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sabato 24 settembre 2016

IN LETTURA: UN ANNO SULL'ALTIPIANO di Emilio Lussu



Lettura appena iniziata!
LO AVETE LETTO? LO CONOSCETE?

Quali letture accompagnano questo vostro weekend?

UN ANNO SULL'ALTIPIANO
di Emilio Lussu



Einaudi Ed.

pp. 224 
€ 11,00
2014

Introduzione di Mario Rigoni Stern


«Tra i libri sulla Prima guerra mondiale Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu è, per me, il piú bello».
Mario Rigoni Stern



Scritto nel 1936, apparso per la prima volta in Francia nel '38 e poi da Einaudi nel 1945, questo libro è ancora oggi una delle maggiori opere che la nostra letteratura possegga sulla Grande Guerra. 
L'Altipiano è quello di Asiago, l'anno dal giugno 1916 al luglio 1917. 
Un anno di continui assalti a trincee inespugnabili, di battaglie assurde volute da comandanti imbevuti di retorica patriottica e di vanità, di episodi spesso tragici e talvolta grotteschi, attraverso i quali la guerra viene rivelata nella sua dura realtà di "ozio e sangue", di "fango e cognac". 

Con uno stile asciutto e a tratti ironico Lussu mette in scena una spietata requisitoria contro l'orrore della guerra senza toni polemici, descrivendo con forza e autenticità i sentimenti dei soldati, i loro drammi, gli errori e le disumanità che avrebbero portato alla disfatta di Caporetto.


L'AUTORE.
Emilio Lussu (Armungia, Cagliari - Roma 1975), combatté durante la Grande Guerra come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari. Fondatore del Partito Sardo d'Azione (1919), fu deputato nel 1921 e 1924 e partecipò alla secessione aventiniana. Antifascista, nel 1929 fuggí da Lipari con Carlo Rosselli e Fausto Nitti, coi quali a Parigi fondò il movimento "Giustizia e libertà". Fu tra i dirigenti della resistenza e, nel dopoguerra, senatore nelle prime tre legislature. Presso Einaudi ha pubblicato Un anno sull'altipiano, Marcia su Roma e dintorni, e Il cinghiale del Diavolo.

mercoledì 20 luglio 2016

In lettura ed epigrafe: UMBERTO II. Il dramma segreto dell'ultimo Re di Gigi Speroni


Tempo fa ho fatto un acquisto libresco da regalare; non si tratta di un romanzo quanto piuttosto di una biografia sull'ultimo re d'Italia, Umberto II di Savoia.


UMBERTO II. Il dramma segreto dell'ultimo Re
di Gigi Speroni

Ed. Rusconi
369 pp
1992
"Bello, ricco, gentile, amato dalle donne: è l'idealizzata immagine che nel tempo si è creata attorno a Umberto di Savoia, il 'principino', l'ultimo re d'Italia".

Gigi Speroni approfondisce la personalità di Umberto II sulla base di testimonianze e di un vasto materiale bibliografico.
Una biografia che corregge il ritratto del "Re di maggio" e lo restituisce alla verità storica. 
Umberto non fu una semplice "presenza decorativa" della Casa sabauda, ma un autentico protagonista della storia italiana. 
La fortuna non gli fu amica: destinato al trono, vide il crollo della Monarchia e, con l'esilio, subì una condanna in contrasto con la Carta dei diritti dell'uomo.
Superando antiche divisioni ormai inattuali, l'autore esamina con imparzialità la vicenda di un uomo tormentato dai drammi del suo Paese e dalle delusioni provocate dai figli, e che nascondeva in sè un grave segreto.
Speroni adombra la soluzione di un "mistero" che consente di capire i motivi di alcune decisioni di Umberto rimaste per troppo tempo senza risposte.



"Ma cosa sono i re
senza potere
se non un'ombra
in un chiaro
giorno di sole?

Christopher Marlowe (1564 - 1593)




ANCHE IL LIBRO CHE STATE LEGGENDO VOI 
HA UNA CITAZIONE INTRODUTTIVA O UNA BELLA DEDICA?

giovedì 7 aprile 2016

Leggendo "Infinito+1": la storia di Bonnie&Clyde



Sto leggendo con molto coinvolgimento il romance contemporaneo di Amy Harmon "Infinito+1".

I due protagonisti si chiamano Infinity "Finn" Clyde e Bonnie Rea Shelby; Finn - non amando il proprio nome - è stato spesso chiamato da tutti, Bonnie compresa, col cognome, Clyde.
E' semplice e automatico pensare alla famosa coppia di criminali Bonnie Parker (1910-1934) e Clyde Barrow (1909-1934), che hanno "scosso" l'america degli Anni '30.

La protagonista, Bonnie, a un certo punto della storia, comprerà un libro che narra proprio la storia di questa coppia e resterà attratta da questa foto che ritrae i due innamorati:

primi anni '30

Sul sito www.history.com ho trovato 10 curiosità su Bonnie e Clyde - la coppia di rapinatori più famosa d'America -  e ho pensato di condividerle con voi.

