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mercoledì 31 gennaio 2024

RECENSIONE 🌈 I COLORI DI ARCOIRIS di Thokozile Martucci Schiavi


I colori di Arcoiris di Thokozile Martucci Schiavi è un racconto illustrato per bambini che ha come protagonista un ragazzino di nome Samu, il quale è in viaggio con la famiglia; a un certo punto, però, l'aereo su cui si trova Samu deve fare un atterraggio di emergenza e finisce nei pressi di una località remota e poco nota: Arcoiris. 

Le Mezzelane Casa Editrice
Ill. Marco Ghergo
40 pp
15 euro
LINK

Samu è un bambino curioso e, quando incontra il sindaco di quel posto bello, incastonato tra rigogliosi boschi e prati in fiore, non può fare a meno di porgli un sacco di domande per conoscere meglio Arcoiris, che gli pare, a una prima occhiata, un posto davvero singolare.

Cosa rende Arcoiris un luogo diverso da tutti gli altri?

Qui la vita scorre tranquilla ed equilibrata, c'è un'armonia speciale tra gli abitanti, che amano vivere in quel posto e starsene tra di loro; passeggiando col sindaco Murino, chiacchierando con lui ed ascoltando le sue risposte, Samu capirà come sia la vita ad Arcoiris e quanto essa sia straordinaria nella sua incredibile semplicità.

Tra una domanda e l'altra, Samu imparerà a mettere in discussione il proprio modo di vedere le cose, ad adottare "occhi nuovi" per esplorare e conoscere, con sincero stupore, il mondo, la natura, le persone, gli animali, i fiori.

Perché ad Arcoiris non hanno importanza le apparenze, l'esteriorità: se una cosa è bella, lo è perché porta gioia a chi la guarda, a prescindere da come sia esteriormente e da quale nome si scelga per nominarla.


Questo racconto si rivolge a lettori molto giovani ed è piacevole e di facile lettura, grazie ad uno stile chiaro e semplice, alle belle illustrazioni e agli spunti che offre per riflettere insieme ai piccoli su tematiche come l'accoglienza dell'altro - diverso da noi e, allo stesso tempo, simile a noi per tanti aspetti -; l'importanza data alla sostanza, all'interiore prima ancora che a ciò che vediamo dall'esterno, in superficie; il saper vivere in comunità, godendo della compagnia di chi ci è vicino, apprezzare il posto in cui si vive e goderne la bellezza.

Insomma, un libro che ha qualcosa di importante da dire a grandi e piccini.



L’autrice
Thokozile Martucci Schiavi, italiana di origine eritrea, dopo gli studi in Comunicazione espatria nel Regno Unito e poi si trasferisce in Germania.
Lavora come editor e copywriter, si dedica allo studio della criminologia e la sua più grande passione è viaggiare, soprattutto nel suo amato Brasile. Attivista per i diritti umani e le minoranze, con la sua penna mira a diffondere importanti messaggi di sensibilizzazione. Oltre a racconti per bambini, scrive di mondi immaginari e persone reali.


domenica 28 gennaio 2024

🖤 RECENSIONE 👑 LA REGINA DEGLI INFERI. LA MALEDIZIONE DI PERSEFONE di Hannah Lynn



Una madre e una figlia legatissime tra loro; la prima si è allontanata dalla sua famiglia per evitare di soffrire, la seconda è cresciuta con la madre, apprensiva, controllante e che l'ha sempre trattata come un'eterna adolescente.
E le due donne, di eternità, se ne intendono.
Perché sono due dee, immortali, potenti, superiori agli umani ma travolte dalle medesime forti passioni, soggette anch'esse a odio, amore, rabbia, vendetta, tenerezza, desiderio di essere amate.


LA REGINA DEGLI INFERI.
La maledizione di Persefone
di Hannah Lynn



Ed. Newton Compton
trad. F.Gazzaniga
S. Decio
384 pp
Questa è la storia di Demetra e di sua figlia Kore, che hanno cercato di crearsi un'eternità fatta di serena felicità e di sicurezza lontano dagli dèi dell'Olimpo, ma qualcosa, nei loro piani, non è andata come volevano.

Demetra è una delle 12 divinità dell'Olimpo, essendo figlia di Crono e sorella del famigerato Zeuz, il dio di tutti gli dèi.
Zeus: il fratello minore tanto amato, il "liberatore" dei suoi fratelli, che è riuscito a far sì che il loro padre, che aveva ingoiato i suoi primi cinque figli, li risputasse fuori.

Demetra ama Zeus, così forte, potente, impetuoso, ma sarà proprio il carattere dominante e prepotente del dio a renderglielo odioso, quando un giorno il padre di tutti gli dèi violenta sua sorella Demetra, e da quello stupro nascono Iacco e Kore.

Demetra non si darà mai pace per la violenza subita e si allontanerà dalla sua divina famiglia, rottura che diventerà definitiva quando ancora lui, Zeus, le toglierà l'unico barlume di felicità (l'amore di un uomo, di un mortale) in maniera egoistica e violenta (ancora una volta).

La bella e triste Demetra capisce che nulla può farla sentire ancora legata a quel mondo immortale che non le ha dato molte gioie, ma semmai dolore, rabbia, lacrime, disperazione.
La sola via per vivere la propria eternità serenamente è stare il più lontana possibile dall'arrogante fratello e crescere la propria figlia adorata, Kore, su un'isola chiamata Sifanto.

"Al mio tocco la terra arida si trasformava e diventava fertile, e il grano brillava alla luce del sole, in quantità tali da esaudire i sogni di qualsiasi contadino. Perché quello era il mio dono. Era per quello che i mortali mi veneravano, perché portavo loro l'abbondanza dei raccolti."

Demetra è una divinità molto amata, che trova il suo diletto nel portare benefici agli umani ed essendo ella la dea della natura, gode nel far del bene alla terra, attraverso abbondanza di raccolti, campi fertili,  ricevendo in cambio la gratitudine e la sincera adorazione di quegli esseri limitati, bisognosi degli interventi divini e dall'esistenza così breve.

Ma il sogno di vivere per sempre con le ninfe (quelle fedeli che l'hanno seguita nella sua fuga dall'Olimpo) e con la dolce e spensierata Kore, che ha sempre mostrato di essere una figlia obbediente, che accetta le decisioni materne senza fiatare, è destinato a finire.

Sì, perché Kore (il cui nome significa "fanciulla"), col trascorrere dei secoli, è stanca di quella segregazione nell'isola e sente l'impellente bisogno di girare il mondo, di passare di prato in prato, di conoscere e raccogliere le specie di fiori e frutti più belle e mai viste prima, di osservare gli umani che amano, cantano, ballano, si sposano, fanno figli, lavorano, muoiono... e di sentirsi viva!

Kore non vuol diventare come sua madre.
L'ama, certo, l'ammira per la sua pervicacia, per il coraggio di sfidare la famiglia decidendo di allontanarsene, per la capacità di conservare nel proprio cuore una misura d'amore abbondante, che neppure lo scorrere del tempo può indebolire.

Ma non può condividere il desiderio (o la paura?) di Demetra di starsene per conto proprio, di limitare i rapporti con le altre divinità, di condurre un'esistenza immortale all'insegna della solitudine.

No, Kore non è come la madre: lei ha un fuoco dentro che la divora, ha una vitalità e un'energia dirompenti, che la spingono a "costruirsi" una sorta di seconda vita: quando decide di lasciare Sifanto durante il giorno, per andare a visitare il mondo, Kore si rende conto che oltre la pacifica esistenza accanto alla mamma, c'è tanto da conoscere: posti nuovi, muovi sapori, brezze, colori... e forse anche un amore.

Non l'amore malinconico come quello perduto e rimpianto da Demetra, ma un amore passionale, vissuto con tutta se stessa, con il cuore quanto con il corpo. 
Quel sentimento che ti fa battere il cuore a mille, ti fa arrossire le gote e seccare la bocca... e che vorresti fosse eterno.

E Kore vive un amore così... fino al momento in cui sparisce nel nulla. 

A rapirla è Ade, il sovrano dell’Oltretomba e fratello di Demetra e Zeus; il dio la porta con sé sottoterra e Kore è sgomenta e disperata, anche al pensiero della madre, che starà impazzendo nel non sapere dove si trovi l'amatissima figlia. 

Quando si rende conto che implorare Zeus è inutile, Demetra scatena la sua furia, facendo calare un inverno perenne.

Il padre degli dei dell'Olimpo non vuole aiutarla? Bene, lei non benedirà più i mortali con rigogliosi raccolti, anzi: la terra diventerà sterile e arida, non ci saranno più musica né gioia finché ciò che le è stato sottratto non verrà restituito. 

Gli dèi non si sarebbero mai aspettati una tale e ferrea presa di posizione da una dea piuttosto pacifica quale è Demetra, ma l'amore di una madre ferita può divenire un fiume in piena, violento e inarrestabile.

Demetra rivuole indietro sua figlia, non accetta che sposi Ade né che lui la segreghi nel regno dei morti, tutto tenebre e spettri. Kore è luce, vita, sorrisi, colori...: non appartiene a quel regno oscuro e triste!

