martedì 8 agosto 2023

[ RECENSIONE ] MI SENTO IN UN DESTINO. Diari e altri scritti, di Antonia Pozzi



MI SENTO IN UN DESTINO. Diari e altri scritti è un volume che comprende i diari di Antonia Pozzi ed altri scritti in prosa, tra cui i passi più significativi della tesi di laurea su Flaubert, alcuni testi narrativi e le pagine critiche su Aldous Huxley. 
Le parole della poetessa sono arricchite dalla presenza di un ricco apparato critico. 

«Non so. Non ho mai provato forte come in questi giorni il senso di essere trasportata da una corrente violenta, ad una tensione altissima. E, nello stesso tempo, mai avuto cosi` solido il senso della personalità e della responsabilità. Mi sento in un destino. E` difficile che queste intuizioni siano sbagliate» (10 settembre 1937).

Ancora Ed.
157 pp

Tra le pagine dei diari personali (che coprono un arco temporale che va dal 1925 al 1937), avvertiamo come in lei ci fosse un fuoco, un ardore, un animo sensibile e riflessivo che l'hanno resa la ragazzina e poi la giovane donna che è stata, sempre proiettata, con determinazione, nella costruzione di un'esistenza autentica e aperta agli altri e di un modo di fare poesia che fosse veramente suo. 

"Impara a vivere sola – dentro di te. Costruisciti."

Leggendo ciò che scriveva quando aveva solo quattordici anni, ho provato ammirazione per l'adolescente Antonia, attenta e sensibile osservatrice di tutto quello che le era intorno, che fossero le persone (famiglia, amici...),i luoghi o la natura, sempre presente nel suo diario e nelle poesie.

Antonia interiorizza e riporta ciò che vede e le interessa, che la impressiona, che siano eventi o particolari che la fanno soffrire o gioire.

"La vita allora mi sembra tutta un mistero, tutta una cosa incerta e buia, mentre a viverla spensierati è tanto bella, invece!"

Pur essendo una ragazza che sa stare con gli altri, Antonia ama anche il silenzio, che, lungi dall'allontanarla dalle persone o dal mondo, stimola i suoi sensi e rende più acuto il suo spirito.

L'amore per il suo professore di liceo, Antonio Maria Cervi (col quale ha avuto una relazione tormentata) riempie il suo giovanissimo cuore, già ricco e profondo di suo, regalando gioia e batticuore..., ma negli anni a venire soprattutto sofferenza, nostalgia, desideri e speranze disattesi - soprattutto quello della maternità, rimasto insoddisfatto -, in quanto i due innamorati verranno osteggiati dal padre di lei, che farà di tutto per allontanarli, riuscendoci.

«Penso anche a te lontanissimo e dolce, che non avevi corpo e mi baciavi così puro: ala bianca dell'adolescenza. Al nostro figlio non nato. Strano bambino, senza sapore di carne e di capelli, angelo».

Emerge come Antonia, pur vivendo intensamente il presente, fosse, al contempo, divisa tra il passato, che le ricorda ciò che le manca oggi, e il futuro, anch'esso percepito come mancanza o desiderio di ciò che ancora non accade e non c'è e che forse non ci sarà mai.

Ella si descrive come "un'anima palpitante, ridente, nostalgica, appassionata; è forse per questa piena di sentimenti, per cui in una giornata soffro e godo ciò che apparentemente si può soffrire e godere in tutta un'esistenza, che rimpiango il passato, che adoro il presente, che non desidero l'avvenire; perché sono contenta di essere io, con i miei difetti e con le mie poche virtù, perché non so se in avvenire potrò ancora essere così."

Il tempo per Antonia «non fugge, e nemmeno vola: scivola, dilegua, scompare»

"Del tempo ho paura, del tempo che fugge così in fretta. Fugge? No, non fugge, e nemmeno vola: scivola, dilegua, scompare, come la rena che dal pugno chiuso filtra giù attraverso le dita, e non lascia sul palmo che un senso spiacevole di vuoto."


La sezione riguardante il commento critico sugli scritti di Antonia è sicuramente molto interessante e utile per inquadrare il contesto di vita della poetessa - famigliare, culturale, i rapporti di amicizia con intellettuali del suo tempo, ecc... -, le caratteristiche del suo modo di scrivere e come evolve negli anni, l'interesse per certe tematiche; i diari ci aprono un piccolo ma significativo velo sull'animo pieno e ricco di questa donna - amante della poesia, della cultura, della natura, della fotografia... -, in cui però è sempre rimasto un angolo buio fatto di dolore, struggimento, disperazione, che evidentemente l'hanno portata, in un giorno di inizio dicembre 1938, a togliersi la vita, a soli ventisei anni.

Una lettura che personalmente mi stimola a leggere le poesie di Antonia per "conoscerla" più approfonditamente.


"Feci del mio dolore un'astrazione, un'armatura su cui appoggiare, scaricare la responsabilità della mia vita. Da quel momento il mio dolore non ebbe più ragione, più diritto di esistere."

E questo terrore: mi perdo, non mi ritroverò, non mi riguadagnerò più. Piccole cose mi scalpellano, miserie mi corrodono."


«Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi 
di cielo e stelle – bevuti 
sulle montagne»

«E tu accogli […] 
il mio tremito di stelo 
vivo nel cerchio 
degli orizzonti»

*****

«forse la vita è davvero 
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza»



domenica 6 agosto 2023

RECENSIONE # LA FIGLIA ELETTA di Sarah A. Denzil #



Dall'Inghilterra all'Arizona, una donna va alla ricerca di una giovane madre e di sua figlia, convinta siano vittime di qualcuno che vuol far loro del male.
Si imbatte in una setta di esaltati, capeggiati da una sorta di santone ambiguo e pericoloso.
Riuscirà a fermarlo?



LA FIGLIA ELETTA
di Sarah A. Denzil



trad. E, Comito
378 pp
Fran Cole vive a Leacroft, in Inghilterra; è una giornalista che però ha smesso di esercitare la professione e si gode la libertà, anche grazie al  fatto che lei e il marito, Adrian, hanno un'ottima posizione economica. 

Fran ha 46 anni e ama tenersi in forma andando a correre tutte le mattine; proprio mentre fa jogging trova una bambina di sette anni sola in un parco, con i capelli scompigliati e un grazioso vestitino giallo, dal sapore di altri tempi, tutto macchiato d’erba. 
Quando la donna le chiede cosa ci fa da sola in un orario decisamente inopportuno (sono le cinque del mattino), la piccola risponde semplicemente che sta aspettando suo padre.
Che - piccolo particolare -  vive in Arizona...
La bimba, diffidente e poco propensa a sorridere e a socializzare, si chiama Esther e di lì a poco riabbraccia sua madre, la giovanissima Mary.

Fran, nei giorni successivi, non fa che pensare alla bambina e alla mamma - davvero tanto, troppo giovane, per avere una figlia di sette anni - e ben presto viene a sapere che le due sono appena giunte in città, assieme al marito/padre, Elijah Whitaker.
Si sa, quando il paese è piccolo, è facile che ogni mormorio e pettegolezzo si diffondano alla velocità della luce ed infatti, già solo frequentando il coro del paese, Fran si rende conto di come i tre forestieri non siano affatto passati inosservati, anzi: ne parlano tutti e la curiosità su di essi è tanta.
Anzitutto, ad incuriosire è il loro aspetto: Mary, benché molto giovane, veste in modo semplice, "vintage", con un tipo di abbigliamento che ricorda gli Amish o i Quaccheri; Esther, a sua volta, è vestita come una bambolina bellina e ordinata, e il padre ha una notevole barba e sembra dimostra molti più anni della moglie.

Mentre il razionale e pacato Adrian cerca di convincere sua moglie a lasciar perdere i nuovi arrivati, Fran è sempre più attratta da loro, anche perché sente - benedetto intuito femminile! - che quella famiglia ha qualcosa di strano.
Cercando di fare amicizia, li invita a cena ma l'atmosfera, inizialmente rilassata, viene "guastata" da un commento poco educato di Esther, che avrà pure soltanto sette anni ma sembra possedere idee molto chiare su diversi aspetti della vita e, in particolare, emerge in lei un lato  eccessivamente"devoto" a Dio (il suo "amico immaginario"!) che stona sulle labbra, sempre serie e ben strette, di una bambina comunque ancora piccola.

Fran e Adrian intuiscono che i Whitaker appartengono ad una francia religiosa un po' "estrema", con convinzioni particolari, il che li rende diversi, isolati rispetto alla comunità.
In seguito ad un altro evento che mette in agitazione la cittadina, i Whitaker comprendono di non essere i benvenuti e... scappano.

"Improvvisamente com'erano apparsi, i Whitaker scomparvero, e la loro assenza suscitò lo stesso clamore che aveva sollevato la loro presenza".

Fanno armi e bagagli e spariscono, senza salutare nessuno e senza avvisare neppure gli unici amici che sembrava si fossero fatti - Adrian e Fran.
Dove sono andati? È possibile che siano tornati in America?

Fran non riesce a non pensarci, nonostante il marito la scoraggi a interessarsi troppo a questi sconosciuti: hanno già avuto la loro dose di dolore e perdite, non c'è bisogno di soffrire pure per gente che ha fatto parte della loro esistenza per un tempo così limitato!

