giovedì 4 giugno 2020

Recensione: LO SCRITTORE SOLITARIO di Nicola Ianuale



Il giovanissimo protagonista di questo romanzo, ammiratore sincero di Francis S. Fitzgerald e del mondo da lui rappresentato ne Il grande Gatsby, a disagio in un tempo e in una società dominata da ipocrisie ed incoerenze, superficialità e voglia di apparire, incontra un ragazzo che condivide la sua stessa visione del mondo e della vita e l'amore per la scrittura.




LO SCRITTORE SOLITARIO 
di Nicola Ianuale


240 pp
"La realtà, Dan, è tanto labile quanto fuorviante; tutti indossano delle maschere e al di sopra di esse ve n’è una sola che le raccoglie e le sovrasta: la maschera della società. In un mondo come questo non c'è spazio per il libero arbitrio e le persone preferiscono rinunciare al loro vero io in favore di una perpetua illusione che li mimetizzi con gli altri."

Daniele Serpico - detto Dan - è un ragazzo di diciassette anni, consapevole di essere irrimediabilmente malato d'apatia.
A renderlo così insofferente verso la società che lo circonda, ed in particolare verso i propri coetanei, è la certezza di essere nato nel periodo storico sbagliato: adora, infatti, i Ruggenti Anni Venti, quel mondo descritto nelle pagine del capolavoro di Fitzgerald, e quando si guarda attorno e vede persone interessate unicamente all'apparenza, alle gratificazioni egoistiche derivanti dall'essere considerati vincenti, a far bella figura sui Social..., capisce di essere un pesce fuor d'acqua in un mondo artefatto, abitato da individui sciocchi, vanesi, che indossano maschere e vivono esistenze finte e vuote.

Questa sua apatia l'ha indotto a mettere da parte l'unica passione in grado di accendere la sua mente: la scrittura.

E proprio quando tutto sembra arido e inutile, ecco che sulla sua strada compare un giovanotto che sembra uscito da un'altra epoca; anzi, che sembra uscito dagli anni descritti nei libri di Fitzgerald!

Questo giovane è William Esposito, talentuoso scrittore emergente; mentre gironzola tra gli scaffali di una libreria di Mersano, Dan si imbatte nel romanzo "Il Poeta d'altri tempi", scritto appunto da William; apprende che questo libro in poco tempo è diventato un bestseller, vincendo anche premi e riconoscimenti importanti, pur non avendo ricevuto la dovuta risonanza a livello mediatico.

Dan si ritrova a divorare questo libro, ritrovandosi nei pensieri e nelle riflessioni dell'autore, che la critica ha elogiato con convinzione, maturando anch'egli un'alta considerazione verso William che, benchè molto giovane, rivela un animo profondo e una grande maturità.

Un giorno, mentre passeggia, scopre che qualcuno ha appena rilevato antica e maestosa villa nella via del Passo Vecchio: questo qualcuno è proprio lo scrittore del momento, William Esposito! 
I due si conoscono e immediatamente nasce un'affinità spirituale, mentale, che li porta ad instaurare un'amicizia intima e sincera.

"Improvvisamente, tutto mi fu più chiaro; almeno per quel che riguardava me e William. Entrambi eravamo legati da un parallelismo non poco indifferente: due scrittori immersi in una realtà frivola e alla ricerca dell'impossibile."

Nonostante i suoi 23 anni, William è incredibilmente colto, saggio, maturo, ha un'idea precisa del mondo e dei tempi in cui sta vivendo, e come Dan,  è cosciente di non sentirsi parte di quest'epoca.
Dan e William si sentono dei perdenti, ma mentre il primo è convinto di esserlo in virtù del fatto che la sua vita è priva di stimoli, di relazioni vere, di aspirazioni..., il secondo, al contrario, è uno scrittore stimato, acclamato, con un tenore di vita elevato, che inevitabilmente lo rende, agli occhi della gente, interessante, una persona da ammirare e della cui amicizia ci si può sentire privilegiati.

In realtà, anche William è un perdente, ma lo è nell'intimo della propria natura, e questo lo rivela in particolare nei suoi scritti.

I due, quindi, si intrattengono in brillanti conversazioni, imparano a conoscersi, anche se Dan si accorge di come il suo nuovo amico non sia del tutto limpido con lui: è come se nascondesse qualcosa, dei pensieri non confessati, un passato che cerca di soffocare.

E quest'aura di mistero lo avvolge anche in quanto scrittore: il fatto che di lui non si abbiano molte notizie biografiche, lo rende oggetto di morboso interesse da  parte di lettori, fans, editori e giornalisti.

Frequentando William, Dan conosce persone a lui vicine, come la sua ragazza Marta: bella, dolce..., sembra davvero innamorata di William. O forse brama solo i vantaggi derivanti dal successo del ragazzo in campo letterario? 
Magari Marta è semplicemente una di quelle ragazze sciocchine, superficiali, alla ricerca di relazioni con uomini vincenti...!
E se su Marta Dan e William nutrono questo genere di dubbi, a catturare l'attenzione di William è una sua vecchia conoscenza, la bella Elena.
Chi è la ragazza per lo scrittore: soltanto un'amica dei tempi della scuola o qualcosa di più?

Il rapporto tra i due ricorda a Dan quello suo con Giulia, una ragazza per la quale lui ha sempre avuto una cotta, purtroppo non ricambiato, avendo lei sempre preferito ragazzi decisamente più "vincenti" e sicuri di sè.

William e Dan sono più simili, nelle proprie esperienze di vita e nella visione del mondo, di quanto si rendano conto, e attraverso l'amicizia con l'altro, Dan imparerà a conoscere meglio se stesso e, in seguito ad un evento tragico, a comprendere la propria "missione" all'interno della società in cui vive.

"Lo scrittore solitario" è un romanzo di formazione particolare, che ha come protagonisti due giovani che vivono ai nostri giorni ma che sembrano isolati dalla vita frenetica del mondo contemporaneo e circondati piuttosto da un'atmosfera "retrò", che si riflette nella scelta del registro linguistico - ricercato e anche un po'  inusuale se consideriamo l'età dei due amici -, oltre che nella caratterizzazione degli stessi, i quali, pur avendo solo 17 e 23 anni, hanno un modo di esprimersi e atteggiarsi "d'altri tempi", come se per loro il tempo fosse fermo agli anni Venti ed essi non accettassero di vivere nell'epoca sbagliata.

Questo modo di essere poco in linea con i loro coetanei può sembrare una nota stonata, e forse lo è volutamente, infatti trovo abbia una sua coerenza e una sua logica, in quanto riflette proprio il senso di  inadeguatezza rispetto al presente e al contesto in cui essi si trovano  - che divide le persone in vincenti e perdenti -, cosa che li spinge a rifiutare di adottare i modi di pensare, di agire e di relazionarsi propri della gioventù di oggi, da cui si sentono lontanissimi.

La consapevolezza di essere dalla parte dei perdenti li porta a guardare gli altri con disprezzo, convinti che attorno a loro ci siano per lo più persone false, interessate solo alle vanità e all'apparire e lontani da quella dimensione nobile ed elevata propria di chi ama la cultura e rigetta tutto ciò che ritiene essere gretto, meschino e finto.
Questa visione porta i due amanti della letteratura a cercare una sorta di conforto proprio nella scrittura, attraverso la quale essi possono essere loro stessi.

Devo ammettere di non essere riuscita ad entrare molto in empatia con Dan e con William, forse proprio in virtù di questo loro insistere sulla contrapposizione perdenti-vincenti, come se fosse un dato di fatto incontrovertibile e immutabile; nondimeno, mi è piaciuto il loro essere così pieni di passione e di fervore nel sostenere la propria posizione e le proprie idee, coerentemente con la loro giovanissima età. 