  1. Bonnie è morta indossando un anello nuziale, che però non le aveva dato Clyde. Quand'era molto giovane, Bonnie aveva sposato il compagno di liceo Roy Thornton. Il matrimonio si disintegrò in pochi mesi, e Bonnie non rivide mai più suo marito se non dopo essere stata incarcerata per rapina nel 1929. Bonnie non ha mai divorziato da Thornton neanche dopo aver incontrato Clyde, ed aveva anche un tatuaggio sulla parte interna della coscia destra con due cuori interconnessi in cui era scritto "Bonnie" e "Roy". 
  2. bonnie
    Il soprannome di Clyde non era "Champion" come spesso si crede ma "Chestnut", castagna
  3. Bonnie scriveva poesie. Questo particolare è ricordato anche nel romanzo, dove è citata la poesia Sal il suicida. Durante gli anni della scuola, Bonnie eccelleva in scrittura creativa; dopo essere stata imprigionata nel 1932, in seguito ad una rapina fallita in un negozio di ferramenta, ha scritto una raccolta di 10 odi dal titolo "Poetry from Life’s Other Side", che comprendeva appunto "Sal il suicida", una poesia su una ragazza di campagna innocente attirata da il suo ragazzo in una vita criminale. 
  4. La Marina rifiutò Clyde. Da ragazzo, Clyde tentò di arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti, ma a causa delle conseguenze di una grave malattia presa durante l'infanzia, forse la malaria o la febbre gialla, fu  rifiutato. E' stato un duro colpo per Clyde, che aveva già tatuato "USN" sul braccio sinistro.
  5. Il primo arresto di Clyde è avvenuto perchè non restituì una macchina presa a noleggio. Il noto criminale è stato arrestato nel 1926 per furto di automobili, dopo non essere riuscito a restituire una macchina che aveva affittato a Dallas per visitare una fidanzata del liceo. In realtà, l'agenzia di noleggio auto lasciò cadere le accuse, ma l'incidente è rimasto a verbale. Solo tre settimane più tardi, è stato arrestato di nuovo con suo fratello maggiore Ivan "Buck" Barrow per il possesso di un camion carico di tacchini rubati.
  6. Le rapine in banca non erano le loro specialità. Bonnie e Clyde privilegiarono i furti di distributori di benzina e negozi di alimentari.Spesso, il loro bottino ammontava a soli $ 5 o $ 10.
  7. Clyde perse due dita in carcere. Mentre stava scontando una condanna di 14 anni in Texas per rapina e furto di automobili, nel gennaio 1932, Clyde decise che non poteva più sopportare il lavoro spietato e le condizioni brutali dell'Eastham Prison Farm. Nella speranza di ottenere un trasferimento in un carcere  meno duro, o almeno di essere esonerato dai lavori più faticosi, Clyde si fece tagliare l'alluce sinistro e parte di un secondo dito del piede con un'ascia da un altro detenuto. L'auto-mutilazione, che storpiò in modo permanente il suo modo di camminare e gli impedì di indossare le scarpe durante la guida, alla fine si rivelò inutile, in quanto fu rilasciato sei giorni dopo sulla parola.
  8.  
    clyde
  9. Un incidente d'auto danneggiò i piedi di Bonnie. Nella notte del 10 giugno 1933, Clyde, con Bonnie sul sedile del passeggero, stava viaggiando ad alta velocità lungo le strade rurali del Nord del Texas. L'auto finì in un fiume in secca e nell'impatto l'acido bollente versato della batteria dell'auto fracassata provocò una gravissima ustione alla gamba destra di Bonnie, consumando la sua carne fino all'osso in alcuni punti. Come conseguenza delle ustioni di terzo grado, Bonnie, come Clyde, zoppicò vistosamente per il resto della sua vita, ed ebbe molte difficoltà a camminare, tanto che a volte Clyde doveva portarla in braccio.
  10. I cacciatori di souvenir hanno cercato di tagliare delle parti del corpo di Bonnie e Clyde sulla scena della loro morte. Il 23 maggio 1934, una squadra di sei uomini guidati dall'ex capitano Texas Ranger Frank Hamer tese un'imboscata Bonnie e Clyde. Molti curiosi raggiunsero il luogo in cui i due furono uccisi, tentando di portar via macabri "ricordi" dai corpi dei fuorilegge ancora accasciati sul sedile anteriore. Secondo il libro di Jeff Guinn "Go Down Together", un uomo ha cercato di tagliare l'orecchio di Clyde con un coltello da tasca e un altro ha tentato di rompergli un dito prima che gli uomini di legge giungessero. Una persona è riuscita a ritagliare ciocche di capelli e pezzi di stoffa del vestito intriso di sangue di Bonnie.
  11. La crivellata di colpi  che portò alla morte i due è in mostra in un casinò. Dopo l'agguato di Bonnie e Clyde, uno sceriffo della Louisiana, membro della squadra dei sei uomini di Hamer, rivendicò l'auto, ancora ricoperta di sangue. Un giudice federale, però, stabilì che l'automobile rubata da Bonnie e Clyde doveva tornare al suo legittimo proprietario. Ancora punteggiata con fori di proiettile, la "macchina della morte" è attualmente un'attrazione nella hall del Casinò di Whiskey Pete a Primm.
  12. Bonnie e Clyde sono stati sepolti separatamente. Anche se legati nella vita, Bonnie e Clyde sono stati divisi nella morte. La madre di Bonnie, che aveva disapprovato la sua relazione con Clyde, ha sepolto la figlia in un cimitero di Dallas, mentre Clyde è stato sepolto accanto a suo fratello Marvin sotto una lapide con l'epitaffio: "Gone but not forgotten.”

“Per alcuni sarà dolore. Per la legge sollievo. 
Ma è morte per Bonnie e Clyde”

sabato 2 aprile 2016

Leggendo s'impara: la clamorosa evasione dalla Libby Prison



Carissimi lettori, in questi giorni sto divorando MIOR di Simon Rowd, e leggendo mi ha incuriosito il riferimento dell'Autore alla celebre evasione dalla Libby Prison.
Mi sono immediatamente chiesta se si trattasse di un riferimento fittizio o realmente accaduto: cercando in web ho scovato qualche informazione su quella che rientra tra le fughe dal carcere più incredibili della storia.

In particolare a tornarmi utile è stato questo sito:   http://www.jourdelo.it/ (vedere anche QUI)

Siamo nel 1861: allo scoppio della Guerra Civile Americana le autorità Confederate avevano necessità di sistemare i prigionieri nordisti catturati in battaglia, e pensarono di utilizzare (sequestrare..) una serie di edifici e di adibirli a prigioni; in particolare, il grande magazzino di Luther Libby, situato a Richmond, capitale della Confederazione, sembrava perfetto per lo scopo.

La Libby Prison non aveva una bella nomea e finire in prigione lì significa soffrire le pene dell'inferno.

Nell’estate 1863 il Colonnello Thomas H. Rose, catturato nel corso della battaglia di Chickamauga, fu incarcerato; i propositi di fuga nacquero immediati nella sua testa di uomo intraprendente e coraggioso.

Supportato dal Maggiore A.G. Hamilton, Thomas capì che l’unica possibilità di fuga era scavare un tunnel a partire dal Rats’ Hell, l’unico ambiente del carcere vuoto e poco controllato. 
Proprio come Andy Dufresne in "Le ali della libertà", scavando scavando i due si sarebbero dovuto trovare in una larga fogna che conduceva verso un capannone abbandonato in una strada poco frequentata di Richmond.
Ma come raggiungere Rats' Hell? 
Rimediato un coltello, il Maggiore Hamilton si introdusse di notte nelle cucine e cominciò a togliere mattoni per  creare un piccolo buco nella canna fumaria. Aiutati da otto uomini, iniziarono a scavare il passaggio per lo scantinato; in dodici notti di duro lavoro i fuggitivi riuscirono ad aprirsi un varco e con l’aiuto di un’asse di legno usata come scivolo, poterono finalmente scendere nel Rats’ Hell.
Ma la grande fuga è solo iniziata: ora bisognava scavare il tunnel per sbucare nella fogna.
I lavori dei prigionieri continuarono per giorni (anzi, per notti e notti), armati di scalpello, tronco di legno e mani nude; grande fu la delusione nell'appurare che l'agognata fogna era completamente allagata ed inutilizzabile.
I fuggitivi cercarono di non scoraggiarsi e fecero un altro tentativo, che però fallì.