La stessa Kore non è a suo agio lì e vorrebbe che Ade capisse che il suo è stato un rapimento operato con violenza e inganno: davvero si aspetti che lei lo ami e che accetti volentieri di diventare sua moglie, la regina degli inferi?

Ma una serie di circostanze imprevedibili interverranno a cambiare Kore, nel suo interiore e anche esteriormente.

È vero, non è scesa negli inferi di propria volontà, ma c'è qualcosa nel comportamento di Ade che pian piano le si insinua dentro, inducendola a cambiare, a maturare, ad acquisire nuove consapevolezze su se stessa, sulla propria personalità, sull proprio valore come dea.

Scendendo nell'oltretomba, la spensierata ed eterna fanciulla figlia di Demetra, cresce e una parte di sé - fino a quel momento soffocata - comincia a farsi spazio, a reclamare dignità e brama di potere.

Kore è ormai al di fuori del controllo (seppure amorevole) materno ed è colpita da come Ade la tratti come una sua pari, come la regnante che è; lui la rispetta, è paziente e dà importanza alla sua opinione.
Ade capisce che, durante quel soggiorno negli inferi, Kore si sta trasformando in una dea nuova, autorevole, "adulta".
No, non è più tempo di essere solo la figlia, la fanciulla, bensì di imporsi quale regina del regno dell'Oltretomba: Persefone.

Demetra saprà accettare di non riavere sua figlia tutta per sé?
Dovrà accettarlo suo malgrado e da quel momento la terra conoscerà se mesi di abbondanza e natura lussureggiante e sei di aridità e freddo.

Questo romanzo mitologico è molto bello, la lettura scorre splendidamente, i personaggi sono ben caratterizzati e di essi comprendiamo la psicologia, il carattere, le debolezze e la forza attraverso le loro azioni e reazioni; Demetra e Kore/Persefone sono due donne dalle personalità distanti ma accomunate da un cuore buono e da un grande bisogno di dare e ricevere amore.
Entrambe amano con tutto il cuore e sì struggono per un  amore perduto.
Entrambe, seppur con percorsi differenti, evolvono, mutano nel corso del tempo, divenendo più coscienti di sé stesse e imparando a ritagliarsi il proprio spazio, a usare con saggezza risorse e capacità personali.

Un libro che consiglio a quanti amano le storie degli dèi immortali dell' Olimpo (così umani nel loro modo di amare, vendicarsi, adirarsi, soffrire..., e in un certo senso anche invidiosi dei mortali, che vivono la loro breve e fugace esistenza con tanta passione) e, consentitemelo, a quanti sono cresciuti con l'indimenticabile Pollon (⁠◠⁠‿⁠◕⁠)



ALCUNE CITAZIONI

"...ci sono momenti in cui la sofferenza va anestetizzata e altri in cui bisogna lasciarla bruciare, con tutto il fuoco che il tuo corpo può sopportare".

"Chi ha conosciuto il lutto sa che il dolore ha il potere di piegare il tempo. Di far durare un'eternità ogni secondo".

sabato 27 gennaio 2024

"IL SEGNALIBRO DELLA MEMORIA"





AUDIOFICTION


LA SIGNORA DEI TULIPANI di Mauro Ruggiero

Un'anziana e taciturna signora dai capelli bianchi vende fiori in una strada di Praga tra l'indifferenza dei 


passanti. Ad accorgersi di lei sembra essere solo un giovane giornalista che, spinto dal desiderio di aiutarla, compra spesso quell'unico mazzetto di tulipani che la donna offre.
Presto, però, il giovane scoprirà che dietro quegli occhi azzurri e assenti, la "Signora dei tulipani" nasconde una storia incredibile e toccante iniziata al tempo dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia e della Shoah.



L'uomo incapace di sorridere di Giancarlo Villa

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Londra, 28 Novembre 1962. È una piovosa serata di fine autunno, gelida e cupa.
Due giovani avventori del locale "The Star" si stanno godendo gli ultimi minuti di una serata blues. Il chitarrista del gruppo è un tipo strano, cupo, eccentrico.
La sua terribile storia è una storia di sopravvivenza estrema contro il male; la Storia di un sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen.

Pur essendo due fiction, quindi con personaggi fittizi, di fantasia, ciò che viene narrato rispecchia vicende assolutamente realistiche; sono racconti brevi ma aventi una loro intensità, che coinvolgono emotivamente l'ascoltatore spingendolo a riflettere sui concetti di bene e di male, e di come questi siano presenti entrambi nel profondo dell'animo umano; in particolare nel secondo audiolibro, il personaggio principale è sopravvissuto all'Olocausto per cui la sua esperienza è ovviamente (e tristemente) fedele alla realtà.
In entrambi i casi l'ascolto è stato gradevole grazie all'espressività dei narratori espressivi.



BIOGRAFICO

Il comandante Franz Ziereis di Giancarlo Villa.
,

Al centro vi è la figura del massimo comandante di Mauthausen, 
il campo di concentramento dove venivano deportati principalmente gli intellettuali polacchi e i prigionieri di guerra sovietici.
Dopo esser entrato nella polizia tedesca, Ziereis scala gli ordini gerarchici fino a ottenere il comando del campo, dove si trasferì con la propria famiglia e risiedette per tutta la durata del suo ruolo.
 
Passato alla storia come uno dei più spietati e crudeli gerarchi, incapace di pentirsi persino in punto di morte, Ziereis era noto per la sua ossessione di sparare dalla sua abitazione, davanti al figlio undicenne, a qualsiasi prigioniero tentasse di scappare.

In questa breve ed essenziale biografia l'ascoltatore apprende come sia stata l'infanzia di Ziereis a Monaco, che era un bambino timido e vittima di bullismo da parte dei coetanei, fino ad arrivare agli orrori commessi da comandante nazista, nell'angolo di secolo più buio per l'umanità.
Interessante, permette di conoscere un altro personaggio meschino che ha contribuito a scrivere una pagina nerissima della storia.


TESTIMONIANZE

Le storie di Stanka e Maria: Il campo di concentramento di Gonars e la deportazione dei rom e dei sinti in Friuli Venezia Giulia durante la Seconda guerra mondiale di Andrea Giuseppini


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Nel campo di concentramento fascista di Gonars, un paese in provincia di Udine, furono internate decine di migliaia di civili sloveni e croati. Il campo rimase in funzione dalla primavera del 1942 fino all’8 settembre del 1943. Si calcola che in questo periodo, all’interno del campo, morirono di fame e di malattie circa 500 persone.

Stanka è un’anziana donna rom, nata nella provincia di Lubiana e deportata nel 1942 nel campo di Gonars. Nei ricordi di Stanka, raccolti in questo audio documentario, ci sono la terribile fame, il gran freddo, e le morti, tra cui quella di una piccola bambina rom.

Maria è invece una sinta italiana, nata nel 1929 a Trieste. Per fuggire ai pericoli dei bombardamenti, Maria e la sua famiglia si rifugiano nelle campagne friulane. Qui, dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca, incontrano i rom sloveni deportati a Gonars.

Nei mesi successivi, la madre e un fratello di Stanka, il fratello di Maria e altri giovani rom saranno catturati dai tedeschi e deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Solo in pochi faranno ritorno.

Nell’audiolibro, oltre alle voci di Stanka e Maria, si possono ascoltare quelle della storica Alessandra Kersevan, della partigiana Rosa Cantoni e dello scrittore Boris Pahor.

Testimonianze che vanno ascoltate, conosciute perché sono storie vere, drammatiche, dolorose, che escono direttamente dalla bocca di chi le ha vissute sulla propria pelle, di chi ha sofferto la fame, il freddo, la paura di essere picchiato, ucciso per il solo fatto di essere rom.
Storie che per molto tempo sono state ignorate, non considerate, storie di crimini per i quali i colpevoli non sempre hanno pagato.


Tutte storie da ricordare per il Giorno della Memoria ma affinché questa ricorrenza - che è giustissimo celebrare, non solo il 27 gennaio, ma sempre - non perda il suo valore e il suo fine, è necessario, a mio avviso, denunciare ogni sopruso, violenza, crimine di guerra, tentativi di pulizia etnica/sterminio ecc... che ancora oggi purtroppo avvengono.
Il fatto che ad oggi in tante parti del mondo i diritti di tanti uomini, donne, bambini... vengano costantemente violati non deve far cadere nell'errore di credere che il Giorno della Memoria abbia perso significato, che sia pura retorica e che quindi non serva più ascoltare ancora le testimonianze dei sopravvissuti (il cui numero, ovviamente, si fa sempre più esiguo), leggere libri/articoli o  guardare film/documentari a tema...; nondimeno, proprio per onorare con onestà e in una logica inclusiva questa giornata, nessuna vittima di azioni criminali a scopo di sterminio, di negazione dei diritti umani, va ignorata, sminuita, dimenticata, altrimenti la memoria di ciò che è accaduto durante la seconda guerra mondiale non sarà mai un ricordo, se poi sotto i nostri occhi continuano a verificarsi ingiustizie simili davanti alle quali si tende a girare la testa dall'altra parte e quasi a considerarle "di serie B".