La presenza della villa imponente e antica, che suscita curiosità in quanto avvolta nel mistero, mi è piaciuta, è un aspetto che trovo sempre intrigante; mi stava piacendo anche il fatto che attorno al passato di William ci fosse qualcosa da svelare, se non fosse che poi questo mistero l'ho trovato poco convincente.
Un altro elemento che ho gradito è stato l'amore per la letteratura, per la scrittura e il riferimento al celebre romanzo di Fitzgerald.

In conclusione, fatta eccezione per pochi aspetti che non mi hanno convinta al 100%, il mio parere su questo romanzo - e ringrazio l'Autore per avermi dato l'opportunità di leggerlo - nel complesso è positivo.
Se siete appassionati del grande Gatsby e cercate una lettura che ruoti attorno al potere che la letteratura e la scrittura hanno di formare la coscienza di una persona, questo libro potrebbe fare al caso vostro. 






mercoledì 3 giugno 2020

Bilancio di letture - Maggio 2020



Il mio maggio, tra letture, musica e tv.






  1. L'APPUNTAMENTO di P. Pulixi. Ogni uomo è libero di operare le scelte che ritiene più giuste in un dato momento, in un posto specifico, in presenza di determinate persone e per le più svariate ragioni. Si chiama libero arbitrio, no? Ma se è vero che siamo liberi di scegliere, è altrettanto vero che non possiamo sfuggire alle conseguenze delle nostre scelte, che ci seguono come segugi fedeli e prima o poi ci chiedono il conto. Nel bene e nel male.
  2. IL GIOCO DEL SUGGERITORE  di D. Carrisi. L'ex-poliziotta Mila Vasquez è costretta a tornare nel buio dell'inferno messo in moto dal diabolico suggeritore. Questa volta dovrà dare la caccia a colui che le ha sottratto l'unico affetto presente nella sua vita, e per farlo si ritroverà ad entrare in una dimensione virtuale dove i confini tra fantasia e realtà sono labili e dove la capacità umana di fare il male si manifesta in tutta la sua violenza.
  3. ALMARINA di V. Parrella. Elisabetta e Almarina: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto in cui la prima lavora e l'altra è detenuta, non saranno più le stesse: una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. Perché non è mai tardi per ricominciare.
  4. PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE?  (a cura di Frank Barat). E' uno di quei "conflitti" che dura da molti, troppi decenni, che vede contrapposti due popoli e ad oggi non v'è stata alcuna soluzione in grado di soddisfare equamente le richieste dell'uno e dell'altro; a dirla tutta, tra i due, uno se la passa meglio, l'altro decisamente peggio. Sto parlando della "questione israelo-palestinese", e in questo libro il giornalista e attivista Frank Barat ha raccolto, attraverso interviste, le opinioni di Noam Chomsky (filosofo, linguista e attivista politico) e Ilan Pappè (storico israeliano antisionista) in merito all'argomento, perché esaminare il "caso palestinese è (…) essenziale per comprendere dove ci collochiamo come esseri umani".
  5. PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA  di S. Vitale. Questo libro ci parla di Giuseppe Impastato ad ampio raggio, a partire dal contesto in cui è nato e cresciuto, in cui si è formato come uomo, come politico, giornalista, passando inevitabilmente per la tragica fine che gli ha fatto fare la mafia, arrivando agli anni successivi alla sua morte e alla "eredità" culturale e umana lasciataci da un giovane che, pur di denunciare le storture presenti nella società in cui viveva, non ha esitato ad andare contro la propria famiglia.
  6. LIVIA LONE di B. Eisler. Il primo capitolo della serie sulla detective Livia Lone ci racconta la orribile esperienza che l'ha profondamente toccata e che l'ha indotta a diventare poliziotta per dedicarsi anima e corpo alla ricerca di gente depravata che si macchia di crimini sessuali.
  7. LA PROFEZIA DELL'ARMADILLO di Zerocalcare. Un fumetto molto bello - dai disegni ai testi -, che con ironia e sense of humor scava nella testolina del protagonista, facendo ora sorridere ora riflettere.
  8. IL SETTIMO SPLENDORE di Favia & Bufi: racconto carino, piacevole, sia graficamente che nei contenuti; forse la storia ha qualche elemento prevedibile e non originalissimo, ma mi è piaciuta l'atmosfera malinconica sullo sfondo parigino.
  9. IL CASALE  di F. Formaggi. Spesso si dice che certe sciagure piovano all'improvviso senza che fosse possibile prevederle. Ma è davvero sempre così? O piuttosto siamo noi a non aver fatto caso ai piccoli segnali che le anticipavano, a non aver dato il giusto peso a certi dettagli? Il protagonista di questo interessante e originale romanzo, attento osservatore, verrà coinvolto in una catena di avvenimenti bizzarri e minacciosi, e riuscire a non farsi inghiottire potrebbe rivelarsi davvero un'impresa difficile...
  10. PAROLE RUBATE di P. Favorito: un reboot, quindi una sorta di remake cinematografico (sono presenti, infatti, tre attori italiani molto noti, che hanno prestato il loro volto per questo fumetto) che narra vicende avventurose ed inquietanti, in un'atmosfera paranormale, in cui l'horror si incrocia con il giallo e fatti e personaggi storici.
  11. IL PERSUASORE  di M. Billingham. Nella medesima sera, in due punti diversi di Londra, due donne vengono uccise allo stesso modo. Il geniale e scomodo detective Tom Thorne conclude che gli assassini cui dare la caccia sono due, uno metodico, freddo e controllato, l'altro succube e remissivo. Due killer che vanno assolutamente fermati.
  12. REAZIONE MORTALE  di D. Boyd. Un avvincente giallo ambientato nel mondo delle corse dei cavalli e delle scommesse; ad indagare sull'assassinio di un giovane stalliere c'è un ispettore caparbio e dall'intuito formidabile, coadiuvato dall'agente Jane, collega e compagna di vita.


Tra queste letture di maggio, sono stata contenta di aver dedicato spazio e tempo a due saggi, quale quello sulla questione Palestina/Israele, e la biografia di Peppino Impastato; tra i romanzi, ho trovato bellissimo e spiazzante il  noir psicologico di Pulixi.


ATTUALMENTE HO IN LETTURA:

- UNA VALIGIA PIENA DI SOGNI di Paullina Simons (young adult);
- L'ULTIMO RINTOCCO di Diego Pitea;
- IL VANGELO EBRAICO di Daniel Boyarin.


PROSSIME RECENSIONI:

- BACI DA POLIGNANO di L. Bianchini
- LO SCRITTORE SOLITARIO di Nicola Ianuale.


FILM

Di bello, ho visto MAGARI diretto da Ginevra Elkann: è la storia di Alma, Jean e Sebastiano, tre
fratelli molto legati tra loro, che da Parigi, città in cui vivono con la madre di fede russo-ortodossa, si ritrovano scaraventati nelle braccia di Carlo, padre italiano, assente, anticonformista e completamente al verde, che non ha alcuna idea di come badare a sé stesso, figuriamoci ai figli.
Siamo a dicembre e la madre dei tre fratelli aspetta un figlio dall'attuale compagno, per evitare stress inutili, pensa bene di mandare i ragazzi dal padre a Roma, ma non ha fatto i conti con l'immaturità (che pure conosce!) di Carlo, il quale, quando si vede arrivare i figli muniti di tutto punto e pronti per una vacanza in montagna, svela che c'è un cambio di programma: lui ha bisogno di lavorare, sta scrivendo una storia per un film, quindi niente montagna: è così bello il mare d'inverno a Sabaudia?

