martedì 22 gennaio 2019

Recensione: A TOR BELLA MONACA NON PIOVE MAI di Marco Bocci (RC2019)



I personaggi di questo romanzo, ambientato nella frazione della capitale Tor bella Monaca, custodiscono in se stessi il desiderio di riscattarsi da una vita fatta di sfruttamenti, delusioni, penuria di quattrini, ambizioni non ancora realizzate (e che probabilmente resteranno solo sogni), e per uscire dal triste buco dell'anonimato sono pronti (alcuni di essi) anche a lanciarsi in "imprese" improbabili e non proprio lecite.
Ma si sa..., cattivo ci devi nascere, e se uno è buono dentro, è difficile che si trasformi in ciò che non è.


 A TOR BELLA MONACA NON PIOVE MAI
di Marco Bocci



Ed. Bookme
219 pp
7.80 euro
2016
Mauro Borri è un giovane che ha passato i 30, senza laurea e con la voglia di trovarsi un lavoro dignitoso attraverso concorsi (per i quali non studia...), ma per adesso deve accontentarsi di lavorare per lo Sciacallo, un romanaccio borioso e zotico per il quale distribuisce (rigorosamente in nero, per carità!) volantini in cambio di poche decine di euro a settimana.

Ahilui, la vita si sta dimostrando decisamente poco generosa e la ruota della fortuna pare girare per il verso sbagliato, per il buon Marco e la sua famiglia.
Tanto per cominciare, è appena morta la cara e dolce nonna Giulia, un'adorabile vecchietta con un buon appetito che dispensava dolci sorrisi a tutti in casa e, più di tutto, la sua pensioncina, grazie alla quale mangiavano tutti nella famiglia Borri.

Sì perchè casa Borri è alquanto affollata: oltre a Mauro ci sono infatti: la mamma con l'eterna cipolla infiammata al piede che la rende quasi zoppa; papà Guglielmo, un brav'uomo disperato perchè non riesce a farsi pagare l'affitto dal salernitano che s'è impiantato nella seconda casa da nove mesi e che non riesce neppure a sfrattare a causa di una burocrazia tutta all'italiana, lenta ed ingiusta, contro la quale - e, in generale, contro lo Stato assente che pretende solo tasse e la polizia che se ne infischia delle ingiustizie che si perpetrano ogni dì a Tor Bella Monaca - partono regolarmente filippiche accorate e angosciate.
E poi con loro tre vive anche il fratello sposato, con la famiglia (moglie e figlioletta, che ha due anni ma ancora non articola suono, il che desta inevitabili preoccupazioni ai genitori): Romolo, che ha 40 anni, lavora in una fabbrica prendendo uno stipendio da fame e sogna di migliorare la propria situazione, dando una casa alla sua piccola famiglia. Nel suo passato c'è il carcere, ma Romolo ha scontato la sua pena e adesso ha messo la testa a posto, lavora, non si mette nei guai, insomma non è più la testa matta e la pecora nera di un tempo.

Mauro, al contrario del fratellone, è sempre stato il buono e il bravo di casa: mai una bravata, mai un gesto avventato che potesse dargli problemi con la giustizia, sempre ragionevole e, per un po', ha dato ai genitori anche la speranza (poi disattesa) di avere un laureato in casa.

Ma Mauro si sta stufando di essere il bravo ragazzo che rallegra il cuore di mamma e papà; finora essere onesto non è che gli abbia fruttato granchè, se non avere le tasche vuote, disgrazia che lo ha  reso single, visto che l'amore della sua vita, la bellissima e sexy Samantha, che ormai è la sua ex, l'ha mollato proprio in quanto stanca di stare con uno spiantato senza futuro e senza una lira in saccoccia...
In alternativa, gli ha preferito un dottore ricco con cui è andata a convivere immediatamente, senza però tagliare del tutto i ponti con Mauro, col quale ogni tanto si sente o si vede.

Insomma, se la dea bendata continua a girarsi dall'altra parte e ad essere cieca, Mauro Borri ha tutta l'intenzione di darsi una mossa... e ad offrirgliela sono insospettabilmente i suoi due più cari amici, Fabio e Domenico.

I due ragazzi, proprio come Mauro, ne hanno piene le tasche di lavoretti inutili e malpagati, e il caso vuole che essi si imbattano nei loschi traffici di un cinese di nome Yun; così, euforici come non mai, chiedono a Mauro di unirsi a loro per mettere a punto il colpaccio destinato a cambiare le loro vite, rapinando niente meno che la mafia cinese.

Sebbene reticente, la tentazione di lasciarsi coinvolgere è troppo forte per Mauro, che però sa di essere fondamentalmente una brava persona e quindi per sua natura incapace di far del male, di mettersi volutamente nei guai, dando poi anche una grande delusione agli amati genitori.

Eppure Mauro non si dà pace: deve trovare il modo di riscattarsi, una via d'uscita che gli consenta di andare incontro al futuro a testa alta (e, già che c'è, di provare a riconquistare Samantha), di non restare un'anonima figura che si muove invisibile tra i casermoni di Tor Bella Monaca, ma di provare a dimostrare che lui non è un debole, non è solo un bravo ragazzo ma sa anche tirar fuori gli attributi quando vuole.

E mentre con gli amici cerca di capire come organizzare il colpaccio a danno dei cinesi, la vita gli mette davanti ostacoli e imprevisti.

Quel maledetto Ciro, il salernitano prepotente che non si decide né a pagare l'affitto né a lasciare l'appartamento dei Borri, sta facendo impazzire il povero papà, e Mauro sente che sta per scoppiare e che da un momento all'altro la rabbia verso le troppe ingiustizie dovrà trovare una valvola per sfogarsi...
Del resto, se aspetti che la polizia o chi per lei faccia il proprio dovere... stai fresco! Mauro lo sa: a Tor Bella monaca non piove mai!

Intanto il fratello, ex-delinquente redento, non fa che metterlo in guardia e ripetergli che "cattivi" si nasce, non ci si improvvisa, e Mauro si scontrerà con una realtà fin troppo imprevedibile e carogna e con un  destino beffardo che si prepara a giocare l'ennesimo brutto tiro al povero Mauro, ai suoi amici e alla sua famiglia...

L'esordio dell'attore Marco Bocci mi ha piacevolmente sorpresa; il romanzo ha uno stile molto scorrevole, la scrittura è fluida, vivace, l'Autore sa come essere diretto, "sfacciato" e ironico pur narrando di una periferia aspra e degradata, che conserva storie di vita di gente semplice che vorrebbe solo tirare avanti onestamente, di operai che a malapena riescono ad arrivare a fine mese, di giovani che non hanno grandi aspettative future ai margini della Casilina, tra i sottopassi (frequentati da tossici e soggetti poco raccomandabili, come l'inquietante Ruggero, ex-poliziotto magro come un chiodo) e i grigi palazzoni in cui sono cresciuti.


"...la gente ha bisogno di quella  ( la speranza) per andare avanti, anche una piccola dose ogni giorno, quel tanto che basta per ricaricare le batterie e combattere".

Giovani che aspettano che arrivi una buona occasione pure per loro, la svolta giusta per ritrovare la grinta e lo slancio, possibilmente senza mettersi nei pasticci dando retta a "pensieri che cominciano a diventare pericolosi, malsani...".

Bocci ha scritto una storia che ci scorre davanti in modo spigliato grazie a un linguaggio asciutto ed essenziale, all'uso del dialetto romano, alla presenza di dialoghi, ai personaggi, vivaci e a volte un po' grotteschi, al contesto realistico in cui le vicende sono collocate.
Ho letto in web che è in lavorazione il film tratto dal romanzo, scritto e diretto dall'Autore stesso, in cui reciterà anche sua moglie, Laura Chiatti.

Sono davvero curiosa e intanto vi consiglio questo libro, adatto per chi ricerca una lettura piacevole e non impegnativa.

lunedì 21 gennaio 2019

Alcune brevi curiosità su... George Orwell



In questo giorno, di 60 anni fa, moriva lo scrittore George Orwell.

Il su vero nome non era questo, bensì Eric Arthur Blair; nato il 25 giugno 1903 a Motihari, nel Bengala, era figlio di un impiegato statale che lavorava presso il governo indiano britannico col compito di sorvegliare la crescita dell'oppio da parte dei contadini indiani.
Quando Eric aveva un anno, la madre Ida si trasferì coi bambini in Inghilterra e da allora Eric non è mai più tornato a Motihari.

George Orwell
Ha frequentato Eton, dal 1917 al 1921 grazie ad una borsa di studio.
Il suo amore per lo studio non fu costante e a un certo punto decise di fare una sorta di servizio civile imperiale, come suo padre, però in Birmania anziché in India, avendo là ancora parecchi membri della famiglia di sua madre, inclusa la nonna.
Divenne poliziotto e aveva sotto di sè 200.000 persone. Trascorreva il suo tempo libero leggendo, scrivendo e facendo in modo che i domestici fossero pronti a soddisfare ogni sua esigenza. In quegli anni si è fatto fare alcuni tatuaggi sulle nocche, oltre a farsi crescere i suoi famosi baffetti.

Lavorare per l'impero britannico si rivelò una delusione e, a differenza del padre - che era rimasto in quel mondo per almeno quaranta anni -, Eric decise di uscirne abbastanza presto.
Dopo aver contattato la febbre dengue, gli fu permesso di partire nel 1927. I suoi ricordi di questo periodo della sua vita si possono trovare nel libro Burmese Days (Giorni in Birmania) e nei saggi Shooting An Elephant (L'uccisione dell'elefante) e A Hanging (Un'impiccagione).

