giovedì 16 agosto 2018

Recensione: "The Handmaid's Tale" (stagioni 1-2)



Solitamente non sono una grandissima appassionata di serie tv, questo credo di averlo già detto; come già avrò precisato che l'unica che ho seguito con il sangue agli occhi è stata "Gomorra" e fremo all'idea della quarta stagione (nonostante il lutto per la perdita dell'Immortale).

Però, da quando a casa, per il fisso, abbiamo "messo" Tim e nel pacchetto c'è Tim Vision, mi è presa la voglia di recuperare qualcosa, in termini e di film e di serie tv.
Avendo sentito parlare con vivo entusiasmo di questa serie, non me la son sentita di rimandare ancora a lungo e così mi sono fiondata su....

The Handmaid's Tale 



Come è noto, si tratta dell'adattamento televisivo dell'acclamato romanzo distopico di Margaret Atwood, edito in Italia con il titolo Il racconto dell'ancella (1985) Atwood dà il suo contributo alla serie in qualità di consulente di produzione.

CAST: Elisabeth Moss (Difred/June), Joseph Fiennes (Fred Waterford), Yvonne Strahovski (Serena Joy), Madeline Brewer (Diwarren/Jeanine), Ann Dowd (zia Lydia), O.T. Fagbenle (Luke), Max Minghella (Nick Blaine), Samira Wiley (Moira), Alexis Bledel (Diglenn/Emily), Amanda Brugel (Rita).


Siamo in una non meglio precisata epoca futura (credo non poi così lontana dal nostro oggi), in cui il mondo è ormai devastato dalle radiazioni atomiche e da varie catastrofi naturali che, tra le tante cose negative, hanno provocato una diffusa sterilità. Tra le donne, sia ben chiaro, perchè gli uomini sono e restano virili e fertili qualunque cosa accada (!).

Le vicende hanno luogo negli Stati Uniti che ormai sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile.
La donna - e non l'uomo!! - è la sola portatrice di infertilità e per far sì che la procreazione non resti un vago ricordo e il genere umano (o solo gli statunitensi?) non si estingua, bisogna assicurarsi che le poche donne fertili ancora in circolazione vengano costrette ad accettare il loro "destino biologico", ciò per cui sono state programmate: far figli e farlo in completa sottomissione all'uomo.

Questa nuova terribile società si chiama Repubblica di Gilead ed è un regime totalitario e fondamentalista, che pretende di fondare il proprio governo e le proprie leggi su un'osservanza cieca della Bibbia; ovviamente, si leggono le Scritture in maniera distorta e questo non può che portare al fanatismo religioso che nulla ha della pietas cristiana... 

La protagonista - che è poi colei cui è affidato il racconto delle vicende - è Difred, una giovane donna che per sua sfortuna si ritrova a vivere in questo tipo di società da incubo.
A dire il vero il suo nome è June Osborne e - come apprendiamo attraverso molti e necessari flashback che, nel corso delle puntate, si alternano al presente - prima che si scatenassero l'inferno e la follia, era un'editor felice, che condivideva la propria vita con il compagno, Luke (divorziato), e la loro bimba, Hannah.
I tre sono stati separati quando, nell'atto di cercare di scappare verso il Canada (nazione in cui diversi statunitensi hanno trovato rifugio) quando si sono resi conto che la situazione era già degenerata, i militari di Gilead li hanno presi, sparando a Luke e separando June dalla sua bambina.

Difred
June e tutte le altre donne fertili vengono addestrate per essere ancelle ed affidate ai metodi educativi aggressivi e pazzoidi delle cosiddette "zie", tra cui spicca la terribile zia Lydia, che testardamente cerca in tutti i modi di far capire alle ancelle che non devono e non possono ribellarsi al loro destino, piuttosto devono accettarlo con umiltà, sottomissione assoluta e, perché no?, riconoscenza verso Dio e le famiglie che le accolgono. Le punizioni per chi trasgredisce sono tremende e, se ti va bene, vieni picchiato e/o mutilato, altrimenti finisci nelle colonie (ai lavori forzati, a spalare quintali di materiale tossico) o impiccato.

Ogni ancella viene assegnata di volta in volta ad una coppia senza figli; il capo famiglia, nei giorni fertili dell'ancella, compie insieme alla moglie quella che è chiamata la "cerimonia" e che consiste, in parole povere, nello stuprare l'ancella, posta devotamente tra le gambe della moglie, che fiduciosa e consensuale assiste allo stupro di una povera disgraziata da parte del proprio marito.
Lo scopo di questo scempio è, come si comprende, ottenere una gravidanza; se l'ancella resta incinta, il bambino non è suo, ma ovviamente della coppia che lei è chiamata a servire.

Ecco, la povera Difred (i nomi delle ancelle dipendono via via da quello dell'uomo presso cui vanno a vivere e che dovrebbe ingravidarle) è finita in casa del potente Comandante Fred Waterford  e di sua moglie Serena Joy. Ma lei è tutto fuorché una donnina debole e senza carattere e non perderà mai la speranza, nonostante i momenti di sofferenza e scoraggiamento, di poter essere libera e di ritrovare Luke e Hannah.

GILEAD.

Il mondo (o meglio, una limitata porzione di esso, visto che parliamo solo degli USA) descritto in questa serie è a dir poco spaventoso: la donna non conta nulla, non ha diritto di parola, non può leggere, deve dire sempre sì al marito e se questa sottomissione è un obbligo per le Mogli, figuratevi cosa ci si aspetta dalle altre categorie inferiori, come appunto le ancelle, le Non-Donne (donne anziane o comunque inadatte a diventare Marte o Ancelle), le Marte (serve): tutte loro sì che devono stare attente a non dire una parola di più se non vogliono essere prese a schiaffi, calci o soprusi peggiori. Tanto per ricordare alle ancelle che non sono nessuno, la prima cosa che subiscono è la negazione dell'identità, ed infatti esse non vengono più chiamate coi loro nomi...
Non c'è alcuna forma di rispetto verso il genere femminile, anche se si menziona la Parola di Dio e se chi governa pretende di far passare il messaggio che la Donna trovi la sua dignità adempiendo ai propri doveri, che gira e rigira si riassumono sempre e solo nel tacere e subire

E' una società priva di sentimenti, di gioia, di vita e il grigiore si manifesta in tutto, a cominciare dal monocolore e impersonale abbigliamento femminile, che definisce anche il rango e il ruolo: le Mogli sono vestite di verde, le Ancelle di rosso e hanno sul capo le cuffiette con le alette; le Marte hanno l'abito grigio, le zie vestono di marrone...

E' un tipo di società militarizzata: non c'è strada o posto che non sia controllato da soldati aggressivi, burberi e glaciali. Colpisce il fatto che le scene siano per lo più ambientate in giornate grigie, spesso piovose e quindi molto tristi, perfetto specchio dell'infinita tristezza che avvolge la gente di Gilead.