Ovviamente, Carlo - che presenta ai ragazzi la sua attuale fidanzata, Benedetta (la Rohrwacher) - non ha nè tempo nè voglia e nè la pazienza per star dietro ai figli, compito che si prenderà spontaneamente Benedetta, riuscendo ad entrare in sintonia con tutti e tre.

Il film mi è piaciuto perchè narra di una famiglia "disfunzionale" dal punto di vista di una dolce ragazzina, che deve barcamenarsi tra le esigenze e i capricci sia degli adulti che dei fratelli maggiori (che sono tenerissimi quando si abbracciano in silenzio, consolandosi a vicenda per le delusioni dovute agli atteggiamenti immaturi del padre); quello di Alma è uno sguardo ingenuo ma attento, sembra accettare il fatto che i suoi genitori si siano rifatti una vita ma in realtà spera (e prega, con tanto di voti!) segretamente di vedere riconciliati i propri genitori.

A fine vacanza, quando i suoi saranno costretti a vedersi per un piccolo incidente accaduto a uno dei fratellini, ad Alma non resterà che sperare quantomeno che la sua smetta di essere una gabbia di matti per diventare una famiglia allargata più o meno normale. 
Magari un giorno potrebbe succedere...!

Eccezionali i ragazzini che interpretano i tre figli di Riccardo Scamarcio, perfettamente a suo agio nel ruolo di padre distratto, di eterno adolescente che spera di vedere decollare la propria carriera di aspirante scrittore di sceneggiature e che non ha la minima idea di come relazionarsi a tre figli di differente età e che vede molto saltuariamente; Alba Rohrwacher è sempre così eterea, molto easy, svampita ma solo in apparenza, una presenza amica nei confronti dei figli del compagno.
L'atmosfera nostalgica, anni '80, è un tuffo nel passato piacevole, mai pesante o patetica.
Promosso.

Altra cosetta vista in tv è la serie LA CATTEDRALE DEL MARE, che  trovo sia fatta bene e mi sta piacendo per ambientazione (1300, Spagna) e vicende.


FOTO DEL MESE

Non posto mai foto perchè non amo farne, ma questo mese faccio un'eccezione e condivido con voi questa piantina, dono di un bimbo della scuola dell'infanzia che ho in classe. ❤
Mi mancano i miei piccoli alunni.... :-(





LIBRI ACQUISTATI


- BACI DA POLIGNANO di Luca Bianchini;




- IN UN MILIONE DI PICCOLI PEZZI di James Frey.



CANZONE DEL MESE

Su YouTube ho "scovato" questo canale - Acapeldridge - e durante lo scorso mese spesso ho sentito brani come questo che vi posto:





LA CITAZIONE DEL MESE


"Gli uomini guardano il cielo e si stupiscono, 
guardano la terra e si muovono a pietà, 
ma, stranamente, non si accorgono di loro stessi."
(Peppino Impastato)

martedì 2 giugno 2020

Recensione: L'APPUNTAMENTO di Piergiorgio Pulixi



Ogni uomo è libero di operare le scelte che ritiene più giuste in un dato momento, in un posto specifico, in presenza di determinate persone e per le più svariate ragioni.
Si chiama libero arbitrio, no?
Ma se è vero che siamo liberi di scegliere, è altrettanto vero che non possiamo sfuggire alle conseguenze delle nostre scelte, che ci seguono come segugi fedeli e prima o poi ci chiedono il conto.
Nel bene e nel male.



L'APPUNTAMENTO
di Piergiorgio Pulixi



Ed. E/O
144 pp
Cosa c'è di più malinconico e triste di una donna che, seduta al tavolo di un ristorante di lusso, attende a lungo di essere raggiunta dalla persona con cui ha appuntamento?

Il protagonista - nonché voce narrante di questo breve romanzo - è un uomo che ha il vizio di osservare le persone attorno a sé con una tale scrupolosa attenzione da risultare più uno spione che un curioso innocuo.
Ma costui non è semplicemente uno spione indiscreto e, dopo aver  scambiato poche chiacchiere con un amico, decide di raggiungere la bella signora sola.

I due non si sono mai vista prima di allora; iniziano a parlare e da subito appare chiaro come il loro non sarà un incontro normale, né casuale. 

La donna, una bionda quarantacinquenne vestita con sufficiente cura, è lì per incontrare uno sconosciuto con cui sa di dover passare le prossime ore per poter risolvere (seppur solo in parte) un grosso problema di debiti che l'affligge.
Quando si ritrova davanti questo signore elegante, che da subito le lascia capire che è lui l'uomo con cui dovrà avere a che fare quella sera, la donna comprende che sta per infilarsi in una situazione pericolosa, ma la necessità la spinge a stare al gioco del suo interlocutore.

L'uomo è un tipo intelligente, furbo, freddo, sadico, che comincia a fare alla donna domande sempre più inquietanti e morbose, costringendola, dietro il ricatto di rovinare la vita a lei e ai suoi famigliari, a rispondergli.
Ma tra un botta e risposta e l'altro, alla signora appare sempre più chiaro come lui non voglia semplicemente intrufolarsi nel suo privato per un'insana curiosità: no, lo sconosciuto si rivela per ciò che è, ossia un mostro manipolatore e affamato di controllo.

Le sue intenzioni sono palesemente quelle di dimostrare alla povera donna che lei è in suo potere, è nelle sue mani e lui può fare, dire e comandarle ciò che desidera senza che lei possa ribellarsi; o meglio, potrebbe anche farlo - in fondo, nessuno le impedisce fisicamente di alzarsi dalla sedia e lasciare il ristorante - ma lui cinicamente e con un'aria supponente e beffarda, le ricorda che se pure è libera di scegliere cosa fare, non sarà libera dalle conseguenze di queste scelte...

Quindi è vero, la tiene in pugno e lei sente tutto il peso di questa situazione di sottomissione a un uomo che, se solo lo volesse, potrebbe costituire la sua rovina.

Ma chi è costui? E in quale brutto giro s'è cacciata la donna, per dover sottostare a ricatti, a domande scabrose e imbarazzanti, alle quali seguono umiliazioni sempre più crudeli?

Lui sa come spingerla ad assecondarlo, mettendola più volte in situazioni incresciose, che attirano gli sguardi curiosi e sbigottiti delle persone presenti nel ristorante, che guardano la donna con un misto tra stupore, scherno e un pizzico di compatimento.

Quello che si svolge sotto gli occhi del lettore, nella prima parte del libro (che è diviso in tre parti), è un abile e crudele gioco psicologico al massacro a cui la donna non può sottrarsi e che vede l'uomo quale indiscusso manovratore, una sorta di diabolico burattinaio che muove i fili della propria marionetta come vuole, per il puro gusto di vederla soffrire. 

Perché è evidente come quest'uomo si diverta a torturare psicologicamente ed emotivamente la sua vittima attraverso i suoi giochini malvagi e sadici.
La situazione si fa ancora più assurda quando sul palcoscenico di questo spettacolo, grottesco e feroce insieme, interviene, seppure per poco, una comparsa, una donna anch'ella vittima dello stesso sporco giro di debiti e usurai senza scrupoli in cui è invischiata l'altra.

Ma ciò che pare essere già scritto, quello che sembra imporsi come un definito rapporto di dominanza e sottomissione, in cui i ruoli degli attori in gioco sono stati già decisi, viene ribaltato, e il lettore diviene spettatore di tutto un susseguirsi di rivelazioni che cambieranno drasticamente le carte in tavola, i ruoli e il copione, perché nulla è come sembra e le apparenze ingannano. 

