accenna a diminuire.
La famiglia di Fortunata ha un'azienda che in città è famosa e molto richiesta perché i servizi che offre sono anzitutto contrassegnati dalla professionalità, e inoltre sono necessari, nel senso che prima o poi servono a tutti.
Sì, perché il signor Emilio porta avanti l'antica tradizione di famiglia, che è quella dei becchini, dei pizzigamorti. Onoranze funebri, insomma.

La ragazza è stata quindi cresciuta con la convinzione, da parte del genitore, di proseguire la professione paterna, perpetuandola.
Ma l'uomo non ha fatto i conti con i desideri (per lui segreti) della figlia e vorrebbe che proseguisse nel prendere specializzazioni che la rendano la migliore tanatoesteta in circolazione.

Ed effettivamente Fortunata è davvero brava nel suo lavoro; sembra avere un dono particolare nel prendersi cura di uomini e donne perché quando li veste, li lava, pulendo la pelle e truccando il viso, lo fa con attenzione, rispetto, dolcezza e premura. 

Ma il fatto che sappia fare bene il proprio mestiere, non le impedisce di desiderare di scappare via da quel destino che il padre ha deciso per lei e su cui Fortunata, invece, non ha alcuna intenzione di investire.

Già, perché la ragazza ha un sogno nel cassetto di diverso tenore e genere: vuole fare la pasticciera, passione che la fa stare bene e per la quale è portata; lo dimostrano le sue capacità in cucina, più precisamente nella cucina del caro amico Mario, proprietario di una pasticceria, dove Fortunata si rifugia per dare sfogo alle proprie doti culinarie.
E in barba alle pretese paterne, sta provando a farsi accettare come apprendista pasticciera dai Mengolin (considerati i migliori nel settore dei catering di lusso in Italia) e poter lavorare e creare decorazioni spettacolari accanto allo chef Lucio Mengolin.
Quando inaspettatamente riceve una loro risposta, in cui le viene detto di presentarsi, pochi giorni dopo, per iniziare un periodo di apprendistato, sente che finalmente la vita le sta offrendo una fantastica opportunità per dare una svolta alla propria esistenza.

"Le mie mani non abbelliranno più la morte, daranno vita alla bellezza, contribuiranno alla felicità delle
persone."

Fortunata è intenzionata a non lasciarsi sfuggire questa occasione per voltare le spalle a quel mestiere accompagnato sempre da morte, dolore, corpi rigidi, lacrime di chi piange il proprio caro.
Già è stato - ed è - dura vivere accanto ad un padre che piange guardando le foto dell'amatissima moglie e che spesso, quando parla con la figlia, non vede lei ma la defunta consorte, Elisa.

"Elisa. Mia madre. La donna con cui combatto una guerra silenziosa per la conquista del cuore di mio padre."

In quei momenti, Fortunata si sente pervadere da una grande tristezza e dalla dolorosa consapevolezza che, per quanto suo padre le voglia bene, preferirebbe di certo che, al sui posto, ci fosse Elisa davanti a lui.

A dare un'ulteriore spinta alla sua voglia di cambiare vita, c'è anche il suo essere cosciente di come la gente guardi lei e i suoi famigliari: persone che portano sfortuna (i gesti scaramantici non mancano mai), alla cui vista è meglio distogliere lo sguardo e al cui passaggio è meglio scansarsi, come se la morte fosse contagiosa e potesse attaccarsi loro addosso come la lebbra.

Fortunata è stanca di sentire le comari che mormorano sciocchezze quando la vedono, di ragazzi che le fanno un complimento per poi lasciarsi andare a gesti eloquenti e superstiziosi quando scoprono il suo lavoro.
Insomma, la ragazza non vuol essere più la figlia del becchino più famoso di Chioggia e non vede l'ora di poter utilizzare le sue abili mani per celebrare eventi gioiosi e non più luttuosi.

Nonostante le urla contrariate del genitore, l'aspirante pasticciera si reca al suo primo giorno di lavoro presso i Mengolin: deve aiutare lo chef Lucio a decorare una torta nuziale.
A sposarsi è la figlia della famiglia Boscolo (molto nota in città), ma purtroppo la morte sembra aver seguito la povera tanatoesteta: durante la festa, infatti, il padre della sposa muore.

Istintivamente, Fortunata non riesce a star lontana dal corpo morto dell'uomo e lo tocca... facendo così un grosso errore che potrebbe crearle non pochi problemi.

