venerdì 9 dicembre 2022

♣ RECENSIONE ♣ LE TRANSIZIONI di Pajtim Statovci

 

"Sei un uomo o una donna? A volte rispondo uomo, a volte donna, altre non rispondo affatto...": un romanzo sulla ricerca della propria identità, sui tanti passaggi e fasi che si attraversano nella vita, sui sentimenti che legano un individuo alla famiglia, al proprio Paese, alle proprie radici e su come spesso, da essi, si desideri - o meglio, si senta il bisogno di - prendere le distanze, necessarie per ritrovarsi e per tentare di trovare una pace, un equilibrio.


LE TRANSIZIONI 
di Pajtim Statovci

Sellerio Ed.
trad. N. Rainò
272 pp
16 euro
2020
"...è sempre la stessa antica maledizione: ciascuno desidera quel che non ha..." ed essere ciò che non è, aggiungo io.

Chi di noi, infatti, non ha mai desiderato, anche solo per una volta e "per gioco" di poter essere una persona diversa da quella che è, o magari anche più d'una nel corso di un'intera esistenza?

Bujar non solo lo desidera ma vive così: è tante cose, ora è uomo ora è donna, in un certo periodo della sua vita racconta di essere originario di Sarajevo, in un altro si mostra come un giovanotto affascinante che fa innamorare le ragazze.
Nel corso della sua giovane esistenza lo vediamo passare di nazione in nazione, di città in città, in Europa e non solo, e ogni volta provare a tirare avanti facendo tante cose e allacciando legami d'amicizia e d'amore: se in Germania sente il desiderio di iscriversi ad un corso di scrittura creativa, in Italia e a New York gli si spegne tutto, pure la voglia di vivere, e gli si accende un senso spaventoso di inutilità; magari in Finlandia le cose potrebbero andar meglio? 

La verità è che, a prescindere dalla città in cui decide di provare a stanziarsi, dal nome con cui si presenterà, dal Paese che sceglierà quale patria, dal lavoro che vorrà fare, dall'identità che avrà voglia di vestire, dagli uomini o dalle donne che amerà, la solitudine e un onnipresente guscio di malinconia lo accompagneranno sempre.


"Andai in Germania, e dalla Germania in Spagna, e poi dalla Spagna negli Stati Uniti, e per anni fui così sola da essere molto vicina a togliermi la vita, e non sapevo cosa farne di tutta quella solitudine, non potevo sbarazzarmene, era come l’aria, era lo spazio che divideva me e la persona che mi sedeva di fronte, era il volto di tutte le persone che guardavo e non ricambiavano lo sguardo, era ogni schiena che si allontanava e ogni parola che non mi veniva rivolta."

Ma, vi chiederete, chi è davvero Bujar? Da dove viene, quanti anni fa? Ha dei sogni, delle ambizioni? Dei famigliari e un focolare al quale ritornare dopo tanto peregrinare? Amici? Uno o più amori, braccia pronte ad accoglierlo, volti e corpi da accarezzare, accanto ai quali stendersi per poter parlare, di notte, a voce bassa, sussurrando fino a sentire null'altro che un bisbiglio, eppure con la consapevolezza che l'altro ti ascolta, ti capisce, ti ama per come sei e anche con i tuoi silenzi?

Bujar è un albanese e il lettore fa la sua conoscenza quando ha 22 anni e vive a Roma (nel 1998); la narrazione non è lineare, a volte fa dei balzi indietro ed altre in avanti; il protagonista ci racconta della sua infanzia povera in Albania, della sua famiglia, dei discorsi politici fatti in casa, della situazione del Paese ai tempi della dittatura comunista di Hoxha, ci dà dettagli della propria esistenza, sia reali che inventati, e lo fa mentre si racconta a un amico o a una sconosciuta, dando un resoconto (triste, drammatico) di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, come dicevo, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki.  

Conosciamo, quindi, l’adolescenza poverissima a Tirana, «la discarica d’Europa, il fanalino di coda dell’Europa, la prigione a cielo aperto più grande d’Europa»  e Bujar narra la sua storia in prima persona: i genitori, la sorella maggiore, l'amico del cuore Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale; Agim con il suo carisma, il carattere determinato, sempre con le idee chiare, pronto a sfidare la vita con la sua intelligenza vivace; Bujar ci racconta di come la famiglia si sia disgregata dopo la morte del padre e di come, spinto proprio da Agim, abbia lasciato la madre e abbia incominciato ad andarsene in giro, prima con l'amico sempre in Albania, e poi fuori.

Bujar non fa che inventare continuamente sé stesso e la propria storia, ma in queste bugie una cosa è chiara: si vergogna di essere albanese e non vuole dire di esserlo, né ama parlare della famiglia d'origine.
È un piccolo e innocente impostore che costruisce la propria storia personale "rubando" frammenti di esistenze di altre persone, i loro nomi e il loro passato, scegliendo di volta in volta "...cosa sono, posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità e il mio nome, il luogo di nascita, semplicemente aprendo la bocca. Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle."

Certo, non è facile,

"...bisogna essere preparati. Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne..."
  
Il periodo insieme ad Agim è costellato da problemi economici e di brutte esperienze, fatte di umiliazioni, maltrattamenti e abusi da parte di chi sembrava un angelo custode e invece...

Entrambi si sentono fuori luogo in questo loro paese così povero, devastato, ma la comune povertà li rende sempre più dipendenti l’uno dall’altro: vivono all'avventura e alla giornata, per le strade di Tirana, poi sulla costa, fino al viaggio da clandestini in Italia attraverso l’Adriatico.