PERSONAGGI

Fred è un uomo molto in vista e, anzi, proprio lui e la moglie si sono attivati moltissimo affinchè si instaurasse questa infernale repubblica (lo apprendiamo grazie ai flashback su di loro presenti nella seconda stagione); l'uomo è freddo, cinico, egoista, spietato, arrogante, ipocrita e lussurioso e darà del filo da torcere a Difred, alternando - come un perfetto bipolare - atteggiamenti gentili e accondiscendenti con altri malvagi e maschilisti. Non ho potuto non odiarlo e desiderare che gli accadessero le peggio cose. Tutto il male di cui è promotore gli si ritorcerà contro? Ce lo si augura, inevitabilmente!

serena e fred
Serena è una moglie fedele, pia, sempre con i versetti biblici sulla bocca, il cui sogno di avere un figlio la costringe ad accettare i tradimenti legali del coniuge infecondo.
Serena è un personaggio che, a differenza di Fred, può suscitare sentimenti ambivalenti: è vero, sa essere molto crudele e insensibile verso Difred, che lei detesta senza mezze misure e non si fa problemi a dimostrarglielo; è odiosa, scioccamente convinta di dover obbedire alle assurde e ignobili regole di Gilead..., eppure ci sono dei momenti - in particolare nella seconda stagione - in cui emerge ciò che davvero è: una persona infelice, frustrata, la cui intelligenza e forte personalità sono state ingabbiate in un tipo di vita che l'ha resa una sorta di burattino nelle mani del marito, che lei in fondo considera un incapace. La sua brama di stringere un bimbo tra le braccia, un piccolo suo da amare, coccolare, crescere..., è sincero e mi ha mossa comunque a compassione, anche se poi fa saltare i nervi l'idea che 'sta gente invasata possa usare lo stupro per pensare di mettere incinta ragazze indifese e costrette a mettere il proprio corpo a servizio di soggetti immorali.
Serena potrà mai fare marcia indietro e solidarizzare con le altre donne, ancelle in primis, e nella fattispecie con Difred, che lei comprende essere una donna forte, furba, coraggiosa, pronta a combattere per la libertà e per riunirsi ai suoi cari?

Accanto a questi personaggi, ce ne sono altri che di volta in volta diventano protagonisti
nick
di alcune puntate o vicende particolari, come le ancelle Diglenn e Diwarren; ad avere un ruolo non indifferente nella vita di Difred in casa del Comandante è senza dubbio Nick Blaine, che ufficialmente è solo l'autista di Fred... ma in realtà... è anche qualcos'altro. Il legame che instaura con l'ancella avrà una parte importante nello sviluppo degli eventi.
Zia Lydia, poi...: si fa detestare eh, eppure ci sono stati anche con lei dei momenti in cui ho visto un barlume di umanità.

Concludo...

Ecco, mi ero ripromessa di non dilungarmi ma mi sa che non ce l'ho fatta; spero di non aver spoilerato (non credo...), pure perchè non avrebbe senso riassumere le puntate, non è questo lo scopo del post, piuttosto ciò che mi viene dal cuore è questo...: non mi facevo coinvolgere così tanto da una serie da tempo, e comunque l'unica eccezione finora è stata Gomorra.

La prima stagione è praticamente ispirata al romanzo, mentre la seconda va oltre esso, sempre però sotto la supervisione della Atwood.
Mi è capitato di leggere qua e là in web che la prima ha entusiasmato tutti all'unanimità, mentre la seconda ha deluso addirittura  le aspettative di tanti, che hanno avvertito l'assenza del "marchio Atwood".

Personalmente non ho avvertito una grande differenza a livello di qualità, la seconda stagione mi ha coinvolta molto (tanto quanto la prima) e ho seguito con accanimento lo sviluppo dei fatti; presentare un futuro in cui a dominare è un tale oscurantismo da far invidia al Medioevo, la violenza gratuita, il fanatismo religioso ottuso e insensato, la violazione dei diritti fondamentali dell'uomo, il tema della maternità a tutti i costi e di quella surrogata, l'uso di riti, cerimonie, modi di dire/fare sterili, ripetuti a pappagallo e senz'anima..., è qualcosa che sconcerta, turba, fa scuotere il capo e inorridire, ma al contempo esercita un'attrazione morbosa, e mi pare che entrambe le stagioni riescano a far appassionare lo spettatore. Il bello di questo tipo di storie è che non puoi fare a meno di chiederti: Se capitasse a me di vivere in un posto così..., come reagirei? Mi ribellerei, mettendo a rischio anche la vita pur di tentare di riconquistare la libertà, o accetterei supinamente le angherie dei più forti pur di sopravvivere, sperando arrivi il miracolo e che qualcuno venga a "salvarmi"?

Certo, proseguire di stagione in stagione allungando il brodo e appigliandosi a qualsiasi cosa pur di non mettere un punto, è sempre rischioso nei casi di sequel di film/serie tv fortunati, e l'originalità potrebbe risentirne, facendo calare l'interesse, ma nel caso specifico, non nego che, se fosse terminata con l'ultimo episodio della prima..., un po' mi sarebbe rimasta la voglia di sapere il seguito, perciò mi è piaciuta l'idea di soddisfare la curiosità circa il destino della protagonista e, in generale, di Gilead. 

Elisabeth Moss sa trasmettere tutta la gamma di sentimenti che guidano ogni scelta della sua June, dall'amore all'odio, dalla rabbia alla (temporanea) rassegnazione, dal disprezzo alla comprensione, dalla voglia di libertà allo spirito di sacrificio; in particolare, ci sono scene ad alto contenuto emotivo in cui la Moss non si risparmia e dà il meglio di sè; ma in generale, tutto il cast è eccezionale.

Che dire se non che aspetto con ansia la terza stagione??
Però spero sia l'ultima, eh, sennò poi mi diventa Un posto al sole. 
E non mi pare il caso.

Intanto che attendo, vi saluto con alcune delle frasi/espressioni tipiche della serie, ripetute in modo ossessivo, dall'effetto quasi ipnotico e utilizzate ad ogni occasione, al posto del "ciao" e del "buongiorno":

Sia lode
Sia benedetto il giorno.
Sia benedetto il frutto. Possa il Signore schiudere.
Sotto il Suo occhio.

mercoledì 15 agosto 2018

Mini-recensione: "Tutto è bene quel che finisce bene" di William Shakespeare



Tutto è bene quel che finisce bene (All’s well that ends well) è una brillante commedia in cinque atti di William Shakespeare scritta tra il 1602 e il 1603 e che si ispira alla novella Giletta di Narbona, inclusa nel Decameron di Boccaccio.

Ed. Feltrinelli
trad. N. Fusini
256 pp
8 euro
Elena è una fanciulla orfana di un celebre medico; è la pupilla della Contessa di Rossiglione e il suo cuore batte per il figlio della stessa, Bertram, un giovane cavaliere tanto affascinante quanto vanesio, che decide di partire per la corte di Parigi e di mettersi al servizio del Re di Francia.