"...se la storia e la memoria pubblica sono un antidoto dovremmo chiedercelo sempre, dove eravamo e dove siamo. Per provare a non correre il rischio di finire in quel maledetto scantinato stantio, a rifugiarsi nello studio, mentre i bambini gridano nella notte. “La memoria della Shoah è di tutti”, ha sostenuto sul sito di “Gariwo” la storica Anna Foa, e ha ragione: è anche delle donne e dei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente. Sempre che sopravvivano.

Forse, chissà, un giorno succederà quello che immagina Elie Duprey (“Contretemps”, 23 dicembre 2023):

"La situazione non lascia spazio all'ottimismo. In Palestina, innanzitutto e prima di tutto, dove il sostegno incondizionato dato a Israele dalle potenze occidentali rende difficile immaginare qualcosa di diverso dall'approfondimento delle dinamiche attuali: pulizia etnica, apartheid, fascistizzazione sempre più spinta della società israeliana, indignazione generale – da parte dell'Occidente – di fronte alle esplosioni di violenza più spettacolari, indifferenza generale – da parte dell'Occidente – di fronte alla violenza quotidiana della colonizzazione. La storia degli Stati Uniti dimostra che certi processi coloniali possono trionfare e certi popoli scomparire. Forse un giorno qualche turista entrando in un casinò di Gaza verserà una lacrima in memoria dei crimini passati, prima di tornare a godere dei benefici della civiltà. Forse no".

Forse sarà così, forse no – in ogni caso decine di migliaia di persone non ci sono più. Dipende anche da noi, dal poco – pochissimo – che contano le nostre voci. Se non le alzeremo abbastanza, e se non verremo ascoltati, chissà, può essere che un giorno qualcuno ci verrà a cercare, sempre che non sia già troppo tardi. Quando busserà alla nostra porta chiedendoci se davvero non sentivamo, non vedevamo, non parlavamo, noi, o almeno io, probabilmente non sapremo cosa dire."


(stralcio di un articolo di Carlo Greppi presente su Gariwo)

lunedì 22 gennaio 2024

|| RECENSIONE || AMARO IN VETRO di Davide Carotenuto



Ironico, arguto, scanzonato e romantico, "Amaro in vetro" è un’autobiografia sentimentale con cui il protagonista (e voce narrante) si mette a nudo, si espone raccontandosi a 360°, gettando maschere e inibizioni per guardarsi dentro e, al contempo, confrontandosi col complicato e "misterioso" universo femminile.


AMARO IN VETRO
di Davide Carotenuto


La Bottega delle parole
135 pp
La vita è un susseguirsi di incontri - alcuni più importanti di altri -, di occasioni mancate, di amori rincorsi e persi, di relazioni -alcune più intense, altre meno - il cui ricordo (dolce o amaro che sia) può accompagnarci per anni.
In queste pagine, che scorrono agevolmente sotto gli occhi del lettore, il protagonista si racconta in prima persona, lasciandoci entrare nel suo mondo interiore, fatto di mille pensieri, ricordi, battute scherzose, considerazioni, amarezze, sorrisi, e il racconto di sé è un vero e proprio fiume in piena, travolgente e appassionato.

Nel suo raccontarsi senza filtri e senza riserve, il protagonista torna indietro nel tempo molto spesso e, proprio come se parlasse a un amico silenzioso con cui ha voglia di aprirsi, ci confida aneddoti del suo passato e lo fa senza essere mai pesante, triste o patetico, ma al contrario con un piglio simpatico, autoironico, sempre pronto alla battuta spensierata.

Incontri con donne più o meno importanti, ciascuna della quali ha lasciato comunque un segno - per piccolo che sia - nella sua vita (altrimenti non varrebbe neppure la pena parlarne, no?) e ha contribuito a renderlo la persona che è: pragmatica, forse a tratti anche un tantino cinica e disillusa, eppure mai privata di quel romanticismo di cui egli sente fortemente il bisogno.

Perché il nostro protagonista non ha smesso mai di sperare di incontrare, presto o tardi, l'amore della vita: "...nonostante tutto, ci credo ancora nell’amore. Credo ancora di poter trovare la persona giusta che, al mattino, mi svegli sussurrandomi “...ho fatto il caffè ... facciamo colazione insieme?”".

Dai suoi racconti emerge quanto egli provi ad analizzare - criticamente eppure senza prendersi troppo sul serio - tutte le affascinanti contraddizioni dello sfaccettato mondo femminile, raccontandone le sfumature, le fragilità che spesso risultano poco comprensibili agli uomini. 

Il racconto vivace (una vivacità in cui però non manca, talvolta, una vena di malinconia) e disinvolto delle proprie avventure sentimentali diventano il trampolino per parlare di sé, dei propri pensieri e sentimenti, riflettendo sulla vita e sui rapporti con chi lo circonda, fino ad arrivare ad una migliore conoscenza della propria persona, aprendosi alla possibilità che ogni esperienza fatta, ogni difficoltà incontrata, ogni presenza importante e ogni mancanza che pesa, hanno avuto il loro perché nella alla scoperta di sé stesso, nella sua crescita come uomo che si interroga, che prova a guardarsi e riconoscersi attraverso gli occhi degli altri, individuando, comprendendo e accettando debolezza e insicurezze, proprio quelle che ha sempre cercato di negare e che forse un po' gli hanno impedito di costruire una solida relazione amorosa. 

Nello svelarci ciò che gli passa per la testa, il protagonista prova a smorzare col sorriso la tristezza e a celare ferite che però, a un certo punto, devono essere curate.

"Incidere, drenare e tagliare. E proprio come per una strana infezione, che ti fa stare male al punto da girarsi e rigirarsi nel letto in preda agli spasmi, bisogna praticare un’incisione nel punto nevralgico, favorire la fuoriuscita di quel male oscuro e tagliare via tutto ciò che non serve più..."

Nel parlare di sé, egli è, come dicevo più su, un fiume inarrestabile, che va da un episodio all'altro, collegandoli tra loro attraverso associazioni e ricordi che si succedono di seguito e che sono un po' come delle tappe nel suo percorso esistenziale, tanti piccoli "qualcosa" che hanno spezzato, anche soltanto per un po', la solita routine fatta di gesti abitudinari, più o meno inconsapevoli "che somigliano sempre più al movimento di un automa".
In fondo, fermarsi a ricordare qualcuno e qualcosa ha la sua importanza, perché significa che non ci siamo limitati a vivere senza renderci conto del chi, dove, come quando, perché, ma che abbiamo, anzi, conservato dei frammenti di certe esperienze, di certi attimi, parole, sguardi, silenzi, persone.


"Amaro in vetro" è un romanzo breve ma denso, che riesce ad essere ricco ed introspettivo senza mai appesantire la lettura, la quale - grazie a un'oculata e intelligente leggerezza mista a sfumature di lieve malinconia - risulta costantemente snella e piacevole.

Ringrazio la casa editrice partenopea La Bottega delle parole per la gradita copia digitale in omaggio.

sabato 20 gennaio 2024

RECENSIONE ⛪ CHI HA PECCATO di Anna Bailey



Una sincera amicizia nata tra due ragazze caratterialmente diverse ma legate tra loro da un'affinità profonda: entrambe sono infelici e insoddisfatte del proprio contesto famigliare, della loro vita che, pur così giovane, sembra già arenata tra tristi macerie.
E quando una delle due scompare in circostanza misteriose, l'altra farà di tutto per scoprire la verità, mentre attorno a lei altro non si odono che i rumori cupi del fitto bosco e gli ipocriti sermoni di un pastore esaltato.


CHI HA PECCATO
di Anna Bailey



Ed. Feltrinelli
trad. E. Cantone
339 pp
"È una tipica serata da cittadina di provincia -  l' ultima a Whistling Ridge per molti anni a venire, anche se ancora nessuno può saperlo".

Emma ed Abigail sono amiche da sempre, cresciute insieme nella tranquilla realtà di paese di Whistling Ridge, in Colorado, in cui tutti conoscono tutti e sanno i fatti privati di ognuno.
O almeno credono che sia così.

Ma quando la bella e rossa adolescente Abigail Blake sparisce dopo una serata "vivace", all'insegna del divertimento (droga? alcool? sesso?), trascorsa ad una festa alle Tall Bones (il ritrovo nel bosco in cui si danno appuntamento i teenager di Whistling Ridge), gli equilibri rischiano di incrinarsi perché quello che dovrebbe essere, in fin dei conti, un dramma famigliare, rischia invece di portare allo svelamento di segreti imbarazzanti e verità sgradevoli che getterebbero ombre sulla cittadina, in cui tutti vantano di avere una fede in Dio onesta e sincera.

Il punto di riferimento, attorno al quale si raccoglie tutta la comunità, è infatti costituito dalla chiesa battista guidata dal pastore Lewis, fervente cristiano e appassionato predicatore che dal pulpito, ogni domenica, non fa che tuonare contro il peccato e i peccatori (che si nascondono tra loro), incoraggiando, con veemenza e con la minaccia dell'inferno, le proprie pecorelle ad attenersi ai giusti sentieri tracciati dalla Parola di Dio.