I capitoli sono brevi, scanditi dall'ora in cui avvengono le scene, proprio come le sequenze di un film; la narrazione procede attraverso dialoghi molto serrati, seguendo un ritmo incalzante, che accresce via via il livello di tensione e coinvolgimento, tanto da impedirmi personalmente di abbandonare la lettura perché la voglia di scoprire cosa sarebbe accaduto la pagina successiva si faceva sempre più urgente.

Nella seconda parte del libro, quando lo strano appuntamento tra i due interlocutori si è concluso con un colpo di scena, apprendiamo che gli strascichi di quella bizzarra serata al ristorante non si sono dileguati nel nulla, tutt'altro: le scelte fatte dalla donna la seguono e sono lì pronte a venir fuori in tutta la loro drammatica portata.

L'Autore ci riserva magistralmente continui ribaltamenti attraverso avvenimenti improvvisi ed imprevisti, per cui da un momento all'altro la persona che sembrava averla spuntata e fatta franca sull'altra, scopriamo essere vittima di un disegno malefico e più grande di lei, che avanza inflessibile, travolgendo altri innocenti, fino alla inevitabile tragedia finale.

Ma se credete che Pulixi se ne stia tranquillo a guardare noi lettori che accettiamo un corso degli eventi apparentemente già deciso..., e beh, tenetevi pronti perché fino alla fine...





Ho già avuto modo di apprezzare lo scrittore cagliaritano in Lo stupore della notte e L'isola delle anime e di innamorarmi della sua scrittura, della sua bravura nel creare tanto personaggi forti, sapientemente delineati dal punto di vista psicologico, quanto trame ben strutturate, ricche di dinamiche intriganti dove non mancano mai diversi colpi di scena, che rendono ancora più originale e avvincente ogni sua opera.

Tra le pagine di questo sorprendente noir psicologico, dove la suspense tiene compagnia al lettore dall'inizio alla fine, vengono a galla il marcio e la brutalità latente nell'essere umano, le sue perversioni, la voglia ossessiva di controllo e manipolazione, e ancora il pericolo che questo mondo virtuale, in cui siamo immersi ogni giorno, costituisce per  ciascuno di noi e per la nostra privacy, visto che, acquattati nelle fitte e impalpabili maglie della rete, si nascondono lupi alla ricerca di agnelli da divorare.

Non so, mica si intuisce vagamente che STRAconsiglio non solo il presente libro ma in generale questo scrittore? ^_^

lunedì 1 giugno 2020

Anteprima AmazonPub.: "Il killer delle tombe" di Alexander Hartung



Lettori che amate i thriller, eccone uno per voi in uscita il 9 giugno:

Il killer delle tombe (Jan Tommen Vol. 2) di Alexander Hartung (4,99€  eBook, 9,99€ cartaceo).


                                              LINK

Non aveva mai avuto a che fare con un serial killer così abile

È sera. Un uomo in lacrime chiama il pronto intervento di Berlino. È al cimitero e ha appena trovato la propria tomba. 
Con la data della sua morte: l’indomani. La giovane centralinista gli consiglia di rivolgersi al posto di polizia più vicino, ma ha sottovalutato la situazione. 
Il giorno dopo l’uomo viene rinvenuto nella propria fossa col cranio fracassato.
Quello che sembra iniziare come uno scherzo di cattivo gusto, diventerà presto un autentico incubo per Jan Tommen e la sua squadra di inquirenti ben poco convenzionale: Chandu l’esattore, Max l’hacker informatico e Zoe il medico legale.
Nel frattempo continuano ad affiorare nuove tombe, con le loro promesse di morte. La polizia assiste impotente, perché nessuno è in grado di proteggere le vittime annunciate da un serial killer inafferrabile, scaltro quanto anomalo.

L'autore
Alexander Hartung è nato a Mannheim, in Germania, nel 1970. Ha iniziato a scrivere durante gli studi universitari, scoprendo la propria passione per i polizieschi. Con i volumi della serie che ha per protagonista Jan Tommen, e inaugurata con Un debito è per sempre, è arrivato in vetta alla classifica dei bestseller di Amazon.

Potete trovarlo su Facebook: https://www.facebook.com/Alexander-Hartung-246584332916/

domenica 31 maggio 2020

Recensione: ALMARINA di Valeria Parrella


Elisabetta e Almarina: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto in cui la prima lavora e l'altra è detenuta, non saranno più le stesse: una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 
Perché non è mai tardi per ricominciare.


ALMARINA
di Valeria Parrella



Einaudi
136 pp
"Almarina non aveva ricordi cosí ed era stata vestita di carta, ma possedeva la luce del futuro negli occhi: e il futuro comincia adesso."  

 Elisabetta Maiorano vive a Napoli, è una vedova di cinquant'anni, insegnante di matematica nel carcere minorile di Nisida.

Ogni mattina si reca a lavoro, seguendo una routine quotidiana alla quale è abituata e che fa ormai parte della sua vita solitaria: quando la sbarra si alza, dopo aver chiuso in un armadietto non solo la propria borsa ma anche tutti pensieri, le ansie e le tristezze che sono un po' di Napoli e un po' sue, Elisabetta raggiunge i suoi ragazzi in questo luogo in cui il tempo pare allargarsi e sospendersi, un carcere sull'acqua dove le colpe possono sciogliersi e sparire. 

E in un piccolo spazio a fare da aula, finalmente senza sbarre, a simulare una sorta di vita scolastica "normale", la donna cerca di fare della sua professione una missione, dando il suo personale contributo per far sì che a questi giovani detenuti sia data la possibilità di imbastire il proprio futuro, com'è giusto che sia:

"La nostra speranza, credo, è che quel giorno, ora lontano, in cui avranno scontato tutta la pena, tornerà loro nelle mani questa chiave, e dagli archivi spalancati voleranno fogli bianchi senza piú inchiostro sopra, immacolati, come il bucato steso alle terrazze."

La protagonista e voce narrante, Elisabetta, è una donna sola ed insicura, alla (inconsapevole?) ricerca di se stessa, la cui esistenza è contrassegnata, appunto, dalla solitudine: il marito Antonio è morto da tre anni, lasciandola sola; non ha figli e con le sorelle di lui non ha un buon rapporto.

A farle compagnia, quindi, ci sono le fantasticherie su un uomo che non le appartiene e i ricordi di una felicità che pare essersi dissolta per sempre; giorni grigi e fissi, tutti uguali, fino alla mattina in cui i suoi occhi incrociano quelli di una nuova alunna arrivata nella sua classe, a Nisida: è Almarina, un'adolescente romena dal passato difficile (chi, tra questi ragazzi, non ce l'ha?), che ce la mette tutta e chissà... forse, nonostante tutto il brutto e il male vissuto finora, ad attenderla c'è qualcosa di buono oltre quelle sbarre?
Per adesso, quando alza gli occhi deve accontentarsi di immaginare l'orizzonte attraverso una porta chiusa, oltre  la quale c'è la libertà.

Elisabetta ha conosciuto tanti ragazzi e ragazze da quando insegna nel carcere, e non di rado s'è affezionata a qualcuno; e adesso sente di voler provare ad andare oltre il mero sentimento, di fare qualcosa di concreto per dare una possibilità a questa giovane che con la sua presenza ha dischiuso una luce nuova nel suo cuore.

Ma in realtà, quella che sembra essere l'opportunità offerta da un'insegnante empatica e altruista ad una ragazza che la vita ha messo tra le sbarre, si rivela come un dono per la stessa Elisabetta, che con i giorni, a contatto con quella ragazzina che splende benché abbia attraversato il buio della violenza e della separazione dal fratellino, matura il desiderio di lasciar entrare Almarina nella propria esistenza attualmente scevra di affetti.