Una volta lasciata la Birmania, decide di concentrarsi sull'attività di scrittore a tempo pieno. Il suo pensiero è scrivere delle vite dei perdenti e l'unico modo per farlo era diventare uno di loro.
Così a Parigi fa il lavapiatti, a Londra diventa un vagabondo, parlando tutto il tempo con persone  che realmente vivevano nella povertà. Sì perchè lui, dopotutto, a Parigi non ha mai rischiato di morire di fame e freddo in quanto aveva sua zia Nellie ad aiutarlo dandogli del cibo quando era disperato. Lo aiutò anche a trovare una stanza in rue Pot de Fer e lo presentò a Henri Barbusse, l'uomo che pubblicò il suo primo articolo (a carattere politico), per il quale fu remunerato, nel 1929.

Quando e perchè scelse Blair di chiamarsi "George Orwell"?
Beh anzitutto, gli piacque perché gli sembrava un buon nome inglese; si ipotizza che si sia ispirato al fiume Orwell della contea di Suffolk, in Inghilterra, ma magari lo scrittore potrebbe semplicemente aver preso spunto dal nome di uno zio, George Limouzin, il fratello più giovane di sua madre Ida.
Ma perché ha inventato uno pseudonimo? Per prima cosa, non gli era mai piaciuto "Eric Blair", e poi lo fece anche per evitare di creare imbarazzi alla propria famiglia, soprattutto dopo che scrisse "Senza un soldo a Parigi e a Londra".
Si racconta che nel corso della propria esistenza, George Orwell abbia sempre cercato di tener separata la vita come Orwell da quella in cui era Eric Blair; addirittura si impegnava per tenere lontani i gruppi di amici (quelli che lo conoscevano come Eric da quelli che lo conoscevano come George).
Un'altra ragione furbetta per la quale si dice che abbia scelto proprio "Orwell" era perché voleva un nome che iniziasse con una lettera centrale dell'alfabeto, così che i suoi libri fossero collocati nella parte centrale degli scaffali in libreria: né troppo in alto, dove i clienti non riescono a vedere bene, né troppo in basso, vicino ai loro piedi.

Orwell era un ateo, legato però alle tradizioni della Chiesa d'Inghilterra; non solo, ma era anche abbastanza superstizioso. 
Dichiarò di aver visto un fantasma, un giorno che era nel cortile della chiesa di Wallington.
Aveva la convinzione che le persone potessero fare una magia nera segreta solo partendo dal nome di una persona (sarà pure per questo che si scelse uno pseudonimo??).
Nei suoi primi anni di Eton, lui e un compagno di scuola avevano creato una bambola voodoo con il sapone di un ragazzo più grande da cui si sentivano presi in giro: la "vittima" finì per rompersi una gamba e, più tardi, morì di cancro. Orwell si sentì in colpa per questo fatto per il resto della sua vita. Abbiamo già detto che in Birmania si fece disegnare dei tatuaggi sulle nocche, cioè dei cerchi blu per scongiurare la sfortuna.

Orwell è stato un insegnante prima di divenire uno scrittore famoso; in particolare, è stato tutor di un ragazzo disabile e poi  per alcuni semestri insegnante alla Hawthorns High School per ragazzi. In seguito divenne insegnante al Frays College di Uxbridge.
Dopo essersi trasferito a Londra, ha lavorato part-time al Booklovers' Corner di South Green ad Hampstead, una libreria che poi è diventata una panineria; ancora adesso c'è affissa una targa che indica che Orwell ha lavorato lì, in Pond Street.
Proprio mentre lavorava al Booklovers' ottenne il suo primo incarico di scrittura: un romanzo verità sullo sfruttamento e la disoccupazione esistente in una cittadina mineraria dell'Inghilterra settentrionale durante gli anni Trenta (The Road to Wigan Pier).

Ad una festa ad Hampstead Heath incontrò Eileen O'Shaughnessy (1905-1945), una studentessa di psicologia a Oxford; i due si sposarono nel giugno del 1936 nella chiesa di Wallington, nell'Hertfordshire. Hanno tenuto un cottage chiamato The Stores (immagine a sinistra) dove vendevano cose di vario genere agli abitanti del villaggio, facendo un po' di soldi con le caramelle vendute ai bambini del posto. La casa in sé era terribile (scarsamente riscaldata, con un tetto di lamiera che faceva un rumore terribile quando pioveva), ma i due amarono stare lì. Coltivavano alcune verdure e allevavano galline e capre. Fu durante la sua permanenza in The Stores che concepì Animal Farm (La fattoria degli animali) e inserì gran parte della sua vita a Wallington nel libro.

Durante gli anni '30, i regimi dittatoriali erano sempre più diffusi in tutta Europa, con Hitler che guadagnava potere in Germania, Mussolini in Italia e Stalin in Russia. Francisco Franco stava tentando di fare lo stesso in Spagna.
Orwell andò in Spagna per combattere sul fronte repubblicano e si arruola nella milizia del P.O.U.M. (Partito Obrero de Unificacion Marxista), un piccolo movimento anarco-sindacalista della Catalogna, venendo ferito però alla gola nel 1937 da un proiettile sparato da un cecchino franchista.

Dopo essere tornato a Wallington per un breve periodo, lui ed Eileen andarono a Marrakech nella speranza che l'aria secca favorisse la salute di Orwell, al quale era stata ufficialmente diagnosticata la tubercolosi da suo cognato Laurence O'Shaughnessy (noto chirurgo toracico). Mentre faceva la sua solita coltivazione di verdure e allevamento di almeno una capra e polli, Orwell ha scritto la maggior parte di Coming Up For Air (Una boccata d'aria). Suo padre, Richard Blair, sarebbe morto poco dopo la pubblicazione.

Orwell, non potendo trovare lavoro nelle forze armate a causa del cattivo stato dei suoi polmoni, alla fine aveva trovato lavoro alla BBC. Ha fatto trasmissioni per il dipartimento dei servizi orientali.
Gran parte dell'immaginario della vita lavorativa di Winston Smith (protagonista di 1984) presso il Ministero della Verità si ispira proprio ai giorni trascorsi da Eric alla BBC.

Sembra che lui ed Hemingway si siano trovati diverse volte negli stessi posti e nello stesso momento senza però mai incrociarsi; ad es., Hemingway ha anch'egli combattuto nella Guerra Civile Spagnola, aveva vissuto a Parigi nello stesso periodo di Orwell e deve averne seguito la carriera ,a la cerchia di amicizie era evidentemente diversa.
Ci fu un'occasione in cui, tornando Blair a Parigi, dopo una visita nella parte della Germania occupata dagli alleati, vestito in uniforme (era corrispondente di guerra per The Observer) soggiornava all'Hotel Scribe, e si mise a sbirciare il registro dell'albergo per vedere se c'era qualcuno con cui parlare e si accorse con sua grande gioia che figurava  il nome di Hemingway. Allora andò a bussare alla porta della sua stanza e, dopo essersi presentato come George Orwell (inizialmente disse il suo vero nome, ma ad Ernest "Eric Blair" non diceva proprio nulla...) l'altro gli offrì un bicchiere di scotch.

Orwell era un donnaiolo; aveva molte amiche che poi divennero sue amanti, soprattutto quando la sua fama di scrittore lo travolse.
Se la moglie sapesse e soffrisse per i tradimenti del coniuge, non è dato sapere (pare che il loro fosse un matrimonio piuttosto "aperto").
I due avrebbero voluto avere bambini ma Orwell era convinto di non poterne avere, così nella primavera del 1944, George ed Eileen seppero di una donna che non riusciva a tenere il suo bambino e subito si diedero da fare per ottenere la custodia del bambino; lo adottarono e fu chiamato Richard Horatio Blair.

Per quanto riguarda il celebre romanzo distopico 1894 (RECENSIONE), benchè non fosse più lungo di altri suoi libri precedenti, ci mise un'eternità a terminarlo. Aveva iniziato a scriverlo per la prima volta nel 1946, interrompendosi a causa di mille impegni lavorativi; in seguito alla sua malattia che avanzava con la tubercolosi, il libro impiegò sempre più tempo prima di venire alla luce.
Inizialmente esso doveva essere ambientato nel 1980, poi nel 1982 e infine nel 1984; trascorse la maggior parte del 1948 a scrivere il manoscritto finale, e quando lo concluse pensò al titolo, che in origine era The Last Man In Europe, ma i suoi editori, Secker & Warburg, pensarono che 1984 fosse di gran lunga migliore.

George Orwell è morto il 21 gennaio 1950 per tubercolosi, in un ospedale di Londra.


Fonte per articolo: QUI

domenica 20 gennaio 2019

Recensione: BAMBINO N.30529 di Felix Weinberg (RC2019)



La testimonianza onesta e commovente di un uomo finito nell'incubo dei lager nazisti all'età di dodici anni. Ricordare ciò che è stato è e sarà sempre un'urgenza imprescindibile, perchè solo non dimenticando di quali atrocità il genere umano si è macchiato in passato (ahimè, continua a macchiarsene anche nel presente) c'è la possibilità di evitare gli stessi tragici errori...