Ma purtroppo sono in tanti, troppi!, a "predicare bene e razzolare male" e nel corso della lettura il lettore si accorge di come ciascuno si serva della propria presunta fede per sentirsi migliore degli altri, per ergersi a giudice, condannando o assolvendo, o per colpevolizzarsi sentendosi un fallito; c'è chi la fede l'ha smarrita a furia di ingoiare bocconi amari e chi vi si aggrappa con tutte le forze, come uno zoppo tiene saldo il proprio bastone nella mano per non cadere.

Emma Alvarez è la migliore amica di Abigail e, dopo aver appreso della sua scomparsa, si sente in colpa.
Perché?
Perché lei era con Abi quella maledetta sera a Tall Bones, ha provato a farla desistere dall'andare alla festa senza di lei ma nulla ha potuto contro la sicurezza dell'amica, che non aveva alcuna intenzione di rinunciare a divertirsi.

Se solo Emma avesse insistito di più, se avesse supplicato Abi di non andare, di non seguire quel losco e ambiguo figuro che è Hunter Maddox (loro compagno di scuola, di famiglia benestante e figlio di Jerry Maddox, proprietario della segheria di Whistling Ridge, che dà lavoro a diversi uomini in città), forse non le sarebbe accaduto nulla.

La polizia - rappresentata dallo sceriffo Gaines - non ha preso molto sul serio la scomparsa: tenendo conto dell'età della ragazza, potrebbe essere tranquillamente una bravata e, tenendo conto della scapestrata famiglia Blake, potrebbe essere una fuga volontaria da una situazione famigliare decisamente difficile.

Sì, perché tutti a Whistling Ridge sanno chi sono i Blake.
Samuel - il capofamiglia - è un uomo di oltre cinquant'anni con un passato complicato e traumatico (ha combattuto in Vietnam) che riversa tutto il carico di rabbia, frustrazione, infelicità, sui famigliari, vale a dire la moglie Dolly e i figli Noah, Abigail e Jude.

Tranne Abi (che è la preferita del genitore), tutti in casa hanno assaggiato le percosse di Samuel, e non parliamo di un ceffone ogni tanto ma di cinghiate, calci, pugni sferrati con una violenza tale da far saltare i denti, sfondare muri e scaraventare un bambino di cinque anni per le scale, rompendogli una gamba.

Tutti, nella comunità e in parrocchia, sanno della violenza domestica in casa Blake, i cui segni sono ben visibili sui volti e sul corpo di Dolly e figli maschi; sanno ma si fanno i fatti propri.

Il pastore Lewis ciarla di autorità paterna benedetta da Dio, di mogli sottomesse, di figli che devono essere obbedienti e, se non lo sono, è giusto che assaggino la verga.
E quando Abigail sparisce è facile per tanti fare 2+2: è ovvio che la ragazza abbia deciso di scappare, con un padre così (bruto, rozzo, aggressivo, un mezzo pazzo, in pratica), una madre rassegnata e depressa, che si imbottisce di sigarette e Valium, un fratello maggiore di cui si vocifera sia gay e di un fratellino 12enne che ha avuto la disgrazia di nascere per sbaglio in una famiglia che definire disfunzionale è un eufemismo.

Dalle luride pareti delle disordinate stanze di casa Blake emana un puzzo di infelicità e rabbia repressa da essere quasi palpabile e che spinge tutti a stare alla larga da una famiglia così.

Solo Emma resta, negli anni, vicina ad Abi, come sua madre Melissa prova a fare con Dolly, salvo poi perdere l'amica a causa delle limitazioni imposte da Samuel, che non vuole estranei attorno ad impicciarsi dei fatti suoi.
E se il piccolo Jude prova, con l'innocenza dei suoi 12 anni, a coltivare una fede in Gesù genuina, Noah ha smesso da tempo di credere che Dio vegli su di lui e sui suoi cari: no, Dio s'è dimenticato della triste e passiva Dolly, la quale, a sua volta, si è dimenticata cosa voglia dire essere madre: una madre è colei che protegge i propri figli da tutto e tutti, che si batte per loro, che li abbraccia se piangono, li rialza se cadono, si interessa a loro, li ascolta se hanno qualcosa da raccontare.

E Noah avrebbe qualcosa da dire alla madre: vorrebbe dirle che sì, è vero, gli piace un ragazzo e si chiama Rat.

Rat è un rumeno che vive nei pressi di Whistling Ridge, in un camper nel bosco; le sue compagnie sono discutibili e di lui si dice che spacci, ami ubriacarsi e darsi al divertimento più peccaminoso.

Questo straniero è un campanello d'allarme per la comunità e pastore Lewis non perde l'occasione per urlarlo dal pulpito: questo giovanotto, con le sue abitudini dissolute, sta corrompendo i giovani di Whistling Ridge, per cui va assolutamente fermato.
Non solo: pare conoscesse la giovane Abigail... E se c'entrasse qualcosa con la sua scomparsa?

Emma prende a frequentare anch'ella Rat, intenzionata a scoprire la verità su Abi; ma la ragazza ha le proprie fragilità da affrontare, la principale delle quali è il vizio di bere alcool.

Emma è una mezzo sangue, suo padre è un messicano (che ha abbandonato lei e la madre da molti anni e su questo abbandono Melissa non ha mai dato spiegazioni alla figlia) mentre sua madre è una bianca, che di professione fa il medico.

Emma ha un buon rapporto con sua madre, la quale si occupa e preoccupa di questa figlia adolescente piena di problemi e insicurezze, che sta prendendo l'allarmante strada dell'alcolismo e che va un po' troppo spesso nel bosco con amici poco raccomandabili; e adesso che ha perso l'amica del cuore, Emma è ancora più smarrita e arrabbiata.

Mentre cerca di capirci qualcosa - convinta che la chiave di tutto sia il bosco e qualcosa che dev'essere per forza accaduto lì, quella sera -, Emma si scontra con un contesto sociale profondamente razzista, che odia ed emargina chiunque non sia un "americano puro", e bigotto, pronto a sfoderare versetti biblici solo per indicare i peccatori da condannare.

Whistling Ridge perde, giorno dopo giorno, la propria cappa di tranquillità e sicurezza e al cielo, più che le preghiere irreprensibili dei santi, saliranno le urla di invasati e fanatici religiosi il cui odio verso chi è diverso li porterà a commettere azioni deprecabili, chiudendo gli occhi davanti ai veri peccatori, come i padri violenti o quelli che vanno dietro alle ragazzine.

Chi ha peccato a Whistling Ridge?
Sono in tanti a doversi battere il petto: mamme deboli e impaurite che non difendono i figli, mamme che mentono per amore, padri senza scrupoli morali e altri che prendono piacere nell'umiliare i propri cari.

Emma riuscirà a scoprire cosa è successa alla sua Abigail, consapevole di come solo sapendo la verità si possa trovare un po' di quiete per poter poi proseguire verso altre strade, altre direzioni.


"Chi ha peccato" è un thriller dal ritmo incalzante, con una bella suspense che tiene viva l'attenzione del lettore non solo sul destino della ragazza scomparsa ma anche sulle vicende personali, famigliari e comunitarie dei diversi personaggi, principali e no; omosessualità e omofobia, l'importanza della fede e il rischio di un ipocrita e sterile bigottismo che induce solo a colpevolizzare il prossimo piuttosto che ad aiutarlo, razzismo e paura dello "straniero", i problemi adolescenziali, la violenza domestica, i legami genitori-figli sono alcune delle tematiche principali che emergono tra queste pagine, molto ben scritte, scorrevoli, che sostengono uno sviluppo delle vicende molto ben costruito, interessante e coinvolgente.

Consigliato!!

sabato 13 gennaio 2024

[[ RECENSIONE ]] LA VOCE DI ELOISA di Antonella Grimaldi



Una giovane e bella cantante viene ritrovata morta in circostanze misteriose; il caso si presenta, sin dal primo momento, complesso e intricato ma il commissario Antonio Conte, supportato dai suoi efficienti sottoposti, è intenzionato a districare l'ingarbugliata matassa che man mano si andrà delineando e che vedrà coinvolte diverse persone insospettabili.


LA VOCE DI ELOISA 
di Antonella Grimaldi




LFA Publisher
206 pp


Eloisa Donati è una giovane e bellissima donna proprietaria di una trattoria e con un talento canoro notevole; quando in commissariato arriva una telefonata anonima per avvertire che presso l'Abbazia Cistercense, in un dirupo, è presente un corpo senza vita, la polizia scopre che è proprio quello della ragazza.

Suicidio?

Apparentemente potrebbe sembrare così, ma diversi particolari relativi alla posizione e alle condizioni del corpo inducono il commissario Antonio Conte a dubitare che Eloisa si sia tolta la vita.

Le indagini partono immediatamente e Antonio, accompagnato dai fedelissimi e operosi Esposito e Niccolai, inizia a cercare di capire chi fosse la povera Eloisa, come vivesse, che frequentazioni avesse, per capire se ci fossero nella sua vita delle zone d'ombra, delle situazioni oscure che l'hanno potuta portare alla morte.