Ma la donna è ossessionata dal pensiero di Esther, così piccola e così seriosa, cupa, silenziosa, e di Mary, una donna fragile, dall'aria spaventata, intimidita al cospetto del marito, che si sforza di sembrare socievole e simpatico ma in lui c'è qualcosa di sospetto.
Sì, ma cosa? Ha forse a che fare con le loro credenze religiose?

Fran sente che qualcosa di terribile sta per accadere alla bambina e  a sua madre: non può restare indifferente, deve impedirlo. A ogni costo.

Con diversi sotterfugi, riesce a conoscere il luogo dove viveva Mary, in Arizona, a Tucson; contro il volere di Adrian, sale su un aereo e vola negli USA, sperando che la buona sorte le sorrida e le "indichi la via" da seguire per trovare le due scomparse.
Grazie a una fortunosa coincidenza, conosce un giovanotto gentile e affabile che comincia a farle discorsi sul benessere interiore, sull'avere degli obiettivi eterni nella vita..., insomma una serie di frasi-slogan tra il motivazionale e lo spiritualoide non meglio specificato.
Sarà questo il segno dal cielo che la scettica Fran stava aspettando e che potrebbe portarla dritta dritta da Mary ed Esther?
Che le due facciano parte di una setta religiosa pericolosa??

La narrazione del presente comprende due prospettive, quella di Fran e quella di Esther, che a sua volta è arricchita da alcuni flashback, che ci permettono di inquadrare la situazione famigliare vissuta da lei e Mary.
Il lettore viene condotto all'interno di una realtà settaria che ricorda molto quei gruppi religiosi estremisti, solitamente isolati e ormai allontanatisi dal "ceppo originario", in cui spicca la guida spirituale (una specie di "profeta"), che dice di parlare direttamente con Dio (!) e che si circonda di adepti sempre più ciechi e fedeli, disposti a seguire il loro guru ovunque vada e qualunque cosa decida.

Fran conoscerà sempre più da vicino i componenti di questo gruppo e alla fine riuscirà a trovare Esther.

Ma ciò che l'aspetta è un'altra inimmaginabile e amara verità...


"La figlia eletta" è un thriller che parte bene e si sviluppa... così così.
Fino a quando si racconta di questa bambina taciturna e intelligente, che osserva gli adulti con attenzione e dice poche ma taglienti parole, che scappa più volte da quella che è (o dovrebbe essere) la sua famiglia, e finché vediamo sua madre, la giovane e smarrita Mary, che sembra voler mandare messaggi in codice a Fran, affinché in qualche modo l'aiuti..., la storia è interessante; quando poi essi scappano dall'Inghilterra, anche, perché c'è un mistero da svelare, evidentemente.

Il problema è che la narrazione procede in modo un po' forzato, a partire dalla protagonista Fran, letteralmente ossessionata da Esther e Mary; ok, ha le sue intime ragioni (da cercare in un dramma accaduto a lei e Adrian, che li ha molto segnati) che la spingono ad affezionarsi a questa bambina e a cercare di salvarla, ma in effetti pensare che una donna possa lasciare baracca e burattini e attraversare l'oceano alla ricerca di tre persone che ha conosciuto per poche settimane, insomma... è un po' surreale, voi che dite?
Ma va bene, ammettiamo sia verosimile...; la fissa di Fran per Esther e Mary non si placa neppure davanti alla possibilità che a) il suo matrimonio sia a rischio, perché intanto ha lasciato il marito per correre dietro a 'ste due; b) se mamma e figlia sono in pericolo perché invischiate in una setta..., lei come pensa di salvarle, da sola?

Il contesto pseudoreligioso - la setta fanatica, il santone esaltato e ambiguo che si macchia di diversi reati - io lo trovo sempre interessante *, ma è tutto troppo tirato, anche il colpo di scena che si verifica verso la fine, per quanto crei un po' di stupore nel lettore, rientra tra le forzature.

Che dire...? Non è male, può essere pure piacevole e atto a intrattenere se siete in vacanza, però non è un thriller indimenticabile, ecco, c'è decisamente di meglio in giro; a questo si aggiunge che il testo era pieno di antipatici refusi, cosa che mi ha fatto pensare "Menomale che era gratis nell'abbonamento Kindle Unlimited!".


* di recente ho guardato un docu-film agghiacciante, "Keep Sweet: Pregare e obbedire", che ripercorre l'ascesa e la caduta di Warren Jeffs, leader spirituale della setta poligama dei mormoni (Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni ), condannato all'ergastolo per violenza sui minori. Se ne avete modo, dateci un occhio.


venerdì 4 agosto 2023

READING CHALLENGE 2023 - che libro leggerò?


Buongiorno, readers!
Vi aggiorno, come ogni mese, sui libri che mi aspettano ad agosto.

Parto dalla Reading Challenge; per il mese di agosto, gli obiettivi sono i seguenti:


-
CLASSICO: Italo Svevo, che non credo leggerò, onestamente. Ai tempi dell'università lessi Senilità e cominciai - senza terminare - La coscienza di Zeno.
Non so, non ne sono molto attratta, però prima o poi Zeno lo riprenderò e lo concluderò.

CONTEMPORANEO ITALIANO: Simona Sparaco. Di questa scrittrice ho letto soltanto Se chiudo gli occhi, di cui serbo un buon ricordo. Avendo letto già qualcosa di suo, non è per ora in cima alle mie preferenze, ma non la escludo ancora.

CONTEMPORANEO STRANIERO: Torey Hayden, scrittrice e psicologa di cui ho letto solo un libro, La cosa veramente peggiore; anch'ella non la escludo a priori, però non è in cima.

LIBRO SPECIAL: Il tempo di tornare a casa di Matteo Bussola; anche questo autore ho avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo con L'invenzione di noi due, e boh..., potrei riprovarci.


Nel caso nessuna delle precedenti opzioni rientrasse nelle mie corde, potrei attingere a un'estrazione "bonus", che vale anche nel caso non si riuscisse, nel corso dell'anno, a raggiungere l'obiettivo di uno o più mesi.





CLASSICO: Luigi Pirandello; anche di quest'autore ho già letto qualcosa, come Il fu Mattia Pascal, Uno, nessuno e centomila, Sei personaggi in cerca d'autore. Ragion per cui, è possibile che lo salti.
-
CONTEMPORANEO ITALIANO: c'è Valentina D'Urbano, scrittrice finora mai letta ed infatti è tra le opzioni che mi allettano maggiormente. Ho visto che nell'abbonamento Kindle Unlimited ci sono Il rumore dei tuoi passi e Isola di neve.

CONTEMPORANEO STRANIERO: anche Josè Saramago sarebbe una "prima volta", per cui lo sto prendendo in considerazione. Forse Cecità..., o se avete da consigliare anche altro di suo, ditemi pure.

LIBRO SPECIAL: L'osso del cuore di Valentina Santini. Ho letto la trama e l'ho trovata interessante, per cui non lo escludo.

Vedremo, ho ancora del tempo per scegliere!

📖❣️📖❣️📖❣️📖❣️📖❣️

Al di fuori della RC, sto leggendo attualmente un libro sulla poetessa Antonia Pozzi: MI SENTO IN UN DESTINO: DIARI E ALTRI SCRITTI di Antonia Pozzi (Ancora Ed., 120 pp)

Una nuova edizione dei diari di Antonia Pozzi attentamente verificata sui manoscritti e corredata di un ricco apparato critico. Ne emerge il ritratto «dal di dentro» di una giovane donna impegnata, con una determinazione spesso drammatica, nel progetto di una vita autentica e aperta agli altri e di una poesia veramente sua.

Proseguo con UNA VITA COME TANTE di Hanya Yanagihara: irrimediabilmente affezionata a Jude.


Sempre nel mese di agosto, ho in programma di leggere il terzo libro della serie The Crimson Thrones Series, comprensiva di 4 volumi; ho letto i primi due, SETH e LUGH; a settembre uscirà il quarto.

NERGAL di M.D. Ferres

Nergal, Dio dell’Oltretomba, della Guerra e della Catastrofe, un tempo temuto in tutta Babilonia e relegato per millenni nella Terra del Non Ritorno, è chiamato a proteggere l’umanità dai Distruttori, entità oscure in grado di sterminarla.
Kaya si fa in quattro per inseguire i suoi sogni e diplomarsi alla Sherdford School of Fine Art di Londra, barcamenandosi tra lo studio e i suoi tre impieghi. Quando, durante il suo turno di pulizie al British Museum, un uomo imponente e terrificante compare dal nulla, il suo primo pensiero è quello di essere vittima di un’allucinazione: è proprio lui, Nergal, che ha assicurato di seguirla finché lei non deciderà di aiutarlo.
Entrambi, però, si renderanno conto che, per salvare le sorti dell’intero universo, sarà necessario mettere in gioco ben più del loro coraggio.

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Infine, vi presento le ultime new entry nella mia libreria: IL GIOCO DI RIPPER di Isabel Allende l'ho acquistato in giro per l'Ipercoop, l'altro è una copia omaggio che dovrò recensire per settembre.




"L'isola di Pietra" di Francesca Gerla è un romanzo sull'amore e sulla maternità, sulle scelte personali e sull'origine del desiderio; in breve, sulla possibilità di vivere la vita come un'eterna ricerca della propria strada. Tutto, sullo sfondo di una Ventotene che si fa personaggio, che amplifica la sensualità della protagonista, Pietra, figlia della notte e della natura, con i suoi rumori e i suoi silenzi, e gli infiniti profumi della macchia mediterranea. 
«Questo romanzo racconta la maternità scarnificandola del sacro, la denuda e te la schiaffa sotto il naso per quel che è: difficile, complessa, contraddittoria, qualcosa di enorme che ti riempie e poi ti svuota, e poi ti riempie di nuovo». (dalla prefazione di Lorenzo Marone)

mercoledì 2 agosto 2023

[[ Monthly Recap ]] LIBRI LETTI A LUGLIO



Il mio luglio libresco?