BAMBINO N.30529
di Felix Weinberg



Ed. Newton Compton
trad. G. Agnoloni,
A. Maestrini
288 pp
Felix Weinberg (1928-2012) c'ha pensato su parecchio prima di decidersi a raccontare la propria storia di sopravvissuto a ben cinque campi di concentramento.
Per anni, dopo essersi ricostruito la propria vita pezzo dopo pezzo, ha cercato di vivere il presente e guardare verso il futuro: un futuro fatto di soddisfazioni professionali (è stato professore di Fisica all'Università di Londra) e dell'amore e del calore di una bellissima famiglia.
Ma raccontare, da parte di chi come lui è passato attraverso l'inferno uscendone vivo (segnato per sempre, certo, ma vivo), è un dovere.
Verso se stessi e verso le future generazioni.
Perchè quella serie di numeri sul braccio - 30529 - non sono un numero di telefono che è bene annotare per non rischiare di dimenticare a causa dell'avanzare dell'età, ma è il ricordo indelebile di ciò che si è vissuto.

Felix ha avuto una meravigliosa infanzia: nato a Ústí nad Labem (città della Repubblica Ceca) nel 1928, cresce in una famiglia unita, amorevole, affettuosa e abbiente, che non di rado si concedeva piccoli viaggi e vacanze.
Anni e anni dopo, Felix riconosce che proprio l'aver avuto un'infanzia così serena e felice, l'aver incamerato ricordi belli, lo ha aiutato nei momenti difficili, unito al tipo di educazione (alimentare e fisica) ricevuta, in particolare dal padre; senza saperlo, quindi, il piccolo Felix stava incamerando delle risorse emotive, psicologiche e fisiche che in un certo senso lo avrebbero aiutato a resistere all'esistenza provata e debilitante dei lager.

"La mia infanzia fu molto felice. Finì troppo presto e in modo troppo repentino a causa di Adolf Hitler, ma credo che siano i primi anni a contare. Hanno dato alla mia mente un bozzolo sicuro e beato in cui può ritirarsi nei periodi dolorosi. (...) Il mio bozzolo era pieno di avvolgenti ricordi e della certezza di essere stato molto amato e coccolato."

A dodici anni, però, il suo mondo va in pezzi: a causa delle persecuzioni naziste, il padre è costretto a fuggire in Inghilterra con l'intenzione di aiutare, da lì, tutta la famiglia scappare dalla regione dei Sudeti prima che la situazione per gli ebrei cechi peggiori con la speranza di potersi rifare lì una vita con i suoi cari.

Ma purtroppo, per una serie di concause, raggiungere il padre non sarà possibile, e il ragazzino, il fratello minore e la madre andranno incontro al proprio duro destino: vengono catturati dai tedeschi e da quel momento ha inizio il loro drammatico calvario nei campi di concentramento.
Prima Terezìn, poi il campo di Bechhammer, quindi Auschwitz e Birkenau, partecipando addirittura alla terribile “Marcia della Morte” per poi essere trasferito da un campo all’altro, fino a Gross-Rosen e infine a Buchenwald (che fu tra i lager dove si attuò principalmente lo sterminio tramite il lavoro), dove arrivò al limite delle forze fisiche, quasi morto; ma in questo durissimo  campo di concentramento ebbe la "fortuna" di finire sotto l'ala protettiva di Antonin Kalina, un comunista imprigionato dai nazisti proprio a Buchenwald e che gestiva il Blocco 66, composto da prigionieri molto giovani e che sopravvissero in quanto lì le condizioni di vita - per quanto sempre orribili - erano un po' meno peggio che altrove nel campo, tant'è che ad es. i ragazzi avevano accesso a coperte e un po' più cibo.
L'11 aprile 1945 questo campo di sterminio fu liberato.

"Così, nove giorni dopo il mio diciassettesimo compleanno, mi venne restituita la mia vita. Mi ci volle molto tempo per rendermene veramente conto, e non credo di esserci mai riuscito del tutto. A pensarci bene, il concetto stesso di cambiamento non ha senso in questo caso, dal momento che non ero più la stessa persona. I campi mi avevano cambiato per sempre".

Dopo essere tornato in libertà, passò un po' di tempo e potè finalmente riabbracciare l'unica persona vivente della propria famiglia: suo padre, che intanto era rimasto a Londra.
Dopo cinque anni di orrore e dopo essere passato per ben cinque campi di concentramento, Felix Weinberg può tornare a ricostruirsi la propria vita, a farsi una propria famiglia, a studiare (attività che aveva dovuto interrompere in seguito alle leggi naziste antisemite) e impegnarsi in ciò che ama (l natura e tutto quello che la riguarda).
La sua è di certo una storia incredibile perchè egli stesso, molte volte nella narrazione, riconosce che la propria salvezza è dipesa da piccoli miracoli, apparentemente casuali, da circostanza fortuite che hanno contribuito a mantenerlo in vita.

Il suo racconto è molto lucido, duro e teso all'onestà e alla chiarezza; egli dichiara apertamente di non condividere una larga parte della letteratura sull'Olocausto in quanto troppo romanzata e dunque poco attendibile; lui stesso ammette di poter essere poco preciso e molto parziale nel proprio resoconto, non solo per il tempo trascorso rispetto a quando ha deciso di metterlo su carta, ma ancor di più per via del suo bisogno - neanche tanto inconscio - di non sentirsi legato a quell'orrendo passato che gli ha rubato i suoi cari e la sua adolescenza, in una parola Felix si rifiutava di parlare dell'argomento (cioè della propria esperienza nei lager) con chiunque, anche col padre o la moglie..., perchè non voleva essere identificato come "un sopravvissuto dei campi di concentramento".
A questa comprensibile volontà, si aggiunge un altro aspetto: per uscire vivo dall'incubo in cui è stato protagonista dai 12 ai 17 anni, Felicx (e come lui, altri sopravvissuto) ha cercato di staccarsi emotivamente dalle brutture che lo circondavano quotidianamente, di "guardarle senza vederle" e "ascoltarle senza sentirle" proprio per non soccombere; una sorta di "amnesia autoindotta" al fine si soffrire il meno possibile.
Ragion per cui, Felix chiarisce che il proprio racconto può avere delle piccole lacune, tipo nella successione degli eventi.

Il libro si legge piuttosto scorrevolmente; è sempre doloroso leggere le esperienze di chi ha subito atrocità inumane come quelle narrate tra queste pagine autobiografiche, però è anche vero che l'Autore - probabilmente per le motivazioni espresse poche righe più su - ha utilizzato uno stile un po' "distaccato", non si lascia andare a una narrazione struggente; ecco, non è uno di quei libri sull'Olocausto che strappano pianti di commozione ma, attenzione!, non lo dico in riferimento ai contenuti (inevitabilmente agghiaccianti e strazianti, essendo raccontato con molta chiarezza e vividezza) ma appunto allo stile, essenziale, razionale, frutto anche, a mio avviso, della formazione accademica di Weinberg, che era un fisico, quindi un uomo di scienza abituato ad analizzare i fatti in modo nudo e crudo.

Una testimonianza che si va ad aggiungere alle tantissime altre sempre su questa importante tematica.


"...tutti noi sopravvissuti siamo, in qualche misura, compromessi. Non abbiamo sacrificato la nostra vita perché altri potessero magari avere qualche minima possibilità in più di farcela. In sostanza, restare vivi non appare un atto particolarmente eroico, quanto qualcosa di simile all'aver vinto alla lotteria, nonostante previsioni astronomicamente sfavorevoli. È facile mettersi a fantasticare sul fatto che debba esserci stata qualche ragione profonda dietro la sopravvivenza di una persona, ma alla fine, probabilmente, si è trattato solo di una combinazione di fortuna e di un buon istinto di conservazione."

sabato 19 gennaio 2019

Libri in wishlist (gennaio 2019)



Libri scovati sbirciando in libreria e viaggiando in pullman, chiaramente finiti in wishlist  ^_-


Il primo romanzo l'ho preso in mano durante un giro alla Mondadori; non l'ho comperato ma son rimasta attratta dal titolo e dalla copertina, così ho cercato la trama e ho appurato che anch'essa mi attira: anzitutto perchè è una storia vera e poi perchè sullo sfondo c'è il triste periodo del nazismo...


LA RAGAZZA CANCELLATA
di Bart Van Es


Ed. Guanda
288 pp
18.50 euro
«Senza le famiglie, non ci sarebbero storie.» 
Bart van Es tira fuori dal passato della propria famiglia una storia mai raccontata prima: la vicenda di Lien, una bambina ebrea che i nonni dell’autore accolsero in casa loro durante l’occupazione nazista, crescendola come se fosse una figlia, ma con la quale misteriosamente interruppero ogni contatto molto tempo dopo la fine della guerra. 
Come mai? 
Che cosa ne era stato di Lien e per quale ragione i rapporti si interruppero? Che cosa impediva di pronunciare perfino il nome di Lien, bambina cancellata dalla memoria? 
Inizia così la ricerca dell’autore, un viaggio nei ricordi personali e del suo paese d’origine, l’Olanda, che lo porterà a esplorare il periodo più buio del secolo scorso e le contraddizioni nascoste in seno alla sua stessa famiglia. 
Scoprirà che Lien è viva e abita ad Amsterdam, e dal loro incontro nascerà un’amicizia speciale e profonda. 
Nel raccontare la sua storia Van Es non tace sulle sofferenze che Lien ha patito durante la clandestinità, affidata a adulti non sempre limpidi nei loro propositi, né sul lungo percorso che, come molti altri sopravvissuti alla Shoah, ha dovuto affrontare anni dopo la fine della guerra per trovare un senso a tutto il dolore vissuto. 



Questo noir di recente pubblicazione, invece, l'ho notato in quanto iscritta alla newsletter di Bompiani Edizioni.