Anche Elena raggiunge la corte e quando viene a sapere di una fistola che tormenta il re (e che i medici hanno dichiarato "inguaribile"), decide di intervenire, a rischio della propria vita, per aiutare il sovrano, mettendo a frutto le conoscenza ereditate dal defunto padre, eccellente medico.
Convinta di sè e delle proprie capacità, Elena riesce nel suo intento di guarire il Re e ottiene da lui, come ricompensa, la possibilità di innalzare il proprio rango sposando un giovane nobile della corte del Re.

Ovviamente, il cuore di Elena sa già chi sia il suo preferito: Bertram..., che però è sconvolto all'idea di doversi maritare costretto dalla volontà del Re e della ragazza che sua madre ama come una figlia.
Per non far adirare il sovrano, Bertram accondiscende rassegnato alle nozze, ma il suo animo inquieto lo porta a scappare da un matrimonio non voluto e a partire in gran segreto per Firenze dove intende offrirsi volontario nell’esercito, accompagnato dallo spaccone capitano Parolles.

Ad Elena giunge intanto un messaggio da parte del consorte fuggitivo: se davvero vuole che egli la consideri sua moglie, dovranno verificarsi due condizioni apparentemente impossibili, vale a dire deve restare incinta di lui e dimostrarglielo avendo al dito un anello di famiglia da cui Bertram non si separa mai.

In questo modo, il giovanotto crede di essersi liberato definitivamente di questa consorte inopportuna - che pure tutti giudicano tanto bella quanto buona e gentile - e di poter fare il cascamorto e il seduttore con altre donne...

Giunto a Firenze, accade qualcosa che rovescerà i destini di tutti e questo grazie alla tenacia e all'astuzia di Elena, che ancora una volta farà di tutto per ottenere ciò che vuole.

Questa gradevole commedia è composta da personaggi vivaci e sempre in movimento, che si sforzano di cambiare le sorti e gli eventi in cui sembrano incastrati.
La Contessa guarda alle azioni stolte del proprio figliolo con materna compassione, addolorata che egli non apprezzi quel fiore di fanciulla che il Re gli ha dato in moglie.

Bertram dimostra di essere un giovanotto superficiale, sfuggente e dalla personalità poco forte, che vuol divertirsi come fanno i gentiluomini della sua età, trattando le donne che seduce con poca gentilezza e molta arroganza.

Ma non ha fatto i conti con l'intelligenza della bella Elena, anch'ella sempre in giro, pur di realizzare gli scopi prefissi e dare una mano al fato, affinchè finalmente le sorrida.

Tra servi fedeli, clown irriverenti e soldati gentiluomini (o quasi), Shakespeare ci regala scene intrise di un'ironia amara, considerato che in quel "tutto è bene quel che finisce bene" - detto diventato popolare - più che esserci ottimismo e soddisfazione c'è una buona dose di rassegnazione.


Ama tutti, fidati
di pochi, non far torto a nessuno. Affronta il nemico
più in potenza che in atto, e veglia sull’amico
come fai su di te. Accetta critiche sul tuo silenzio,
ma mai per parlar troppo.



Reading Challenge
obiettivo n. 23.
Un'opera di Shakespeare.




martedì 14 agosto 2018

Recensione Film: TOMMASO || NON C'E' PIU' RELIGIONE || COME UN GATTO IN TANGENZIALE



Tre film made in Italy: il Tommaso di Kim Rossi Stuart è un 40enne dalla personalità contorta, con giusto qualche psicosi a fargli compagnia e che si pone al centro di un dramma dai toni spesso comici e un tantino sopra le righe.
Gli altri due film  - Non c'è più religione | Come un gatto in tangenziale - sono entrambi commedie che, ciascuna a modo suo, presentano la contrapposizione tra realtà sociali diametralmente opposte che si ritrovano a confrontarsi e a tentare di abbattere i pregiudizi che le tengono separate.



Tommaso è un film drammatico del 2016, diretto da Kim Rossi Stuart, che veste i panni del protagonista, Cristiana Capotondi, Camilla Diana, Jasmine Trinca.

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Tommaso è un 40enne in crisi.
Ha una storia con Chiara (J. Trinca) ma in realtà vorrebbe lasciarla già da un po' perchè lei non è la donna della sua vita. Del resto, fisicamente è caruccia ma ha dei difetti imperdonabili (tipo i denti storti) e pure la mamma non è che proprio l'abbia mai approvata come nuora. Il suo bel figliolo merita una Angelina Jolie accanto, non una donna qualsiasi dalla bellezza mediocre!
Quando finalmente la relazione giunge al capolinea, Tommaso è libero.
Libero di guardare tutte le donne che vuole senza sentirsi in colpa; libero di immaginarsele nude e in scene non proprio innocenti in cui le sue voglie si sfogano senza freni; insomma, libero e felice come una farfalla che svolazza di fiore in fiore.
Ma è davvero così?

A Tommaso apparentemente non manca nulla: è un attore bello, gentile e romantico; certo, veste un po' all'antica e quasi sempre ha un'aria dimessa, di chi non ama farsi notare, ma ha il suo fascino.
In realtà, dentro di lui, nella sua testolina, c'è una vera e propria tempesta di emozioni contrastanti, di frustrazioni e desideri, di paure e insicurezze... che non sembrano vedere soluzione, per ora, e che gli mandano in tilt il cervello.
Va anche dallo psicoterapeuta per parlare di sè, cercare di analizzarsi, di comprendersi, di guardarsi dentro e trovare quel benedetto bambino che è dentro di lui, per ascoltarlo, per ritrovarsi e capire cosa vuole dalla vita, cosa può renderlo felice.

Tommaso è essenzialmente infelice perchè insoddisfatto.
Il film nel quale deve recitare non gli smuove nulla e non lo stimola; i suoi pensieri sono tutti volti alla ricerca dell'anima gemella e a un certo punto crede di trovarla in Federica (C. Capotondi): bella, affettuosa, comprensiva, discreta..., ma l'idillio tra i due dura poco.
A parte che mamma continua a dire che è carina ma nulla a confronto con la Jolie, ma poi pure lui si fossilizza su (presunti o veri, ha poca importanza) difettucci fisici che lo mandano letteralmente in paranoia e lo portano a delle crisi isteriche in seguito alle quali capisce che... è di fronte all'ennesimo fallimento sentimentale.
Federica è tanto cara e buona e gentile... ma non è lei l'amore della sua vita.
Trova il modo (vigliaccamente, ma non ci si può aspettare altro da lui) di mandarla via dalla sua vita - beccandosi pure un'inaspettata sfuriata dalla ragazza abbandonata, che gli manda giusto qualche sentenza per farlo sentire l'emerito imbecille che è - e ancora una volta si ritrova libero.

Dolorosamente libero, visto che in verità è prigioniero di se stesso, delle sue paure paralizzanti e di suoi inconfessabili (e indecenti) pensieri: Tommaso è solo, ci sono dei vuoti nella sua vita che lui non sa come colmare.
A svegliarlo e a farlo sentire vivo sopraggiunge un'altra donna, decisamente diversa dalle precedenti: riuscirà a trovare la pace con se stesso e l'amore vero e totalizzante che tanto agogna, o sarà l'ennesima delusione?
Ma soprattutto, saprò ritrovare il bambino che è nascosto dentro di sè e che pare essersi smarrito?