Eccolo qui :))


1. COSE CHE NON SI RACCONTANO  di A. Lattanzi: il racconto 
-
 autobiografico di un'esperienza dolorosa, difficile da raccontare eppure raccontata con estrema onestà e intensità (5/5). PER CHI DESIDERA  STORIE VERE E INTIME.
2. I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI. Il manicomio dei bambini a Modena di P.Tortella: docu-libro - la cruda e drammatica realtà dei manicomi raccontata da chi vi ha lavorato e ha visto con i propri occhi (4,5/5). PER CHI NON SI TIRA INDIETRO DAL LEGGERE STORIE DI SOPRUSI VERSO I PIU' FRAGILI
3. PER AMORE DI BRIGGS di T. Thompson: romanticismo e dolcezza in questo romance dove l'amore guarisce i tormenti (4/5). IDEALE SE CERCHI SENTIMENTO E LEGGEREZZA.
4. DELITTO AL CONDOMINIO MAGNOLIA di M.C.Buoso: giallo dai contorni classici, sulla scia della "regina del giallo" (3/5). OK PER CHI CERCA INTRATTENIMENTO LEGGENDO UN GIALLO BREVE.
5. LA MUSA DEGLI INCUBI di L. Taylor: magnifico fantasy, dove umani, creature fantastiche e fantasmi cercano di sopravvivere e, forse, di convivere (5/5). IDEALE SE VUOI IMMERGERTI IN UNA DIMENSIONE FANTASTICA ED EMOZIONANTE.
6. LUGH di F. Trentini: un piacevole mix di paranormal fantasy e romance, in cui un dio celtico in rovina si innamora di un'umana problematica: insieme devono compiere una missione (3.5/5). ADATTO A CHI É IN CERCA DI LETTURE AVVENTUROSE E CON UN LIVELLO DI SENSUALITÀ CHE CONTRIBUISCE AD ALZARE LE TEMPERATURE.
7. UN GIORNO DI FESTA di J. Maynard: romanzo di formazione che si concentra su avvenimenti accaduti in pochi giorni ma capaci di cambiare più di una vita (4/5). ADATTO A CHI  RICERCA STORIE SEMPLICI MA COINVOLGENTI.



READING CHALLENGE

8. UNO STUDIO IN ROSSO di A.C. Doyle: detective story, la prima in cui compare il famoso investigatore Sherlock Holmes, alle prese con due omicidi misteriosi (4,5/5). LETTURA APPASSIONANTE, SI LEGGE IN UN SOFFIO.


Questo mese sul podio vanno sicuramente COSE CHE NON SI RACCONTANO per la tematica della maternità e per la spiazzante onestà con cui l'autrice riversa su carta pensieri ed emozioni che, normalmente, ci si guarda bene da condividere con altri; bellissimo e affascinante il romanzo della Taylor, LA MUSA DEGLI INCUBI; Doyle accattivante, e per l'intuitivo protagonista e per gli altri, indimenticabili, personaggi.


CITAZIONI DEL MESE

"Possiamo essere in conflitto, odiarci e desiderare la reciproca distruzione, ma nella disperazione siamo tutti smarriti nelle stesse tenebre, respiriamo la stessa aria mentre soffochiamo nel nostro dolore." (Lainy Taylor, LA MUSA DEGLI INCUBI)

"...ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono." (A. Lattanzi, COSE CHE NON SI RACCONTANO)


domenica 30 luglio 2023

# RECENSIONE # COSE CHE NON SI RACCONTANO di Antonella Lattanzi



Quanto può essere difficile raccontare un dolore.
Spesso, ci sembra che manchino le parole - quelle giuste - per descriverlo, per parlarne affinché gli altri (che ci ascoltano, ci leggono) abbiano un'idea più esatta possibile del nostro dolore.
Perché succede, quando un dolore è troppo intenso, di non riuscire ad esprimerlo come vorremmo e, anzi, sembra che, parlandone, quasi lo sminuiamo, privandolo dell'intensità che gli appartiene.
In queste pagine, che trasudano sofferenza e coraggio assieme, Antonella Lattanzi trova le parole per raccontare "le cose che non si raccontano", il fiume intimo e privato di pensieri, stati d'animo, paure, speranze..., che hanno caratterizzato la sua difficile esperienza della maternità.
Una maternità temuta, messa in stand by, desiderata, sofferta, negata.


COSE CHE NON SI RACCONTANO 
di Antonella Lattanzi


Einaudi
216 pp
"...sto scrivendo il mio libro.
Dopo tutto quello che mi ha abbandonata, questo resta. Questa testardaggine. Non si tratta di salvare. Non si tratta di redimere. Non si tratta di urgenza, né di necessità. Si tratta di cercare di creare qualcosa che abbia ancora un valore per me, di provarci con tutte le forze. Si tratta alla fine di esistere."

Ogni donna che desidera avere un figlio deve, superata una "certa età", tener conto del benedetto (o maledetto?) orologio biologico che, impietoso, le ricorda che più passa il tempo... e meno tempo ha, che si traduce in "meno possibilità hai di restare incinta in modo naturale", a cui segue: "eh ma se intraprendi un percorso di procreazione assistita, mica è detto che vada a buon fine, perché comunque l'età c'è...".

Senza considerare le frasi (sceme, inutili) di chi ti fa sapere ciò che tu non avresti mai immaginato (sono ironica): "Eh, c'è un tempo per tutto e i figli bisogna farli quando è tempo (= quando sei giovane). Non potevi pensarci prima?".

Quando Antonella comincia a maturare l'idea, il desiderio di diventare mamma, ha superato la famosa "certa età", che in questo caso è vicina ai 40.

Non è certo facile, del tipo < "speriamo di restare incinta subito" e così avviene > no no, figurati (al massimo questo accade agli altri, che te lo raccontano meravigliati e felici: "Ci siamo detti: dai, siamo pronti, adesso ci proviamo! E pouf!... incinta!" Più veloce di un ordine su Amazon, insomma), c'è da penare, ogni mese speri di non vedere quel sangue sugli slip che, puntuale, arriva eccome, frantumando ogni speranza e mettendo un'ulteriore X sul calendario - sempre quello biologico -, che ti ricorda che il tempo sta per scadere, datti 'na mossa!.

Antonella teme di non essere mai mamma e di meritarsi questa punizione: perché lei, quando era molto più giovane, ebbe ben due possibilità di diventare madre e cosa fece? Abortì, perché allora non era pronta.
C'era da lavorare, viaggiare, divertirsi, stare spensierati; poi si è concentrata sul voler diventare una scrittrice - la sua ambizione più grande - e l'ha inseguita con tenacia e determinazione.
Però, adesso che è attorno ai fatidici 40, è pronta: la sua relazione con Andrea è stabile, col lavoro tutto ok, insomma manca solo un figlio e la felicità sarà a portata di mano.
Sì, come no, credici.

Il corpo non è d'accordo e il bimbo tanto bramato non arriva; e così ha inizio lo sfiancante ma necessario iter per avere un figlio tramite l'aiutino della medicina, e quindi giù con punture, ormoni, visite, pillole, acido folico..., nella straziante attesa di restare in attesa.

Passa un po' di tempo e non accade nulla, se non che questo desiderio, che fatica a realizzarsi, semina angoscia, frustrazione, rabbia, nervosismo (ma ci sono sempre state tante donne col pancione in circolazione o aumentano di proposito nel momento in cui si desidera e si prova ad avere un figlio che non arriva??) e, non ultimi, sensi di colpa: perché se tu i figli li avessi fatti quando avevi vent'anni, invece di interrompere le gravidanze, ora saresti mamma e non dovresti passare questo strazio! Mamma scellerata che non sei altro: i figli si proteggono non si abortiscono! Te lo meriti di non averne e di soffrire per cercare di averne!

"...quando è successo tutto quello che è successo, e anche da molto prima, quando finalmente mi sono decisa e ho cominciato a provare ad avere un figlio, per anni, quando non arrivava mai, il pensiero di quei due bambini è diventato costante. Questa tragedia, non ho potuto che concludere, io me la sono meritata.
Nei momenti di dolore cerchi sempre un perché. Perché è successo tutto quello che è successo? ho chiesto. Perché non si gioca con la vita, mi ha risposto una voce ancestrale, una voce da pensiero magico. Hai rifiutato due vite. E allora sei stata punita."

Eppure, a un certo punto, qualcosa sembra - finalmente!! - andare per il verso giusto.
Certo, il periodo è tutto fuorché giusto: in piena fase Covid, per cui è complicato fare visite mediche, Antonella deve far tutto da sola perché al compagno non è permesso entrare per accompagnarla, c'è l'emergenza sanitaria dovuta al virus..., insomma restare incinta in quel frangente storico... se non è soggetto a sfiga poco ci manca!

Fatto sta, che in quel tunnel buio comincia a vedersi una piccola luce di speranza: la speranza di diventare genitori sembra concretizzarsi.