GENNAIO DI SANGUE
di Alan Parks


Ed. Bompiani
trad. M. Drago
368 pp
18 euro
Glasgow, primo gennaio 1973. I festeggiamenti sono appena terminati e l’ispettore Harry McCoy della polizia di Glasgow è impegnato nel carcere di Barlinnie, dove un detenuto gli rivela che una ragazza sta per essere uccisa. 
E forse lui può salvarla. Ma non arriva in tempo. 
In un’affollata stazione degli autobus Tommy Malone spara a Lorna Skirving e poi si toglie la vita. 
I giornali si scatenano, il Capo si aspetta una rapida soluzione del caso. 

Il 30enne Harry McCoy si tuffa nell'indagine, immergendosi in una realtà che è fin troppo nota a un tipo come lui, abituato a trasgredire ordini e passare limiti; tra bordelli, vicoli bui e droghe come unica via di fuga dalla realtà, l’indagine si cala nel mondo dell’intrattenimento sessuale, un mondo dove con i soldi si possono comprare l’anima e il corpo di chiunque. 

Il primo romanzo di Alan Parks è un viaggio nella vita di un uomo inseguito da demoni più che mai reali, nel cuore nerissimo di una città che non lascia scampo, dove ogni speranza di redenzione sembra destinata a sprofondare nelle acque gelide del Clyde.


L'ultimo romanzo lo incrocio tutti i giorni: lo sta leggendo un pendolare in questo periodo, mentre viaggia come me la mattina in pullman.



LA BELVA NEL LABIRINTO
di Hans Tuzzi



Ed. Bollati Boringhieri
327 pp
17.50 euro

Quale filo invisibile lega fra loro un sacerdote di frontiera, un travestito di mezza età e un brillante studente universitario nella cui auto giace cadavere una ragazza? 
E le altre vittime dell’anonima mano omicida che nell’estate del 1987 nelle vie di Milano porta la morte, annunciata dai beffardi e inquietanti Arcani dei tarocchi?
A cosa si riferisce la misteriosa scritta che l’assassino traccia su ogni Arcano? E ha davvero un senso tutto l’armamentario del nazismo esoterico che costantemente affiora fra i più diversi indizi? E i Servizi segreti hanno, in tutto ciò, un ruolo oscuro?

Conscio che in simili casi soltanto una paziente indagine è possibile, ma non è mai sufficiente, poiché occorre anche un aiuto del Caso, o un errore da parte del colpevole, il vicequestore Melis, coadiuvato dai suoi uomini, intraprende un frustrante cammino di conoscenza attraverso una Milano varia e cangiante nelle sue componenti sociali, fra il vizio manifesto da un lato e l’oscuro mondo del fanatismo dall’altro, sino a giungere alla tenebrosa fonte del male che l’uomo infligge all’uomo allorché è convinto di detenere la verità.

venerdì 18 gennaio 2019

Recensione: IL RACCONTO DELL'ANCELLA di Margaret Atwood (RC2019)



Margaret Atwood ha immaginato un tipo di società che definire inquietante è dire poco: cosa resta alla Persona quando le vengono sottratti i diritti e le libertà fondamentali, quando è considerata e trattata come un mero contenitore e non ha alcun potere sulla propria vita?


IL RACCONTO DELL'ANCELLA
di Margaret Atwood



Ponte alle grazie
311 pp
"La Repubblica di Galaad, diceva zia Lydia, non conosce confini. Galaad è dentro di te".

Siamo negli States, non ci vien detto l'anno ma è di certo in un tempo futuro; a raccontarci la storia è lei, l'ancella, Difred, e i suoi occhi inevitabilmente diventano i nostri, e con occhi prima perplessi e poi via via sempre più inquieti ci addentriamo in questo "nuovo mondo", in questa società contrassegnata da totalitarismo e maschilismo allo stato puro.
In seguito a radiazioni atomiche, il numero di donne fertili si è ridotto drasticamente, e per non rischiare l'estinzione, gli Stati Uniti hanno creato un governo particolare...: la Repubblica di Galaad, in cui il controllo del corpo femminile sta alla base di tutto.

Un gruppo di donne in età fertile, le Ancelle, dopo aver vissuto un periodo di addestramento nel Centro Rosso, sono state smistate presso varie famiglie appartenenti al ceto dominante; il loro compito è... farsi inseminare.
Eh già, queste ancelle dimorano temporaneamente in casa di questi uomini importanti e mettono il loro corpo al servizio della nazione, accettando (non che abbiano scelta, in realtà) avere rapporti fisici con essi, con la speranza di restare incinte.

La protagonista e voce narrante è una di queste povere ragazze strappate alla propria vita, alla propria vera famiglia e, nel caso di Difred, al proprio compagno Luke e alla loro figlioletta, per andare in casa del "Comandante" e della sua algida consorte, Serena Joy.

"Il mio nome non è Difred. Ho un altro nome, che adesso nessuno usa perchè è proibito. Mi dico che è importante, un nome e come un numero di telefono, utile solo per altri; ma mi sbaglio, è importante. Tengo la coscienza di questo nome come qualcosa di nascosto, un tesoro che tornerò a scavare un giorno. E' un nome sepolto, circondato di mistero come un amuleto, un amuleto sopravvissuto a un passato incredibilmente distante. La notte sono sdraiata sul letto, con gli occhi chiusi, e il mio nome è lì, sospeso dietro gli occhi, non del tutto a portata di mano, che brilla nel buio".

Il suo nome vero non è Difred; ma non conta più la sua vecchia identità, perchè ormai lei è semplicemente l'ancella che appartiene al Comandante Fred, al quale deve garantire una discendenza.
Se entro un certo tempo questo non dovesse accadere, il suo destino diventerebbe decisamente spiacevole, e chissà che ne sarebbe di lei...

Il racconto di Difred è un crescendo di piccoli preziosi dettagli che vanno a incasellarsi al posto giusto per darci, man mano, un quadro della situazione chiaro, che non può che farci rabbrividire: ve la immaginate una società di questo tipo, con militari a ogni angolo, suddivisa rigidamente in "caste" che schierano da una parte "coloro che contano" e dall'altra i reietti, coloro che non hanno alcuna prospettiva di vivere felicemente perchè il loro destino è stato deciso a tavolino dai "piani alti"? una società in cui non possono esistere dissidenti?
Una società tetra, cupa, triste, in cui le donne non hanno alcuna libertà di pensiero, parola, azione..., ma sono totalmente soggette all'autorità maschile.
Tra esse, solo le Mogli se la passano apparentemente meglio, in quanto consorti di uomini di potere e padrone in casa propria; padrone di comandare alle Marte (le domestiche, esseri invisibili, da cui ci aspetta solo che cucinino e puliscano, per il resto a loro non è data alcuna importanza), di intessere pseudo amicizie con le altre Mogli, e soprattutto di trattare quelle svergognate legalizzate delle Ancelle come più le aggrada, che sia con ostentata freddezza e indifferenza o con malignità e sgarbatezza.
In fondo, non dev'essere facile neppure per loro accettare con finta condiscendenza il dato di fatto che anzitutto non possono procreare, ma che poi debbano assistere un paio di volte al mese ai tentativi di copulazione dei consorti con l'ancella di turno...

Difred ci racconta la sua vita in casa del Comandante, l'ambiguo legame che si instaura con lui - che coinvolge la ragazza in qualcosa di proibito -, i tentativi di introdurre un che di umano in quella casa glaciale senza però riuscirci più di tanto perchè ognuno sa di non poter uscire fuori dai propri compiti, pena torture, punizioni varie o la morte.
La sola presenza che le donerà momenti di conforto è quella di Nick, l'autista del Comandante; con l'uomo, infatti, nascerà un sentimento che però non sembra avere alcuna speranza di essere vissuto appieno e apertamente.

Ancora, Difred ci descrive con lucidità e una pacatezza impressionante tutto ciò che la circonda, che siano persone, strade, edifici, giardini; dopotutto, se non le è permesso parlare per dire ciò che vuole quando vuole, almeno il pensiero nessuno può toglierglielo, e così l'ancella viaggia con la mente, a quando era ancora una donna libera che lavorava, innamorata del proprio compagno, mamma della propria bimba adorata (li rivedrà mai? potrà unirsi a loro? Luke sarà riuscito a salvarsi? La sua bimba è in un posto sicuro?), che usciva, rideva e scherzava con l'amica Moira (che ritroverà prima al Centro Rosso e poi in un altro, squallido luogo...) o che battibeccava con la madre, femminista convinta.

Non solo, ma la narratrice non si limita a descrivere: ella commenta, con sarcasmo, cinismo, pietà, paura... ciò che succede, le mostruose ingiustizie cui assiste o quelle di cui le giunge voce, e per non impazzire si aggrappa a qualsiasi cosa, che sia la bellezza dei fiori (è incredibile come la natura continui ad essere colorata, profumata, viva... in mezzo a tanto grigiore) o una qualche fatua speranza che qualcosa o qualcuno... venga a salvarla.

E intanto un pensiero la sostiene: non permettere che i bastardi ti schiaccino (nolite te bastardes carborundorum).

Difred/June ci ricorda che non c'è stato repressivo che riesca a schiacciare del tutto e definitivamente i desideri delle persone, la voglia di ribellarsi a ciò che è sbagliato; si può insegnare, con la violenza o il plagio, a ubbidire senza fiatare a certi riti, modi di vestirsi, di umiliarsi e sottomettersi, di parlare..., ma se dentro di sè si riesce a restare lucidi, razionali, a resistere, forse c'è ancora la speranza che qualcosa possa cambiare.