Dal momento in cui viene scartata con convinzione l'ipotesi suicidaria, non resta che l'omicidio, con le relative e pressanti domande: chi ha ucciso Eloisa Donati e, soprattutto, perché?

Scavare nella vita, nel passato come nel presente, della vittima è inevitabile, e così Conte raccoglie gradualmente informazioni sulla famiglia - in particolare sulla ambigua figura materna e su quella poco raccomandabile del compagno di lei -, sul rapporto col fidanzato Marco, sulle insistenti visite al ristorante di un cliente in particolare (chi era e perché è andato a cena da Eloisa per molte sere di seguito?), sulle amicizie passate, sul suo modo di essere, e pian piano emerge il ritratto di una ragazza nella cui vita non sembrano esserci "scheletri nell'armadio", una donna pulita e con un grande dono: una voce angelica, che sapeva intonare melodie davanti alle quali non ci si poteva che fermarsi per ascoltarla incantati e rapiti.

Il fascino di questa voce colpisce lo stesso Conte - che già di suo è un uomo molto empatico, sensibile alla bellezza femminile, sia a quella dell'animo che a quella estetica - e, in un certo senso, gli risuonerà nelle orecchie guidandolo verso la soluzione del caso.

Antonio Conte è da tutti considerato un grande poliziotto, serio, dotato di un buon intuito e di una sincera devozione alla sua missione di vita: combattere le ingiustizie, difendere i deboli; per carattere e temperamento, egli tende ad essere malinconico, riflessivo, pensa molto al passato e ai legami importanti che hanno dato valore alla sua esistenza fino a quel momento; è un commissario che non si limita ad inseguire e arrestare i colpevoli e i criminali, ma a questo dovere aggiunge il sincero desiderio di cercare la verità, di far sì che trionfino il bene e la giustizia.

Nel suo modo di relazionarsi a coloro che, in qualche modo, sono coinvolti nelle fitte maglie che avvolgono la morte di Eloisa, Antonio si lascia sempre guidare dalla compassione, dal bisogno di comprendere l'essere umano che ha di fronte, che sia una donna dai "facili costumi" o un genitore o un ragazzo semplice e ingenuo.

Durante la coinvolgente ricerca investigativa, egli si ritrova, quindi, a confrontarsi con un universo umano variegato, popolato da gente semplice che ha imparato a trovare la pace e la libertà pur restando ai margini di una società ingiusta, corrotta, in cui troppo spesso ad averla vinta sono i potenti e i prepotenti, coloro che hanno soldi e influenza e che, con i loro velenosi tentacoli, arrivano e hanno le mani in pasta ovunque.

La città viene man mano sconvolta da altri efferati omicidi, a cominciare da persone vicine ad Eloisa, per arrivare ad altre che, solo in apparenza, non paiono collegate all'omicidio di partenza.
Pur essendo solitamente una località tranquilla, Conte scopre con sgomento che c'è un retroterra criminale spaventoso e che i delitti su cui deve indagare sono connessi strettamente a loschi tentativi di infiltrazione da parte della 'Ndrangheta nel tessuto economico della città.

I nomi che, giorno dopo giorno, vengono fuori da interrogatori e minuziosa raccolta di indizi, sono altisonanti, di gente importante con troppi sporchi segreti che Conte è intenzionato a portare a galla affinché Eloisa e le altre vittime possano ottenere giustizia.

Il romanzo di Antonella Grimaldi è un noir/poliziesco che si lascia leggere con fluidità e interesse grazie ad una trama per nulla scontata o banale ma anzi molto ben strutturata e ricca di elementi che conferiscono alla trama corposità; ha, sì, al centro dei delitti e la loro necessaria soluzione ma va oltre questo: ciò che mi ha colpito è stato il porre attenzione all'aspetto umano, ai vissuti, agli stati d'animo, ai pensieri del protagonista, la cui personalità emerge con chiarezza attraverso il suo agire, le sue parole e anche attraverso i frequenti momenti di solitudine, in cui il silenzio - carico di ricordi, desideri inespressi, rimpianti - è il suo unico compagno.

Caparbio, determinato, non prende nulla sotto gamba, non si tira indietro dall'accettare le continue sfide che il suo difficile lavoro gli mettono davanti: Antonio Conte è quel genere di commissario che attira le simpatie del lettore per il suo modo di essere onesto, intelligente ma non cinico e freddo, piuttosto egli è ricco di un'intelligenza emotiva, che gli permette di entrare in connessione con chi gli è vicino, di non ignorarne gli stati d'animo e gli umori.
C'è un che di romantico in quest'uomo che ha superato i quaranta, condivide l'appartamento con il gatto, ha una fidanzata con cui vive una relazione altalenante, si lascia sedurre dalla bellezza femminile e non può fare a meno di fermarsi per ammirarla e fantasticarci un po' su.

Ringrazio l'Autrice per avermi dato l'opportunità di leggere il suo libro, che ho apprezzato e che consiglio, soprattutto a chi ama il genere.

mercoledì 10 gennaio 2024

# RECENSIONE # METELLO di Vasco Pratolini



Al centro di questo romanzo storico e di formazione vi è il racconto del periodo che va dall'infanzia ai trent'anni della vita del protagonista e, in parallelo, vengono ripercorse le tappe principali della storia di un'Italia che, all'indomani dell'Unità, è attraversata da duri conflitti di classe e che vedono i lavoratori combattere per la costruzione e rivendicazione della propria coscienza di classe e dei propri diritti.



METELLO
di Vasco Pratolini



Rizzoli
329 pp
IBS
Metello Salani nasce a Firenze nel 1875 ma resta orfano di entrambi i genitori molto presto; viene quindi cresciuto dalla famiglia Tinaj, che vive in campagna; quando la famiglia decide di cercar fortuna in Belgio, il ragazzo parte da solo verso Firenze.

Ha solo quindici anni e, coraggioso e intraprendente, va in cerca di lavoro e di fortuna, guadagnandosi la protezione di Betto, un vecchio amico del padre che gli vorrà bene come ad un figlio.
Sveglio e curioso, il ragazzino impara a muoversi dentro Firenze, a conoscerne i movimenti politici, economici e sociali, attraverso gli occhi di Betto, che è un anarchico.

Crescendo, trova lavoro come muratore nei cantieri edili, impara cosa significhi far parte della classe dei lavoratori, che piegano la schiena dalla mattina alla sera per qualche spicciolo con cui campare sé stessi e la famiglia, e chi siano invece i "Padroni", coloro per i quali si lavora e che dettano orari, salari, riposo.

Metello sviluppa ben presto una coscienza sociale che lo spinge a muovere i primi passi nel movimento sindacale; ha le sue esperienze amorose, alcune più importanti (come quella con Viola, una vedova più grande di lui), altre decisamente meno, finché non incontra Ersilia.

La conosce quando è solo una ragazzina che ha appena perso il padre (collega di Metello, morto sul lavoro); più tardi i due si innamorano e si sposano.

Metello, nel corso della nostra storia, va in carcere tre volte, conosce la lotta politica, fa esperienze e scelte (personali/famigliari) anche discutibili e diventa un punto di riferimento per i suoi colleghi quando si tratta di fare lo sciopero per chiedere un aumento dei salari all'ingegnere Badolati.
Lo sciopero durerà più di un mese e non sarà affatto un periodo semplice: resistere senza andare a lavorare e senza poter portare i soldi a casa è durissima ma se non combattono i diretti interessati per i propri interessi, nessun altro lo farà per loro.

Metello è un personaggio carismatico, è caparbio, assennato, razionale, anche furbo e sagace, di una "intelligenza modesta ma quadrata"; Ã¨ generoso ed ha una grande consapevolezza delle proprie idee, per le quali si batte ed è disposto a sacrificarsi e, se succede, a farsi portare dietro le sbarre.

"Queste idee, che gli uomini sono tutti uguali, che tutti si ha diritto di lavorare e di non essere sfruttati, quando sono entrate nel sangue, tirano come il sangue, proprio."

L'evoluzione umana e sociale di Metello riflette quella della classe sociale di appartenenza, dei muratori che si trovano davanti alla necessità di unirsi, di fare squadra per far arrivare la propria voce alle orecchie del "Padrone", che ovviamente pensa ai propri affari e, fosse per lui, farebbe chiudere la Camera del Lavoro e ogni associazione sindacale.

Tra queste pagine emerge come, per quanto sia necessaria un'unità di intenti a fare da collante tra i lavoratori che si ribellano a condizioni ingiuste di lavoro, ciò che alla fine deve smuovere ciascuno è la presa di coscienza individuale, senza la quale non c'è coscienza sociale.

"Il numero fa o non fa la forza?".
 "Il numero fa gregge. Collettive sono le pecore che hanno sempre bisogno di tre cose: del pastore, del cane e del bastone. L'individuo è libero e arbitro di tutte le sue azioni".

Coloro che decidono di non stare zitti e di non sopportare più a capo chino sono animati da un sentimento di dignità, di ribellione, e prima ancora  dalla fame e dalla propria personale e precaria situazione.

"Il pane del povero è duro, e non è giusto dire che dove c'è poca roba c'è poco pensiero. Al contrario. Stare a questo mondo è una fatica, soprattutto saperci stare."