Nei giorni successivi viene fuori che la morte del Boscolo non è avvenuta per cause naturali e il fatto che a toccarlo sia stata quella ragazza che era lì per fare la pasticciera, fa sì che ella diventi una sospettata...

Ma quel giorno, al matrimonio, Fortunata fa la curiosa conoscenza di un "Tizio affascinante", un ragazzo tanto carino e sexy quanto misterioso, che si chiama Vito ed è pugliese.

I due finiscono per fare amicizia e le loro strade continuano ad incrociarsi, e non per caso: Vito sembra uno senza arte né parte ma in realtà è interessato alla morte del signor Boscolo e alle sue attività imprenditoriali per motivi ben precisi.
Dal canto suo, la stessa Fortunata è interessata a capirci qualcosa di più circa il presunto omicidio di Boscolo, più che altro per scagionare se stessa da ogni assurda accusa; si improvvisa così investigatrice e, collaborando con Vito, cercherà di carpire segreti, frasi sussurrate, intrighi e loschi affari di questa ricca famiglia di Chioggia.

Intanto, il suo "idolo" Lucio Mengolin sembra davvero apprezzare le sue qualità e volerle proporre un lavoro, il che rende Fortunata eccitata e felice. Sarà la volta buona per dire addio alle onoranze funebri di famiglia per potersi dedicare finalmente a una professione più lieta?

E quel Vito, che le sta sempre attorno e che sembra aver bisogno di lei, del suo aiuto..., chi è davvero? Può fidarsi di lui, di quel sorriso sornione, di quello sguardo malizioso che le fa battere il cuore più velocemente?

E se la ragione le suggerisce di stare attenta a non perdere la testa, i moti del cuore sono difficili da placare e la conducono verso quell'uomo intrigante, che sa come sorprenderla e farla sorridere (a volte anche innervosire, ma è un dettaglio trascurabile).

Le vicende avventurose che coinvolgono la nostra simpatica e sveglia protagonista hanno una spettatrice d'eccezione, che è al contempo anch'essa una voce narrante, ma onnisciente e privilegiata, che si alterna alla narrazione in prima persona di Fortunata: è la voce fiera e orgogliosa della magnifica città di Chioggia che, come se avesse vita propria, sembra rivolgersi al lettore affinché si soffermi sulla bellezza di Clodia, sul suo fascino, la sua storia, senza però perdere di vista - purtroppo! - le azioni degli esseri umani, la loro avidità, il loro affannarsi nei propri affari non sempre leciti e puliti.

Romanzo vincitore di IoScrittore 2020, l'esordio di Stefania Crepaldi è un giallo con sfumature rosa che mi ha catturata e favorevolmente impressionata per diversi aspetti: la scrittura molto sciolta, il ritmo veloce e dinamico, i dialoghi efficaci; originale è il lavoro della protagonista e coraggiosa la scelta dell'autrice di inserire un argomento delicato (e attorno a cui ruotano molti tabù, paure, associazioni negative...) come la morte e il contatto con essa (che, nel caso di Fortunata, è inevitabilmente anche fisico), senza mai far sentire al lettore nessuna oppressione o tristezza, tutt'altro; la protagonista è un tipo tanto determinato e caparbio quanto sensibile e, pur essendo costantemente a contatto con la morte ed essendo cresciuta con un genitore che le ha fatto sentire molto l'assenza materna, è piena di voglia di vivere e di amare; bella l'idea di dar voce alla città, che in pratica è un personaggio a tutti gli effetti.

Un libro che mi ha sorpresa in positivo e che ho letto con molto piacere perché è scritto bene, ha una storia accattivante e una protagonista che ha tutti i requisiti per conquistare i lettori.



mercoledì 8 settembre 2021

Recensione: IO SONO GORDON BLOOM di Francesco Cariti


Ha quarantacinque anni, Gordon Bloom, da dieci è tra le sbarre di una prigione nel Massachussets e sa che non ne uscirà: su di lui pesa una condanna di ben tre ergastoli e tra queste pagine, che - ci tiene a precisare il narratore - non costituiscono un testamento morale bensì il desiderio di raccontare la propria incredibile storia a un pubblico immaginario, apprendiamo chi egli sia e quali azioni ed avvenimenti abbiano fatto di lui un criminale detenuto in un carcere di massima sicurezza.



IO SONO GORDON BLOOM
di Francesco Cariti

322 pp
14.90 euro
Maggio 2021
LINK AMAZON

"La mia penna (...) vi racconterà di un uomo che ha messo le proprie aspirazioni davanti a ogni altra cosa, infrangendo il muro della legge e distruggendo molte vite, incurante dei princìpi morali che regolano la razza umana. Vi racconterà di come quest’uomo pensasse di controllare gli eventi, e di come questi eventi si siano fatti più grandi di lui e abbiano finito per travolgerlo. Allora, siete pronti? Andiamo."

