Con questo romanzo la scrittrice e sceneggiatrice francese ci presenta i membri di una famiglia ungherese di origini ebraiche, i Popper, focalizzandosi soprattutto sui complessi e conflittuali legami fra i tre fratelli Serge, Jean e Nana, ritratti in tutta la loro fragile umanità, nei lati comici come in quelli patetici e malinconici.
SERGE di Yasmina Reza
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Adelphi Ed. trad. D. Salomoni 186 pp |
Come suggerisce il titolo stesso del libro, il personaggio centrale è Serge, il maggiore dei tre fratelli Popper, un tipo cialtrone, inaffidabile, intelligente ma anche inconcludente, egoista e superstizioso, scorbutico, irriverente, fragile e seducente.
Ma non è sua la voce narrante, bensì del fratello "di mezzo", Jean, che adora Serge e da sempre lo segue, giustifica e asseconda senza mai metterlo in discussione, piuttosto subendone volutamente il carisma.
E poi c'è la loro sorellina, la moralista e petulante Nana, l'unica la cui vita sentimentale non è naufragata, a differenza dei fratelli che, invece, hanno relazioni amorose fallimentari.
Attorno a loro tre, satellitano altri personaggi minori, altre storie - figli, nipoti, mariti, ex amanti - e ogni storia va ad unirsi alle altre per formare un intreccio narrativo sfaccettato, raccontato con toni irriverenti e brillanti, che mettono in risalto la natura umana con le sue contraddizioni, ansietà, crisi e debolezze.
La lettura di questo libro non è stata, per me, particolarmente entusiasmante o coinvolgente, ho "sentito" una barriera emotiva tra me e i personaggi principali, le cui vicende non mi hanno "presa", ma questo non mi ha impedito di apprezzarne alcuni elementi.
Serge, ad es., è un uomo che facilmente potrebbe non destare simpatia in quanto spesso si comporta e parla in modo superficiale, poco sensibile (con la figlia, con la sorella, con l'ex-compagna...) ma, a ben guardare, vi è in lui una personalità ricca ed interessante da un punto di vista psicologico.
A sentirlo parlare, potremmo essere indotti a dire che Serge sia antisemita (pur avendo origini ebraiche), che detesti "la propria gente" e che, soprattutto, non sembri condividere e provare il dolore per il dramma dell'Olocausto.
Questo suo "sentimento" emerge in particolare nel momento in cui sua figlia Joséphine propone e organizza un viaggio in Polonia per visitare il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in quanto lì sono morti diversi loro parenti, negli anni della seconda guerra mondiale.
"...andare sulla tomba dei nostri parenti ungheresi. Persone che non avevamo mai conosciuto, di cui non avevamo mai sentito parlare e la cui misera fine non sembrava aver sconvolto l’esistenza di nostra madre. Ma erano la nostra famiglia, erano morti in quanto ebrei, avevano subìto la sorte funesta di un popolo del quale avevamo ricevuto il retaggio e in un mondo ebbro della parola memoria sembrava disonorevole lavarsene le mani. Almeno è così che interpretavo il fervido coinvolgimento di mia nipote Joséphine..."
Ad accompagnare la ragazza sono il padre Serge e gli zii Jean e Nana, ciascuno con in testa aspettative, pensieri, motivazioni diversi gli uni dagli altri.
Se le due donne danno molta importanza a questo "viaggio turistico" nel campo di concentramento, prendendolo molto sul serio (com'è giusto che sia, aggiungerei), i due uomini no: c'è in loro un atteggiamento quasi di resistenza e insofferenza, un desiderio più o meno esplicitato di staccarsi da questa triste eredità legata al loro essere ebrei, frutto dell'esempio avuto dalla loro madre, la quale
"... aveva la tendenza così poco contemporanea a non essere per nessuna ragione al mondo una vittima. Sicché non amava quello Stato la cui essenza consisteva per lei nell’esporre agli occhi del mondo una cicatrice indelebile."
Josephine Popper faceva da contraltare al marito Edgar, sionista convinto, che avrebbe voluto educare i figli all'interno della cultura e della religione ebraiche, ma aveva fatto l'errore, a proprio dire, di lasciare ogni decisione alla moglie (!!?!?!?).
Ma se, ancora una volta, Jean si limita ad essere nell'ombra, assumendo posizioni tiepide, non esponendosi mai davvero e cercando di mediare tra i famigliari quando bisticciano aspramente, Serge non esita a dare il peggio di sé, con comportamenti e parole sgradevoli, disfattiste e irritanti, che non possono che creare tensioni e litigi.
Ma lui è così: tendente alla distruzione dei rapporti con gli altri come di sé stesso, nevrotico, insoddisfatto, in perenne crisi d'identità.
"Serge, incapace di rallegrarsi di essere in un posto senza aspirare subito a non esserci più, che passava la vita a sostenere di dover trovare scampo. Nostro padre diceva, è tarantolato, non riesce a star fermo! Ai suoi occhi era un pessimo segno. In quella irrequietezza lui ci vedeva solo vanità, solo pazzia o malessere. Io non ho mai creduto che si trattasse di semplice irrequietezza. Gli uccelli non sono né irrequieti né pazzi. Cercano il posto migliore e non lo trovano. Tutti crediamo che esista un posto migliore."
La caratterizzazione dei personaggi passa attraverso le loro azioni e le loro parole e l'autrice ha scelto di utilizzare un linguaggio che ben li rappresenta: provocatorio, pungente, graffiante, umoristico e leggero, amaro e malinconico, e in questo modo emergono le tante facce, le ombre e le luci, la tenerezza e il cinismo, che connotano i rapporti umani, ancor più i legami famigliari, quasi mai privi di contraddizioni e criticità.
Ciao Angela, non ho mai letto nulla di Yasmina Reza. Mi sembra un romanzo dai temi importanti come l'identità e la Memoria. Peccato che non si sia creata la giusta empatia per poter apprezzare questa lettura. Un cordiale saluto :)
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