Ma il Colonnello Rose era deciso ad effettuare un ultimo tentativo.
Coinvolse nel progetto di fuga altri ufficiali, organizzò squadre di lavoro in gruppi di cinque e su turni.
Fortunatamente, la terra era abbastanza soffice e veniva rimossa con facilità, e trovarono anche il sistema per farla sparire.
Intanto il Colonnello Rose recuperò alcune funi da imballaggio depositate nel magazzino della prigione, e creò una scala di corda, al posto dello scivolo di legno.

Proseguendo con gli scavi notturni, i lavoratori immaginarono di aver ormai superato la palizzata che recintava il lato est della prigione. 
E l’8 febbraio 1864, la galleria oltrepassò la palizzata e arrivò fin sotto il magazzino abbandonato di Dock Street. 
La notte seguente gli uomini coinvolti avrebbero potuto portare con sé un altro prigioniero e fu così che alle 20 del 9 febbraio 1864, dopo oltre due mesi di duro lavoro, il Colonnello Thomas Rose imboccò per primo la galleria dicendo: La ferrovia sotterranea verso il Paese di Dio è aperta!

Una volta in Dock Street, i trenta evasi si divisero e si dileguarono nel buio delle strade di Richmond.
Inevitabilmente, nel carcere cominciò a girare la voce del tunnel e questo fece sì che altri ufficiali (più di un centinaio) provassero ad attraversare la galleria e darsi alla fuga....

La mattina dopo, quando i Confederati procedettero all’appello dei prigionieri, si accorsero dell’assenza di alcuni di essi, ma  inizialmente non diedero peso alla cosa, finchè non si accorsero che a mancare erano davvero in troppi!
Passarono un sacco di ore a contare e controllare, dando così un grande vantaggio agli evasi.
Ben 61 fuggitivi riuscirono a raggiungere sani e salvi le linee nordiste. 
Uno dei primi a portare a termine la fuga fu il Maggiore Hamilton; invece il Colonnello Thomas Rose fu ripreso, proprio mentre si trovava a pochissimi chilometri dall’accampamento nordista di Williamsburg.

La fuga dalla prigione Libby divenne subito leggenda e per i nordisti gli evasi erano degli eroi, tanto che negli anni a seguire molti di loro si diedero a scrivere memoriali e resoconti riguardanti la loro partecipazione all’avvenimento.
La stessa prigione al termine del conflitto fu trasportata al Nord e trasformata in museo, prima di essere definitivamente demolita nel 1895. 
L’unico a scegliere di non rilasciare mai dichiarazioni sull’argomento fu proprio il Colonnello Rose, ideatore della fuga.


discerninghistory.com
prigione


diagramma della prigione
www.13thmass.org

Hamilton
fonte



domenica 7 febbraio 2016

"Il profumo dell'oro" di Lorena Bianchi: il contesto storico di riferimento



Il contesto storico che fa da sfondo al romanzo di Lorena bianchi, "Il profumo dell'oro" (edito da Rizzoli) è quello del tristemente celebre SACCO DI ROMA del 1527 ad opera dell'esercito del Sacro Romano Impero istituito nel 1493.

All'interno della fanteria vi erano i cosiddetti "lanzichenecchi" (dal tedesco servi del paese), soldati mercenari  volontari (tedeschi per lo più luterani), che combattevano esclusivamente dietro compenso economico.

Cosa provocò il sacco di Roma?

Sack of Rome, Amérigo Aparicio, 1884
L'imperatore Carlo V d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero nonché Re di Spagna, stava affermando sempre più il proprio predominio in Europa; per resistergli Francesco I di Francia aveva fatto alleanza con vari stati minori, tra cui lo Stato della Chiesa.
E fu proprio quest'ultimo ad essere assalito dalle truppe mercenarie imperali il 6 maggio 1527.
Il papa Clemente VII (Giuliano de' Medici) pregò la popolazione di restare a Roma e difenderla dagli oppressori, ma qualcuno gli diede ascolto, qualcun altro se la svignò prima che fosse troppo tardi, altri ancora cercarono rifugio nei conventi.

Roma cercò di resistere e inizialmente sembrò riuscirci, ma in realtà non era pronta a difendersi da 30mila soldati.
Il papa, a sua volta, cercò riparo presso Castel Sant'Angelo, che però non era in grado di continuare a resistere agli attacchi esterni e a rispondere alle richieste di aiuto dei romani, il che portò alla capitolazione del Pontefice un mese dopo dall'invasione, con tanto di cessione di territori appartenenti allo Stato Pontificio.

L'assedio durò parecchi mesi e i soldati tedeschi (che se ne andarono nel febbraio dell'anno seguente) fecero razzie di ogni genere, profanando luoghi sacri, opere d'arte, palazzi nobiliari, oltre che torturando, violando e uccidendo uomini, donne e bambini, tanto da rendere le acque del Tevere rosse per il sangue versato.
Una pagina della storia di Roma davvero buia e dolorosa.

cellini
Partecipò al Sacco di Roma, ed è menzionato nella prima parte del libro, un personaggio realmente esistito (del resto non è il solo), Benvenuto Cellini, orafo, scultore e scrittore d'arte (1500-1571).

Di natura irrequieta e violenta, ebbe una vita avventurosa, segnata da contrasti, passioni, delitti, per i quali fu spesso costretto all'esilio o alla fuga.
La precoce abilità di orafo lo rese presto famoso; per Clemente VII elaborò sigilli, monete, medaglie ecc.
Per Francesco I creò, oltre a oggetti di raffinata ricercatezza (la famosa saliera con le figurazioni di Nettuno e la Terra), anche, per la prima volta, opere di grande formato (rilievo in bronzo con la cosiddetta Ninfa di Fontainebleau).