Lo reputo un film interessante e non banale, e anche se ammetto di aver trovato il protagonista come minimo urticante, penso non si possa negare che Kim Rossi Stuart (a me piace moltissimo e lo ritengo un bravo attore) abbia cercato di infondere al suo personaggio tutta la complessità e la contraddittorietà che gli sono proprie (non so quanto ci sia di autobiografico e se Tommaso rifletta alcune paure e tratti personali appartenenti al regista/attore), ma di certo la sua è un'interpretazione intensa, l'ho trovata "sentita", cucita addosso. Forse pure troppo.
Nel senso che Kim accentua molto i tratti ossessivi e al limite della psicosi del suo Tommaso, il che finisce per renderlo però, a mio modesto modo di vedere, una sorta di caricatura di se stesso. Non so, è tutto eccessivo, in questo film, o meglio lo è il protagonista con tutti quegli elementi che lo caratterizzano: i suoi sogni ad occhi aperti (donne nude ovunque), le sue fisse, le fantasie sessuali, i suoi incubi, le sue crisi che si tramutano in urla, accessi d'ira, litigi con l'assillante genitrice (che molto ha contribuito ai traumi del figlio), momenti di disperazione.
E' così enfatizzata la personalità (istrionica?) di Tommaso che ciò che è poi un dramma (esistenziale, personale, intimo) assume non di rado toni comici, ironici. il che è un bene perchè dà un po' di leggerezza a un film che altrimenti risulterebbe pesante per via di questo protagonista, che un po' mi ha spiazzata per i suoi modi di essere esagerati e teatrali, ma in certi momenti mi ha fatto anche un po' di tenerezza. In fondo, Tommaso vuole quello che vogliamo tutti: legami veri, qualcuno che sia per noi quel porto sicuro in cui rifugiarci e trovare sicurezza.


v
Non c'è più religione è una commedia del 2016, diretta da Luca Miniero, con Claudio Bisio, Angela Finocchiaro e Alessandro Gassmann.

Le divertenti vicende si svolgono nell'immaginario paese di Porto Buio, su una piccola isola del Mediterraneo, dove la gente si sta dando da fare per realizzare un presepe vivente, come ogni anno per celebrare il Natale. Quest'anno il presepe dev'essere più bello del solito, tutti devono poterlo ammirare!
Ma c'è un piccolo problema: manca il Bambinello.
Eh sì, perchè a Porto Buio nascono pochi bambini e il più piccolo che c'è, è bello cresciuto.
In tutti i sensi, visto che è un ragazzino coi baffetti tipici della pubertà ed è pure cicciottello!
Nella culla non ci sta proprio..., quindi come si fa? Una cosa è certa: bisogna trovare la soluzione a tutti i costi perchè il presepe va fatto. Assolutamente.

Il sindaco Cecco (Claudio Bisio), fresco di nomina (a dire il vero i compaesani gli rinfacciano di essere stati costretti a votarlo: era l'unico candidato!), vorrebbe chiederne uno in prestito ai tunisini che vivono sull'isola, ma fra le due comunità non corre buon sangue e per gli abitanti italiani è impensabile mettere nella mangiatoia un bimbo musulmano. Dove s'è mai vista una trovata del genere?

Ma c'è da fare buon viso a cattivo gioco se si vuol mantenere la tradizione; ad aiutare Cecco a convincere i compaesani (il fornaio razzista, le vecchine bigotte...) ci pensano due amici di vecchia data: Bilal (Alessandro Gassmann), al secolo Marietto, italiano convertito all'Islam e guida dei tunisini, e Suor Marta (Angela Finocchiaro), che però dà il suo contribuo tra una lagna e l'altra, perchè in realtà lei non vorrebbe "profanare" la culla di Gesù. 
Tra i tre ci sono vecchi screzi di gioventù che verranno fuori poco e spesso, giusto per rinfacciarsi le cose e brontolare, ma l'amicizia che li lega è più forte di quanto pensino, anche se lo capiranno solo scontrandosi e prendendo la religione come scusa per saldare i conti con il proprio passato. 

La comunità musulmana accetta di "prestare" il bambino, che ancora non c'è, ma nascerà a breve e proprio Bilal e sua moglie sono i genitori, ma l'italiano islamizzato si divertirà a porre via via delle condizioni che hanno il sapore di simpatici e irriverenti ricatti.

Il presepe si farà e sarà davvero insolito e originale, come mai ce ne sono stati prima d'ora, ma soprattutto sarà un presepe vivente decisamente interculturale...!

E' una commedia molto carina, mi ha fatto sorridere tanto a motivo di gag divertenti e comiche e dei tre attori protagonisti, sempre brillanti e bravissimi, che sanno dare colore e personalità ai loro personaggi.
Un film che con garbo e leggerezza tratta il tema attualissimo dell'incontro tra culture, modi di vivere, pregare... sicuramente diversi ma che - seppure in una cornice buffa e inevitabilmente poco realistica - trovano un modo per convivere, mettendo da parte i pregiudizi che dividono.
Il mare è meraviglioso, così come le antiche stradine di paese e tutta l'atmosfera allegra e semplice dei piccoli paesi; insomma molto bella l'ambientazione (il film è stato girato tra le Isole Tremiti, Monte S.Angelo e Manfredonia).
Commedia godibile e spassosa.


Come un Gatto in Tangenziale è una commedia del 2017, diretta da Riccardo Milani, con Paola Cortellesi e Antonio Albanese
Anche qui c'è una dicotomia, due realtà opposte che si scontrano per poi provare a incontrarsi.

C'è Giovanni, uomo posato, pacifico, ragionevole, gentile e cortese; è un intellettuale impegnato, sostenitore dell'integrazione sociale; lui è a capo di un think tank, un gruppo di intellettuali che guadagna pensando, nel nostro caso Giovanni analizza i problemi delle periferie urbane per proporre soluzioni.
Lui intanto però vive nel centro storico di Roma, va al mare nella "sciccosa" spiaggia di Capalbio - frequentata da vip e ricconi - e ha un'unica figlia, Agnese, avuta con la snob Luce (S. Bergamasco), che produce essenze profumate in Francia (e si ostina a voler parlare in francese con ex-marito e figlia, così, tanto per darsi un tono).

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Agnese, bella di papà, ha 13 anni e un fidanzatino coetaneo che le gira intorno; cresciuta a suon di princìpi di uguaglianza, rispetto per gli altri e "bisogna andare oltre alle apparenze e giudicare le persone per ciò che sono dentro, non per come vestono o per i soldi che hanno", la ragazzina sta cercando di seguire gli insegnamenti dei genitori frequentando Alessio, che è assolutamente estraneo alla (piccola) borghesia da cui proviene lei.
Alessio, infatti, è di Bastogi, quartiere romano decisamente difficile e disagiato; insomma, la precoce relazione sentimentale non nasce sotto una buona stella.