Questo romanzo distopico, un bestseller scritto nel 1985, diventato un film negli anni '90 e una ben fatta serie tv recentemente, fa riflettere, e non poco, perchè ciò che presenta, pur avendo tratti che noi, ad oggi, possiamo ritenere assurdi..., non ha in realtà nulla di irrealizzabile.
E' questo che spaventa: l'idea che questo tipo di società (o per lo meno alcune sue caratteristiche) siano attuabili, verificabili, tecnicamente possibili. E se accadesse..., cosa faremmo, come ci comporteremmo?

La storia di Difred e il suo resoconto di cosa succede sotto la Repubblica di Galaad è qualcosa che la stessa è riuscita a "tramandare", a lasciare ai posteri; ciò che non sappiamo è cosa ne è stato di lei, se sia riuscita o meno a trovare una via di uscita dall'inferno in cui era finita.

Però la Atwood ha ben pensato di avere pietà di noi curiosoni e ha annunciato la pubblicazione c.a. di The Testaments, il seguito di The Handmaid's Tale, ambientato 15 anni dopo la scena finale nel romanzo originale, e che vedrà tre personaggi femminili in qualità di narratrici; la scrittrice non ha ancora specificato se qualcuno di esse sarà già nota ai personaggi del romanzo originale.
Ovviamente sono ben lieta e oltremodo curiosa di conoscere questo sequel, ma intanto spero che la terza stagione della serie arrivi prima.
Come già ho avuto modo di dire nel post relativo alla recensione della serie "The Handmaid's Tale", quest'ultima mi è piaciuta davvero tanto e non posso nascondere che leggevo avendo in mente facce, voci, ghigni, sguardi, abiti, case, il che mi ha aiutata a rendere la lettura più viva.
C'è da dire anche il ritmo del libro è meno vivace di quanto me lo aspettassi; è uno di quei casi in cui la serie tv è quasi meglio del romanzo, ecco...; devo altresì ammettere che è più fedele il film, su diversi particolari, ad es. l'età anagrafica e l'aspetto fisico del Comandante e della moglie, ma sono dettagli su cui passo su volentieri perchè è il coinvolgimento a contare, e la serie raggiunge meglio questo scopo.

Non voglio darvi l'impressione di non aver apprezzato il libro, eh, tutt'altro: è una lettura che merita di essere affrontata perchè offre numerosi spunti di riflessione su tematiche sempre attuali (dal ruolo della donna al fanatismo religioso) e ha saputo trasmettermi il senso di impotenza, di claustrofobia, di rabbia o rassegnazione, il bisogno di non perdere la testa a fronte dell'incubo in cui ci si trova, la solitudine, l'angoscia..., insomma tutti gli stati d'animo e i pensieri provati dalla protagonista, la cui impronta emotiva è conforme alla materia narrativa in oggetto, che è tutto fuorchè leggera.

Bel romanzo, era una lacuna che desideravo colmare e sono felice di averlo fatto.

giovedì 17 gennaio 2019

Novità editoriali Kimerik Edizioni




Novità in casa Kimerik Edizioni:


L'ALFIERE DI NORIMBERGA di Fernando Fuschetti

Un gruppo di giovani della Napoli “bene” degli anni ’30 accompagna il lettore tra le vicende legate alla Seconda guerra mondiale. Ambizione, intelligenza, speranza sembrano essere le chiavi per scoprire il futuro di questi universitari destinati, invece, a percorrere strade assai difficili.


L'autore.
Fernando Fuschetti è nato a Marcianise nel 1946. Laureatosi in Scienze Agrarie, vince il concorso del Ministero dell’Agricoltura e Foreste – Corpo Forestale e ha una brillante carriera. In pensione si dedica alla sua passione di gioventù: scrivere e raccontare storie.




IL TORMENTO di Elena Giandomenico

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Una poesia matura quella che detta Elena Giandomenico nella sua composizione.
Siamo di fronte a versi che accusano, prendono atto, si rammaricano ma non si arrendono di fronte ad anime che indossano una maschera, a gente che va di fretta e che pare alla dolce scrittrice un contenitore vuoto, avido di denaro e di un materialismo che la nostra non condivide. 
Il tormento è la denuncia di chi constata la realtà e ne fa punto di partenza per risorgere. Nonostante la nuda e cruda verità, Elena Giandomenico, come solo chi scrive liriche sa fare, dà vita a una silloge di intense emozioni, in cui ci si rispecchia e dalla quale si impara a essere più forti. 


L'autrice.
Elena Giandomenico nasce il 3 gennaio del 1997 a Modena. È figlia di un carabiniere e di una casalinga. All’età di tre anni si trasferisce in Molise, precisamente in un paese di nome Bonefro. Successivamente, a dodici anni, in seguito alla separazione dei genitori, si trasferisce nuovamente in Emilia-Romagna. Trascorre la sua adolescenza a Rubiera, una città in provincia di Reggio Emilia. Consegue il diploma presso il Liceo linguistico “F. Selmi” di Modena. Successivamente, poiché fin da piccola manifesta una grande passione per l’insegnamento, decide di frequentare la Facoltà di Scienze dell’Educazione.



UNO SGUARDO DENTRO UNA VITA di Mara Krezdorm

Dopo tanti anni la protagonista di questo libro decide di raccontare la sua storia.
Meravigliosa, interessante. 
In molti ritroveranno se stessi in questo romanzo, apprendendo qualcosa che non si aspettavano. Come tirar fuori ciò che vi è di buono da una brutta storia? 
E anche la fiducia in noi stessi deve prevalere convivendo con i nostri sentimenti: possiamo fare tutto, quando lo vogliamo e lo desideriamo intensamente.

L'autrice.
Mara Krezdorn nasce in Serbia il 15 ottobre del 1952. Sposata con un cittadino tedesco, ha due figli adulti che vivono nel Südtirol. Si considera una donna d’affari di successo ed è autrice del romanzo Natalija Mora Dalje.

martedì 15 gennaio 2019

Novità dalle case editrici - Butterfly Edizioni / Emma Books



Cari lettori, vi aggiorno con qualche novità editoriale, in ambito rosa e paranormal.



TRA L'OMBRA E L'ANIMA
di Maria Teresa Steri

LINK AMAZON
thriller psicologico-paranormale
370 pp
Prezzo ebook: 2,99 €
Prezzo cartaceo: 11 €GENNAIO 2019


Trama

Da due anni la mia vita non è più la stessa. Visioni e memorie di eventi mai vissuti mi costringono a rintanarmi in casa. L’ossessione per un uomo sconosciuto – da me battezzato “il Visitatore” – minaccia il mio matrimonio. Né mio marito né il terapista al quale mi sono rivolta sono disposti a credermi. 
Solo Alba, una donna incontrata su Internet, sembra in grado di darmi delle risposte. 
Mi ha convinta che i miei strani ricordi appartengono a una vita precedente e che il Visitatore è un uomo in carne e ossa.
Ora però Alba è morta, forse assassinata da una misteriosa associazione, e io sono rimasta da sola a cercare l’uomo delle mie visioni. 
Ma la rete di segreti che circondava Alba si sta stringendo pericolosamente intorno a me. 
E affrontare il passato che ho dimenticato è come gettare uno sguardo in un pozzo oscuro e senza fondo.
Le anime con un legame antico si rincontrano sempre.

Primi capitoli scaricabili in pdf QUI
Incipit

In apparenza è un giorno come tutti gli altri. Simone si prepara per andare al lavoro, io indugio davanti alla finestra del salotto, intenta a osservare la strada. In realtà non è un giorno qualunque, perché oggi per la prima volta dopo due anni metterò piede fuori casa da sola.
Sto andando a caccia di risposte. Alla ricerca di un uomo che mi ha rovinato la vita e che pure smanio di incontrare, conoscere, guardare in faccia. Un uomo che non so neppure se esista davvero o se sia solo il frutto di un morboso vaneggiare, un’opportunistica invenzione della psiche, come asserisce il mio terapista.
Stringo con entrambe le mani la solita tazza di caffellatte con un misto di eccitazione, paura e senso di colpa. Abbandonare la sicurezza delle mura domestiche mi atterrisce.
Tutto il mio mondo è stato tra queste pareti per così tanto tempo che stento a credere ci sia altro là fuori.
Da due anni ho smesso di lavorare, vedere gli amici, andare a fare la spesa, uscire la sera.
Vivo in una reclusione auto imposta nel tentativo di arginare le mie ossessioni.
 


Estratto:
Ormai è cessata ogni ribellione. Non ho più paura dell’immobilità che mi imprigiona, ho accettato di non poter muovere un solo muscolo, di essere in balia di quest’entità sconosciuta e intangibile che viene a farmi visita. Le permetto di travolgermi e intontirmi fino all’offuscamento totale della coscienza.
Spesso è un contatto intimo, intenso, quasi carnale. Altre volte solo un tocco delicato ed evanescente. L’accompagna però sempre una penosa nostalgia, un desiderio lacerante per qualcosa di perduto.
Quando se ne va, mi ritrovo dolorosamente vuota, in uno stato mentale sospeso, finché pian piano i sensi ritrovano la calma. Mi giro su un fianco e il mio corpo viene pervaso dal sopore.
Ho combattuto a lungo contro il Visitatore, gli ho opposto resistenza, tentando di sottrarmi alla sua seduzione e rifiutando di ammettere l’effetto inebriante che aveva su di me. Ne ho avuto persino terrore in un primo tempo. Ma per quanti sforzi abbia fatto, non sono mai riuscita a rinunciarvi.