A Firenze, ebbe l'importante commissione del Perseo per la Loggia dei Lanzi: realizzata con una perfetta tecnica fusoria, l'opera presenta nella statua bronzea del protagonista, così come nelle elaborate soluzioni della base marmorea.
A Firenze realizzò ancora il busto bronzeo di Cosimo e, in marmo, il gruppo di Apollo e Giacinto, il Narciso, opere nelle quali si manifesta un'acuta adesione al gusto manierista.
L'ultima parte della vita del C. fu miserabile, piena di amarezze, solitaria.


Fonti:
http://babilonia61.com/
http://www.treccani.it/

lunedì 11 gennaio 2016

Recensione: LA TREGUA di Primo Levi



Appena terminato un libro intenso che, in particolare nelle ultime pagine, mi ha messo su un magone di tristezza e commozione.

Giornata della Memoria

LA TREGUA
di Primo Levi


Ed. Einaudi
10 euro
272 pp
2005
Nel gennaio 1945 i cancelli di Auschwitz furono aperti; spinti dall'avanzata dell'Armata Russa, i tedeschi si diedero precipitosamente alla fuga, nonostante l'ordine "dall'alto" fosse quello di non lasciare sopravvissuti e di "recuperare ogni uomo abile al lavoro".

Da quel momento inizia l'odissea di Primo Levi - e del resto dei sopravvissuti al Lager - verso la libertà, in vista del ritorno a casa.

In questo suo secondo romanzo - col quale vinse nel 1963 la prima edizione del premio Campiello e da cui è stato tratto, nel 1997, un film per la regia di Francesco Rosi, con protagonista John Turturro -, che è il seguito di Se questo è un uomo (1947), Levi narra proprio di questo suo rocambolesco viaggio che, partendo dalla terribile e dolorosa Auschwitz, lo porterà a Torino, ma soltanto dopo aver attraversato ben sette Paesi: Polonia, Unione Sovietica (Bielorussia e Ucraina), Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Austria (due volte), Germania. 

È un viaggio incredibile, popolato da personaggi  multiformi e pittoreschi, tutti a modo loro segnati da una guerra non ancora davvero finita, e forse, come dice il Greco - uno degli uomini con cui Primo si ritroverà a legare i primi tempi - "la guerra non finisce mai".
Il lungo periodo che precederà il sospirato ritorno nella sua Torino va da gennaio ad ottobre, e vede il nostro Autore stremato da fatiche, digiuni, umiliazioni, malattie, ma sempre mosso da una buona dose di determinazione per cercare di continuare a sopravvivere, nonostante il tortuoso viaggio che lo aspetta e la sosta in diversi campi russi non sempre super puliti o organizzati.

Il viaggio di Levi, come dicevo, si popola man mano di persone, fatti, aneddoti, valutazioni e riflessioni personali, in cui emergono le difficili condizioni di vita dei sopravvissuti, che in fondo non sempre ricevono quella pietosa accoglienza che si sarebbero aspettati, dopo l'orrore visto e subito nei campi di concentramento.
Un orrore incancellabile e per sempre racchiuso negli occhi e nella mente di chi ne è stato vittima:

"Poichè, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno ha mai potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia"

Ma siamo ancora all'inizio e non tutti sanno bene - o vogliono sapere? - quello che è successo in quei posti tremendi per mano dei vigliacchi nazisti tedeschi, e spesso Levi e compagni dovranno fare i conti con atteggiamenti di diffidenza, sospetto, misti a una indefinita pietà, da parte dei popoli presso cui troveranno temporaneamente rifugio.

Levi ci descrive il trascorrere dei giorni, dei mesi, all'interno dei campi russi, in attesa di poter mangiare, di potersi lavare, di conoscere il proprio destino; ed intanto, al pari di una commedia umana, ci passano davanti episodi di vita quotidiana che spesso fanno sorridere, altre volte fanno tristezza, in cui Levi ricorda con e per noi le diverse persone incontrate: dall'efficiente infermiera Marja alla segretaria giovane e prorompente Galina, dal burbero e cinico Mordo Nahum - chiamato il Greco - all'esuberante romanaccio Cesare.

Il Nostro passa le giornate, che scorrono spesso noiose e lente, con compagni di viaggio più esuberanti e creativi di lui, e tra essi spiccano in particolare i già citati il Greco e Cesare, accomunati da un alto senso pratico e una spiccata propensione per gli affari, pur essendo diametralmente opposti di carattere (scontroso e taciturno il primo, solare e spensierato il secondo); e lui segue i due compari come un segugio, occupando il tempo in negoziazioni per le quali non è molto portato, ma che quantomeno gli permettono di metter qualcosa nello stomaco e di riempire le giornate...:

"...allo scopo di non aver tempo, perchè di fronte alla libertà ci sentivamo smarriti, svuotati, atrofizzati, disadattati alla nostra parte"

E così le settimane passano, mentre il sogno ad occhi aperti di tornare in patria resta, accompagnato da altri piccoli deliri giornalieri, altri sogni più confusi, insensati, perchè

"E' questo il frutto più immediato dell'esilio, dello sradicamento: il prevalere dell'irreale sul reale. Tutti sognavano sogni passati e futuri, di schiavitù e di redenzione, di paradisi inverosimili, di altrettanto mitici e inverosimili nemici cosmici, perversi e sottili, che tutto pervadono come l'aria".

Storie di singole persone che sono passate - anche se brevemente - nella vita dell'Autore, lasciando ciascuna un loro segno, un ricordo degno di essere trascritto e "immortalato"; storie di una vita che ricomincia con timore, paura, speranza, con addosso 

"la sensazione greve, incombente, di un male irreparabile e definitivo, presente ovunque, annidato come una cancrena nei visceri dell'Europa e del mondo, seme di danno futuro".

Ho letto questo libro sempre col pensiero di quel è stata la morte di Primo Levi, e sono giunta alle ultime righe, come vi anticipavo, con un senso enorme di tristezza.

Quanta è stata immane e inumana l'esperienza dei Lager per chi c'è stato, per ogni singola persona che l'ha vissuta e che è riuscita a sopravviverne?

Il ritratto che del viaggio - e, con esso, delle persone incontrate, dei fatti accaduti... - verso casa ci ha dato l'Autore è struggente ed intenso, perchè incredibilmente lucido e vero, scritto con una penna ora ironica e leggera, ora greve e nostalgica, di certo sempre essenziale e diretta, di chi sta riportando qualcosa che ricorda bene, che mai dimenticherà, e lo è ancor di più - ed è questo che mi commuove e tocca profondamente - se si pensa al fatto che arrivare a casa, ritrovarsi in compagnia di familiari ed amici, in un clima finalmente disteso e sereno, non ha significato automaticamente uscire dall'incubo del Lager anche con la mente e col cuore.