Quello tra lei ed Almarina è un legame affettivo sincero, disinteressato, genuino, che nasce spontaneamente nella testa e nel cuore di due creature diverse e in fondo estranee, ma così simili nelle loro personali solitudini.
Due piccoli pianeti che, senza volerlo, si ritrovano sulla stessa traiettoria: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto non saranno più le stesse, una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 

Perchè c'è sempre un modo e un tempo per ricominciare, per lasciarsi dietro le spalle gli sbagli, i pregiudizi, i timori, i lutti e le perdite.

"Voi che giudicate siete disposti a credere ai colpi di fulmine, ma altre forme d’amore improvviso vi mettono in sospetto. (...) Volete che l’amore proceda per gradi, vorreste intravederne un percorso lineare, guardare, morbosi, tutto. Invece no, non si guarda: il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici. Io mi sono legata ad Almarina cosí, mentre guardavamo il mare".

Con una scrittura che sa essere tanto asciutta e ruvida quanto delicata e poetica, attraverso il racconto di un presente in cui trovano spazio frammenti del passato della protagonista, Valeria Parrella ci narra una storia fatta di amore, paura, desiderio di riscatto e di espiazione, di speranza per il futuro, di affetti - alcuni perduti (e allo stesso tempo custoditi nel cuore), altri cercati e trovati in un posto tra i più improbabili che ci siano: un carcere.

"...il carcere è un dolore che non finisce, da cui non puoi mai distrarti. Chiunque varchi la porta di un carcere lo sa (e se non lo sa, lo sente) che sta passando da un’altra parte inconciliabile con la promessa che ci fecero da bambini: che la vita non avrebbe fatto paura, e non saremmo mai rimasti soli. Il carcere invece è paura e solitudine. In carcere ti addormenti e quando ti svegli sei in carcere. In carcere impari presto che meno fai meglio è."

Se con lo stile dell'Autrice ho dovuto prendere gradualmente confidenza, a convincermi da subito è stata l'ambientazione, che dà un carattere sociale e politico a questo romanzo: il carcere minorile di Nisida, un luogo "protetto", un dentro con confini precisi, dove sostano singole giovani vite in attesa che il loro destino prenda forma, contrapposto alla bella e vivace Napoli, al fuori, che è sì sinonimo di libertà ma anche di pericolo, perché quei giovanissimi detenuti, una volta usciti fuori, "torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui".


Finalista del premio Grinzane Cavour 2020, Almarina è nella dozzina del Premio Strega 2020. 

giovedì 28 maggio 2020

Recensione: IL GIOCO DEL SUGGERITORE di Donato Carrisi



L'ex-poliziotta Mila Vasquez è costretta a tornare nel buio dell'inferno messo in moto dal diabolico suggeritore.
Questa volta dovrà dare la caccia a colui che le ha sottratto l'unico affetto presente nella sua vita, e per farlo si ritroverà ad entrare in una dimensione virtuale dove i confini tra fantasia e realtà sono labili e dove la capacità umana di fare il male si manifesta in tutta la sua violenza.


IL GIOCO DEL SUGGERITORE 
di Donato Carrisi



Longanesi
389 pp
E' sera quando una donna, spaventata, chiama la polizia per segnalare che all'esterno della sua casa c'è un uomo, che pare non avere buone intenzioni.
Purtroppo, complice il fatto che l'abitazione sia una fattoria isolata, a una quindicina di chilometri dalla città, e che quella notte scoppi un violento temporale, la prima pattuglia disponibile riesce a giungere sul posto soltanto diverse ore dopo, quando sarà ormai troppo tardi.
All'arrivo della polizia, la tragedia si è già abbattuta sulla famiglia; perché qualcosa dev'essere necessariamente accaduto tra quelle mura, visto il sangue che c'è... Il punto è che in quella casa non c'è nessuno, e se è avvenuta una carneficina, dove sono i cadaveri?
I corpi dei membri della famiglia Anderson non ci sono... 
Cosa è successo tra quelle mura?
Se in quella maledetta notte un uomo è entrato nella casa in campagna degli Anderson e li ha uccisi tutti, che ne ha fatto dei corpi senza vita di Karl, della moglie e delle loro due povere bambine?

Eppure non passa molto che il presunto omicida viene individuato e arrestato, grazie ad una telefonata anonima.
L'uomo sembra aspettare i poliziotti, infatti non oppone resistenza e l'operazione procede liscia come l'olio; non confesserà l'omicidio, anzi non aprirà bocca, ma ad inquietare gli inquirenti è il fatto che il corpo del presunto assassino sia ricoperto di una serie indecifrabile di numeri tatuati.

Siamo in presenza di un folle omicida?

Per sciogliere i tanti interrogativi, il giudice Shutton decide di coinvolgere nelle indagini la sola persona in grado di capire cosa ci sia dietro, quali significati misteriosi e malefici si celino dietro quelle sequenze numeriche che il cosiddetto "Uomo tatuato" ha sulla propria pelle.

Questa persona però non è più una poliziotta; non solo, ma dopo l'ultimo caso  ha deciso di riporre in un cassetto chiuso a chiave il distintivo (la pistola no, di quella purtroppo c'è bisogno) e di ritirarsi a vita privata, assieme alla figlia di dieci anni, Alice: Mila Vasquez ha promesso a se stessa di tenersi lontana da quel buio gelido e spaventoso nel quale si nascondono e agiscono i "cattivi" cui ha sempre dato la caccia fino a un anno prima, quando ancora lavorava nel Limbo, cioè nella sezione investigativa che si occupa di cercare le persone scomparse.
Certo, dentro di lei c'è sempre quella voce sinistra e sgradevole che sussurra, maligna: "E' dal buio che vengo. Ed è al buio che ogni tanto devo ritornare...", ma Mila sa che ormai ha deciso: la sua esistenza è all'insegna della tranquillità e dell'isolamento, in riva a un lago, con la sola compagnia della piccola Alice.

Purtroppo per lei, viene coinvolta suo malgrado nel caso dell'Uomo tatuato, chiamato anche Enigma: questa indagine sembra riguardarla da vicino. Più di quanto lei stessa creda. 

Facendo leva sul proprio senso di responsabilità, Mila si lascia tirare dentro un incubo contrassegnato inevitabilmente da morte e sangue: se davvero Enigma ha ucciso gli Anderson, perché l'ha fatto? Come li conosceva e perchè ha scelto proprio loro?

Cominciando a scavare nella vita della povera famiglia trucidata, Mila scopre il motivo che c'era dietro la drastica (e discutibile, per certi versi) scelta di Karl di far vivere i propri cari isolati da tutti (in primis dalla tecnologia, da internet...): forse l'uomo nascondeva un oscuro segreto, un "vizietto" apparentemente innocuo che gli è sfuggito di mano e che l'ha introdotto in un mondo parallelo a quello reale in cui si può provare ad essere qualcosa di diverso da ciò che si è davvero, e ad essere protagonisti di azioni che nella vita di ogni giorno non si ha il coraggio di commettere...

"Non c'era bisogno di avere un alter ego in un maledetto mondo virtuale. conduciamo una doppia esistenza anche senza internet. Perchè una parte di noi - la più profonda e irraggiungibile - vive di vita propria. Con lei odiamo in segreto, invidiamo di nascosto gli altri augurando loro ogni male, manipoliamo, mentiamo. La usiamo per sopraffare i deboli. La nutriamo con le peggiori perversioni, permettendole di fare tutto ciò che vuole dentro di noi. E infine le diamo la colpa per ciò che siamo."