Se è vero che l’ambiente familiare è il primo (e principale) luogo in cui si sviluppano le fondamenta di una persona - la sua personalità, il carattere, le capacità, le attitudini e i valori -, allora un individuo che nasce in una "buona famiglia", amorevole e dai sani principi, dovrebbe (potenzialmente) crescere in maniera altrettanto sana ed equilibrata.

Beh, non è il caso di Gordon Bloom.
Figlio di due genitori modello, lavoratori, umili, che hanno sempre guadagnato ogni centesimo onestamente, Gordon è cresciuto in una famiglia normale, come tante, diventando però... un pericolosissimo criminale.

Com'è potuta accadere una tale deviazione? Cosa ha portato un ragazzo, nato e cresciuto in una famiglia americana sana, a diventare un pluriomicida?

Gordon ce lo racconta con sfrontatezza, lucidità e un pizzico di ironia, chiarendo come non solo egli non sia affatto pentito di tutte le scelleratezze commesse, ma come sia stato, in un certo senso, costretto a commetterle per cercare di farla franca.

"Non ho fatto il male perché mi piaceva, ma perché mi serviva. Non sono un immorale, sono un amorale".

Gordon sviluppa sin da giovane atteggiamenti egoistici, indifferenti e privi di affetto; sembra non aver bisogno di dare e ricevere amore, tratta tutti con distacco e sufficienza; non ha una grande stima dei suoi genitori e la sorella gli è praticamente indifferente.
Anche quando accetta di compiere un gesto altruistico verso quest'ultima, non lo fa per amore, bensì per opportunismo, per poter ottenere ciò che vuole.

E ciò che vuole è lasciare la famiglia e andare a Boston, a divertirsi, conducendo una vita fatta di agi, comodità, donne... e soprattutto soldi: "quello che mi interessavano erano i soldi, non le persone".

Gordon ha le idee chiarissime: vuole essere ricco, potersela godere come, dove, quando e quanto vuole, senza dover rendere conto a nessuno, senza avere legami personali intimi di alcun genere; per lui le persone acquisiscono interesse e valore in base al denaro e alla possibilità che, tramite esse, egli stesso possa averne sempre più.

A Boston, lasciata l'università (che, a dire il vero, non ha mai frequentato, in quanto vi era iscritto solo per spillare soldi all'ignaro padre), comincia a cercare di guadagnarsi di che vivere facendo il mercante d'arte, vale a dire l'agente artistico di pittori emergenti, alcuni più promettenti di altri.

La sua vita procede allegra e abbastanza soddisfacente, fino al fatidico giorno in cui un cliente  importante, Philippe Rogg (imprenditore immobiliare impegnato in grossi affari poco puliti), gli ordina di fargli avere cinque dipinti di un pittore messicano (anch'egli cliente di Gordon), Gondalòn, che ha mostrato di possedere delle ottime qualità artistiche ed è più che pronto per fare carriera.

Il compenso per Gordon è molto alto e lui non vede l'ora di dire a Gondalòn di questo meraviglioso affare; peccato che, per ragioni personali, il pittore non abbia alcuna intenzione di venire in affari con quel delinquente di Rogg, che in passato gli ha rovinato la vita. Di vendergli i propri quadri - che sia uno soltanto o addirittura cinque! - non se ne parla proprio!

Bloom non crede alle proprie orecchie: convinto che non ci sarebbero stati ostacoli di alcun genere, egli ha promesso a Rogg, con la sicumera che gli è propria, di fargli avere quei dipinti... e così dev'essere.
Chi glielo dice a Phil che la promessa di Gordon era campata in aria e non si realizzerà mai perché il pittore lo ritiene un delinquente?

Rogg non è un uomo comprensivo, con cui si può trattare e sperare di ricevere accondiscendenza e simpatia: è ricco sfondato, è potente, temuto, ha al seguito scagnozzi rozzi e animaleschi che non aspettano altro che un suo ordine per riempire di botte o far fuori, se è il caso, il primo che si azzarda a fare arrabbiare il loro padrone.

Gordon va un po' nel panico: proprio ora che la fortuna sembrava sorridergli con un affare allettante, il suo artista di punta che fa? Lo vuole abbandonare e metterlo nei guai!