Eh no, la memoria di un sopravvissuto, ci dice Levi, torna là, in quel campo, e sembra quasi che quella sia la realtà e la propria casa sia il sogno.
Il numero tatuato a ricordargli cosa ha vissuto, e nelle orecchie quella voce perentoria e tragicamente nota che, crudelmente, continua a chiamarti all'appello, come a ricordargli che una parte di lui non sarà mai libera.

Non posso che consigliare la lettura di questo romanzo autobiografico.


libro sull'Olocausto

venerdì 27 novembre 2015

On my wishlist: LA CULLA DEL MIO NEMICO di Sara Young



Un romanzo che affronta un capitolo tristissimo di cui non si parla tantissimo: il Progetto "Lebensborn" ("Sorgente di vita"), ideato nel 1935 da Heinrich Himmler Reichfuhrer .

Di cosa si tratta? I Lebensborn erano Istituti dove il Terzo Reich allevava - con precisi programmi alimentari e di educazione -  dalla nascita gli "ariani puri", attraverso l'unione pianificata fra "perfetti esemplari della razza" e donne, anche straniere, che offrivano sufficienti garanzie di "purezza".
Le donne privilegiate erano per lo più di nazionalità norvegese, in quanto la Norvegia era considerata terra ”ariana” d'elezione.
Dopo la conquista del paese norvegese, più di 300 mila soldati tedeschi ritenuto di pura razza ariana, misero incinta delle donne norvegesi e diedero loro sostegno finanziario e un trattamento privilegiato.
Tra il 1940 e il 1945, da donne norvegesi e soldati nazisti si stima nacquero dai 10 ai 12 mila bambini, di cui 6mila cresciuti in questi istituti.

E' un argomento indubbiamente interessante - per quanto sempre triste e oscuro, che si solo ad aggiungere alle altre barbarie commesse in quel periodo - che mi ha incuriosito molto e ho scoperto questo libro che trae spunto proprio da esso.


LO CONOSCETE? LO AVETE LETTO?


LA CULLA DEL MIO NEMICO
di Sara Young


Ed. Neri Pozza
18 euro
2008
Sinossi

È il 1941 a Rotterdam. La città è occupata dalle truppe naziste che hanno appena esteso sul suolo olandese le famigerate leggi razziali di Norimberga, i terribili provvedimenti “per la protezione del sangue” che vietano qualsiasi rapporto con “appartenenti alla razza ebraica”.

Nella casa in cui Cyrla vive con i suoi zii e la cugina sono giorni di angoscia e terrore, poiché la ragazza diciannovenne è per metà ebrea. Suo padre, un ebreo polacco, l’ha mandata a Rotterdam dopo la morte della moglie olandese. 
La bella Cyrla ha ereditato a tal punto i tratti della madre da sembrare quasi la sorella gemella della bionda e avvenente Anneke, la cugina rimasta incinta di Karl, un giovane soldato tedesco.
I giorni trascorrono lentamente e anche Cyrla si lascia andare tra le braccia di un giovane attivista ebreo, Isaac. 
Una tragica notte, però, viene violentata da un militare tedesco. Rimasta incinta, Cyrla assume, per salvarsi, l’identità di Anneke ed entra in una Lebensborn, una delle residenze segrete concepite da Himmler per allevare la progenie delle coppie “razzialmente pure” e creare “una forte razza ariana”. 
Qui, nel cuore della Germania piú profonda, Cyrla alleva il suo bambino, convinta fermamente che sia di Isaac. Un perfetto travestimento, finché un giorno non compare al Lebensborn Karl, sicuro di trovarvi Anneke e il suo bambino.

L'autrice.
Sara Young è un'autrice cristiana, si è laureata al Marietta College in Ohio. Con lo pseudonimo di Sara Pennypacker ha scritto sette libri per bambini, compresa la acclamata serie di Stuart (Stuart’s Cape) e la serie di Clementine. Vive a Cape Cod.

lunedì 26 ottobre 2015

Dal 21 novembre: CATTIVO INFINITO di Leandro Del Gaudio, con prefazione di Roberto Saviano (segnalazione)


Buongiorno! 
Ho un po' di segnalazioni editoriali da proporvi, quindi iniziamo la giornata!!
Lasciatemi sempre un vostro parere, se vi va!

Dal 21 novembre sarà in libreria il nuovo romanzo-verità su una delle pagine più tragiche della storia italiana.



.
DALLA PREFAZIONE DI ROBERTO SAVIANO

«Cattivo infinito è la storia vera, anche se molti preferirebbero non lo fosse, dei tanti Caino cui non siamo disposti a dedicare tempo, che preferiremmo sapere dietro le sbarre, assicurati a una giustizia ingiusta che non riabilita, che non prevede alcun reinserimento, che dimentica. Cattivo infinito è la Napoli che crediamo dall’altra parte, che speriamo di poter escludere dalle nostre vite stringendo gli occhi e facendoli diventare fessure sottili. Cattivo infinito è il cammino dei protagonisti che la cronaca giudiziaria ha prestato alla letteratura. Cattivo infinito, se non ci decidiamo a guardare le cose come stanno, sarà per sempre anche il nostro cammino. Un cammino, come dice Del Gaudio, cattivo e infinito».


CATTIVO INFINITO
di Leandro Del Gaudio

David and Matthaus
Isbn 9788869840463
16.90€
 pp. 170
uscita:
21 NOVEMBRE 2015
«Mi chiamo Fabrizio, faccio il killer. Anzi, ho fatto il killer.Storia semplice, storia comune da queste parti, no? Il fatto è che la mia storia è vera e ve la racconto per un motivo: non possono farmi più niente, non mi possono ammazzare, né mi possono arrestare, non c’è nessun giudice a condannarmi, né in giro ci sono pentiti pronti a raccontare qualcosa del mio passato. In un certo senso li ho fottuti tutti, anzi, in modo più diretto: vi ho fottuti tutti. Sì, ci siete anche voi che leggete storie di mafia e serial killer, che vi riempite la bocca di giustizia e camorra, eroi e mafiosi. Sto qua a fumare una sigaretta, la cosa non mi diverte, ma mi è andata meglio di come è andata a quelli che ho incontrato sul mio cammino. Cammino cattivo e, come vedete, non ancora concluso: cammino cattivo e infinito». 