Alessio è figlio di Monica (P. Cortellesi), ex cassiera del supermercato, che attualmente distribuisce pasti agli anziani in una mensa; una tipa tosta, burina all'ennesima potenza, pratica, abituata a vedersela da sola: ha infatti cresciuto Alessio senza alcun aiuto, visto che il padre del figlio, Sergio (C. Amendola) è finito in carcere tredici anni prima per aver asportato la milza a un poveraccio; eh no, non faceva il chirurgo, ma il parrucchiere.

Monica s'è accollata anche le sorellastre (il padre le ha avute in seguito ad una tresca con una rumena), Pamela e Sue Ellen (chiamate così in onore alla soap "Dallas"), che non solo mangiano assai e sono buone solo a stravaccarsi sul divano davanti alla tv per vedere l'idolo di turno (nella fattispecie, Franca Leosini con le sue "Storie maledette"; la conduttrice compare anche nel film impersonando se stessa), ma hanno pure un bel vizietto: rubano costantemente (sono cleptomani) anche se lei due si ostinano a definire la cosa come "shopping compulsivo".

Per non parlare poi dei vicini provenienti da varie nazionalità, che invadono il pianerottolo con le loro pietanze speziate o le canzoni tipiche dei loro luoghi d'origine.
Insomma, Monica con l'integrazione ha a che fare tutti i giorni nella periferia dove vive, e mai avrebbe pensato di allacciare rapporti con della gente altolocata come Giovanni e Agnese. 

I due genitori sono le persone più diverse sulla faccia della terra, ma hanno un obiettivo in comune: far sì che i due piccioncini si lascino.
Giovanni teme che Alessio sia pericoloso per la sua Agnese, e Monica crede che la ragazzetta ricca possa solo illudere e far soffrire il suo "bambino".
Giovanni e Monica cominciano a frequentarsi e a entrare l'uno nel mondo dell'altro, e inizialmente si convincono che i loro mondi sono troppo differenti per poter convivere.
Ma pian piano comprendono di essere entrambi vittime di spietati pregiudizi sulla classe sociale dell'altro e che forse, a prescindere da come proseguirà la love story dei figli (che in fin dei conti sono solo dei ragazzini), l'interesse che provano l'uno per l'altra potrebbe spingerli a provarci..., anche se forse la loro storia durerà... come "un gatto in tangenziale"!

La commedia ha ricevuto diversi premi, in particolare per le interpretazioni dei due attori protagonisti, e in effetti non si può che apprezzare la bravura di Albanese e Cortellesi; quest'ultima ha dato al personaggio di Monica una "burinaggine" che certo fa sorridere e crea momenti simpatici, mentre Albanese veste bene i panni del borghese intellettuale, perbene, padre premuroso e uomo paziente, che si ritrova attratto da una donna poco raffinata ma senza dubbio verace e schietta.
Devo dire che mi aspettavo qualcosa di più...; in certi momenti ho trovato il personaggio di Monica eccessivamente grezzotto, lo so che la sua "coattaggine" è intenzionale, ma mi è parsa esagerata..., mi hanno irritata le due gemelle ladre, con il loro parlare contemporaneamente e in modo cantilenante, e anche la Bergamasco..., troppo affettata.
Albanese mi è piaciuto molto.
Carina ma, dovendo scegliere, mi ha divertito di più "Non c'è più religione".

lunedì 13 agosto 2018

Recensione: "Sanzevìre è ssèmb bbèlle" di Michele Vene (RC2018)




Sanzevìre è ssèmb bbèlle  è una raccolta di poesie in dialetto sanseverese che mi ha fatta sorridere e pensare con tenerezza e affetto a tutte quei tratti caratteristici del mio paese, da certi modi di dire a specifici cibi, da quartieri a me noti a scene di vita quotidiana, in pratica a tutti quegli elementi che, pur facendo parte, probabilmente, più del passato che del tempo presente, sono e saranno per sempre "miei", "nostri", perchè è la memoria a renderli immortali.
82 pp

A scriverle è Michele Vene, pittore e poeta sanseverese: pittore per scelta, poeta per diletto.

Come dicevo, si tratta di poesie (63, se non ho contato male) in vernacolo sanseverese e costituiscono una sorta di specchio che riflette un modo di vivere, di parlare, di osservare il mondo attorno a sè proprio di San Severo, e che da una parte porta il lettore indietro nel tempo, dall'altra non lo fa restare ancorato ai tempi che furono in modo passivo, bensì lo induce a cercare di ritrovare nel presente tracce del passato.

Io sono nata e sempre vissuta a San Severo, conosco il dialetto abbastanza bene e, per divertimento e quando c'è bisogno di dire qualcosa "ad effetto", lo utilizzo con parenti ed amici, perchè ci sono cose che dette in dialetto "arrivano" prima e meglio e rendono certi concetti in modo più convincente che se "tradotti" in lingua italiana (per non parlare del fatto che strappano qualche risata e mettono il buonumore).

Leggendo queste simpatiche poesie mi sono comunque resa conto che molte espressioni e termini "antichi" neanche li conoscevo, ed è stato bello impararli; ogni dialetto è una lingua a sè ed è giustissimo che venga valutato e è preservato come un piccolo tesoro che contribuisce a connotare un determinato luogo, i suoi abitanti, le usanze del posto, i piatti tipici, la filosofia di vita ecc...

Sono versi che si leggono quasi come delle filastrocche recitate, con la stessa leggerezza e vivacità, ma racchiudono un realismo e un'aderenza alla cultura e alle tradizioni della mia città che fa piacere ritrovare, perchè leggendo rivedevo scenari, personaggi, espressioni... che conosco, che sono anche un po' miei. Il dialetto è una lingua viva, a mio avviso, riesce a far prendere vita in modo vivido, pittoresco, ciò di cui sta parlando.

C'è un velo sottile e piacevole di malinconia che attraversa queste pagine: basta pensare ad un certo piatto che preparava nostra nonna/mamma - come 'u pànecòtte" (pancotto) o i "torcinelli", le "scorpelle" (pagnottelle di pasta lievitata che vengono fritte e sono tipiche del periodo natalizio) - e, soprattutto se un sanseverese è "emigrato" al nord o in un'altra nazione, immediatamente si fa prendere da una dolce melancolia ripensando alle bontà lasciate al proprio paese e che gli ricordano l'infanzia e i bei tempi andati.
Insomma, poesie che raccontano con amore, un pizzico di amabile nostalgia e di sincero orgoglio per le proprie origini, di luoghi, parole, persone, sapori e odori.... solo apparentemente lontani, ma in realtà ancora vivi e presenti ai nostri giorni, perchè ciò che è stato non può essere dimenticato, anzi va conservato, raccontato, tramandato, valorizzato perchè fa parte di ciascuno di noi, identifica le nostre radici, ciò che siamo, nel bene e nel male.





Reading Challenge
obiettivo n.33. Un libro scritto da un tuo conterraneo.

domenica 12 agosto 2018

Serie tv "Poldark" - prima stagione



Ultimamente mi sto dando alla pazza gioia con la visione di (qualche) film e serie tv ^^

Attualmente, ad occupare tutta la mia attenzione è la serie tratta dal romanzo distopico di Margaret Atwood, "Il racconto dell'ancella"; sono a metà della seconda stagione, quindi per ora passo e ne parliamo successivamente :-P

Ciò che volevo condividere con voi oggi, piuttosto, è un'altra serie, di tipo storico, ambientata in Cornovaglia sul finire del XVIII sec.