Mila apprende l'esistenza di un gioco virtuale creato col proposito  di replicare una dimensione parallela a quella reale, una sorta di società perfetta in cui i partecipanti al gioco sono liberi di essere e fare ciò che vogliono, ad es. di realizzare - seppur solo "per finta" - i propri sogni e desideri, che purtroppo nella realtà non riescono a concretizzare.
Una sorta di esperimento sociale, creato non da degli sprovveduti, bensì da gente che aveva ben chiaro come utilizzare l'intelligenza artificiale; purtroppo il controllo di questo programma col tempo è sfuggito, dando vita a deviazioni malate e perverse...
Sì, perchè è il rischio che può verificarsi quando in questa realtà virtuale una persona porta il seme del male, tutta la propria voglia (repressa nella vita vera) di attuare propositi violenti, dando sfogo a quella malvagità che è lì acquattata da chissà quanto in un angolo della mente e che aspettava solo il momento opportuno per manifestarsi in tutta la sua virulenza!

"Internet è un'enorme spugna: assorbe ciò che siamo, soprattutto il peggio. Nella vita reale siamo costretti ad adattarci per convivere con gli altri, a scendere a compromessi con la nostra natura, ad accettare leggi e convenzioni. A volte dobbiamo anche indossare una maschera, ma è inevitabile: altrimenti non riusciremmo a far parte della società... In rete invece ci sentiamo liberi da tutta questa ipocrisia, ma è soltanto un'illusione: ci hanno semplicemente lasciati soli con i nostri demoni".


Basta prendere in mano un joystick, avere di fronte a sè un computer degli anni '80 e inforcare un visore, per vivere esperienze che, per quanto illusorie e fittizie, "regalano" sensazioni forti e molto reali, e soprattutto mettono alla prova la psiche, che molto facilmente si abitua alla dimensione virtuale creata nel gioco, manipolandola, spingendola a concepire disegni e propositi oscuri...

E se c'è qualcuno che sa come sussurrare e persuadere le menti più suggestionabili a fare il male, quello è il Suggeritore.

"Lo scopo del suggeritore non è solo mostrarsi il suo mirabile disegno di morte e distruzione (...). Lui vuole entrarti nella testa... Qualunque cosa tu faccia, per quanto tu possa essere preparato, non potrai impedirglielo. (...) E quando tu pensi che sia finita, non lo è: l'orrore intorno a te svanisce, ma lui è ancora qui" disse e si toccò la tempia."

L'indagine sulla triste sorte degli Anderson conduce, attraverso codici e coordinate da decifrare e incursioni nel gioco virtuale, l'ex-poliziotta in un inferno che diventerà personale, perchè vedrà coinvolta la piccola Alice.
Chi conosce la Vasquez - per aver letto i precedenti libri della saga del Suggeritore - sa che una delle sue peculiarità è la sua incapacità a provare empatia, a sentire e manifestare sentimenti ed emozioni (alessitimia); un "gelo dell'anima" che la perseguita, la tormenta e la fa sentire in colpa, ma allo stesso tempo l'aiuta a restare lucida e razionale quando si tratta di risolvere casi di sparizione, dove il coinvolgimento emotivo è più un ostacolo che un aiuto.

Al suo fianco c'è l'amico ed ex-collega Simon Berish, l'esperto di interrogatori, e la sua presenza sarà importante per aiutare Mila nel mettere insieme tutti i contorti pezzi che la porteranno a sciogliere i tanti misteri che via via si impongono alla sua attenzione.

La comprensione del passato è imprescindibile per capire il presente, ed infatti Mila dovrà attingere dai documenti del Limbo e da specifici casi irrisolti di ragazzi scomparsi anni prima, per arrivare a veder chiaro il diabolico gioco di Enigma, un gioco con il quale egli vuole sfidare personalmente Mila e mettere in dubbio le sue certezze, confondendola e facendo leva sulle sue debolezze.

Come accaduto già in precedenza, Mila si troverà spesso davanti a bivi e scelte da prendere; dovrà stare attenta e riconoscere i nemici, anche tra coloro che sembrano essere dalla sua parte.


Le trame di Carrisi sono sempre "labirintiche", complesse e tortuose; c'è tanta roba in questo libro, e in certi momenti, durante la lettura, mi appuntavo qualcosa per non ingarbugliarmi e non perdere il filo.
Mi rendo conto che questo modo di narrare può essere, per molti, un difetto più che un pregio, perché più "carne al fuoco" c'è, più avverti che l'autore si impegna a rendere le vicende complicate e ricche di colpi di scena e sorprese..., e più tutto questo questo potrebbe apparire come una grande forzatura, che rende poi poco credibile la storia.

Dico questo perché mi è capitato di leggere pareri di altri lettori che si soffermano su questo aspetto e non lo apprezzano del tutto, ma... io devo ammettere di non riuscire a considerarlo un difetto; mi spiego: io resto letteralmente affascinata da tutti gli intrecci contorti creati da Carrisi, mi spiazzano, stuzzicano la mia curiosità, impennano il livello di suspense, e personalmente ho gradito l'introduzione dell'elemento virtuale (in rete ci creiamo un'altra vita, ci mettiamo una maschera, ci sentiamo protetti e al sicuro dietro una tastiera e uno schermo, e quindi liberi di mostrarci per ciò che non siamo ma vorremmo essere) in quanto molto attuale.

Come nel precedente romanzo (L'uomo del labirinto), anche qui non manca la presenza dei narcotici, la cui assunzione manovra e condiziona la mente, rendendo labile e confusa la distinzione tra realtà e finzione.

Mi cattura sempre l'attenzione posta al male come qualcosa che si nasconde in persone all'apparenza innocue, "normali"; nei libri di questo scrittore c'è sempre il concetto che i mostri non nascono tali, lo diventano, e che 

"I mostri non sanno di essere mostri. (...) Covano dentro di sè un'insoddisfazione, una debolezza. Enigma sa riconoscerli, li intercetta, li avvicina. E' capace di blandirli, sa come conquistare la loro fiducia. E li convince con la sua menzogna... (...) Che possono essere tutto ciò che desiderano. Che le loro fantasie, anche le più malate, non sono un errore. Che anche se coltivano in se stessi un bolo segreto di violenza, non c'è niente di sbagliato in loro." 

Leggere Carrisi per me è come stare sulle montagne russe, un up and down continuo che mi tiene col fiato sospeso, mi insinua dubbi, crea interrogativi, gioca a darmi certezze che poi puntualmente mi crollano come un castello di carta, e tutto questo mi piace da matti, come mi piace il fatto che fino all'ultima pagina non so mai quale colpo di scena mi aspetta; il finale mi soddisfa e al contempo mi tiene sospesa e, più di tutto, mi fa desiderare di leggere un'altra storia creata dalla magistrale penna di Donato Carrisi. 

Per me è promosso, come sempre e non potrei fare diversamente.

I love you, Donà. 



domenica 24 maggio 2020

RECENSIONE: PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? (a cura di Frank Barat)



E' uno di quei "conflitti" che dura da molti, troppi decenni, che vede contrapposti due popoli e ad oggi non v'è stata alcuna soluzione in grado di soddisfare equamente le richieste dell'uno e dell'altro; a dirla tutta, tra i due, uno se la passa meglio, l'altro decisamente peggio.

Sto parlando della "questione israelo-palestinese", e in questo libro il giornalista e attivista Frank Barat ha raccolto, attraverso interviste, le opinioni di Noam Chomsky (filosofo, linguista e attivista politico) e Ilan Pappè (storico israeliano antisionista) in merito all'argomento, perché esaminare il "caso palestinese è (…) essenziale per comprendere dove ci collochiamo come esseri umani".




PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? 
(Noam Chomsky - Ilan Pappè)
a cura di Frank Barat



Fazi Ed.
trad. M. Zurlo
223 pp
Ho letto questo testo spinta dal desiderio di approfondire la tematica in oggetto e ammetto di essermi lasciata guidare, nella scelta, dal fatto che in esso sia esposto il pensiero di Chomsky (autore studiato ai tempi universitari) e che Pappè sia un israeliano; di entrambi confesso di non aver mai saputo, prima d'ora, la loro posizione circa la questione Israele/Palestina.
In pratica, mi sono accostata a questo volume un po' "alla cieca" e cercando, soprattutto, di mettere da parte eventuali preconcetti e saperi precostituiti, leggendo quindi gli interventi dei tre autori con la mente più sgombra possibile.

Più di tutto, però, mi auguro di non scrivere inesattezze e di riuscire a darvi un'idea chiara di quello che è la posizione assunta da Pappè, Chomsky e lo stesso Barat, espressa tra queste pagine.

Le idee sostenute da Noam Chomsky e Ilan Pappé si propongono di offrire un approccio alla questione israelo-palestinese che renda chiaro come sia urgente e necessario porre fine a quello che essi esplicitamente identificano come un'opera di ‘insediamento’ e ‘colonizzazione’ da parte dello Stato d'Israele a danno del popolo palestinese.

"Ristabilire l’equazione “Sionismo uguale a Colonialismo” risulta di cruciale importanza non soltanto perché chiarisce al meglio le politiche israeliane di giudaizzazione all’interno di Israele e le politiche insediative in Cisgiordania, ma soprattutto perché è perfettamente coerente con il modo in cui i primi sionisti percepivano e descrivevano il loro progetto."


Non affrontare il problema, evitando di chiamare le cose col loro nome, significa condannare all'oblio un'intera popolazione, per questa ragione è necessario denunciare quella che è la vera natura di Israele - un paese colonizzatore -, spingere la comunità internazionale a prendere una posizione ferma contro le sue politiche d'occupazione e provare a capire quale potrebbe essere una possibile soluzione a un conflitto che va avanti da anni, a scapito di troppe vittime innocenti.

"Al cuore del conflitto che imperversa dal 1882 vi è sempre stato il desiderio di trasformare la multietnica Palestina in uno spazio etnicamente puro. Questa spinta, mai condannata né ostacolata da un mondo che stava a guardare senza far nulla, portò nel 1948 all’espulsione di 750.000 persone (la metà della popolazione del paese), alla distruzione di oltre 500 villaggi e alla demolizione di
decine di città."


Ilan Pappè parla esplicitamente di "genocidio progressivo", risultato inevitabile della strategia complessiva di Israele in tutta la Palestina in generale, e nei territori occupati nel 1967 in particolare.

In virtù di questo, ha ancora senso parlare ancora di Palestina e Israele usando espressioni come "processo di pace", "soluzione a due Stati", "partizione"?
O forse è più giusto porre la questione nei termini di "decolonizzazione" e "cambio di regime"?


Dalle conversazioni tra Pappè-Chomsky e Barat emergono alcuni punti fondamentali:

1. Quanto è davvero realizzabile la cosiddetta "soluzione dei due stati" (cioè la creazione di due Stati separati nella parte occidentale della Palestina storica, uno ebraico e l'altro arabo)?
Questa "proposta" - sostiene Chomsky - ha il solo merito di contare su un enorme appoggio internazionale e se finora non si è realizzata è per colpa degli Stati Uniti.

E se anche si arrivasse a questa soluzione, chi ne trarrebbe vantaggio: entrambi i popoli o piuttosto solo uno di essi?
E' fin troppo probabile che "la versione sionista dei due Stati" non sia altro che una via accettata dal mondo Occidentale per realizzare una Palestina ebraica, estesa su “appena” l’80% dell’area; la riconciliazione con i palestinesi resta una chimera: l'unico desiderio di Israele è controllare quanta più terra possibile, avendo tra i piedi un numero limitatissimo di palestinesi (zero è anche meglio).


2. Pensare sia realmente fattibile la soluzione summenzionata significa non essere realisti, secondo Pappè: l’unica chance per contrastare il sionismo in Palestina è una campagna per i diritti umani e civili che non si ostini ad operare distinguo tra una violazione e l’altra, e che indichi con precisione chi è la vittima e chi il carnefice.
Inoltre, ciò che serve è trovare un modo per modificare le relazioni tra le comunità e creare una struttura di potere, politica, ideologica, costituzionale e socioeconomica che valga per tutti gli abitanti della Palestina, non solo dello Stato di Israele.

"Nella mia ottica, quindi, sostenere la soluzione a uno Stato significa portare avanti un’attività di militanza che convinca tutti a immaginare l’intera area come un’unica terra e l’intera popolazione come un unico popolo."

3.  Perché si diffonda un approccio più giusto alla questione palestinese, non si può prescindere dal "denunciare" (tra le altre cose) anche come il sapere e le informazioni siano (state) manipolate in modo da contrapporre - al cospetto dell'opinione pubblica internazionale - Israele quale “unica democrazia del Medio Oriente” vs gli arabi palestinesi dipinti come una masnada di terroristi folli e violenti o, nella migliore delle ipotesi, "semplicemente arretrati".

Il popolo di Gaza e di altre aree della Palestina è deluso nel constatare come a livello internazionale manchi una risposta decisa di fronte al perdurare dell'opera di devastazione portata avanti da Israele, che dal canto suo ha elaborato una narrazione convincente per giustificare quel massacro: che altro può fare se non difendersi da Hamas? Di fronte alle aggressioni degli arabi, Israele ha il dovere di reagire per legittima difesa.

Questo voler manipolare o nascondere la verità storica non è rivolto soltanto all'esterno di Israele, ma anche "all'interno", cioè indottrinando i propri giovani e inducendoli a "disumanizzare i palestinesi", annullando sul nascere ogni forma di empatia verso di loro.


4. Ma è possibile "criticare" l'antisionismo - si chiedono i tre attivisti - senza incorrere in accuse di antisemitismo?  Si è liberi o no di pensare e dichiarare che Israele sia un regime non democratico, segregazionista e razzista nei confronti dei palestinesi?


Barat ragiona con i due autori anche in merito all'attivismo pro Palestina, che non dovrebbe limitarsi - non che non sia importante, ovvio - a smuovere l'opinione pubblica internazionale e a sensibilizzarla in merito ai soprusi che i palestinesi subiscono a causa dell'occupazione israeliana, ma soprattutto a pensare a come attuare strategie pratiche che mirino ad ottenere risultati tangibili per i palestinesi.

A questo proposito, è indispensabile conoscere, informarsi seriamente, sapere cosa accade ogni giorno nella striscia di Gaza, senza pregiudizi, mistificazioni.

A Gaza (…) la norma è un’esistenza miserabile in un crudele e devastante stadio d’assedio, gestito da Israele in modo da garantire la mera sopravvivenza e nulla più. Da quattordici anni, la norma è che Israele uccide in media oltre due bambini palestinesi alla settimana.


Nell'ultima parte del libro si  traccia il ritratto di "com'è la situazione a Gaza", come vivono le persone ogni giorno: è un assedio quotidiano, che incide - e non potrebbe essere altrimenti - sulla popolazione in termini di sofferenze di ogni genere, e questo col beneplacito non solo di Israele ma anche degli USA, che lo appoggiano, e dell'Europa che tace e non fa nulla.