Se Metello è sicuramente il protagonista di questo romanzo, ad avere un impatto molto positivo sulla sua maturazione e crescita umana è di certo sua moglie, la giovane Ersilia, dal carattere determinato, innamorata del proprio uomo e della famiglia che hanno cominciato a costruire, disposta a tutto pur di proteggerla da tentazioni e insidie; Ersilia è una compagna di vita sempre pronta a consolare e incoraggiare il marito e anche a perdonarlo quando le manca di rispetto, pur di custodire e portare avanti la speranza di un futuro insieme.

Non posso dire di aver divorato questo libro, forse perché le parti relative alla lotta di classe mi hanno coinvolta un po' meno, però sono contenta di aver letto un'opera di Pratolini, ne ho apprezzato la narrazione realistica, asciutta, resa molto spontanea e naturale dall' uso di un linguaggio parlato e informale (vi sono modi di parlare tipici fiorentini).

lunedì 8 gennaio 2024

* RECENSIONE * L'AMORE MOLESTO di Elena Ferrante



Con la sua penna affilata e schietta, Elena Ferrante scava nel rapporto tra una donna e la sua sfuggente madre, morta suicida (almeno così sembra).


L'AMORE MOLESTO 
di Elena Ferrante



Ed. E/O
176 pp
"Ero così decisa a diventare diversa da lei, che perdevo a una a una le ragioni per assomigliarle."


A quarantacinque anni Delia diventa orfana di madre; proprio nel giorno del suo compleanno, infatti, Amalia viene ritrovata morta, annegata nel tratto di mare di fronte alla località che chiamano Spaccavento.

Che cosa l'è accaduto? Perché si è tolta la vita, ammesso che sia suicidio?
C'era qualcuno con lei la notte in cui è morta? 

Delia fa ritorno da Roma nella città natale, Napoli, in cui viveva la mamma, per organizzare le esequie e, soprattutto, per indagare su questa morte tanto improvvisa quanto tragica.
Sua madre, una donna di sessantatré anni, aveva indosso solo un reggiseno di pizzo, lezioso e lontano dal genere di biancheria - decisamente più semplice - solitamente da lei indossata. 
Delia ripensa al fatto che prima di morire la madre l'avesse chiamata diverse volte al telefono per raccontarle di un uomo che la importunava; si era lasciata andare ad una serie di frasi sconnesse, illogiche, che aveva impensierito la figlia lontana.

E adesso Amalia è morta, non c'è più e Delia non può rivolgerle alcuna domanda.

Eppure il desiderio e l'impellente bisogno di sapere, di indagare, di far cadere ogni velo di mistero sulla propria genitrice, la costringono a restare a Napoli.

Chi era davvero Amalia?

Se lo chiede, Delia, perché si accorge di conoscerla poco, in fondo.
Era la madre di tre figlie femmine, con le quali a un certo punto è andata via di casa, lasciando da solo il marito violento, che per anni l'aveva riempita di botte e tormentata con la sua folle gelosia.

Ne aveva ben donde il padre, di essere roso dalla gelosia più cieca e violenta? Amalia era realmente una donna ambigua, una moglie bugiarda, con una doppia vita, che amava farsi ammirare dagli uomini e sedurli?

"L'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto: la mia almeno era stata così."

Delia riporta alla memoria molti frammenti di ricordi legati all'infanzia a Napoli, in casa con quel padre duro, aggressivo, rozzo, e quella madre inafferrabile, che sembrava non disdegnare le attenzioni di altri uomini e che subiva, remissiva, gli insulti e le botte del marito; alcuni ricordi sono confusi, altri più chiari e Delia capisce che solo buttandosi a capofitto nella caotica e rumorosa città da cui è fuggita, può cercare di capire tante cose su Amalia e, di riflesso, su sé stessa.

Ed è ciò che fa.

Resta a Napoli e comincia a far domande: alla vicina di casa, al burbero e apprensivo zio Filippo (fratello della madre), va in giro per le strade, immergendosi nei chiacchiericci e nelle grida dei vicoli, nel trafficare delle motorette, camminando di fretta sul selciato, respirando gli odori forti di quella vivace città di mare, nella quale si sente ora estranea (non riesce più a parlare il dialetto napoletano in modo spontaneo, fluente, ma anzi il suo ne è una brutta copia, stentata e quasi ridicola) ora parte integrante di qualcosa che le appartiene nelle viscere, nell'anima, di cui è figlia.

Sale e scende dagli autobus, immaginandosi assieme ad Amalia, mentre uomini sconosciuti allungano le mani e lanciano sguardi insistenti e lascivi; va nel negozio di biancheria in cui è stato acquistato il capo di intimo che la madre aveva su quando è annegata.
Incontra persone che potrebbero, in qualche modo, aiutarla a capire, ricordare, mettere a fuoco; tra questi c'è un individuo la cui presenza - tanto nel presente quanto nel passato - è molto ingombrante: Caserta, un uomo anziano che sua madre ha frequentato, che suo padre ha picchiato e con cui pare che Amalia avesse (avuto?) un relazione, che fosse solo di amicizia o qualcosa di più Delia non lo sa con certezza, ma di certo questo Caserta la inquieta, un po' la spaventa e sicuramente la ripugna.

Quella di Delia si trasforma in una sorta di indagine che si snoda in una Napoli libera e soffocante insieme, personaggio in prima linea e vivo tanto quanto le persone che ruotano attorno alla protagonista.

Il quadro che ne viene fuori è quello di vicende famigliari come tante se ne vedono, fatte di quotidiani strazi e litigi, di tradimenti veri o presunti, di donne (mogli, madri, sorelle) che ci si aspetta siano e restino sempre sottomesse, docili, che "le prendano" senza ribellarsi e che restino accanto al coniuge anche quando questi sarebbe capace di ammazzarle.

Delia cerca di ricostruire "il personaggio" di Amalia, di individuarne la vera identità, i difetti e le qualità, e il lettore si ritrova a fare lo stesso "lavoro": Amalia è una donna che ha cercato di essere libera nonostante le percosse, le ingiurie continue, le umiliazioni, le limitazioni; faceva il contrario di ciò che il violento marito si aspettava da lei, pur essendo brava a rabbonirlo con qualche parola mansueta.

Più "conosce" Amalia, più Delia crede di vederne le enormi differenze rispetto a sé stessa.
Fa di tutto per convincersene: Io non sono come te.
Ma la domanda iniziale resta: chi era Amalia?  Perché per prendere le distanze da lei, per dichiarare la diversità e la lontananza dal modello femminile materno, Delia deve prima capire chi era realmente la donna.

In questo travagliato processo di costruzione, decostruzione e ricostruzione dell'immagine materna,  del suo passato, della sua complessa personalità, del loro rapporto madre-figlia, Delia viene messa davanti a diverse e scomode verità, che la turberanno non poco e la spingeranno ad avere diversi confronti e faccia a faccia (con l'odiato padre, ad es.), difficili ma necessari, e soprattutto a capire meglio sé stessa, a mettere ordine tra i ricordi infantili che per decenni sono rimasti come sospesi nella sua memoria. 
La morte della madre, inspiegabile e inaspettata e, per questo, in un certo senso avvolta nel mistero, diventa l'opportunità per la riservata e sola Delia per guardarsi dentro con onestà, senza filtri e distorsioni.

"Ero, all'imperfetto. Mi sentivo lei coi suoi pensieri, libera e felice, sfuggita alla macchina per cucire, ai guanti, all'ago e al filo, a mio padre, alle sue tele, alla carta giallastra su cui era finita in sgorbi sanguigni. Ero identica a lei e tuttavia soffrivo per l'incompiutezza di quell'identità. Riuscivamo a essere «io» solo nel gioco, ormai, e lo sapevo."

"L'amore molesto" è un romanzo breve, si legge (per me: si ascolta) in un soffio, scorre senza intoppi grazie a una scrittura tagliente, energica e quasi aggressiva, al racconto verace della città di Napoli e dei suoi abitanti, all'alone di mistero concernente Amalia (la sua personalità, le sue azioni passate, i suoi legami), all'intensità emotiva (a volte delicata, più spesso brutale) che sprigionano le vicende personali e famigliari narrate.

Leggere l'esordio letterario di Elena Ferrante mi ha messo su una gran voglia di restare a Napoli, riprendendo magari le tetralogia dell'Amica geniale, come mi sono ripromessa di fare.

sabato 6 gennaio 2024

⌛ RECENSIONE ⌛ IL SENSO DI UNA FINE di Julian Barnes



Un romanzo breve ma che, attraverso numerosi flashback e ricordi da parte del protagonista, con intensità e con una scrittura raffinata, colta e coinvolgente, induce a riflettere sul senso dell'esistenza, dello scorrere del tempo e sugli inganni della memoria.


IL SENSO DI UNA FINE 
di Julian Barnes 



Einaudi Ed.
trad. S. Basso
161 pp
"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? 
E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, 
ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. 
Agli altri, ma soprattutto a noi stessi."


Ricevere un'eredità a sorpresa, senza che il beneficiario se lo aspetti, è sicuramente un evento che fa piacere, a prescindere poi dall'entità materiale del lascito.