L'autrice
Maria Teresa Steri è nata nel 1969 e cresciuta a Gaeta. Dopo la laurea in Lettere e Filosofia si è trasferita a Roma, dove vive attualmente con il marito. Ha collaborato come giornalista pubblicista nella redazione di quotidiani e riviste. Cura il blog Anima di carta (https://animadicarta.blogspot.com/) dedicato a chi ama scrivere e leggere. Si interessa di scrittura creativa e antroposofia. È un’appassionata di Alfred Hitchcock. I suoi autori di narrativa preferiti sono Ruth Rendell e Boileau- Narcejac. Ha pubblicato nel 2009 il suo primo romanzo “I Custodi del Destino” (Deinotera Editrice, fuori catalogo), un thriller basato sull'idea della reincarnazione. Nel 2015 è nato “Bagliori nel buio”, un noir sovrannaturale, e nel 2017 il thriller esoterico “Come un dio immortale”. Nel 2019 è uscita la seconda edizione de “I Custodi del Destino” (interamente riveduto) con il titolo “Tra l'ombra e l'anima”.


TUTTA COLPA DI UN DOLCE
di Federica Giulia Giordano


Butterfly Edizioni
Collana: Love self
Genere: Romance contemporaneo
Prezzo: 1,99 € 
Data di uscita: 15 gennaio 2019

>> l'ebook sarà in offerta a 0,99 € fino alla fine di gennaio <<

Sinossi

Lemon Green è una giovane pasticcera che ama preparare dolci e vivere a Sherbetlake, una piccola cittadina dove tutti si conoscono. La sua vita tranquilla viene scombussolata dall'incontro, o meglio scontro, con Noah Jones, il figlio minore della famiglia più ricca della città. 
Lui, affascinante, sicuro di sé ma soprattutto prepotente, maleducato e scontroso, è uno snob pieno di sé e non le fa di certo una buona impressione. Il suo obiettivo è stargli il più lontano possibile... 
Ma il destino li obbligherà a lavorare fianco a fianco a un progetto comune. Lemon scoprirà così che quel ragazzo fastidioso dagli occhi magnetici è più di quello che mostra e allora saranno guai...





L'AMORE NON HA RAGIONE
di Angela Iezzi


Butterfly Edizioni
Collana: Digital emotions
Genere: Romance contemporaneo
Prezzo: 3,99 € ebook 
16,00 € cartaceo 
Data di uscita: ebook 22 gennaio 2019 
cartaceo: 14 febbraio 2019


Sinossi

Faith ha diciotto anni e una caratteristica particolare: un quoziente intellettivo di 187. 
Nonostante il suo genio, è pessima nelle relazioni interpersonali, piuttosto rigida, cinica ed estremamente razionale. Vive di certezze e vuole avere il controllo su ogni cosa, emozioni comprese. 
Killian è il ragazzo più popolare di Yale e il suo giro di amicizie e frequentazioni è talmente ampio da renderlo una celebrità al campus. 
Affascinante, determinato, trasandato, sicuro di sé e attento osservatore, non è abituato a sentirsi contraddire. Per lui è facile catturare l'attenzione di qualsiasi ragazza, tranne lei, la secchiona che se ne sta sempre sulle sue, indecifrabile e inavvicinabile. 
Le loro strade, agli antipodi, sono destinate a incrociarsi nell'aula dell’unico corso che seguono insieme. Il loro primo incontro? 
Un disastro, i due non si sopportano. Così diversi da odiarsi al primo sguardo, non fanno altro che punzecchiarsi a ogni occasione. 
Ma, per quanto si possano calcolare le distanze ed evitare i sentimenti, l'amore, illogico e inspiegabile, è sempre in grado di sorprendere.



E A VOI PIACE FARLO?
di Viviana Giorgi



Editore: Emma Books
Collana: LOVE
Taglia: M
Prezzo: € 2,99

Lei, Sally, è un tipo originale. Di lavoro dipinge cani e gatti.
Lui, Matteo, è un fisico, ricercatore rinomato, appena tornato in Italia dopo anni al CERN di Ginevra.

Lei, Peggy, è una bastardina piccola e vivace, pronta in ogni momento a farsi valere.
Lui, Thor, è un grosso pastore bernese, giovane e scatenato, che solo Peggy è capace di tenere a bada.

Tutti e quattro si incontrano per caso sulle montagne di Gressoney, dove incomincia un’amicizia (o forse un amore) che continuerà con qualche malinteso tra Milano e Parigi e con esiti inaspettati a Londra.

Non mancano le amiche scatenate, un amico gay in difficoltà, un paio di padri invadenti e un lieto fine assicurato.
Perché a Sally, con Matteo, piace farlo.

domenica 13 gennaio 2019

Recensione: SCARPE SCARLATTE di Antonio Grassi (RC2019)



Un'indagine complessa vede coinvolto il poliziotto della Dia Daniele Segretari, impegnato a risolvere strani casi di morti accidentali "in odor di omicidio" e legate allo sporco mondo dei rifiuti tossici, della violenza sulle donne e in quello intricato e affascinante degli hacker.


SCARPE SCARLATTE
di Antonio Grassi


C.A.S.A Ed.
415 pp
18 euro
2018
E' sabato 4 maggio 2013 e un trafficante di rifiuti tossici muore appena uscito dall’ospedale, dopo un normalissimo
controllo semestrale dell’ICD che ha inserito nel petto.
Una morte incomprensibile dal punto di vista medico, visto che il paziente era appena uscito dal nosocomio ed era tutto ok...: ma allora coma mai è morto? 
Nonostante le perplessità, la causa del decesso di Ferruccio Pianalti viene indicata come naturale. 

Ma è davvero così?
Il poliziotto Daniele Segretari non ne è affatto convinto.
Pochi giorni prima della morte di Pianalti, lui e altre due persone (l'amico Enzo Farinati e il cardiochirurgo, il dott. Imama) avevano ricevuto una misteriosa busta da parte di un mittente anonimo; in essa erano contenuti articoli scientifici riguardanti la possibilità concreta che i pacemaker siano a rischio a causa di attacchi hacker dalle conseguenze nefaste.

Pianalti non era un personaggio amato, tutt'altro: viscido, pedofilo, pervertito sessuale, opportunista, cinico, un criminale in giacca e cravatta che in tanti odiavano pur continuando ad adulare per interessi personali.
La sua morte viene quindi accolta con un sospiro di sollievo e quasi con felicità: un farabutto in meno sulla faccia della terra!

Segretari non riesce a credere che l'uomo sia morto perchè qualcosa non ha funzionato nell'ICD, piuttosto - avendo Pianalti innumerevoli nemici che avevano più di una ragione per desiderarne la morte - è convinto che dietro il decesso inaspettato ci sia un esperto e furbissimo cyber-killer.

Consultandosi con Imama, infatti, Segretari rafforza la propria convinzione: un hacker ha violato la sicurezza del dispositivo impiantato nel cuore della vittima e, attraverso un intervento sul software del device, ha indotto una fibrillazione così potente da ucciderlo immediatamente.
Chiaramente, quando espone le sue ipotesi ai superiori e alla maggior parte dei conoscenti (compresa la compagna Flavia), viene preso per matto, per uno che galoppa troppo con la fantasia azzardando spiegazioni fantascientifiche affascinanti sì, ma decisamente avulse dalla realtà.
Addirittura si può morire per un attacco hacker? Roba da film, su!

Ma Daniele è un tipo tosto e non molla, così inizia a indagare in tutti quegli ambiti contaminati dalla presenza di Pianalti in vita e ben presto si rende conto che questa brutta storia ha ramificazioni estese, che coinvolgono tante persone, associazioni, città: un groviglio di vicende misteriose e morti sospette che, muovendosi tra Crema, Milano, Roma, Bologna, Francoforte, vedono in prima linea donne desiderose di giustizia, hacker che violano sistemi informatici e device sanitari pericolosamente vulnerabili, esportazione illegale di rifiuti tossici, traffico d’armi, anarchici, e anche storie di amori e tradimenti.

Daniele non è un poliziotto infallibile, ha le sue zone d'ombra e caratterialmente non è un tipo semplice da gestire; nonostante sia ormai in età decisamente adulta, non si decide ancora a mettere la testa a posto e rendere ufficiale la propria relazione con la bella Flavia, manager in carriera, enigmatica e risoluta, con cui c'è un legame affettivo piuttosto forte.
Daniele vorrebbe essere un poliziotto giusto, equilibrato, temperante, ma purtroppo il lavoro lo ha reso un trasformista, un impostore, un subdolo manipolatore... e chi ha a che fare con lui non può non accorgersene.

Ma forse proprio questo modo di essere un po' spregiudicato, di chi non guarda in faccia nessuno pur di raggiungere i propri obiettivi, fa di lui la persona adatta a sporcarsi le mani con quella melma di criminali cui dà la caccia e che sono i peggiori della specie, perchè i più indefiniti, quelli che si mescolano e si mimetizzano con le frange della legalità, che hanno collegamenti con il mondo politico, tanto da sembrare, dall'esterno, dei cittadini modelli ma non lo sono affatto; scovarli può rivelarsi molto difficoltoso.

A Segretari viene anche chiesto di far luce su un'altra morte (avvenuto diversi anni prima) classificata come naturale ma in realtà anch'essa anomala: quella di Agostino Zandiani, un idrobiologo ambientalista che la famiglia ritiene sia stato assassinato perché doveva aver pestato i piedi a qualche pezzo grosso invischiato con lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici.

Più si addentra nella ricerca di una verità non univoca ma avente troppe facce, più Segretari si imbatte in tanti tipi di persone, uomini e donne, tutti in qualche modo coinvolti in queste morti, ad es. in Enzo Farinati, imprenditore e conoscente di Daniele, di cui gradualmente questi scoprirà aspetti che mai avrebbe immaginato..., o ancora nell'associazione Scarpe Scarlatte, un gruppo eversivo impegnato, con metodi non sempre legali, a farsi giustizia da sé per individuare gli uomini accusati di reati sessuali e vendicare le donne molestate e stuprate.