Il giovane non ci sta: nessuno può mettere i piedi in testa a Gordon Bloom né tantomeno creargli problemi: Carlos Gondalòn ne farà le spese, ma prima il nostro mercante cercherà di risolvere il guaio in cui si è cacciato con una bugia. Una vera e propria truffa..., con la speranza che Rogg non lo scopra mai, altrimenti per Bloom si metterebbe molto male.
Quando il pittore scopre di essere stato preso in giro, va su tutte le furie ma Bloom lo mette a tacere. Per sempre.

A partire da questo omicidio, commesso per non essere lui vittima dell'ira di Phil, Gordon si infila in un meccanismo perverso in cui il male, inevitabilmente, attirerà altro male.
Bloom è un tipo che cerca di cadere sempre in piedi; il suo obiettivo è uscire sempre vincitore da qualsiasi difficoltà e conflitto, ed è disposto a passare sopra il corpo di chiunque pur di riuscire a svignarsela e a sfuggire alle mani di chi lo cerca, polizia in primis.

Eh già, perchè ovviamente i crimini non si fermano, in quanto per coprire un misfatto si renderà necessario compierne un altro e poi un altro ancora.

Insomma, Gordon si dà alla macchia come i briganti di un tempo, e sul suo cammino incontra diversi poveri disgraziati che verranno sacrificati sull'altare della spregiudicatezza di un uomo che pensa solo a salvare la propria pellaccia, e se per raggiungere questo scopo devono andarci di mezzo degli innocenti... beh pazienza, così è la vita: premia i più scaltri, quelli che sanno cavarsi dai guai grazie alla propria intelligenza e determinazione, senza farsi impietosire, senza lasciarsi prendere in trappola da sciocchi sentimentalismi.

Quando Gordon capisce di avere alle calcagna troppa gente - FBI, criminalità organizzata, cacciatori di taglie, giornalisti televisivi... - e, più di tutti, il perspicace detective Primey (polizia di Boston), dalle raffinate capacità investigative, inscena una fuga rocambolesca per tutti gli Stati Uniti.

Pur di non farsi acciuffare, accetta di passare per un fanatico suprematista bianco (una sorta di degenerazione del Ku Klux Klan) e di soggiornare per un po' in un campo di addestramento popolato da militari e civili folli, convinti della superiorità della "razza ariana" e intenzionati a far fuori chiunque sia ritenuto "diverso" e inferiore.

Che Gordon Bloom non riesca a sfuggire alla giustizia non è ovviamente uno spoiler, visto che il racconto della propria vita avventurosa parte proprio dalla consapevolezza che per lui non c'è speranza di libertà; ma la domanda che il lettore si pone, andando verso l'epilogo, è: si pentirà mai del male fatto? Avrà mai un sentimento, anche minimo, di pietà e rimorso per le vite da lui spezzate?

L'interrogativo è lecito, eppure il lettore comprende da subito che Gordon Bloom è fiero di essere quello che è, non è soggetto ad alcuna morale e non ha altri padroni che se stesso.

Nel corso del racconto, il narratore palesa ai suoi immaginari lettori le proprie idee su tante tematiche sempre vive ed attuali: il concetto di dio, l'inutilità di chi dice di credere in lui (se si accetta il presupposto che non esista una divinità al di sopra dell'uomo), le contraddizioni presenti nell'ipotetico rapporto dio-creatura, l'ipocrisia di chi crede di poter giudicare le azioni altrui prendendo a prestito i propri limitati parametri etici e morali, quando poi, se uno fosse tanto onesto da liberarsi da preconcetti e presunzioni, si renderebbe conto che il concetto stesso di giustizia è relativo, e che non ce n'è un solo tipo ma che esso dipende da contesti, ideologie, credenze e costumi propri di un gruppo di persone e in un dato momento storico.

"Io sono Gordon Bloom" è un romanzo ricco di situazioni drammatiche che però vengono raccontate con toni leggeri, essendo il protagonista (e voce narrante) dotato di un grande acume, di una invidiabile scaltrezza, di un umorismo cinico e di una tale sicurezza di sé che sono i suoi punti di forza, ci impediscono di considerarlo un essere spregevole e rendono perfino attraenti le tante peripezie cui va incontro.

È stata una lettura particolare, dal ritmo molto fluido e vivace e in grado di catturare la mia attenzione, proprio grazie a questa narrazione in prima persona coinvolgente, che sa come "pretendere" l'attenzione del lettore perché è a lui che si rivolge in modo diretto, confidenziale, con un tono provocatorio, facendogli domande e quasi sfidandolo a giudicarlo e condannarlo. 

Consigliato!!

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