È ciò che succede a Tony Webster, un uomo in là con gli anni al quale giunge una lettera da parte di un avvocato che gli annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità.
Ad avergliela lasciata è una certa Mrs Sarah Ford, deceduta da qualche mese. 

Chi è Sarah Ford?

No, non è una quasi sconosciuta zia zitella che lo ha nominato unico erede dei propri beni, bensì una persona che sbuca dal lontano passato di Tony e che egli ha visto una sola volta nella propria vita (e ben 40 anni fa!), vale a dire quando era uno studente universitario ed aveva una relazione con la figlia di Sarah, Veronica.

Con Veronica non è durata molto eppure quel fidanzamento ha avuto la sua importanza per Tony (per diverse ragioni, di cui una in particolare e che coinvolge un'altra persona vicina a lui), che trascorse anche una notte a casa dei genitori di lei, unica occasione in cui conobbe Sarah Ford.

L'eredità lasciatagli dalla mancata suocera è accompagnata da un'informazione che stupisce Tony e lo riporta con virulenza indietro nel tempo, facendo riaffiorare tanti ricordi di gioventù e non pochi turbamenti, sensi di colpa, indefiniti rimpianti: oltre a ricevere dei soldi, a Tony spetta anche la copia originale del diario di Adrian Finn.

Chi è Adrian Finn?

Adrian è stato un carissimo amico di Tony negli anni della scuola; assieme ad altri due compagni, formavano un quartetto di inseparabili, tra i quali Adrian spiccava e si distingueva per essere il più colto tra loro, il più intelligente, quello che si lasciava andare a disquisizioni filosofiche con la stessa facilità e dimestichezza con cui gli altri parlavano di ragazze, a ragionamenti su argomenti importanti ed esistenzialistici, insomma non era un giovanotto vanesio ma, anzi, un tipo intellettuale che prometteva una bella e onorata carriera in qualsiasi ambito avesse scelto di lavorare.

Adrian era suo amico anche nel breve periodo in cui Tony aveva frequentato Veronica ed ha smesso di esserlo quando, lasciato da Veronica, il giovane Webster era stato informato dallo stesso Finn del proprio fidanzamento... con Veronica.

Veronica e Adrian insieme?

Per Tony è stato un colpo, una sorta di doppio tradimento: Veronica ha mollato lui per mettersi con quel noioso di Adrian? Inconcepibile!! E lui che era praticamente il suo migliore amico che fa? Si mette con la sua ex?

Il legame d'amicizia tra i due ragazzi si spezza e dopo non molto Tony apprende, con grande turbamento e dispiacere, una spiacevole notizia riguardante Adrian..

La narrazione è un continuo andare dal passato al presente, un flusso di ricordi tramite i quali il protagonista ci porta con sé negli anni in cui era uno studente, raccontandoci il suo rapporto con i coetanei, le esperienze che hanno caratterizzato la propria educazione morale, sentimentale e sessuale, le delusioni, il senso di inadeguatezza e quella fastidiosa consapevolezza che sin da giovane l'ha accompagnato, per non abbandonarlo neppure nella senilità: l'essere un individuo dalla natura così... piatta, il suo essere "grigio", mai brillante, privo di qualsiasi guizzo o dinamicità che lo inducessero mai a primeggiare, a porsi obiettivi ambiziosi.

Tony Webster è sempre stato un uomo privo di grosse qualità, mediocre in tutto: nel lavoro, negli studi, nei rapporti interpersonali, in amore, come marito e padre.
Lui si definisce tranquillo e pacifico ma Veronica era convinta - già da quando erano giovani - che egli fosse un codardo, uno che teneva lontano il rischio, che non si faceva domande "pericolose" che potessero scuoterlo e minare le sue scarse certezze; uno che "ristagnava", privo di nerbo, di verve.

Nel presente, Tony ci racconta del proprio matrimonio e di come esso sia finito in un divorzio; con l'ex - Margareth - ha mantenuto ottimi rapporti ed infatti a lei l'uomo confida insicurezze, pensieri, dubbi, perplessità in merito a tutto ciò che lo tormenta: la singolare decisione di questa emerita (quasi) sconosciuta, il ricordo di Veronica, della loro fugace storia d'amore, i problemi riscontrati in quella breve relazione, l'amicizia (interrotta) con Adrian.

A Margareth Tony non nasconde nulla perché lei è sempre stata un punto di riferimento solido, un porto sicuro: lei così serena, imperturbabile, comprensiva, ascoltatrice empatica, paziente e soprattutto limpida, trasparente, onesta, priva di zone d'ombra.
Margareth non è mai stata una donna misteriosa, al contrario di Veronica, furba, enigmatica, circondata da un alone di mistero che inevitabilmente le conferiva un certo fascino.

E Veronica ricompare anch'ella nel presente, portandosi dietro il suo essere complicata, difficile da capire e con cui Tony ha sempre avuto problemi a rapportarsi, essendo lui fin troppo banale e semplice nei confronti di tutti e di ogni cosa.

Ricordate il diario di Adrian che Mrs Ford ha lasciato scritto debba andare a Tony Webster? Ebbene, è nelle mani di Veronica, che non ha alcuna intenzione di darlo a quell'ex che, da 40 anni a questa parte, non è cambiato per niente.
Per lei, Tony Webster non capiva niente prima e non capisce niente neppure adesso; gli sfugge ogni dettaglio importante, lo si deve imboccare come fosse un ragazzino a cui spiegare tutto.

Perché Veronica si rifiuta di separarsi da quel diario? E perché Tony ci tiene tanto ad averlo, cosa crede (o spera) di trovarvi scritto e che sia, in qualche modo, "dedicato a lui"?

"Il senso di una fine" esplora con grande finezza psicologica e una notevole fluidità la vita con i suoi dolori inesplorati, i segreti, i rimorsi che fanno male ("significa morsicato due volte: ed è questa la sensazione che si prova"), la fallacia che emerge quando si raccontano episodi del passato illudendosi di farlo in maniera oggettiva quando invece la memoria è fragile, è costellata di "buchi" e inganni, intaccata da cose non dette, dalla mancanza della giusta ed esatta "documentazione storica" e quindi delle informazioni sufficienti.

Quanti errori di valutazione si commettono perché crediamo che l'evento x sia conseguenza dell'evento y, ma non sapevamo in realtà che c'erano di mezzo altri fattori a complicare il tutto?

Leggiamo di suicidi e delle possibili e razionali ragioni di chi sceglie di porre fine alla propria vita, di rapporti umani (amicizia, amore), dell'influenza della filosofia su alcune menti più brillanti di altre, di reminiscenze inaffidabili, di spiegazioni sbagliate che ci si è dati di fatti che invece si conoscevano poco o per niente, di parole atroci dette e che ormai è impossibile rimangiarsi, della tristezza provata nel rendersi conto di quanto inetti si è stati in certi momenti e in certe azioni, di come si sarebbe potuto affrontare determinate fasi della vita con più coraggio e non con quella mollezza che dà un senso di illusoria tranquillità.

Come spesso accade alle storie in cui il filo della memoria lega il racconto del presente con il passato, ho avvertito durante la lettura delle note malinconiche e nostalgiche, a volte struggenti, figlie della consapevolezza di come non ci resti unicamente che la possibilità di pensare a ciò che è stato senza potervi intervenire per modificarlo, per correggere il tiro, per chiedere scusa a chi si è ferito, per rimediare agli errori commessi.

Un libro che mi è piaciuto per lo stile e le tematiche presenti.

Cercherò altro di questo autore.


ALCUNE CITAZIONI


"Che ne sapevo io della vita, io che ero sempre vissuto con tanta cautela? Che non avevo mai vinto né perso, ma avevo lasciato che la vita mi succedesse? Io che avevo avuto le ambizioni di tanti, ma che mi ero ben presto rassegnato a non vederle realizzate? Che avevo evitato il dolore e l’avevo chiamato attitudine alla sopravvivenza?"

"...sono comunque gli occhi che continuiamo a guardare, no? È negli occhi che abbiamo incontrato l’altro ed è lì che ancora lo troviamo. Gli stessi occhi nella stessa faccia di quando ci siamo conosciuti, abbiamo fatto l’amore, ci siamo sposati..."

"All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri."

"Il tempo però… ah, come può trascinarci alla deriva e confonderci le idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo ci riserva… il tempo necessario a farci percepire le nostre più salde risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come capricci momentanei."

"La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti."

"Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama."

sabato 30 dicembre 2023

🌾 RECENSIONE 🌾 PREZIOSO VELENO di Mary Webb



Nella placida campagna inglese, la vita della giovane Prudence Sarn è un continuo lavorare nei campi, da mattina a sera, per aiutare il fratello ad accumulare beni e danaro, con l'obiettivo di diventare un ricco possidente.
Ma quando il lavoro diventa ossessione per la ricchezza a discapito dei sentimenti e dei legami umani, esso si trasforma da fonte di benedizione a una vera e propria maledizione.