"Il silenzio del mondo su questo crimine contro l’umanità (l’espressione con cui il vocabolario del diritto internazionale definisce in generale la pulizia etnica) ha fatto della pulizia etnica l’impalcatura ideologica sulla quale è stato edificato lo Stato ebraico."


Tanto Chomsky quanto Pappè si dicono comunque abbastanza fiduciosi del fatto che la violazione sistematica dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale sia sotto gli occhi di tutti e non sia più possibile girare la testa dall'altra parte; questa consapevolezza  pare stia facendo mutare anche, negli ultimi anni,  l’opinione pubblica statunitense, soprattutto tra i giovani.

Il libro è molto scorrevole, anche per com'è strutturato - conversazioni a tre, con Barat che guida attraverso specifiche domande; consigliato a chi vuole approfondire l'argomento, informarsi, magari accostandosi anche a posizioni non necessariamente vicinissime alle proprie. Del resto, confrontarci con chi la pensa diversamente da noi non dovrebbe mai spaventarci, né tantomeno dovremmo privarci della possibilità di rivedere il nostro pensiero e metterci in discussione.



"Conoscere è il primo passo verso una soluzione". 

(Vittorio Arrigoni)

sabato 23 maggio 2020

RECENSIONE: PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA di Salvo Vitale



Nella Giornata della Legalità ho pensato di ricordare insieme a voi un uomo che ha fatto della lotta alla mafia lo scopo della sua (purtroppo breve) vita, lasciando un segno indelebile non soltanto nella "sua" Sicilia, ma in tutti coloro che abbracciano i suoi stessi valori, il suo coraggio e il suo ardore.
Questo libro ci parla di Giuseppe Impastato ad ampio raggio, a partire dal contesto in cui è nato e cresciuto, in cui si è formato come uomo, come politico, giornalista, passando inevitabilmente per la tragica fine che gli ha fatto fare la mafia, arrivando agli anni successivi alla sua morte e alla "eredità" culturale e umana lasciataci da un giovane che, pur di denunciare le storture presenti nella società in cui viveva, non ha esitato ad andare contro la propria famiglia.



PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA 
di Salvo Vitale


Rubbettino Editore
318 pp
« Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia»

Il libro di Salvo Vitale ci racconta la storia di Peppino Impastato - del quale è stato amico, condividendone le battaglie sociali -, di questo giovane nato a Cinisi, piccolo centro vicino a Palermo,
e con grande accuratezza ci fornisce informazioni di carattere storico, sociale, demografico del luogo; leggiamo di come la presenza mafiosa incidesse sulle attività commerciali, edilizie, e di come abbia in qualche modo "segnato" l'esistenza di Peppino prima ancora che egli nascesse.

Sì perché la mafia era già in "casa sua", quand'egli è nato, essendo suo padre Luigi imparentato con don Tomasi Impa­sta­to, capomafia di Cinisi nell’immediato dopoguerra.

Apprendiamo, quindi, quanto contassero i legami familiari, la centralità di Tano Badalamenti, il sistema scolastico di quei tempi - così privo di qualsiasi valenza pedagogica, di rispetto per il bambino e i suoi bisogni -, i primi approcci di Peppino alla politica e alle tematiche sociali, e come le sue idee lo abbiano allontanato irrimediabilmente dal padre, che si vergognava di avere un figlio comunista.

Luigi non può sopportare l'onta di questa pecora nera in famiglia (che figura ci fa coi parenti!?), così lo caccia di casa ma, forte delle sua formazione comunista, il giovane avvia un'attività politico-culturale contro il silenzio e le diffuse connivenze mafiose.

Dalla protesta in piazza ai giornali volanti alle manifestazioni improvvisate, Peppino arriva infine all'uso politico di una radio libera autofinanziata, Radio Aut, e dai suoi microfoni non teme di fare nomi e cognomi, denunciando gli interessi che ruotano intorno all'ampliamento dell'aeroporto di Punta Raisi, e mettendo con le spalle al muro il boss Tano Badalamenti.

Si potrebbe legittimamente essere portati a pensare che Impastato si sia avvicinato precocemente alla politica a partire da una sua precisa  esigenza di reagire ad una condizione familiare insostenibile, e sicuramente in parte è così, ma quella che è iniziata come una "missione personale" si è poi trasformata in qualcosa di più ampio e strutturato.

"Egli era un “politico” nel vero senso della parola, un uomo che aveva un’ideologia in cui credere e per la quale lottare".


E questa lotta la portava avanti con le "armi" che gli erano più congeniali: quelle della cultura, dell’ideologia.

"Il principio era quello di rifiutare la politica istituzionale, sostituendo ad essa, come cultura politica, la cura del personale e la ricerca di soddisfazione dei propri bisogni: tuttavia, anche in questo, non si ricercavano solo i bisogni propri della società perbenista, ma se ne scoprivano altri, quali il socializzare per una realtà migliore ed egalitaria."

Emerge, dal dettagliato ritratto che di Giuseppe Impastato ci viene offerto in queste pagine, come la sua opera fosse essenzialmente di natura pedagogica: puntava sull’uomo, per educarlo a cambiare gradualmente il proprio atteggiamento acritico nei confronti dei modelli impliciti del potere.

Ma evidentemente la sua battaglia dava fastidio a qualcuno che, purtroppo, aveva gli strumenti per interromperla.
E' la notte del 9 maggio 1978.

Alle ore 1,40 un'esplosione si verifica dopo il passaggio dell’ultimo treno della linea Palermo-Trapani; la rotaia è divelta e verranno trovati brandelli di resti umani e di indumenti nel raggio di 300 metri.
Non ci saranno dubbi sul fatto che la persona deceduta sia Giuseppe Impastato.

Si tenterà di far passare la cosa come una morte "accidentale", avvenuta in seguito al fallimentare tentativo di un atto terroristico da parte della "vittima", per poi cercare di insistere sulla tesi del suicidio…, ma la verità - per la quale gli amici e la famiglia di Peppino si batteranno - verrà fuori: Peppino è stato ucciso dalla mafia, questo dev'essere chiaro a tutti e i colpevoli devono venir fuori prima o poi.
Non sarà un percorso facile quello che porterà a inchiodare coloro che hanno assassinato Peppino; nel maggio 1984 il consigliere istruttore Antonino Caponnetto, a sei anni dal delitto firma la sentenza definitiva: «Omicidio ad opera di ignoti».

L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti, dopo quattro anni di processo, è condannato all'ergastolo come mandante e responsabile dell'omicidio di Peppino.

E' un libro sicuramente interessante perché al centro c'è la vita di Peppino, che non dovremmo mai smettere di ricordare come esempio di lotta contro le sopraffazioni, le ingiustizie, il clientelismo, l'omertà, le connivenze mafiose; alcune parti le ho trovate meno coinvolgenti (quando ci si sofferma lungamente sulla situazione politica di quegli anni, ad es.), e ho letto con più slancio quelle relative alle vicende personali di Impastato; commuove la testimonianza di Felicia Bartolotta, la madre: una donna che ha sofferto e non poco accanto a un uomo come don Luigi Impastato, un marito maschilista e prepotente, un padre padrone con un particolare senso dell’onore e scarsa comunicazione; una mamma che non ha esitato a onorare la memoria di suo figlio combattendo coraggiosamente affinché la verità sulla sua morte venisse fuori e nulla potesse anche solo lontanamente sporcare il ricordo di ciò che Giuseppe ha fatto per rendere quella piccola porzione di mondo in cui viveva, migliore.

Se vi interessano le biografie e se siete alla ricerca di un suggerimento letterario in occasione della Giornata della Legalità, questo libro potrebbe fare al caso vostro.

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