Napoli, 2013. Fabrizio rientra in Italia dopo una lunga latitanza in
Francia. Ha trascorso anni a fuggire dalla giustizia italiana, quando
scopre che non gli stanno dando più la caccia da tempo. 
Ma com’è possibile che un ex killer del clan Mariano, potente gruppo camorrista a capo della criminalità organizzata di Napoli, non sia più un ricercato?

Napoli, anni ’80. Fabrizio è un giovane attraente, ama le donne, il lusso, la bella vita. 
Uccide su comando di Ciro Mariano, in fondo la morte non lo ha mai spaventato, né la sua né quella degli altri. Vive la sua prima condanna per rapina a mano armata come un successo personale, da quel momento sa che il suo nome farà notizia. Da allora gli arresti, le fughe e la pena definitiva a 25 anni. 
È già a metà della condanna quando è convinto di avere chiuso i conti con la camorra e si sente pronto a una vita diversa: in carcere frequenta un corso di teatro e si innamora della sua professoressa. 

Ma non sa che i nemici di un tempo stanno tessendo una trama ben ordita alle sue spalle e sono pronti a ricordargli che un passato ingombrante come il suo non si può seppellire…

Con uno stile incalzante e a tratti ironico, proprio del giornalismo, in Cattivo infinito Leandro del Gaudio ricostruisce la vera storia di un ex killer dei Mariano, uno dei più potenti gruppi camorristici degli anni Ottanta. A fare da sfondo la città di Napoli, quella del calcio champagne e di Maradona, dei pizzini, del lotto clandestino, della faida tra clan e scissionisti per la conquista dei Quartieri Spagnoli, della malagiustizia italiana.

Raccontata in prima persona, la vicenda è ricostruita con perizia documentaria sulla base di lunghe interviste rilasciate dallo stesso protagonista all’autore, di atti giudiziari e sintesi giornalistiche. 
Un romanzo che coinvolge e sconvolge, in cui la trama emerge grazie all’alternanza delle voci dei tre protagonisti – oltre a Fabrizio, l’avvocato Omissis e il faccendiere legato alle coop di ex-detenuti Emanuele – e prende vita da dentro gli occhi di chi la vive, con azioni, impressioni ed emozioni che progressivamente si propongono, si richiamano e si attestano.

L'autore.
LEANDRO DEL GAUDIO (Napoli, classe 1970) è giornalista per Il Mattino, dove si occupa di cronaca giudiziaria e cronaca nera. È autore e conduttore del programma televisivo “Verità Imperfette”, dedicato
ai retroscena inediti di inchieste a Napoli, e conduce “Cold case”, rubrica sulla web tv del Mattino che indaga i rapporti tra politica e camorra e le zone d’ombra nelle indagini su delitti. Nel 2011 una giuria formata da esponenti del Consiglio Regionale, dai vertici campani dell’Ordine dei Giornalisti e dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli gli riconosce il Premio Giornalismo Anticamorra.
Dal 2014 è impegnato nel progetto di formazione nelle scuole di Napoli “Emergenza ambientale e etica della scrittura”, patrocinato dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione e dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, con l’obiettivo di sensibilizzare le nuove generazioni a una maggiore responsabilità etica
e morale nei confronti dell’ambiente e della cittadinanza. Sempre nel 2014 pubblica insieme al collega Gerardo Ausiello il libro inchiesta Dentro la terra dei fuochi, distribuito in allegato con Il Mattino.
Cattivo Infinito è il suo primo romanzo. 

lunedì 21 settembre 2015

“Galileo Galilei. Assolto in Cassazione”, di don Francesco Cristofaro: il diario che il genio pisano non sa di aver scritto



Cari lettori, questa mattina desidero presentarvi un libro appartenente ad un genere letterario diverso da quelli che di solito tratto qui sul blog.
Si tratta, infatti, di un saggio: “Galileo Galilei. Assolto in Cassazione”, scritto da don Francesco Cristofaro e pubblicato dalla casa editrice Herkules Books per la collana Bianco H.
La Herkules Books è una giovane casa editrice con sede a Policoro (Matera). Ulteriori informazioni su www.herkulesbooks.com.

Il volume ripercorre la biografia del grande scienziato pisano con un racconto in prima persona, utilizzando un linguaggio semplice e diretto, ma basato su una rigorosa ricerca storica nei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano.


GALILEO GALILEI. ASSOLTO IN CASSAZIONE
di don Francesco Cristofaro


 Herkules Books 
collana Bianco H
148 pagine
prezzo 10 euro
2015
Sinossi

“Oggi mi ritrovo qui, su questo letto di ferro battuto, circondato da voi, miei adorati figli”. 

E’ il gennaio del 1642 e Galileo Galilei, poco prima di morire all’età di 78 anni, racconta ai suoi cari le peripezie della sua vita da scienziato e soprattutto la dolorosa vicenda che lo vide dapprima accusato di eresia, poi processato e infine costretto all’abiura. 

Un racconto avventuroso che si trasforma in una sorta di diario autobiografico grazie a don Francesco Cristofaro, sacerdote calabrese e parroco a Catanzaro, che ha appena dato alle stampe il saggio “Galileo Galilei. Assolto in Cassazione”, ripercorrendo la biografia del grande scienziato pisano con un racconto in prima persona, utilizzando un linguaggio semplice e diretto, ma basato su una rigorosa ricerca storica nei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano.

La parte centrale dell’opera è dedicata al processo di Galileo Galilei davanti all’Inquisizione e alla successiva condanna del 1633 per le sue affermazioni sulla cosmologia eliocentrica. 

“Mi costrinsero ad abiurare. Lo feci pensando ai miei figli, senza di me non ce l’avrebbero fatta: meglio un padre presente che un eroe bruciato”, scrive nel saggio don Cristofaro, interpretando i pensieri di Galileo. Sul letto di morte, il grande astronomo pisano confermerà comunque il suo pensiero scientifico e anche la sua Fede ferma: “Da cattolico pensante, mi accingo a respirare per l’ultima volta quest’aria terrena. Concedetemi la facoltà di urlarlo al mondo: il Sole non si muove, è la Terra che gli gira intorno. Siate felici perché le mie idee resteranno vive, scolpite nei secoli sulla pietra della Verità, e daranno il via a scoperte che rivoluzioneranno il mondo finora conosciuto”.