PREZIOSO VELENO 
di Mary Webb


Ed. Elliot
283 pp
Prue Sarn è solo una ragazzina quando suo padre muore, di botto e senza che se ne sia mai compresa la reale causa.
Una cosa è certa: la sera in cui è morto, l'uomo aveva appena finito di rimproverare aspramente lei e il fratello maggiore Gideon per aver mentito e non essere andati in chiesa ad ascoltare il sermone del pastore.
Furioso per la sfuriata paterna, il giovane Gideon gli aveva dato una testata nello stomaco e il genitore era morto all'istante.

Questo singolare episodio (raccontato da Prue all'inizio della storia) ci dà una prima idea di chi e cosa sia Gideon Sarn: un ragazzo (e poi un uomo) orgoglioso, quasi sempre serio, dal temperamento iracondo, facile alle sfuriate, alle urla, agli improperi più duri e feroci, restio a perdonare e fin troppo fedele nel serbare rancore.

Ma Prue ci tiene a precisare, nel corso del racconto che Gideon era sì un uomo testardo, dalla volontà granitica, ma sapeva essere anche generoso, a volte sorrideva e, in alcuni momenti, è stato capace di gesti dolci e gentili.

Prue racconta al lettore la storia della sua famiglia a ritroso, andando indietro nel tempo con la memoria e presentandoci via via i vari personaggi che hanno contribuito a rendere la sua vita a Sarn meno noiosa.

Ci parla della sua mamma, una donnina timida, riservata, dall'animo semplice e puro come quello di un bambino, incapace di essere una figura genitoriale con un minimo di autorevolezza e, anzi, dal carattere arrendevole, pronta a farsi piccola piccola a un accenno di rimprovero, sempre impaurita e col timore di fare e dire la cosa sbagliata.
Una persona come Gideon, forte e con la tendenza a comandare, non può che guardare con disprezzo persone come la mamma, che per lui sono più un peso che un aiuto.

E sì, perché Gideon ha sempre visto gli altri in funzione del lavoro da assegnare loro nei propri campi: se mi servi, ok, se batti la fiacca, potresti anche togliere il disturbo perché sei solo una bocca da sfamare.

E Gideon Sarn non ha soldi e cibo da buttare: lui deve lavorare, lavorare, lavorare... per accumulare, fare soldi, comprare terre, case e diventare ricco, ricchissimo! L'uomo più ricco di Sarn.

Prue gli è utile per raggiungere i propri scopi: lei è ubbidiente, instancabile lavoratrice, non si tira indietro dallo sgobbare fuori e dentro casa, per cui è la sorella-aiutante ideale.
Se non ci fosse Prue, Gideon non riuscirebbe a fare progressi verso il proprio obiettivo.

E Prue lo vede come il fratellone, con le sue spalle larghe, il suo sguardo immobile e concentrato, le sue gambe solide, la braccia vigorose, dedica forze, tempo e risorse nel duro lavoro nei campi: pretende che chi lavora per lui si dia da fare ma egli è primo che non si risparmia. Esiste solo il lavoro per Sarn.

Non ha amici, non coltiva grandi relazioni sociali, non gode del tempo in pace con la famiglia... Una sola persona riesce a farsi strada nel suo cuore (e comunque senza mai distoglierlo dal lavoro) ed è Jancis, una dolce e bionda fanciulla, tanto bella quanto amabile, che lo ama e che vuol essere la moglie di Sarn.
Gideon sembra far sul serio con lei, anche se Prue vede come non la tratti sempre bene e lei stessa si ritrova di sovente a consolare una Jancis in lacrime a causa della durezza e del cinismo del fidanzato.

Prue è una ragazza buona, generosa, servizievole, una figlia premurosa e una sorella obbediente; non è sempliciotta come la mamma, bensì è intelligente, ha uno spirito libero, si impegna per imparare a leggere e scrivere, ha l'abitudine di riportare impressioni, pensieri, sentimenti e fatti salienti in un quadernetto, che tiene in soffitta, al riparo da occhi indiscreti.
Ha un corpo bello e formoso al punto giusto e sarebbe anche bella se non fosse per un difetto congenito visibile a tutti: ha il labbro leporino.

E questa è, al suo tempo e nel suo villaggio incastonato tra i campi e le foreste delle Midlands Occidentali, una malformazione malvista dalla gente, che vede in essa un che di luciferino, di malvagio, legato al mondo della stregoneria.

Le superstizioni sono qualcosa di duro a sparire e Prue, nella sua sita, ne farà le spese varie volte.

Quando è in mezzo a persone che non conosce, Prue si accorge degli sguardi che la trafiggono: sguardi di disapprovazione, disprezzo, diffidenza, paura, malignità. Niente di buono, insomma, né di gentile o amichevole.

C'è solo uno sconosciuto che riesce a guardarla con simpatia, per nulla impressionato dal labbro leporino: il tessitore Kester Woodseaves (che non è del posto), il quale sembra apprezzarla nonostante la sua "deformità". I suoi sguardi aperti e franchi fanno arrossire Prue, che non vi è abituata e non crede davvero che qualcuno (un giovane uomo tanto meno!) possa posare gli occhi su di lei e sorriderle, parlarle in amicizia, con affabilità, senza chiamarla strega.

Il cuore di Prue Sarn si apre al dolce sentimento dell'amore, pur consapevole che un uomo istruito e ambito come Kester non potrebbe mai scegliere una donnina infelice come lei.

Le settimane e i mesi passano, tra faticosi lavori nei campi, giorni di mercato, chiacchiere di paese e una larga parte della narrazione di Prue scorre placida come un ruscelletto il cui corso nulla devia o inquina; del resto, la vita di campagna è notoriamente sinonimo di lavoro, certo, ma anche di pace, tranquillità, silenzi interrotti soltanto dai lieti suoni e rumori della natura o dell'operare umano.

La natura ha il suo posto importante nella storia e ad essa si dà spazio e risalto attraverso descrizioni poetiche, molto minuziose e gradevoli da leggere, che instillano il desiderio di essere lì, di camminare tra il grano giallo e alto, di fermarsi a guardare gli animali al pascolo o ad ammirare le specie più diverse di piante, alberi e fiori, di chiudere gli occhi per ascoltare meglio il canto degli uccellini, di restare a guardare il sole rosso fuoco mentre incontra la distesa di terra arata e si tuffa in essa, di fantasticare sulla forma delle nuvole in cielo...

La serenità e la quiete proprie di questo magnifico paesaggio fanno da cornice alle vicende narrate che, da un certo momento in poi, perdono il carattere della tranquillità per far posto ad avvenimenti più vivaci e non in senso buono...: cominceranno ad accadere, a Prue e ai suoi cari, una serie di fatti che ruberanno la pace e l'armonia dalla sua casa e a portare sconforto, smarrimento, perdite materiali e conseguente disperazione e rabbia, addirittura morte.

Un susseguirsi di tragedie dolorose, troppe per un'anima sensibile come Prue, che dovrà affrontare l'ultima prova, quella più difficile e che la riguarda personalmente perché ha a che fare con ciò che lei è e come, purtroppo, viene giudicato da persone cattive, maligne e molto ignoranti.

Cosa ne sarà della sete di beni materiali che rischia di divorare ogni possibilità di felicità per Gideon?
Cosa ne farà il buon Kester dei sentimenti sinceri e silenziosi dell'innamorata Prue, convinta di non meritare l'amore di alcun uomo?

"Prezioso veleno" è un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1924 ed è considerato un classico della letteratura inglese, in cui l'autrice ha ben disegnato, con la forza evocativa delle parole, la fatica e l'impareggiabile bellezza della vita rurale dell'Inghilterra ai tempi di Napoleone; una bellezza e un paesaggio bucolico sporcati da superstizioni e leggende popolari mischiate a tanti passi delle Sacre Scritture che, in base al cuore -puro o meno- di chi le cita, vengono citate per sostenere e giustificare la propria condotta.

Confesso di aver risentito, per almeno metà libro, della lentezza di una narrazione fin troppo rilassata, in cui non accadeva granché di eccitante, ma questo "problema" l'autrice l'ha risolto andando verso la fine, quando una sequela di disgrazie ha mosso le acque calme delle esistenze di questi uomini e donne di campagna.

Se Prue mi è piaciuta per il suo essere determinata e saggia, onesta ed altruista, gentile ma non debole e, al contrario, molto ardita e coraggiosa quando le circostanze lo richiedevano, ad avermi impressionato per la durezza di cuore, il sangue freddo e il cinismo è stato Gideon, la cui smania di ricchezza non può che portargli più male che bene. A cosa si è disposti a rinunciare pur di perseguire il fine di arricchirsi? *

Consigliato a chi cerca una lettura molto rilassante, dal "sapore" antico, rustico, che racconta di gente semplice e che ha i contorni e il finale di una favola; giunti all'ultima pagina si sorride al pensiero che anche per l'eroina del romanzo possa giungere il momento della meritata felicità.

"Io già ti amo, e se è così mentre gli alberi sono spogli, che cosa succederà quando saranno verdi?"


*  Mi ha fatto pensare a quel passo della Bibbia in sui racconta di un uomo che aveva la stessa "malattia" del giovane: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'". Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio». (Luca 12,16-21)
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