Su canale 5, dal'8 luglio al 5 agosto, sono andate in onda otto puntate dell'adattamento dei primi due romanzi della serie letteraria Poldark (recensione libro), di Winston Graham - i più informati sapranno che già negli Anni '70 ci fu la prima omonima serie tv.


Il giovane ufficiale dell'esercito inglese Ross Poldark torna a casa, in Cornovaglia, dopo aver trascorso gli ultimi tre anni della propria vita combattendo nella Guerra d’Indipendenza Americana; giunto a Nampara (la casa di famiglia), la trova in evidente stato di decadenza, ma non solo: il padre è morto, il patrimonio è sfumato e i due servi rimastigli hanno lasciato che la casa andasse in rovina.
Insomma, la situazione che gli si para davanti non è delle più rosee sotto nessun aspetto; a dargli la mazzata finale ci pensa la bellissima Elizabeth, la fidanzata lasciata tre anni prima con la promessa di aspettarsi reciprocamente...; la giovane, però, avendo avuto la (falsa) notizia della morte di Ross, ha ben pensato di fidanzarsi con il cugino di lui, Francis Poldark.
Quando rivede Ross, vivo e vegeto, la povera Elizabeth capisce di aver commesso l'errore più grande della sua vita, al quale non può (non vuole?) porre rimedio: decide quindi, con grande sofferenza, di lasciare le cose come stanno, illudendosi di dimenticare l'ex-fidanzato e sposando Francis, che tra l'altro è l'opposto del cugino, caratterialmente soprattutto.

Ross Poldark (interpretato dal fascinoso Aidan Turner) è un tipo impulsivo, irascibile, poco avvezzo alle buone maniere, decisamente anticonformista e anticonvenzionale, allergico all'etichetta dell'aristocrazia, di cui egli non sente di far intimamente parte.
Non ha proprio un carattere docile, il protagonista, ma le virtù non gli mancano: coraggioso, onesto, generoso, vicino alle esigenze e ai problemi della povera gente, alla quale si sente più vicino che alla sciocca e superficiale nobiltà di cui fa formalmente parte; è deciso a risollevare le sorti della sua famiglia e a riconquistare ad ogni costo la fiducia della gente del posto e dei lavoratori della miniera.

Insofferente alle regole degli aristocratici inglesi e incredibilmente testardo, Ross decide di dare lavoro, ospitandola in casa, ad una ragazza selvaggia e coraggiosa, costantemente maltrattata dal padre ubriacone: Demelza Carne (la bella rossa Eleanor Tomilinson), che quindi entra a servizio in casa Poldark e si affeziona sempre più a Ross...

I pettegolezzi si fanno presto sentire e inizialmente a "padron Ross" poco interessano, anche perchè  il proprio comportamento verso la fanciulla è onesto e non intende approfittare di lei, però i due non potranno resistere ai sentimenti che pian piano si fanno spazio tra loro...
Del resto, se Elizabeth deve uscire obbligatoriamente dal suo cuore, ci sarà pur posto per un'altra donna, no?
La differenza di ceto potrebbe mai essere un problema per Ross Poldark e fermarlo dallo sposare la dolce Demelza, che si impegna in tutti i modi per migliorare e cercare di piacere al suo padrone?

In queste puntate, che personalmente ho guardato con interesse, assistiamo ai tentativi di riscatto dell'irruente Ross, alle conquiste come ai fallimenti; Aidan dà al suo personaggio quell'aria da eroe tormentato, sempre coi capelli sconvolti, gli occhi scuri espressivi spesso duri, ma anche malinconici, tristi e, quando l'amore lo travolge, dolci.

Mi è piaciuta molto Demelza, non solo perchè l'attrice è di una bellezza naturale e particolare, ma proprio come personaggio, che sa crescere e cambiare, pur restando se stessa, un'anima pura, sincera, altruista.

Elizabeth è forse quella che ho amato meno: è bella ma non balla, nel senso che la vedo troppo remissiva, con poco carattere; pure Francis (Kyle Soller), con i suoi complessi di inferiorità nei confronti di Ross, è un attimino patetico, ma ci sta: Ross ha diversi nemici e piace a pochi proprio per i suoi modi di fare da "menefreghista" rispetto ai "ricchi" e alle loro regole e convenzioni sociali.

Mi ha fatto tenerezza e simpatia la cugina Verity Poldark (Ruby Bentall), alla quale non si può non augurare che mandi al diavolo il fratello presuntuoso e frustrato.

Intrigante l'antagonista vero di Poldark, George Warleggan (Jack Farthing): un cattivone ci sta sempre bene e aiuta a rendere vivaci le dinamiche ^_^

Bella l'ambientazione, questa fetta di Cornovaglia (lo scenario mozzafiato è quello di Park Head a Porthcothan, tra Newquay e Padstow) con i suoi promontori selvaggi, battuti dal vento, il mare che si agita e si infrange sugli scogli.

Il finale mi ha lasciato una gran voglia di vedere il seguito...
Speriamo accada presto :-D

sabato 11 agosto 2018

Kimerik Edizioni: novità da non perdere ^_^



Aggiornamento su alcune uscite Kimerik Edizioni!



IL MONDO DI EMILY BRONTE
di Francesca Santucci



 pp 238
25 euro

La fascinazione che la famiglia Brontë, con le sue passioni e l’innata capacità narrativa, esercita su Francesca Santucci, scrittrice e poetessa, traspare in ognuna delle pagine del libro e ci trasmette, con passione e rigore, emozioni e pensieri che contribuiscono a formare nel lettore una memoria storica del XIX secolo e insieme a far conoscere l’unicità di personaggi indimenticabili.
Una descrizione accurata di ambienti, luoghi e atmosfere che, a partire dai membri della famiglia, tocca i grandi temi della vita, dell’amore, della morte, del destino e del coraggio. 
Identità personali che s’intrecciano con l’identità di un popolo permettendoci di attraversare quelle esperienze di comprensione che fin da sempre ci modificano e ci arricchiscono.






L'AGO DELLA BILANCIA
di Adele Perna

144 pp
13.60 euro
Flora è un’adolescente come tante, una ragazza forte e ironica. Come tutte le sue coetanee sogna l’amore vero, quello che coinvolge e sconvolge. 
Il sogno diventa realtà quando nella sua vita compare Marcello: un giovane inizialmente burbero e spigoloso che la travolge in un’estate di emozioni. 
Flora è finalmente felice, ma l’abbandono improvviso e immotivato di Marcello la ferisce così tanto da farle trovare riparo nel cibo. 
Inizia così una lunga lotta contro i disturbi alimentari. 
Purtroppo la vita riserverà a Flora molti altri dolori. 
La perdita prematura di entrambi i genitori la lascia infatti in uno stato di dolore insostenibile. 
Ma Flora non molla. Cade e si rialza cento volte, come una guerriera continua a combattere e alla fine risorge, convinta di poter trovare un giorno la felicità tanto sperata e meritata. 