“Rispetto alle tante opere su Galileo questa si distingue per un linguaggio giovane, ironico, moderno, a tratti sarcastico”, spiega l’autore don Francesco Cristofaro, “che lo rende attuale ai giorni nostri. E’ un testo fedelissimo alla complessa vicenda storica, in cui mi sono sforzato di riportare eventi e date con precisione e serenità. Di Galileo mi ha colpito soprattutto la sua umiltà e la sua obbedienza. Non comprendeva il perché di tanto accanimento. Non ha però rinunciato alla “verità” che aveva scoperto, ma l’ha sottoposta al discernimento della Chiesa. In quel particolare momento storico, la Chiesa sbagliò perché riteneva di essere esperta su questioni forse non troppo conosciute e studiate, così come invece erano state scrutate da Galileo. La storia della vita di Galileo e del suo famoso processo ci insegna anche oggi che bisogna fare grande attenzione quando si giudica una persona, perché si può incorrere in gravi errori”.

“E’ un’opera divulgativa davvero straordinaria”, commenta Antonio Orlando, fondatore della casa editrice Herkules Books. “Ne rimarranno stupefatti gli appassionati, felici gli studenti, entusiasti gli uomini di scienza e grati quelli religiosi, visto che l’opera si chiude con l’assoluzione definitiva pronunciata da san Giovanni Paolo II il 31 ottobre del 1992, a 350 anni dalla morte del matematico pisano”.

L'autore.
Don Francesco Cristofaro è stato ordinato sacerdote nel 2006 ed attualmente è parroco presso Santa Maria Assunta in Simeri Crichi (Catanzaro). Svolge intensa attività in ambito giornalistico e radiotelevisivo, in particolare conducendo trasmissioni su Radio Mater, Padre Pio Tv, Viva Voce Tv e Calabria Ecclesia Magazine. E’ anche molto presente sul web (www.donfrancescocristofaro.it) e sui principali social. 


sabato 11 luglio 2015

Segnalazione: "Le pagine bianche di Anne Frank" di Dario Pezzella.



Cari amici, da oggi il blog darà ufficialmente in ferie per una settimana ^_^


252 pp
13.90 euro
2015


L'ultimo post prima di andare in ferie è per segnalarvi un libro, che ha a che fare con Anna Frank.
E' stato l'Autore stesso a segnalarmi il suo libro: "Le pagine bianche di Anne Frank" di Dario Pezzella.
Si tratta del seguito del Diario più famoso della storia, l'ideale prosecuzione, anzi, l'effettiva continuazione del Diario di Anne Frank e racconta il martirio dei campi di concentramento vissuti con gli occhi della vittima più famosa della Shoah, che cerca a tutti i costi di sfuggire alla morte solo con la forza della propria immaginazione.
E' con la poesia e il grande amore per la vita, che Anne accompagna il lettore in questo tenero e crudo viaggio nei suoi pensieri.
Il ricavato sarà devoluto in beneficenza.




LINK UTILI

venerdì 17 aprile 2015

"C’era un italiano in Argentina…: un libro per conoscere l'architetto Vittorio Meano



Oggi la giornata sul blog inizia con la segnalazione di un libro storico-biografico, che  ricostruisce la vita di un personaggio dimenticato e affascinante vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo: l'architetto piemontese Vittorio Meano, autore a Buenos Aires del Teatro Colón e del Palazzo del Congresso nonché a Montevideo del Palazzo legislativo.

C’era un italiano in Argentina…2
di Claudio Martino, Paolo Pedrini

Herver Edizioni
232 pp
 € 15

Potete visitare il sito  www.vittoriomeanobook.altervista.org  
per ottenere maggiori informazioni circa il libro.

Sinossi

Le accurate ricerche che Claudio Martino e Paolo Pedrini, nella loro attività di giornalisti, hanno svolto, hanno consentito di scrivere la storia di questo personaggio tanto dimenticato in Argentina quanto sconosciuto in Italia, vissuto a cavallo del XIX e XX secolo: grandioso artista dall'enorme talento e uomo fin qui avvolto dal mistero, a cominciare dallo "strano" assassinio avvenuto all'apice della carriera, sul quale facciamo luce a oltre cent'anni di distanza grazie a una serrata e difficile indagine.
Il libro ne ricostruisce la vita, dalla nascita a Gravere all'infanzia a Susa, dagli studi a Pinerolo alla giovinezza torinese, dal viaggio verso il Sudamerica alle vicende umane e professionali intessute nella capitale platense, per concludersi con l'omicidio e i retroscena.
Sono pagine sorprendenti, scritte in modo agile e coinvolgente, mai noiose seppur dense di particolari e di riferimenti precisi. Il testo, che in alcune parti riveste i caratteri dell'inchiesta e a tratti assume quasi i contorni del noir, oltre a narrare un'esistenza da romanzo e a sviscerare un enigma da film giallo parla altresì dell'emigrazione italiana, di Torino e Buenos Aires nella seconda metà dell'Ottocento e della cifra artistica dei lavori meaniani.
Il racconto biografico diventa affresco storico e si presta a ulteriori piani di lettura: l'analogia tra il malaffare pubblico-privato dell'epoca e quello attuale, gli insabbiamenti con i relativi depistaggi in auge allora come oggi, i segreti e delitti di Stato sempre pronti a irrompere per occultare o inquinare la verità. Un quadro d'insieme all'interno del quale Vittorio emerge con la sua figura intrigante e controversa di uomo potente che seppe ingraziarsi i vertici della politica, destreggiandosi con perizia fra gli interessi economici e la corruzione dilagante di una Nazione in crescita sfrenata.



sabato 24 gennaio 2015

Dietro le pagine di "La lista di Schindler"



Buongiorno e buon sabato!!
Entro oggi spero di terminare "La lista di Schindler" di Keneally e di postare la recensione.
Ma intanto, volevo condividere con voi il "dietro le pagine".

dietro le pagine

Ciò che leggiamo spesso è frutto della fantasia dell'Autore ma altre volte quest'ultimo trae ispirazione da storie/situazioni/persone reali, di cui ha avuto conoscenza diretta o indiretta.

La rubrica "Dietro le pagine" prende nome e idea da una presente nel blog "Itching for books" e cercherà di rispondere (cercherò di darle una cadenza settimanale, sempre in base alle piccole ricerchine che riuscirò a fare) a questa curiosità: Cosa si nasconde dietro le pagine di un libro? Qual è stata la fonte di ispirazione?
".

Ecco cosa scrive l'Autore stesso alla fine del romanzo, per spiegare come d a chi ha appreso e raccolto il materiale sufficiente per il suo romanzo..