Certi avvenimenti e incontri negativi finiscono per plasmare il povero Bujar, che dalle macerie di vergogna, cattiverie, solitudine, costruisce una creatura nuova senza più origine e nazionalità, pronta a sfidare e ad abitare il mondo intero, ad essere una sorta di "cittadino del mondo" senza patria.

"...non ho più avuto una patria ma solo altri Paesi, Stati stranieri che ho dovuto far diventare la mia patria".

Il racconto della tante vicissitudini e peripezie alle quali va incontro è contrassegnato dal dolore, dalla sofferenza, dalla tristezza, dalla difficoltà di mettere radici, di riuscire ad affidare il proprio cuore e la propria serenità nelle mani di qualcuno perché c'è sempre qualcosa che gli manca, che lo indispone anche verso colui o colei con cui, per un certo periodo, ha condiviso un amore, una convivenza ma che poi s'è rivelato insufficiente o inadeguato a colmare i tanti vuoti affettivi di Bujar, il quale più cerca di sfuggire alle proprie origini, meno ci riesce.

Non fa che ricordare a sé stesso l'odio che che ha nutrito per certi atteggiamenti ipocriti dei genitori, giurando che lui mai sarebbe diventato come loro, che non gli sarebbe importato di quel che la gente pensava di lui, che "non sarei stato un albanese, in nessun modo, ma qualcun altro, chiunque altro."

Leggiamo dell'amarezza provata riflettendo sulla triste verità che a nessuno importa niente della sua terra insignificante, abbandonata, retta da psicopatici, di questo popolo asfissiato e stanco a cui lui, volente o nolente, appartiene.

Viaggiamo insieme al protagonista, ci fermiamo con lui in piccoli appartamenti e stanzette, conosciamo i suoi amori, ci impressiona quel lato del carattere inaspettatamente violento, aggressivo, che emerge quando si sente preso in giro, giudicato, schernito.

Il giovane autore sa trasmetterci con molta efficacia tutta la gamma di stati d'animo ed emozioni del protagonista: la disperazione, la sensazione di noia e di insoddisfazione, i continui sensi di colpa che gli stringono il cuore, la nostalgia per chi non c'è più, la rabbia quando non si sente accettato e accolto (perché essere diversi dalla massa dev'essere considerato un reato o una cosa di cui vergognarsi?).

Sentiamo tutta la sua ingombrante ed opprimente tristezza nei momenti di maggiore debolezza, la sua angosciante convinzione di non essere nulla per gli altri, la paura di essere un "signor nessuno" e di come questa percezione equivalga a morire un pezzettino alla volta.

"Se la morte fosse una sensazione, sarebbe questo: l’invisibilità, vivere la tua vita in abiti scomodi,  camminare con scarpe strette."

"Le transizioni" è un libro che appassiona il lettore dalle prime righe per la scrittura potente, poetica e cruda allo stesso tempo e che risulta sempre coinvolgente grazie al protagonista e alla sua personalità complessa: ora sembra tanto fragile, ora più deciso, e comunque in costante movimento, coerentemente con quella fluidità che è sessuale ma non solo: è qualcosa che parte da dentro e che si estende in altri ambiti della vita; c'è in Bujar una tensione a vivere mille vite, possibilità, identità, allontanandosi il più possibile da quella originaria (il suo essere un albanese di umilissime origini), un'irrequietezza che lo induce a non star fermo in nessun posto, a cercare sempre qualcosa di più, di meglio, di più vero.

Sono pagine che a me hanno trasmesso dolore, angoscia, smarrimento; Bujar vive nell'incessante ricerca di un equilibrio, diviso tra il timore di sentirsi sempre inadeguato, non accettato per quel che è (ma com'è? chi è? Sono domande alle quali lui stesso non ha un'unica risposta) e l'euforia di voler essere comunque sé stesso, non definibile né etichettabile (anche l'uso dei pronomi - sia femminile che maschile - lo conferma).

Solitamente non mi dà fastidio che si salti da un periodo temporale ad un altro, ma in questo libro tale scelta narrativa l'ho "sofferta" un po' perché gli anni erano praticamente sempre differenti e non veniva automatico orientarmi a ogni nuova "transizione".

Mentre leggevo, soffrivo con Bujar ed empatizzavo con i suoi sentimenti; le esperienze brutte sono un pugno nello stomaco e il linguaggio in quei momenti è rude e "forte".

Un romanzo che, con la sua narrazione intensa, innovativa e spiazzante, fa riflettere sul tema dell'identità, sui legami d’appartenenza, sul sentirsi esclusi e rifiutati per il proprio modo di essere, sul diritto di tutti e di ciascuno di essere amati, sull'ingiustificata crudeltà che invece si riceve per il fatto di essere additati come "diversi"; una lettura che mi ha colpito per il suo essere enigmatica, quasi inafferrabile, proprio come il suo particolare protagonista.



Bio Autore (Sellerio)
Pajtim Statovci, nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Il suo romanzo d’esordio, uscito nel 2014 e pubblicato in Italia con il titolo L’ultimo parallelo dell’anima, ha vinto il Premio Helsingin Sanomat. Le transizioni (Sellerio 2020), il suo secondo romanzo, tradotto in molte lingue, finalista al National Book Award, ha vinto il Toi-sinkoinen Literature Prize nel 2016 e nel 2018 gli è stato assegnato l’Helsinki Writer of the Year Award. Gli invisibili (Sellerio 2021) ha ricevuto il prestigioso Finlandia Prize, che consacra l’autore come il più giovane vincitore di ogni tempo.




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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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