Una storia cruda, vera, che si attacca alla pelle e ci parla del lato oscuro che è in ognuno di noi. Una storia di speranza che ci invita a non mollare mai, perché la vita ha sempre una sorpresa incredibile da regalarci, anche quando siamo convinti che sia tutto finito.



TRA I MIEI SOGNI E LA REALTA'
di Katia Puccio




140 pp
15 euro
Katia è una ragazza che al mondo reale preferisce quello dei sogni, e che grazie a una fervida fantasia riesce a sopravvivere a un ambiente piuttosto bigotto e a un padre ‘vecchio stampo’ che la controlla a vista. C
osì i suoi primi amori sono per lo più immaginari, indirizzati verso miti della TV che sublimano un vuoto capace però di renderla unica, diversa dalle sue coetanee, incline a un bovarismo speciale e desiderabile. 
Fin quando nella sua vita irrompe Francesco, prima tanto odiato e poi tanto amato, che diviene suo marito e padre della sua bambina, in un matrimonio che purtroppo si rivela molto diverso dal trionfo di gioia inizialmente vagheggiato, stravolgendo per sempre la sua esistenza, nel bene e nel male. 

Con una prosa genuina e sensibile, l’Autrice riversa in queste pagine una vita intera, dipingendo un ritratto di donna autentica, tanto nelle sue paure quanto nel suo estremo coraggio.




BENEDETTA. IL SUO NOME E' LA SUA STORIA
di Claudia Calderoli



124 pp
12 euro
Un diario lungo una vita, scritto con l’inchiostro dell’amore. 
Il racconto del rapporto tra una figlia fragile, disarmata, angosciata, ma amata così com’è, e una madre che non si è mai arresa, bensì ha caparbiamente e disperatamente tentato di comprendere i propri vissuti e quelli di Benedetta per decifrarli e offrirle esperienze che possano aiutarla a crescere, donarle quiete proteggendola dalle tempeste di angoscia da cui è facilmente travolta, mitigare il suo isolamento e vuoto di soggettività.


giovedì 9 agosto 2018

Recensione: ALICE NON LO SA di Carmen Laterza



La vita porta con sè ogni giorno il proprio fardello e non di rado sono più frequenti i momenti di tristezza che quelli di gioia. Forse dovremmo imparare ad affrontare i problemi con il sorriso e con un atteggiamento positivo, proprio come fa la piccola Alice, che si impegna per portare gioia e serenità a chiunque le è vicino.


ALICE NON LO SA
di Carmen Laterza






Genere: Narrativa contemporanea
Editore: Libroza
Pag: 346
eBook EUR 2,99
Cartaceo EUR 15,00
La famiglia di Roberta è una famiglia come tante, e proprio come tante, ha i suoi problemi, le sue "crepe", che forse dall'esterno non si vedono ma che ci sono e sembrano far scricchiolare tutto a ogni piccolo scossa.

Roberta ha superato i quaranta ed è ancora una donna piacente..., ma sembra che nessuno ci faccia caso; si sforza di tenere tutto sotto controllo e di non far mancare le proprie attenzioni ai famigliari: cerca di essere una moglie attenta per Carlo - uomo in carriera, ambizioso, dedito al lavoro e molto assente in casa... -, una mamma responsabile e premurosa verso i figli - l'adolescente Riccardo e la piccola Alice di sei anni - e un'impiegata coscienziosa che fa bene il proprio lavoro.

Ma far quadrare i conti non è sempre facile, anche quando sei una donna determinata, orgogliosa, che preferisce portare su di sè ogni preoccupazione, ogni assillo, ogni pensiero.... piuttosto che ammettere le proprie fragilità e chiedere aiuto.

Diciamolo..., Roberta è infelice.
E' stressata, stanca fisicamente e mentalmente, sente che ogni suo sforzo risulta non sufficiente perchè tanto le redini della famiglia le stanno sfuggendo di mano e lei non sa che fare perchè le crolli tutto addosso...!

Riccardo, tredicenne chiuso, musone, dall'aria sempre arrabbiata, con le cuffiette nelle orecchie ad ascoltare musica per tener lontano chiunque voglia parlargli, allergico a qualsiasi discorso da parte degli adulti..., sembra odiare sua madre: non vuole ascoltarla, pare provare fastidio anche solo se lo tocca e si chiude in se stesso, alzando un muro di ostinatezza che Roberta proprio non sa come scalfire nè tanto meno abbattere.

Carlo, il marito e padre che c'è ma non c'è davvero: lavoro, lavoro e sempre lavoro; nessuna responsabilità verso i figli - se non quella di portare il pane a casa -, nessuna attenzione verso la moglie, che lui sembra non guardare nè desiderare più. Ma non avrà un'amante?, si chiede terrorizzata Roberta, sperando di sbagliarsi.

Sua madre, la cara Mimì, un'anziana ancora piena di vita, gentile, comprensiva, sempre disponibile, cerca di far sfogare la figlia, sperando che ella si renda conto di quanto sia infelice e faccia qualcosa per riappropriarsi di se stessa, del proprio diritto a un'esistenza più piena, più viva, che non sia fatta solo di problemi e ansia.

Ma Roberta non vuole ascoltare i consigli della madre sul cercare la felicità: non ha alcuna intenzione di mettere Carlo con le spalle al muro perchè teme che egli possa andarsene di casa e lasciarla con due figli ancora in fase di crescita e che hanno assoluto bisogno di vedere entrambi i propri genitori nella stessa casa.
Menomale che di tutti questi problemi, la piccola di casa, la vispa e sempre allegra Alice, non sa nulla.

Eh sì, lei ha sei anni, vede il mondo come un posto bello (nei suoi disegni non manca mai un bel sole giallo e splendente), tutto lilla e brillantini, e ogni giorno è una opportunità che ci viene data per essere felici, per sorridere e far sorridere gli altri; Alice è una bimba molto intelligente, acuta osservatrice: i suoi occhi limpidi scrutano a fondo i suoi interlocutori ed è sempre pronta a stupire con le sue domande a bruciapelo e a suscitare tenera meraviglia in chi la ascolta, proprio per il suo eterno ottimismo e la sua capacità di trovare il bello e il buono in tutti e in ogni situazione.


"Alice era cresciuta, ma il suo sguardo era rimasto così, vispo e curioso, attento a cogliere ogni dettaglio del mondo intorno a sè."

Tutti gli adulti sono troppo convinti che Alice sia troppo piccola per capire ciò che le succede intorno,  e invece la bimba li osserva e riesce a vedere oltre la maschera di indifferenza, di mutismo, di forzata serenità che essi ostentano e che in realtà nasconde... una grande infelicità, solitudine, stanchezza, distacco, turbamenti.

Alice non lo sa cosa può succedere tra mamma e papà: lei oberata dal lavoro e dagli impegni famigliari, che paiono gravare soltanto sulle sue spalle; lui sempre fuori casa e quando torna, la sera, è troppo stanco e seccato per prendere impegni con i figli (del resto, può farlo la mamma: che ci sta a fare altrimenti?) o per ascoltare le lagnanze della moglie stressata.