Questo romanzo dello scrittore e giornalista Antonio Grassi è un cyber-thriller scritto davvero bene, dalla trama molto complessa e articolata, in cui abbondano termini e spiegazioni mediche e scientifiche legate al vasto mondo di internet, dei pirati informatici e dei dispositivi sanitari, che evidentemente non è detto siano poi tanto sicuri, visto che possono diventare oggetto di attacchi esterni; un tipo di terrorismo, dunque, che non prevede spargimenti di sangue ma l'uso sapiente di un pc e il sapere, ovviamente, come entrare nei software dei dispositivi medicali e modificarli.

Una prospettiva possibile abbastanza inquietante, si capisce, che finora è solo teorica, visto che non sono noti casi di attacchi diretti ai dispositivi impiantati nelle persone, ma solo ai dati di specifici sistemi informatici.

I personaggi principali sono tratteggiati in modo esauriente, attento e particolareggiato, che si tratti di giovani idealisti o di uomini di mezza età con qualche vizietto di troppo, o ancora di giovani donne forti e con gli attributi, o di altre innamorate, tradite, usate, violentate.

Se del sesso forte emerge soprattutto l'apparente forza di carattere  che in realtà spesso è solo boria e arroganza e che si traduce in modi di vivere e scelte moralmente discutibili, è il cosiddetto sesso debole a spiccare: le donne che compaiono in questo libro sono quasi tutte molto determinate, delle guerriere, ciniche quando serve e convinte di dover portare avanti le proprie battaglie sociali a qualsiasi costo.

E' un thriller particolare che introduce il lettore in un universo complicato ma molto attuale e ricco di fascino; una scrittura matura, consapevole, un linguaggio molto curato, specifico e tecnico quando è il caso ma anche scorrevole, soprattutto negli abbondanti dialoghi presenti, che snelliscono la narrazione rendendola più fluida.

Lo consiglio, in particolari a quanti hanno voglia di un thriller in cui non ci sono serial killer folli che disseminano sangue e sinistri indizi dietro di sè, ma assassini molto più sofisticati, che sanno come far fuori il nemico usando i guanti e senza lasciar tracce.

Ringrazio l'autore, Antonio Grassi, per la copia omaggio di questo interessante romanzo; dello stesso, avevo in passato letto e recensito VERNICE FRESCA (>>>>> QUI)

sabato 12 gennaio 2019

Recensione: EPPURE CADIAMO FELICI di Enrico Galiano (RC2019)



"Eppure cadiamo felici" è un romanzo che mi ha regalato molte emozioni e, tra le altre cose, molta positività ed ottimismo grazie alla sua indimenticabile protagonista e alla sua passione per ciò che non può essere tradotto, per quelle parole intraducibili che custodiscono significati insolitamente ricchi ed esprimono sentimenti veri e profondi.




EPPURE CADIAMO FELICI
di Enrico Galiano


Ed. Garzanti
387 pp
Gioia Spada ha diciassette anni, capelli rossi, lentiggini sul viso e alle orecchie gli auricolari, che non le servono soltanto per ascoltare il suo gruppo preferito (i Pink Floyd) ma costituiscono anche una sorta di protezione dal mondo esterno.
Quel mondo che un po' la spaventa e un po' la incuriosisce e rispetto al quale si sente estranea, inadeguata, il classico pesce fuor d'acqua.

Gioia ha un bellissimo nome ma di allegria nelle sue giornate ce n'è davvero poca.
A casa le cose vanno malino, da sempre...: i suoi sono attualmente separati perchè suo padre ha la brutta abitudine di alzare le mani sulle sue due donne (è figlia unica), ma purtroppo, come non ha perso questo brutto "vizio", così non ha perso neanche la strada di casa, visto che ogni tanto torna a far loro visita e sa come convincere la moglie a perdonarlo e a rimettersi insieme. Insomma, un tira e molla che innervosisce Gioia, che gradirebbe più coerenza e determinazione da parte della madre, il che significherebbe anche meno urla e litigate tra lei e il papà.

A farle compagnia ci sono Gacco il gatto fantasma, che salta sulle cornici e le butta giù, nonna Gemma (che però si limita ad ascoltarla, in quanto è allettata, attaccata alle flebo e non parla più) e l'amica immaginaria Tonia.
Eh sì perchè dovete sapere che non è soltanto tra le mura domestiche che tira una brutta aria, ma pure a scuola...
Gioia è quel tipo di compagna di classe che forse tutti abbiamo avuto, alle medie o alle superiori, e che se ne sta sempre per i fatti propri, isolata da tutti, additata come stramba, schernita e bersaglio di scherzi idioti, organizzati dai classici bulletti della classe per ottenere consensi e risate dai gregari.
Gli stessi compagni le hanno affibbiato il soprannome Maiunagioia, ma Gioia non sembra soffrirci più di tanto, così come pare liquidare risatine e sfottò con una mera alzata di spalle, accettando l'idea di non essere come i suoi coetanei.

"Quando faceva finta di essere come loro, inciampava continuamente: provava a dire le stesse frasi, a fare gli stessi gesti, ma le uscivano tutti goffi. cui non rideva nessuno. E poi ogni tre secondi inciampava davvero su qualcosa, camminando. E tutti a ridere. È più o meno in quel periodo che è nato il soprannome Maiunagioia. Allora un bel giorno si è detta: e va bene, se mi vogliono così come sono, bene, se no amen. È stato amen. Un attimo, e l’etichetta della snob alternativa da evitare come la peste bubbonica non gliel’ha levata più nessuno. Così come naturalmente nessuno si è poi preso la briga di andare a vedere chi fosse davvero".

Oltre agli incoraggianti e divertenti dialoghi con Tonia, quest'amica invisibile con cui lei dialoga ad alta voce (attenzione: Gioia non è matta, è consapevole della non esistenza di Tonia, ma per lei nel tempo è diventata una presenza necessaria e rassicurante, l'unica con cui riesca a sfogarsi e, proprio nelle surreali conversazioni con Tonia, Gioia trova risposte, vie d'uscita, motivazioni, scelte da fare) e che rappresenta l'amica ideale in quanto sincera all'ennesima potenza; oltre alla carica che le danno i suoi mitici Pink Floyd, la nostra Gioia ha anche un paio di hobbies nei quali riversa una larga parte di ciò che è ed ha dentro di sè.

Non essendo in alcun modo interessata alle mode, ai ragazzi (che non se la filano neppure di striscio), non avendo amiche reali con cui uscire, truccarsi, andare a ballare ecc..., la ragazza trova infinitamente più stimolante e divertente collezionare parole intraducibili di tutte le lingue del mondo; si tratta di parole - alcune più lunghe e complesse altre brevissime - che non hanno dei corrispettivi in altre lingue, e che per essere rese in maniera comprensibile richiedono perifrasi.
Ad es., cwtch, in gallese indica non un semplice abbraccio, ma "un abbraccio affettuoso che diventa un luogo sicuro", oppure retrouvailles (francese), "la gioia di un incontro con una persona amata che avviene dopo una lunga separazione".

Insomma, parole che, proprio per la loro intraducibilità con un solo sostantivo, celano una ricchezza di significato, una complessità non nota... che un po' la rappresentano.

Sì perché anche lei, Gioia, è così: intraducibile.
Ma del resto..., chi di noi non lo è?
Siamo tutti individui aventi ciascuno un modo nostro, unico e speciale, di essere, esprimerci, parlare, vestire, atteggiarci, abbiamo vie differenti per mostrare allegria, dolore, delusione, paura..., e l'unica cosa che ogni tanto (facciamo sempre, va') vorremmo - anche quando mai lo ammetteremmo a noi stessi - è avere qualcuno che ci capisca senza che ci arrovelliamo il cervello per cercare "le parole giuste" (ma poi quali saranno 'ste parole giuste? E se son giuste per me, lo saranno anche per te, per chi ci legge/ascolta?) per dire quello che ci passa per la testa e che ci sta camminando (e non sempre delicatamente) sul cuore, che ci accetti incondizionatamente per come siamo, senza inarcare sopraccigli o lasciarsi andare a sogghigni e smorfie sprezzanti.

Un briciolo di sincerità, di umana comprensione...: in fondo Gioia non chiede miracoli, ma non trovandone, le resta la solitudine del proprio piccolo mondo fatto di musica, Tonia, parole sconosciute e.... fotografie.
E le persone oggetto delle foto sono tutte ritratte rigorosamente di spalle, perchè solo di spalle, quando non sanno di essere fotografate, sono loro stesse.

"Le facce delle persone mentono, mentono sempre. Anche quando sono lì che sono “naturali”, non sono mai naturali per davvero. Sono sempre tutti così controllati e attenti che non si lasciano mai sfuggire neanche… neanche la più piccola stupida espressione! E invece di spalle (...) dicono sempre la verità".

Si sente sola, Gioia, chiusa nella propria timidezza che le impedisce di farsi amici, nelle tante insicurezze che le impediscono di alzare la mano in classe per fare domande...; per tutti è invisibile e incomprensibile come un enigma: per il padre, che non fa che rimproverarla e pensare di avere una figlia strana; per la madre, che cerca sì di essere  affettuosa ma l'alcool troppo sovente le annebbia il cervello; per i compagni, che o non lo calcolano o, se lo fanno, è per deriderla con malignità; per i professori, che a dire il vero ignorano anche il resto della classe, troppo presi dai propri grattacapi e impegnati a far lezione per poi andar via senza aver lasciato in realtà nulla di che ai "loro" ragazzi.