Purtroppo, la gioia di scoprire di aspettare un bambino viene presto offuscata da una serie di notizie non proprio rincuoranti che aprono lo scenario di una gravidanza complicatissima.

Il calvario non è finito e ciò che accadrà nei successivi mesi sarà un inferno privato fatto di dolore, molta paura e qualche timida speranza (per carità, sussurrata, ché a dirla a voce alta sicuro si schianta a terra in mille pezzi), lacrime, visite mediche, ecografie, messaggi con le poche amiche a cui ha confidato il dolce e complicato segreto, i silenzi sofferti con chi, invece, non sa niente ma, a modo suo, riesce a dare sostegno con la sola presenza, i malumori all'interno della coppia, il dover fare i conti con l'insensibilità di certi medici e infermieri ma anche con - fortunatamente - l'umanità di altri.

E intanto, in mezzo a tutta questa esperienza difficile e dagli esiti molto, troppo!, incerti, c'è un libro che incombe, che sta per uscire e va presentato, ci sono interviste da fare e in casa editrice non sanno nulla...

Maternità e sacrificio: un connubio che l'autrice odia ma che si rivela sempre presente.

Per qualcuno "uscire incinta", portare il proprio figlio in grembo per nove mesi e darlo alla luce, è una cosa naturale, semplice..., per altri può essere una via crucis.
E siccome la voglia di essere mamma è forte, lo si affronta 'sto percorso ad ostacoli.
Ma la volontà e il desiderio, da soli, possono non bastare.
Che altro ci vuole: la fortuna? la benedizione divina? 

Antonella non lo sa e vive giorno per giorno, durante il periodo in cui ha "della vita" dentro di sé, con un misto di ansia e gioia segreta, dicendosi "magari andrà bene, no? Perché non dovrebbe andare bene, dopotutto?".

Questo libro tiene il lettore incollato perché è autentico e vero, e non solo perché ciò che viene raccontato è autobiografico (la voglia di "andare a controllare" alcuni particolari della narrazione sui profili social dell'autrice c'è, non per sfiducia o incredulità, ma per una sorta di "desiderio di condivisione", un modo per empatizzare con lei, seppur a distanza di tempo e spazio) ma per il modo in cui è scritto: con onestà, senza sotterfugi né tentativi di indorare la pillola o di nascondere il fiume di pensieri e stati d'animo "negativi" (quelli che, quasi sempre, ci si vergogna di aver nutrito e che, quindi, teniamo per noi, non li condividiamo per paura di essere giudicati male) provato.

Le cose che l'autrice scrive e racconta sono di quel tipo che facciamo fatica a raccontare perché, come dicevo nell'introduzione, è difficile verbalizzarle.
Non soltanto perché ci sembra di non riuscire a dire con precisione ciò che ha caratterizzato quel particolare e doloroso vissuto, ma anche perché nel dirlo, lo riviviamo, riprovando (se mai se ne andasse...., ma non se ne va) lo stesso dolore, lo teniamo in vita e, soprattutto, realizziamo con più lucidità che... è successo davvero, che quella sofferenza c'è stata, che le lacrime versate ci sono state e pure tante.
Che ciò che è stato rotto, resta tale e non c'è tecnica giapponese che riesca a riparartelo, a valorizzarne le crepe.

"E allora perché adesso sto raccontando?
Io che non racconto mai niente.
Sto raccontando perché nella mia testa non c’è nient’altro."

Alla fine, si racconta perché nella testa e nel cuore, quello c'è, e prima o poi da qualche parte deve uscire.
E magari, dopo averlo tirato fuori, forse, si comincia a un po' a trovare pace, a guarire, poco alla volta, non del tutto, ma almeno un po'. 
Forse.

Si viene risucchiati dal racconto di Antonella Lattanzi, si trattiene anche un po' il fiato seguendo le peripezie relative alla gravidanza, al prima e al dopo; l'autrice sa come farci sentire con intensità il carico dei suoi pensieri, che vanno a mille, delle sue contrastanti emozioni, e ci si sente travolti dal dolore, dalla rabbia, dal senso di impotenza, da questa voglia di felicità che sbatte contro una realtà piuttosto avara di grazie e miracoli.

"Non credevo di essere una persona che non racconta niente di sé. Non ho mai creduto di esserlo. Adesso so che lo sono. Che ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono."

Quando l'ho iniziato, non ero certa che l'avrei proseguito e terminato, perché l'inevitabile immedesimazione mi sembrava emotivamente "troppa" da gestire, ma poi ho pensato che se l'autrice ha trovato il coraggio di scriverlo (rivivendo tutto), io potevo affrontarne la lettura e ciò che essa significa per me, personalmente. E così, leggerlo mi ha fatto bene perché quelle cose che non si raccontano sono anche un po' mie e, forse, di tutti noi.


ALCUNE CITAZIONI

"Se consegni a un’altra persona una parte così grande di te, come fai a proteggerti? Se consegni le tue cose più profonde a qualcuno, poi fanno più male. Perché da quel momento esistono. Non ci pensavo mai."
"La speranza è una macchia negli occhi per aver guardato il sole, si fa sempre piú grande, intacca tutto e si prende tutto. Ho imparato che la speranza quando è troppa diventa certezza. Che non è verde e nemmeno gialla. La speranza è nera, perché ti distrugge."

"...io non ne parlo mai. Questo mi fa ancora più male. Non avere nessuno che mi chiede più come stai, raccontami."

" La vita è quello che succede mentre combatti contro la paura? Oppure sono tutti gli attimi di gioia e inconsapevolezza che riesci a ricavarti per non farti prendere dalla paura?"

venerdì 28 luglio 2023

[ RECENSIONE ] I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI. Il manicomio dei bambini a Modena di Paolo Tortella



Com'era la vita all'interno dei manicomi?
Tra le pagine della testimonianza di chi ha lavorato per un anno in un istituto per minori subnormali, veniamo a conoscenza di come fosse "vile, iniquo e sadico" il modo di gestire luoghi come questi che, lungi dall'assolvere alle funzioni di assistenza, cura, educazione, integrazione nella società ecc..., spesso erano dei veri e propri inferni, nei quali si consumavano abusi, ingiustizie e umiliazioni e dai quali difficilmente si usciva.


I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI.
Il manicomio dei bambini a Modena
di Paolo Tortella



Compagnia editoriale Aliberti
E.Becchi (curatore)
141 pp


Paolo Tortella non ha ancora venti anni quando, nel 1970,  viene assunto prima come vigilante e poi come insegnante a Villa Giardini, l'istituto medico psicopedagogico di Casinalbo di Formigine, poco distante da Modena, che accoglie bambini e ragazzi subnormali provenienti da tutta Italia.

È pieno di entusiasmo il neodiplomato, ha voglia di mettere a frutto le proprie conoscenze pedagogiche, immagina di poter attuare strategie educative efficaci, innovative, sulla scia dell'esempio di don Milani..., ma quando mette piede nella struttura la realtà gli viene sbattuta in faccia con violenza, crudezza e con un sapore di ineluttabilità che accompagnerà tutta la sua esperienza lì dentro.

La realtà vissuta a Villa Giardini è terribile, infernale: vengono ospitati circa quattrocento minori (i più piccoli hanno sei anni) che vivono una quotidianità fatta di solitudine, mancanza di affetto ed empatia, di assistenza e cure (e per il corpo e per la psiche), di soprusi, punizioni, botte, tentativi di sopravvivenza a colpi di pugni e risse, scarsità di cibo, di igiene, zero attività educative, ricreative, religiose...

Ma dove diavolo sono finito?, si chiede costernato Paolo. Che razza di posto è questo? Se è un istituto medico... dove sono i medici?? Se è "psico-pedagogico", dove sono gli psicologi, gli educatori, i maestri preparati? 

Da subito, Paolo viene avvertito su come funzionano lì le cose, su che tipo di rapporto c'è con i pazienti, o meglio: non c'è un vero rapporto con i ragazzi, visto che non li si tiene impegnati in alcun modo; ciondolano, ammassati, in posti troppo piccoli per loro, li si porta dalle stanze al refettorio e viceversa e guai se creano disordini nel tragitto, vengono sadicamente incoraggiati a picchiarsi, per poi essere puntualmente puniti (prendono botte, calci, manganellate...), finendo in infermeria, dove vengono imbottiti di sedativi, così da tenerli buoni e docili per un po'.

Paolo è sconvolto e arrabbiato: lui non ci sta, non vuole essere complice di una gestione vergognosa come questa, e comincia a manifestare dissenso e malumore, a partire dalle riunioni sindacali, attirandosi addosso le ire del direttore e le antipatie di capi-reparto e colleghi vigilanti.

Se lavori a Villa Giardini, devi assecondarne e far tuoi i "metodi (dis)educativi", che contemplano principalmente le percosse fisiche, le punizioni, i maltrattamenti a ogni ora del giorno e della notte.

Potrei descrivervi alcuni episodi specifici ma ovviamente vi invito a leggere il libro: è doloroso e fa indignare apprendere, e quindi immaginare, cosa accadeva tra quelle mura, quale fosse l'orribile quotidianità dei fragili ospiti dell'ospedale, abbandonati dalle famiglie e maltrattati da chi avrebbe dovuto prendersene cura.

Paolo, come dicevo, prova a ribellarsi a questa situazione e a fare il proprio lavoro, soprattutto quando finalmente può insegnare alla sua classe, ai suoi ragazzi.