Alice non lo sa cosa frulla nella testa di Riccardo; il ragazzo ha alzato una barriera di ostilità verso tutti: il padre è come se non ci fosse e questo è un bene per lui perchè almeno non lo scoccia; la madre è un vero e proprio tormento: non fa che rimproverarlo, urlargli contro, non tenta di capirlo e con lei Riccardo non ha alcuna sintonia, anzi meno la vede, meglio sta. L'unico essere umano con cui riesce ad essere se stesso e a condividere la sua passione (la musica) è l'amico e coetaneo Giovanni: quando c'è lui - solo Alice se ne accorge - al fratello brillano gli occhi, cosa che non gli capita con nessun altro.

Alice non lo sa come sta davvero l'amata nonna Mimì: lei, sempre gioiosa, col sorriso sulle labbra, pronta ad ascoltare i racconti dell'adorata nipotina, a cercare di entrare in contatto con l'introverso Riccardo, a dare consigli alla figlia Roberta... Lei che dice di avere un sacco di spasimanti e che spesso e volentieri se ne va in vacanza col "fidanzato" di turno...
Lei che pare sprizzare gioia di vivere da tutti i pori..., è possibile che in realtà si celi ben altri dietro questa maschera di serenità?

Forse è vero che Alice non può sapere tutto, perchè tutto non le viene detto (è piccola, "non capisce", e non sarebbe neppure giusto parlare di "cose da grandi" con una bambina di sei anni, che ha il diritto di pensare solo alle cose tipiche della sua età - alle bambole, alle figurine, a Frozen e alle chiacchiere con le amichette), ma il suo sguardo attento e sensibile, l'amore sincero per i suoi cari, la spinge ad andare oltre, a cercare di capire, per quello che le è possibile, ciò che gli adulti le nascondono, arrivando a comprendere perfino quello che essi stessi non sanno o non riescono ad ammettere neppure a loro stessi.


In questo romanzo Carmen Laterza ci racconta di legami famigliari, di vita quotidiana, di problemi piccoli e grandi, di gioie e dolori che fanno parte dell'esistenza di ciascun essere umano; un'esistenza che purtroppo spesso non è avara di difficoltà, che creano panico, impotenza, paura, frustrazioni... ed è tutt'altro che facile e automatico affrontare ogni situazione col sorriso e con un'alzata di spalle, soprattutto quando accadono imprevisti dolorosi, come può essere la malattia.


"...la verità è che la vita è questa. Un'accozzaglia di imprevisti, di cambi di direzione, di delusioni e sorprese. Forse bisognerebbe saper accettare la parte di dolore e di paura. Tutto qui."

Ma "...la felicità non è rimandabile. E dunque bisogna battersi tutti i giorni per conquistarla.", ci ricorda Mimì, un personaggio femminile che mi è piaciuto moltissimo: la nonna di Alice ha una forza interiore notevole, che la porta a sacrificarsi per chi ama, a sopportare da sola i propri "guai" per non far preoccupare la figlia, che ha già i suoi grattacapi per la testa.
Deliziosa è Alice, questa bimba inaspettatamente saggia, riflessiva, che non riesce a non notare le sofferenze altrui, gli sguardi assenti, i sorrisi tristi, e si sforza perchè gli altri ritrovino il sorriso (ma quello sincero, non finto!) perchè la felicità è un bene che va condiviso.

Quando sento che qualcuno vicino a me è triste o preoccupatovorrei tanto riuscire a trovare il modo di renderlo felice.Altrimenti a cosa serve se sono felice da sola?

Di ogni personaggio - anche secondario - l'Autrice ci dà un ritratto profondo, che induce il lettore a non soffermarsi alle apparenze, alle etichette e alle facili aggettivazioni, ma a riflettere sull'interiorità di ciascuno di essi, anche su chi apparentemente ha atteggiamenti negativi, che sia lo scorbutico Riccardo o l'impassibile e freddo Carlo, i quali - ci fa capire l'Autrice - si comportano in un determinato modo per delle ragioni personali, che non vanno giudicate ma comprese.

Complesso e molto realistico il personaggio di Roberta, questa donna che dalla mamma ha preso la grinta, la tenacia e la voglia di combattere, ma che al contempo non è priva di fragilità, di timori, che lei cerca di gestire da sola, e anche lei, come la madre, lo fa per non far preoccupare chi le è attorno, illudendosi di poter fare tutto da sola, ma la realtà è che non c'è posto per wonder woman: siamo donne, che nei momenti più complicati, a volte sanno trovare una energia e una risolutezza incredibili, e altre volte si disperano, si sentono sole, e avrebbero bisogno di un abbraccio, di un gesto d'affetto, di qualcuno che riconosca gli sforzi, i capitomboli che si fanno per far quadrare tutto...

Con un linguaggio semplice, immediato, che si adegua alle situazioni narrate (alcune delle quali drammatiche) e sa farci guardare gli eventi ora con gli occhi puri di una bimba, ora con quelli preoccupati di una madre/figlia che si sente inadeguata e ora con quelli sereni e placidi di chi ha imparato tanto "semplicemente vivendo"..., la scrittura di Carmen arriva dritta al cuore,  è intensa, sensibile, delicata e profonda insieme, sa scavare nei sentimenti dei suoi personaggi, che ci appaiono così "normali", ricchi di umanità, di pregi e difetti come tanti di noi, che è difficile non immedesimarsi.
Mi sono commossa diverse volte durante la lettura, perchè tra queste pagine c'è Lei, la vita, in tutte le sue sfaccettature, con tutto quello che la caratterizza: le cose belle e quelle brutte, i problemi in famiglia, coi figli, col coniuge, la malattia, la morte, il ricordo nostalgico e a volte doloroso di quello che è stato e che, forse, non abbiamo apprezzato appieno, il rimpianto per ciò che avremmo potuto fare "se solo avessimo saputo..., immaginato...", la paura di perdere quel po' di stabilità che abbiamo faticosamente costruito, ma anche la speranza che, dopotutto, finchè i nostri piedi poggiano ancora su questa terra è possibile far qualcosa perchè la felicità non ci sfugga di mano ma resti tra le mura della nostra famiglia. Nessuno può dire che sia facile, e forse non sempre riusciremo ad evitare le lacrime e il dolore, ma ciò che può fare la differenza è come affrontiamo "le brutte sorprese": 

"Sai, nella vita succedono tante cose. Alcune bellissime, altre meno. A volte va tutto bene, a volte ci sono dei problemi. Ma se resti allegra, se prendi le difficoltà con un sorriso, è più facile superarle".


Ringrazio l'Autrice, Carmen Laterza, per avermi dato l'opportunità di leggere il suo romanzo; già in passato avevo avuto modo di apprezzare il suo modo di scrivere, la complessità dei suoi personaggi, le tematiche affrontate, e con questo libro riconferma la sua bravura; non posso che consigliarvi la lettura di "Alice non lo sa".
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