Eppure in questo deserto qualcuno c'è che la prende in considerazione, che ha intuito come dietro quell'apparente indifferenza e quel volersene stare per conto proprio, Gioia celi un universo di domande, interrogativi, timori, speranze, perplessità che desidera condividere con qualcuno, un adulto maturo, possibilmente; il professor Bove, docente di filosofia, ogni giorno raggiunge Gioia e si dispone molto socraticamente ad ascoltare la sua domande, per provare a darle non tanto una risposta soddisfacente e univoca, quanto una "strada" per ragionare con la propria testa, per scavare dentro sè perchè spesso le risposte a tanti quesiti sono già lì, da qualche parte nella nostra testa, bisognava solo trovare il modo per farle emergere.

Il quotidiano di Gioia Spada scorre così, privo effettivamente di grosse gioie, fino a quando una notte, in fuga dall’ennesima lite tra i genitori, si ritrova presso un bar chiuso (il BarAonda, di cui è rimasta metà insegna, e proprio la parte più inquietante - BarA) e vi trova un ragazzo, con il viso nascosto nel cappuccio della felpa, che gioca da solo a freccette.

Vincendo con naturalezza ogni ritrosia e diffidenza, Gioia si sente incuriosita da questa sconosciuta presenza con cui condivide la solitudine (entrambi sono lì, in un luogo isolato, a un orario improponibile, lontani da casa propria...) e i due iniziano a parlarsi, e a mano a mano che chiacchierano Gioia, per la prima volta, sente di aver trovato qualcuno in grado di comprendere il suo mondo senza giudicarlo, qualcuno che non ride di lei con malizia ma che ride con lei, che la fa sorridere, che la stupisce, che la fa sentire se stessa.

Qualcuno che sembra parlare la sua stessa lingua e per il quale lei non è intraducibile, incomprensibile.

E' solo una sensazione, ovvio, il tipo - che fa un po' il misterioso, ma poi le dice di chiamarsi Lo e imperterrito continua a chiamare Gioia con l'appellativo Cosa - in fondo è un perfetto sconosciuto, ma la sensazione di non essere sola è troppo forte per essere frutto di un abbaglio.

E quando i loro incontri diventano più attesi e intensi, l’amore scoppia senza preavviso, senza che Gioia abbia il tempo di dare un nome a quella strana ed inebriante sensazione che prova; sente e desidera cose mai provate fino ad allora, e un po' ne ha paura e un po' ne è felice, perchè finalmente avverte che qualcosa di bello sta accadendo anche ad una sfigata come lei che ha il marchio maiunagioia.

Quel verso in tedesco, dello scrittore Rilke, che si scrive ogni giorno sul braccio con la penna, forse forse... sta prendendo consistenza per lei, proprio per Gioia Spada?

Wenn ein Glückliches fällt 

E noi che pensiamo la felicità come un’ascesa
ne sentiremmo il tocco, 
che quasi ci sgomenta, 
quando una cosa felice cade.



La felicità le è caduta tra le mani, così... all'improvviso?
Il suo alter ego, Tonia, le dice di stare attenta e le fa notare che questo ragazzo mica è tanto normale: ha comportamenti strani, sembra che stia fuggendo da qualcosa o qualcuno quando si incontra con Gioia... Ma non è che nasconde un segreto?

Ed infatti, Lo, a un certo punto, così come è apparso, scompare...
Gioia non sa dove cercarlo; non sa che davvero Lo nasconde un segreto, ma quando capisce che c'è qualcosa che bolle in pentola, fa di tutto per vederci chiaro e ci riuscirà perchè è la sola che sa leggere gli indizi da lui lasciati. 

Ma per seguirli deve imparare che quella parolina tanto inflazionata - il verbo amare - racchiude in sè tanti significati diversi, non tutti li comprendiamo immediatamente e, soprattutto, a volte alcuni di essi fanno a botte tra loro, e quando pare che abbiamo capito un aspetto dell'amore, ecco che accade un qualcosa che lo smentisce e ci dice che no, era l'esatto contrario.

La verità è che Gioia deve lasciarsi abbacinare.
Cioè???, direte voi.

"Abbacinare è una di quelle che così tanta luce da far male” (...) È per quello che non si può guardare dritti verso il sole, quand’è alto. Fa addirittura male. Non è un caso che l’abbacinamento nasca come una tortura. Troppa luce, troppa felicità, possono anche essere una tortura.»"

A volte la felicità passa per qualche piccola, necessaria... tortura.
Detto così è poco invitante, come esperienza, mi rendo conto, ma pensateci...: se la felicità non fosse frutto di una piccola conquista, se per raggiungerla non dovessimo sudare e soffrire un pochettino, forse non le daremmo il giusto valore.

Gioia è solo un'adolescente, e tutti sappiamo cosa significhi essere adolescenti - salvo dimenticarcene una volta cresciuti -, il groviglio di emozioni, pensieri, contraddizioni, timori, tempeste interiori, voragini di insicurezze, la fame di amore e protezione che si prova anche quando ci si guarda bene dal volerlo ammettere, e l'Autore (che insegna lettere ed è stato nominato nella lista dei migliori cento professori d’Italia) sa come parlarci di tutto questo, avendo egli ogni giorno a che fare con il "pianeta adolescenza", da cui trae spunti per le proprie storie.

E' il primo romanzo che leggo di Galiano ma non sarà di certo l'unico perchè "Eppure cadiamo felici" mi ha rapita, emozionata, mi ha fatto tornare adolescente in certi momenti, e ho rivisto me stessa in tanti tratti di Gioia, nella sua timidezza quasi patologica, nel timore di parlare, esporsi, far domande, approcciarsi ai coetanei con naturalezza, il chiudersi in se stessa, la consapevolezza di avere un sacco di roba, di pensieri, di cose da dire... ma non trovare la forza di condividerle per paura di fare figuracce, di suonare inopportuna..., 
Di non essere capita, di essere, in una parola, intraducibile.

Galiano, attraverso Gioia, ci ricorda che non è così, che c'è spazio per ogni singola persona nel mondo, ognuna ha il proprio posticino, non scambiabile con quello degli altri; forse a volte sembra un posto scomodo, ma in ciascuno sono riposte possibilità, capacità, insomma tutto il bagaglio giusto per essere chi siamo e ciò che possiamo diventare.
Gioia è una protagonista alla quale ci si affeziona: è ironica, intelligente, sensibile, attenta, ed è tanto generosa, pronta a privarsi di ciò che la rende felice se questo è necessario per una felicità ed una causa più grandi.

Tra queste pagine vi troverete amore, amicizia, conflitti genitori-figli, disagi adolescenziali, le schermaglie alunni-professori, vi irriterete con i compagni cattivelli di Gioia, vi appassionerete alla storia e ai misteri di Lo, imparerete parole nuove (in appendice al libro c'è il dizionario delle parole intraducibili della signorina Spada), avrete modo di riflettere su diverse tematiche importanti (che riguardano tanto gli adulti e il loro ruolo, la loro responsabilità verso le giovani generazioni, quanto i ragazzi, che hanno urgente bisogno di modelli di riferimento coerenti, sani, stimolanti, positivi), sorriderete per ciò che di strambo accade a Gioia, in sostanza vi emozionerete e vi dispiacerà arrivare all'ultima pagina e dover lasciare Gioia e il suo mondo.

Di questo romanzo mi è piaciuto tutto: la trama e com'è articolata, le piccole sorprese che essa riserva al lettore, che le vive via via insieme a Gioia; i personaggi, come sono presentati, i loro ruoli nelle dinamiche narrative - non solo la protagonista e il suo innamorato, ma anche il prof. Bove, l'insegnante che tutti vorremmo, saggio, ironico, incoraggiante, che rende la propria materia qualcosa di vivo, concreto per i propri studenti e li "costringe" a riflettere, valutare, autoesaminarsi, farsi domande -, lo stile della narrazione, chiaro, fluente, vicino alla realtà descritta (l'adolescenza), in grado di appassionare, di andare dritto al cuore del lettore.

Come al solito, ho scritto pure troppo e ringrazio i coraggiosi che m'hanno letta tutta.

Devo aggiungere che lo consiglio o si intuisce tra le righe? ^_^


venerdì 11 gennaio 2019

Frammenti di.... EPPURE CADIAMO FELICI



Citazioni tratte dal libro in lettura EPPURE CADIAMO FELICI di Enrico Galiano, di cui troverete la recensione sul blog domani ^_^.



"Il migliore dei mondi possibili è quello dove nessuno ha bisogno di tradurre sé stesso, 
per farsi capire dagli altri."


"...la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nascosta lì, nelle cose inutili:
 nelle cose che cadono, nelle cose che tutti buttano via."





"Sì, l’amore dovrebbe essere sapere già quello che succede, saperlo sempre, anche da lontano, anche da separati, per assurdo, sapere sempre chi è l’altro e cosa vuole e cosa fa e in cosa crede, perché dovrebbe essere come davanti a un quadro o a una canzone o a un libro: se c’è bisogno di spiegarli, allora vuol dire che non sono abbastanza forti,
 abbastanza chiari, veri da spiegarsi da soli."


"Alla fine, trovare qualcuno con cui parlare è difficile, sì,
ma non è quella la cosa più difficile.
Il difficile è trovare chi ti sappia fare le domande giuste,
quelle per cui hai la risposta lì da anni senza neanche saperlo".


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