Rigettando in toto i metodi punitivi vigenti, Paolo vuole che i giovani pazienti imparino cosa c'è al di là del filo spinato che circonda il manicomio, e così ottiene di portarne fuori alcuni col pulmino, affinché respirino un'aria ben diversa e osservino il mondo fuori con i propri occhi.
Questi ragazzi hanno bisogno non di botte e medicine che li stordiscano, bensì di socializzare, di fare apprendimenti utili, concreti, che li avvicinino alla società, invece di alienarli.

E purtroppo questo si scontra con la concezione che si ha - ricordo che siamo agli inizi degli anni '70, la famosa legge Basaglia, che porrà termine ai manicomi, è del '78 - della malattia mentale e, quindi, dei "matti" quali individui pericolosi, ingestibili, di cui la famiglia e la società si vergognano e che vanno "nascosti", rinchiusi in strutture da cui non devono uscire (non tanto facilmente, almeno) perché non c'è posto per loro nella comunità sociale.

Paolo, invece, si rende conto di come questi ragazzi abbiano bisogno di "attimi di ordinaria semplicità" per poter rendere nullo il "vincolo cieco e fasullo del pregiudizio".

"...non erano diversi da noi. Erano disorientati, provenivano da contesti famigliari assenti o complicati."

Se l'istituto li aveva portati lontani dalle famiglie e da ogni riferimento al reale, nel tempo in cui lavora a Villa Giardini, Paolo cerca di aiutarli a riappropriarsi di ciò che era stato loro sottratto, a partire dalla loro identità, e lo fa con la consapevolezza di come questo dia enormemente fastidio a colleghi e superiori, tanto da rischiare biasimo e licenziamento più di una volta.

Ma la sua coscienza di giovane uomo con dei valori e di maestro convinto della propria "missione educativa", fa sì che si opponga agli equilibri ingiusti e violenti che da sempre avevano caratterizzato la vita dell’istituto, senza farsi fermare dalla paura (che comunque c'era).

È per questo che non si tira indietro quando si tratta di denunciare ciò che ha vissuto ed esperito con tutti i sensi: riferisce a chi di dovere delle cinghiate, delle sconvolgenti e disumane "abitudini" verso i più piccoli (ad es., lo scotch sulla bocca tutta la notte), del fetore insopportabile presente nei padiglioni in cui i pazienti dormivano assieme ai vigilanti, dei pianti, del (poco) cibo avariato..., insomma ce ne sono di cose da dire e Paolo parla, racconta e infine scrive questo libro-testimonianza in cui fa conoscere le ingiustizie e gli abusi perpetrati a Villa Giardini.

Sull'operato del direttore e di parte del personale verranno avviate inchieste e fatte indagini da parte della Magistratura, fino ad arrivare alla chiusura dell'ospedale (nel 1972) in quanto assolutamente non idoneo ad assolvere alla sua funzione.

Paolo ricorda quel periodo ed esprime pensieri, sentimenti, speranze, anche nostalgie al pensiero di quale possa essere stato il futuro dei suoi ragazzi.

"Mi chiedevo se li avrei mai rivisti. Per loro ci sarebbe stato un futuro più clemente, più alla portata di ragazzi quali erano, non diversi da tanti altri, con i loro pregi e le loro mancanze? Avrebbero mai trovato la libertà di vivere con innocenza e spensieratezza, come avrebbe dovuto essere? Avrebbero mai sperato di poter uscire un giorno all’aria aperta, e vivere l’esistenza che li attendeva?"

Ho provato, leggendo, grande ammirazione per Paolo e per chi, come lui, ha avuto il coraggio - fatto non scontato - di ribellarsi a uno status quo deplorevole, inumano, non etico; egli avrebbe potuto - giovane com'era - cercarsi un'altra occupazione e, sentendosi impotente davanti a una realtà che era difficile da cambiare perché ormai radicata da tempo, arrendersi, evitando di combattere contro chi comandava e attirarsi inimicizie. E invece non ha abbassato il capo ma ha dato senso e valore al proprio compito di educatore e maestro, rispettando i suoi alunni in quanto persone: non pezzi di carne da lasciare inattivi in cortile o nelle stanze, dimenticati, soli e sofferenti, ma esseri umani da aiutare, educare, amare.

In appendice c'è la ricostruzione storica delle vicende che hanno coinvolto l'istituto Villa Giardini, corredata dagli articoli di giornale usciti in quegli anni.

È uno di quei testi da leggere per conoscere in che condizioni vivevano le persone affette da patologie psichiatriche rinchiuse nei manicomi, per riflettere sui pregiudizi e lo stigma sociale che da sempre (anche oggi!) le circonda, oltre che sulla necessità di aiutare le famiglie che si trovano a dover gestire da soli uno o più famigliari con problemi psichiatrici più o meno gravi, e che non sempre ricevono sufficiente supporto dallo Stato.


martedì 25 luglio 2023

RECENSIONE ❤️ PER AMORE DI BRIGGS di Tess Thompson




Lui è cresciuto con la convinzione di essere un artista mediocre, superficiale, un buono a nulla che non combinerà mai niente di bello in nessun ambito, compreso in quello sentimentale.
Lei è una ragazza timida, reduce da una doppia cocente delusione (in amore e in amicizia) e con scarsa autostima, convinta anch'ella di poter aspirare a ben poco nella vita. 

L'amore li farà incontrare e forse potrebbe guarire i loro cuori feriti.



PER AMORE DI BRIGGS
(Il sensale misterioso di Ella Pointe Vol. 3)
di Tess Thompson



Trad. Isabella Nanni
275 pp
"L'amore è l'unica risposta a ciò che ci perseguita".

Nel precedente volume abbiamo assistito alla nascita dell'amore tra Benedict Tutheridge e la sua segretaria Amelia; adesso è la volta di Briggs.

Briggs, a differenza di Benedict, è un giovanotto sempre allegro, un buontempone che ha trascorso parte della giovinezza (dopo essere stato cacciato di casa dal padre) ricercando divertimenti, impiegando il tempo a bere e in compagnia di svariate donne. 
Oltre a dipingere, certo.

Sua madre desidera dare una spinta a questo figlio un po' scapestrato perché metta la testa a posto, e così si rivolge nuovamente alla signora Mantle di Boston affinché mandi la fanciulla adatta, con i requisiti giusti per conquistare Briggs.

Miss Mantle, con quell'infallibile fiuto che la spinge a capire le persone già da pochi sguardi e scambiando poche parole, non fa fatica a vedere in quella ragazza sola e triste, che in un museo guarda con aria rapita un'opera d'arte, una possibile "metà della mela" per Briggs.

La ragazza in questione è Faith Fidget ed è davvero bisognosa di un cambiamento: deve solo rendersene conto.

Tradita dal fidanzato Lionel (che sta per sposarsi con Mable, la sua migliore amica), Faith è affranta, delusa e amareggiata.

Vorrebbe fuggire, sì...  ma per andare dove e a far cosa?

Non è mai stata intraprendente e poi non potrebbe mai abbandonare suo padre, proprietario di una panetteria a Boston;  abbandonato dalla moglie tanti anni prima, l'uomo ha cresciuto con amore e dedizione la sua unica figlia, e proprio perché la ama, quando viene a sapere che alla ragazza è stato offerto un impiego (come assistente di un pittore) nella lontana ma incantevole Whale Island, la incoraggia a buttarsi in questa avventura.

Quale migliore occasione per riprendersi dal dolore per un matrimonio mancato e un'amicizia distrutta dal tradimento più perfido, così da riacquistare fiducia in se stessa?

Seppur titubante, Faith accetta il lavoro e va ad Ella Pointe, nella bella e calorosa dimora dei Tutheridge.

Se la giovane donna si era immaginata un artista matto con il capello spettinato e lo sguardo da invasato, il pittore a sua volta si aspettava di vedere comparire un' assistente di mezza età con i peli sul mento e poco avvenente.

Resteranno entrambi piacevolmente smentiti.

Briggs e Faith restano colpiti l'uno dall'altra, a cominciare dall'aspetto fisico, ma se Briggs è consapevole di essere bello, seducente, simpatico e solare, Faith è meno conscia del proprio potenziale: si vede piccola, magra, insignificante con quei capelli scialbi e sottili e la sua aria seriosa e austera.

All'inizio non sarà facile per loro interagire, perché l'imbarazzo e la paura di sbagliare e offendere l'altro avranno la meglio, bloccandoli e rendendoli timidi e incerti.

Come già nel precedente romanzo, anche in questo l'autrice dà rilevanza all'aspetto psicologico ed emotivo, lasciandoci conoscere in profondità i caratteri dei due protagonisti, le insicurezze, le fragilità, la bassa autostima generata dalle persone sbagliate incontrate nella vita.

Faith crede di essere priva di attrattive a causa del tradimento di Lionel, che le ha preferito l'amica; Briggs si ritiene indegno di ricevere amore e rispetto perché la crudele voce di suo padre gli risuona nel cervello ricordandogli percosse, insulti, minacce e punizioni subite.

Faith e Briggs: due anime gentili e buone, ferite dall'insensibilità di chi non è stato in grado di amarli, proteggerli e rispettarli.

Mentre i due sondano il terreno imparando a conoscersi e ad apprezzarsi, ricordiamo che c'è un assassino ancora in giro sull'isola.

Chi ha ucciso l'odiato Roland Tutheridge? 
In tanti avevano delle ragioni per volerlo morto, ma il colpevole è uno e finora l'ha fatta franca.

Lo sceriffo sembra essere orientato a sospettare di Hudson (il fratello n. 3, che tra queste pagine quasi non compare) ma nella seconda parte del libro veniamo coinvolti in vicende più avventurose che ci avvicinano  man mano alla verità.

Purtroppo altri delitti verranno commessi e l'identità della mano che ha sparato a Tutheridge verrà svelata portando dolore e sgomento, ma anche una inevitabile pace, perché finalmente la verità è emersa e, da quel momento in poi, tutti potranno voltare pagina.

Anche questo romance della serie è piacevole e carino, con la doppia prospettiva narrativa, il romanticismo dolce e pulito, l'importanza data ai rapporti familiari - sinonimo di sostegno e aiuto - e il tocco giallo che è più presente che nei precedenti volumi.
Inoltre, l'autrice sa come fare innamorare il lettore della "sua" isola, con i suoi paesaggi splendidi e quell'atmosfera di serenità che si respira (nonostante l'ombra del delitto).

Ideale per chi è alla ricerca di una lettura leggera e sentimentale.

sabato 22 luglio 2023

[[ SEGNALAZIONI EDITORIALI ]] giallo, narrativa, poesia

 

Buon pomeriggio, cari lettori!

Oggi ci sono delle segnalazioni; si tratta di testi appartenenti a differenti generi letterari, spero possano interessarvi e costituire dei suggerimenti di lettura, magari da portare con voi in vacanza.


Partiamo dalla prima opera: è una silloge pubblicata per una realtà editoriale modenese

NAUFRAGI DI PAESAGGI INTERNI – FRAMMENTI di Andrea Ravazzini (Gruppo Edizioni Sigem, 132 pp).


Indelebilmente posata nel corso di lunghi anni dalle forme mutevoli, la parola viva e lucente ha sorvolato densi paesaggi interiori, maree polifoniche, radure adombrate, in un farsi e disfarsi ininterrotto a cavallo della trama frastagliata in cui si dipana lento, lento, il silente cammino in cui naufraga - di attimo in attimo - il destino fugace del canto del tempo.
I frammenti raccolti nel corso di quest’opera ne sono una voce singolare, insatura, che narra una semplice storia contornata da un inizio e da una fine irripetibilmente mai tali, ma adornata di sguardi velati che si librano su ali d’altrove.

L'autore.
Andrea Ravazzini vive tra Modena e Corlo, una frazione del Comune di Formigine(MO).
Da sempre appassionato di letteratura, avido lettore e instancabile viandante nel mondo dei libri, lavora per il Centro di Solidarietà di Reggio Emilia Onlus, sul territorio reggiano, nell’area Dipendenze Patologiche, in una struttura residenziale.
Ha pubblicato nel 2022 un saggio di tipo psicologico sulle dipendenze patologiche (“Addiction. Attaccamento, disconnessioni e fattori evolutivo-relazionali”, casa editrice Kimerik, Patti) ed è in fase di lavorazione presso la stessa casa editrice in vista di una prossima pubblicazione un saggio sui disturbi alimentari maschili.
A livello locale ha collaborato con contributi personali ad alcune opere autoedite dell’artista modenese Gianni Martini
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Proseguiamo con una saga famigliare: 

LA GIOSTRA DELLA VITA di Lisa Beneventi (Nua Edizioni, 515 pp, 18 euro).

È la storia della famiglia Colombo che vive nelle terre emiliane, lungo le rive del Po; sullo sfondo la

storia del Regno d’Italia e della Repubblica italiana fino al secondo dopoguerra e agli anni del boom economico.
Nelle pagine di questa saga familiare la vita quotidiana di quattro generazioni si intreccia con storie e fatti straordinari, successi e fallimenti, lotte, guerre e rappresaglie.
Tra alti e bassi, ricchezza e povertà, indifferenza verso i fatti politici o di partecipazione attiva in un 
campo o nell’altro, i personaggi si muovono su piani diversi, su e giù, proprio come sui cavalli di una giostra, trascinati da eventi più grandi di loro.


Notizie biografiche
Nata a Reggio Emilia, Lisa Beneventi vive e lavora tra Quattro Castella in Val Pusteria. Felicemente sposata, ha tre figli e due nipoti. Ama la montagna, l’opera lirica, la pittura astratta. Il suo hobby: creare gioielli.
È stata docente di lingua francese nei licei della sua città e formatrice in corsi di aggiornamento di docenti di scuola secondaria su incarico del Ministero dell’Educazione.
È autrice di numerosi corsi multimediali di lingua francese, grammatiche e storie della letteratura per le scuole superiori, pubblicati con la Editrice Zanichelli. Spinta dal desiderio di rinnovarsi e di scoprire nuovi modi di espressione è stata, in tempi più recenti, prepotentemente attratta dalla pittura, sua antica passione, che l’ha portata a raggiungere risultati importanti e a partecipare a mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Parigi, Londra, Praga, Rotterdam, San Pietroburgo, Svezia). Per la sua attività artistica ha ricevuto la medaglia di bronzo del Senato della Repubblica italiana. Non ha mai abbandonato l’interesse per la scrittura creativa. Negli ultimi anni, tale interesse si è concretizzato nella stesura del suo primo romanzo "Noi siamo come le farfalle"
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Il terzo libro ha come tema... l'aviazione!

MAI SCESI DEL TUTTO di Sergio Barlocchetti  (TraccePerLaMeta Edizioni, 302 pp).

...Così questo libro è dedicato anche a tutti quelli che nella vita hanno avuto tanti grandi amori, ma una sola vera sposa: l’aviazione. In tutto questo, come una fedele compagna che non si può tradire, come una fonte di nutrimento dello spirito libero che è in ognuno di noi, l’aviazione è sempre presente, parte di noi come noi di lei e del cielo. La nostra vita di uomini volanti è immersa nel suo fluido magico che trasforma l’aria in qualcosa di concreto in grado di sollevarci. Basta così, voltate pagina, allacciate le cinture che si comincia.
(dall’introduzione dell’Autore)





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Proseguiamo con un giallo non cruento ma a tratti divertente, dove il dialetto milanese accompagna tutta la storia.


TIRA MÒLLA E MÈSSEDA. Le indagini del Bar William di Paola Varelli (Todaro Ed., 200 pp)


«Tira mòlla e messèda» è un'espressione dialettale milanese che ha un significato simile a “gira che ti
rigira”, intendendo il perdere tempo e girarci intorno. 
Ed è proprio “girandoci intorno” che il virile gommista Mario e l'idraulico Pino, aiutati da Eddy la buttafuori e Viliam il barista, risolveranno l'enigma di un'audiocassetta misteriosa e incomprensibile, recapitata in forma anonima. 
Fa da sfondo a questo romanzo una Milano anni '80, il quartiere del "Borgh di Ortolan" (zona Sarpi) e un bar sui generis, dove i nostri stravaganti investigatori si concedono innumerevoli “biciclette”, aperitivo d'Antan, mentre cercano di fare chiarezza sugli eventi e salvare una persona in pericolo.



venerdì 21 luglio 2023

RECENSIONE > DELITTO AL CONDOMINIO MAGNOLIA di Maria Cristina Buoso



Un anziano maestro, da tutti conosciuto come una persona mite e solitaria, viene trovato morto in casa proprio, con il corpo trafitto da numerose coltellate.
A chi appartiene la mano assassina? Chi poteva avere motivo per volerlo morto?



DELITTO AL CONDOMINIO MAGNOLIA
di Maria Cristina Buoso


Ed. PlaceBook Pub.
Collana: Città in Giallo – Padova 1
116 pp

È ancora notte quando Caterina Angeli - commissario capo in pensione da poche settimane - viene svegliata dalle sirene della polizia: nel condominio Magnolia dev'essere accaduto qualcosa di grave, ma lei non è più in servizio, per cui non ritiene opportuno attivarsi per chiamare in centrale.

Il mattino successivo, mentre fa colazione in un delizioso locale, apprende che c'è stato un omicidio, proprio nel condominio: un uomo 
di settant'anni, Ernesto Ludi, maestro di scuola in pensione, è stato assassinato con ben 14 coltellate.

L'attuale commissario capo Claudia Trini, dirigente della Prima Sezione della Squadra Mobile della Questura di Padova e amica di Caterina, la contatta per farsi aiutare nelle indagini, che da subito si presentano non semplici in quanto non sembra ci siano piste utili da seguire.

La vittima viveva da solo: vedovo, senza figli, aveva vissuto una vita dedicata all'insegnamento e, da pensionato, si limitava a dare qualche lezione privata; tutti i vicini e i conoscenti lo indicano come una persona a modo, gentile, sempre sulle sue e con l'unico passatempo di guardare i ragazzini giocare al parco.
Caterina e Claudia cominciano a indagare nella vita del morto: dev'esserci per forza qualcosa che permetta di capire chi potesse odiarlo tanto da ucciderlo!

E se dietro quella maschera di rispettabilità si fosse celata una persona non proprio limpida?
Interrogando i parenti, le due donne scoprono che Ernesto era detestato da tutti loro e che nessuno ne piange l'assenza.
Anzi.

Il fratello della moglie del Ludi non lo aveva mai sopportato: non solo riteneva che il maestro fosse un individuo senza qualità, ma soprattutto ha condotto un tipo di esistenza raminga che sicuramente ha reso infelice la sorella: la coppia, infatti, con la scusa del lavoro di lui, ha sempre cambiato città, in un susseguirsi inconcepibile di trasferimenti da un posto all'altro, da un istituto all'altro.

Ma perché questa assurda e scomoda esigenza di lasciare il posto di lavoro per andarsene altrove?
Perché non mettere radici in una località e basta, e vivere così  tranquilli, nella stabilità?
Cosa spingeva Ludi a non voler restare nella stessa scuola?
Non voleva... o non poteva?
Forse è qui il nocciolo del problema e rispondere a un tale quesito potrebbe essere la strada giusta per la polizia, per capirci qualcosa in quello che pare essere un omicidio senza capo né coda.

Caterina viene anche a sapere che Ludi aveva un fratello ma i due non avevano alcun rapporto.
Come mai? Se nessun famigliare tollerava il maestro, evidentemente questi tanto buono e bravo non doveva essere!

Scava e scava, come una diligente squadra di archeologi, Claudia e i suoi uomini, supportati dall'intuito e dall'esperienza di Caterina, cominciano pian piano a grattare la superficie e a vedere che qualche scheletro nell'armadio il maestro l'aveva eccome...

Ciò che scopriranno le turberà perché dovranno scontrarsi con le storie di altre persone che hanno sofferto e stanno ancora soffrendo per qualcosa di cui Ernesto è responsabile.
Forse le sue azioni gli si sono rivoltate contro come un boomerang?

Tra chiacchierate informali con chi sa qualcosa, appostamenti e i giusti collegamenti tra persone e fatti, Caterina aiuterà Claudia a districare ogni nodo, grazie alla sua empatia nell'entrare in contatto con le persone da interrogare, nel comprenderne le azioni senza emettere sentenze affrettate, nel condividerne le sofferenze..., fino ad arrivare a prendere decisioni difficili, forse anche moralmente discutibili, ma che in quel momento la sua coscienza le impone di adottare.

Questo breve e scorrevole romanzo di Maria Cristina Buoso presenta gli elementi del giallo classico (già la copertina vintage ce lo suggerisce): c'è un cadavere sin dalle prime pagine; parte un'indagine, con cui si cercano le cause, il movente che ha portato il colpevole (o i colpevoli) a macchiarsi di un delitto; vi è la polizia che porta avanti le indagini ufficiali ma c'è anche la protagonista - che procede in via ufficiosa, mettendo in campo competenza, esperienze, "fiuto" e istinto - che dà un contributo fondamentale e risolutivo al mistero. 
Ad accendere la lampadina a colei che risolverà il caso è un film, che a sua volta si ispira a un celebre giallo. Non dico altro per non svelare nulla -_^

È un romanzo che si legge velocemente, semplice e immediato nel linguaggio, ideale per intrattenere in queste giornate in cui si ha voglia di letture piacevoli e che ci regalino momenti di svago.

giovedì 20 luglio 2023

[[ SERIE TV & PODCAST - Parliamone ]]



Salve, cari lettori!

Il post di oggi non ha a che vedere col mondo dei libri, bensì con serie tv e podcast.

Parto da quest'ultima categoria per consigliarvene un paio ascoltati di recente.
Entrambi hanno a che fare con casi di cronaca molto noti: l'omicidio, tutt'oggi irrisolto, di Simonetta Cesaroni negli uffici di via Carlo Poma 2, a Roma, e il caso del Forteto.

  • LE OMBRE DI VIA POMA 

E' un podcast di HuffPost Italia che comprende 8 episodi; ricostruisce e ripercorre le fasi fondamentali
del "giallo di via Poma", che in oltre trent'anni ha visto susseguirsi una sfilza infinita di bugie, errori e depistaggi, che non hanno fatto altro che allontanare sempre più dalla verità.
Gli episodi partono dal racconto di quella fatidica notte del 7 agosto 1990, quando nell’ufficio del comitato regionale per il Lazio degli Ostelli della gioventù in via Poma a Roma, viene trovato il cadavere di Simonetta Cesaroni, colpito da 29 coltellate.
Ci si sofferma, nei successivi episodi, sulle diverse persone che via via sono state indagate e imputate (poi prosciolte), dal portiere Pietrino Vanacore (morto suicida nel 2010 in circostanze quanto meno dubbie; tre giorni dopo avrebbe dovuto deporre al processo contro Busco) a Federico Valle, nipote di Cesare Valle, l’architetto presso cui Vanacore aveva trascorso la notte tra il 7 e l’8 agosto. 
Federico venne indagato in seguito alle assurde dichiarazioni fatte agli inquirenti nel 1992 da un certo Roland Voller, un truffatore austriaco; vent'anni dopo l'omicidio, è toccato a Raniero Busco (il fidanzato di Simonetta), che viene prima condannato a 24 anni ma poi definitivamente assolto.

Ad oggi, non è stato mai individuato l'assassino (o gli assassini) della povera Simonetta, ma una cosa è certa: le indagini sono state condotte malissimo da subito, gli indizi trascurati sono stati troppi, come ad esempio una traccia di sangue, vicina a quello della vittima, ignorata che avrebbe potuto "dire" molto sulla mano assassina.

Un podcast scorrevole, chiaro e interessante, da ascoltare se si vuol ripercorrere le tappe salienti di questo cold case italiano.

  • L'ISOLA CHE NON C'ERA. La favola nera del Forteto

Questo podcast consta anch'esso di otto episodi e racconta ciò che accadde per decenni nella comunità denominata Il Forteto.

Era il 1977 quanto un certo Rodolfo Fiesoli fondava sulle colline del Mugello, alle porte di Firenze, la cooperativa agricola "Il Forteto": un posto bellissimo, immerso nella natura che attrae da subito moltissimi giovani per il modo di vivere comunitario, lontano dalla società moderna.

Ma cos'è esattamente il Forteto? 
Nata come una cooperativa agricola che vive dei prodotti della terra grazie alle vendite porta a porta, col tempo il suo fondatore, dall'innegabile capacità persuasiva (o meglio, manipolatoria), ne fa una comunità sociale, che arriverà ad accogliere bambini in affidamento, provenienti da realtà famigliari disfunzionali, problematiche. Ma ed essere disfunzionale, in realtà, è il tipo di "famiglia" concepita dal Fiesoli, che poi famiglia non è perché egli "predicava" lo scioglimento dei legami famigliari, ritenuti inutili, se non dannosi, per l'individuo e la comunità, e condannava la famiglia tradizionale composta da mamma-papà-figlio.

Se comincerete ad ascoltare questo podcast, verrete immediatamente risucchiati dalla storia narrata dalla voce di Marco Maisano che, in modo intenso, coinvolgente e pulito, illustra, di capitolo in capitolo, le losche caratteristiche del Forteto, al cui interno si verificavano abusi (psicologici, fisici sessuali) tanto nei confronti degli adulti che vi erano entrati volontariamente (e che hanno faticato ad allontanarsene, plagiati com'erano dal loro falso profeta) quanto verso i minori che, purtroppo, il Tribunale per i Minorenni di Firenze affidava alle cure di Fiesoli e collaboratori.

La cosa che vi stupirà apprendere, e che fa sorgere tanta rabbia, è che fino al 2011 la politica, la magistratura, gli assistenti sociali e molti altri, hanno elogiato l'operato del Forteto e del suo fondatore, e questo nonostante questi e il suo braccio destro (Luigi Goffredi) fossero già stati condannati nel 1985 per atti di libidine, corruzione ecc.

Non si capisce come sia stato possibile che il Tribunale e i servizi sociali abbiano continuato a mandare  nella cooperativa dei poveri ragazzini che purtroppo hanno subito in prima persona gli abusi del “Profeta“, le sue bugie e le sue manipolazioni. 
Fiesoli agisce impunito, con la tranquilla certezza che nessuno gli va a chiedere conto di come gestisce il Forteto, di cosa accade al suo interno: è convinto di non poter essere fermato da nessuno ed è ciò che effettivamente accade, visto che per anni nessuno andrà mai a bussare alla porta della sua cooperativa.

La storia del Forteto è definibile come un vero e proprio cortocircuito sociale che per quasi quarant'anni ha permesso all'inferno di sembrare il paradiso; si dà voce ad alcuni degli adulti che vi sono entrati perché lo volevano, che si sono sottomessi alla volontà e ai capricci del profeta, e anche a ragazzi che, in quanto minorenni, anni prima erano stati inviati lì per essere aiutati.
La storia del Forteto ci ricorda che in tanti - in politica, a livello istituzionale - sapevano ma non hanno fatto assolutamente niente.

Da ascoltare, sono fatti drammatici che, davvero, fanno indignare non poco!!


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La serie su cui desidero soffermarmi è TREDICI (13 reasons why), tratta dal romanzo di Jay Asher e con Dylan Minnette, Katherine Langford, Brandon Flynn, Christian Navarro, Alisha Boe, Justin Prentice, Miles Heizer, Ross Butler, Devin Druid, Amy Hargreaves.

La serie è un teen drama che ruota attorno ai problemi di un gruppo di adolescente, tutti studenti della Liberty High School; il numero 13 fa riferimento alle 13 ragioni che hanno spinto la giovanissima Hannah Baker al suicidio.

Il protagonista assoluto della serie è il suo compagno di scuola Clay Jensen, che - dopo poco tempo la tragica morte della ragazza - si vede recapitare un pacchetto con dentro delle cassette.
Comincia ad ascoltarle e la voce narrante appartiene proprio ad Hannah: in esse sono elencate le motivazioni che l'hanno spinta a compiere il terribile gesto.

Nella prima stagione tutto gira attorno alle
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cassette; ogni cassetta è dedicata a un/a compagno/a che, in qualche modo, ha a che fare con il malessere emotivo e psicologico provato da Hannah; nell'ascoltarle, Clay - che aveva una cotta per lei ma, per timidezza, non è mai stato in grado di dichiararsi apertamente  e quando sembrava stesse per avvicinarsi, tutto è scoppiato in una bolla di sapone - apprende cose di cui era all'oscuro e che riguardano alcuni dei ragazzi della Liberty: Justin Foley, il primo ragazzo che Hannah ha baciato e che purtroppo le ha mancato di rispetto lasciando che girasse una foto "fraintendibile" su Hannah, da cui sono partite una serie di insulti e maldicenze, che hanno dipinto la ragazza come una facile.
La suicida parla anche di Jessica Davis, sua grande amica, dalla quale però si è sentita tradita, e poi Alex, Courtney, Tyler, Bryce, Zack, Ryan...: tanti sono gli studenti citati da Hannah e da lei "portati in giudizio" per aver dato un contributo - chi più, chi meno - affinchè lei si sentisse sola, presa ingiustamente di mira, umiliata, bullizzata, tanto da star male e da decidere di tagliarsi le vene.

Clay anche è nelle cassette, seppur con un ruolo e un peso differenti, e anche se non le ha fatto del male, non ha fatto nulla per "salvarla", per farla sentire amata e supportata. 

Andando avanti nell'ascolto di ogni cassetta, Clay riesce a riordinare cronologicamente tutta la storia di Hannah e, nell'individuare le persone coinvolte nella tragedia e le loro colpe - singole e di gruppo -, comincia a infilarsi sempre più in una storia che diventa un'ossessione, un pensiero fisso che lo martella, gli dà incubi, allucinazioni..., insomma ne è dentro, troppo dentro, e più ascolta la straziante confessione di Hannah, più ne è dilaniato emotivamente e psicologicamente, provando più sensi di colpa di quelli che gli spetterebbe provare.

A supportarlo c'è, però, Tony Padilla, amico di Hannah, che da lei ha ricevuto l'incarico di assicurarsi che tutti i destinatari ricevano le cassette.

Come vi dicevo, nella prima stagione si va di cassetta in cassetta, per cui i flashback si mescolano col presente e noi conosciamo Hannah, la sua vita, la sua personalità, le insicurezze, la voglia di essere apprezzata, corteggiata, di confidarsi, e iniziamo a renderci conto di come la Liberty High sia una scuola sì all'avanguardia e con numerose attività e iniziative per i gli studenti, ma come allo stesso tempo non li tuteli davvero.

Il preside Bowen è di un superficiale all'inverosimile, a lui interessa che tutto proceda con ordine, disciplina e che non si creino disordini che minino la sua persona; il counselor dell'istituto, Porter, è un brav'uomo e ci prova ad essere empatico con i ragazzi, ma purtroppo non fa del suo meglio e anch'egli figura tra coloro che avrebbero potuto aiutare concretamente Hannah Baker... ma non l'hanno fatto.

Dalle cassette verranno fuori situazioni incresciose, che vanno dal bullismo (prese in giro, insulti terribili scritti ovunque, foto private - potenzialmente inappropriate - fatte circolare per tutta la scuola, percosse...) alle violenze sessuali, il che vuol dire che ci sono ragazzi che hanno commesso dei reati e non certo delle semplici bravate.

La famiglia di Hannah, intanto, denuncia la scuola perché si prenda le proprie responsabilità circa ciò che è successo alla loro figliola.

La seconda stagione, infatti, comprende il processo alla Liberty, per cui l'accusa e la difesa chiamano a testimoniare adulti e studenti, cercando ciascuno di dimostrare la propria tesi, che verte in pratica attorno alla domanda: a scuola, professori, preside, psicologo e anche i compagni, avrebbero potuto accorgersi delle difficoltà e sofferenze di Hannah così da ascoltarne il muto grido d'aiuto, fermare il bullismo e quindi prevenire il gesto suicida?

Ovviamente, più si va avanti nello scavare nei comportamenti di tutti e più emergono i segreti torbidi di ciascuno, la stessa Hannah non aveva detto tante cose di sé neanche ai genitori o a Clay, con cui comunque erano molto amici.

Fino alla seconda stagione, devo dire che mi sono sentita altamente coinvolta dalle drammatiche vicende dei ragazzi, provando una gamma di stati d'animo ed emozioni, dalla rabbia alla commozione al dispiacere; la trama si fa più complicata quando emerge che non è solo Hanna, ovviamente, ad essere stata vittima della condotta deprecabile sempre dello stesso gruppetto di ragazzi, che - guarda caso - appartengono alla squadra di football, per cui si spalleggiano e si difendono come se fossero una organizzazione criminale fondata su legami inossidabili.

In pratica, ci sono state diverse ragazze stuprate - alcune in stato di ubriachezza, per cui non ricordano nulla - e, per quanto ad essere coinvolti sono diversi studenti - l'unico colpevole è uno di essi, che poi è tra i ragazzi più in vista ed influenti, figlio di papà, ricco, con una grande disponibilità di soldi e di droga.

Andando avanti con la terza stagione - dove ormai il processo è finito - ci si concentra man mano su ciascuno dei ragazzi nominati nelle cassette che, col tempo, hanno legato, formando un gruppetto di amici sempre pronti a difendersi, a guardarsi le spalle, ad aiutarsi nel momento del bisogno: Clay, Tony, Justin (che si avvicina molto a Jensen e famiglia, non avendone una sua, purtroppo), Jessica, Tyler (pure lui povera vittima di una violenza assurda, ad opera di uno studente noto per i suoi comportamenti aggressivi, da bullo), Alex, Zack..., a volte litigheranno, se le daranno e diranno di ogni ma ci sarà sempre un doppio filo a legarli.

Un filo fatto di menzogne, complicità in reati, occultamenti di prove..., insomma da teen drama Tredici si trasforma, nella terza stagione, in una sorta di thriller psicologico in quanto ci sarà un omicidio e i sospettati saranno praticamente tutti i componenti del gruppo di amici di Clay (dalla terza si aggiunge Ani, una ragazza bella e sveglia che, almeno inizialmente, mi starà un po' sulle scatole perché  è un'impicciona di prima categoria!! Sta sempre a origliare e a farsi i fatti altrui, ma si guarda bene dal dire i propri, e infatti pure lei ha i suoi scheletri nell'armadio), Clay compreso.

Ecco, parliamo di Clay.
All'inizio, lo si ama perché è il classico bravo ragazzo che non potrebbe far del male a nessuno; certo, ha qualche "problemino" a livello emotivo, e quando comincia ad occuparsi del "caso Hannah" per svelarne ogni aspetto, l'equilibrio psichico traballa; ma di stagione in stagione, esce proprio fuori di capoccia!! Allucinazioni, paranoie e tanto altro che non sto a dire per non spoilerare, roba che me l'ha reso onestamente un po' stancante come personaggio, patetico e pesante.

Però alla fine gli si vuol bene e mi è dispiaciuto vederlo sbroccare una puntata sì e l'altra pure; fortunatamente, ha una famiglia che lo sostiene e anche i suoi amici - Justin e Tony in particolare - gli daranno una grande mano quando sarà in serie difficoltà.

La serie termina con la quarta stagione, che forse è quella che ci poteva essere risparmiata.
A dire il vero, già dalla metà della terza ho pensato: la stanno tirando con le pinze, sforzandosi di mettere troppa carne sul fuoco, di creare intrallazzi che però hanno finito per rendere le vicende surreali e poco appassionanti.

Tanto per capirci: la scuola è dipinta come un covo di delinquenti, bulli e stupratori che gli adulti non puniscono più di tanto; spesso mi sono ritrovata a chiedermi se non fosse decisamente esagerato il ritratto che ne viene fuori di 'sti ragazzi, che sono un concentrato di problemi: li hanno tutti loro, santa pace.

Io ho continuato a guardarla perchè ormai volevo sapere come sarebbe finita e anche perché mi ero affezionata ai ragazzi; devo dire anche, comunque, che verso la fine della quarta gli sceneggiatori mi hanno dato la mazzata finale rifilandomi un lutto straziante, che mi ha commossa fino alle lacrime, per cui li perdono per aver allungato il brodo.

Concludo.
È una serie che tratta tematiche serie e importanti: bullismo, violenze domestiche, stupri, tossicodipendenza, omosessualità e discriminazione, la responsabilità degli adulti - spesso assenti, distratti - e il loro essere o meno dei validi punti di riferimento per i giovani, ma mette al centro anche l'amicizia quale valore fondamentale nella vita degli adolescenti (e di tutti, certo, a ogni età).
Nel complesso a me è piaciuta, nonostante parte della terza e della quarta siano un po' forzate, e dopo averla terminata mi sono accorta che i ragazzi della Liberty (che confermo essere una scuola orrenda, un vero inferno) mi mancavano.

Per compensare il vuoto emotivo lasciatomi da Mr Paranoia Clay e dalla sua...ehm... vivace cricca di amici, ho iniziato una serie norvegese su Raiplay (Rumors), sempre con degli adolescenti come protagonisti, ma la sto trovando moscetta. Però proseguo un altro po', magari migliora.

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