"Nel  1980 sono andato in una valigeria a Beverly hills, in California, e ho chiesto i prezzi delle cartelle di cuoio. Il negozio apparteneva a Leopold Pfefferberg, sopravvissuto grazie a Schindler. Ed è stato proprio accanto a quegli scaffali di articoli di cuoio importati dall'Italia che ho sentito parlare per la prima volta di Oskar Schindler, il bon vivant tedesco, speculatore, tombeur de femmes, personaggio contraddittorio, e del salvataggio che ha operato a favore di uno spaccato di una razza condannata, negli anni noti con il nome generico di Olocausto.
pfefferberg e oskar
Questo racconto della storia straordinaria di Oskar si è basato in primo luogo sui colloqui con cinquanta persone sopravvissute grazie a lui (...). A questo si aggiunge la visita, in compagnia di Leopold Pfefferberg, alle località più important che figurano nel libro: Cracovia, la città d'adozione di Oskar; Plaszow, scena dell'infame campo di lavoro di Amon Goeth; la via Lipowa di Zaboclie, dove sorge tuttora la fabbrica di Oskar; Auschwitz-Birkenau, da dove Oskar prelevava le sue prigioniere.
Ma la storia è anche basata su documenti e altre informazioni fornite dai pochi compagni di Oskar ancora rintracciabili, che hanno diviso la sua esperienza del periodo bellico, e dai suoi numerosi amici del dopoguerra. 
Un ulteriore contributo a questa storia è stato fornito da numerose testimonianze attinte dallo Yad Vashem, la fondazione in memoria dei Martiri e degli Eroi, oltre che dalle testimonianze scritte tratte da fonti private e da documenti e lettere dello stesso Schindler, in parte forniti dallo Yad Vashem e in parte forniti dagli amici di Oskar. (...)
Ho... cercato di evitare ogni possibile finzione letteraria, per non alterare la fedeltà storica (...).
Talvolta è stato necessario ricostruire delle conversazioni di cui Oskar e gli altri hanno lasciato solo qualche traccia. Ma tutti gli scambi di opinione e tutti gli avvenimenti sono basati su testimonianze dettagliate degli Schindlerjuden (gli ebrei di Schindler), dello stesso Schindler e di altri testimoni delle sue imprese eccezionali.
Molti.. sopravvissuti, grazie a Oskar o suoi amici del periodo postbellico, hanno rilasciato numerose interviste e hanno generosamente fornito informazioni con lettere e documenti".

martedì 20 gennaio 2015

Viaggiare leggendo ... Schindler's list



Come ho già detto qualche giorno fa, sto leggendo "La lista di Schindler" e volevo presentarvi alcuni dei  luoghi legati a questo personaggio e alla sua storia.

Schindler nacque nel 1908 a Zwittau (oggi Svitavy, che si trova a 180 km ad est di Praga) nel Sudetenland, ovvero nei Sudeti, una regione all'epoca in Austria-Ungheria e successivamente in Cecoslovacchia.
 L'annessione di questa alla Germania nazista fu per Schindler l'inizio di un'avventura che lo portò a Cracovia; qui (Polonia) acquistò a basso prezzo una fabbrica in via Lipowa n. 4, nel quartiere industriale di Podgorze (parte sud di Cracovia), che chiamò Deutsche Emaillewaren-Fabrik, dove produsse pentolame e in seguito munizioni.

Dopo aver assistito con orrore al rastrellamento del 1942 nel ghetto di Cracovia (gli ebrei furono portato nel campo di concentramento a Plaszów, e molti di loro furono uccisi selvaggiamente), Oskar fece di tutto per salvare i suoi Schindlerjuden ("gli ebrei di Schindler"). 
Arrivò ad accordarsi col cinico e crudele  Amon Göth, il comandante di Plaszów, per il trasferimento di 900 ebrei nell'adiacente complesso industriale, dove sarebbero stati relativamente al sicuro dalle angherie delle guardie tedesche.

Płaszów era un sobborgo nella parte meridionale della città di Cracovia, in Polonia, dove nel dicembre 1942 venne inaugurato un campo di lavoro forzato nazista.

Quando l'Armata Rossa era ormai prossima a liberare Cracovia, i tedeschi distrussero i campi e uccisero gran parte degli internati. 
Schindler, tuttavia, riuscì a spostare 1.100 "lavoratori" in una fabbrica a Brunnlitz in Cecoslovacchia, sottocampo del complesso di Gross-Rosen, nell'ottobre 1944. 

La fabbrica di oggetti smaltati di Oskar Schindler (Fabryka Emalia Oskara Schindlera),  nel 2010, dopo varie vicissitudini e dopo l’acquisto della Fabbrica stessa, da parte del Comune di Cracovia, divenne un Museo, definito “La Fabbrica della Memoria”. In questo Museo è possibile ripercorrere il periodo più tragico della storia di Cracovia grazie all’esposizione permanente intitolata: Cracovia durante l'occupazione nazista 1939-1945.

Di seguito qualche immagine presa da siti che parlano di Oskar.

domenica 4 gennaio 2015

Leggere... aspettando la Giornata della Memoria



Buona domenica, amici e lettori!!

In occasione della Giornata della Memoria, che si sta avvicinando, anche quest'anno mi son ripromessa di leggere dei "libri a tema".


Per adesso, e senza voler strafare ponendomi troppi obiettivi che poi sarei costretta a disattendere (per mancanza di tempo o altri "inconvenienti"), mi propongo di leggere questi 4 libri, ma magari se ne aggiungerà qualche altro, chissà! ;)

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LA BANALITA' DEL BENE
di Enrico Deaglio

La banalità del bene
Ed. Feltrinelli
6,50 euro
136 pp
1993

Sinossi

Una storia vera, appassionante come un romanzo di avventure: l'incredibile vicenda del commerciante padovano Giorgio Perlasca (1910-1992) che, nell'inverno 1944 a Budapest, riuscì a salvare dallo sterminio migliaia di ebrei, spacciandosi per il console spagnolo.
Era stato un fascista entusiasta e aveva combattutto in Spagna come volontario per Franco. l'8 settembre 1943 lo trovò lontano da casa, ricercato dalle SS. Avrebbe potuto mettersi in salvo, decise di rischiare la vita. 
Dal suo 'Diario', che costituisce uno dei capitoli del libro, emerge l'azione straordinaria di un solo uomo, aiutato da uno sparuto gruppo di persone, che sforna documenti falsi, organizza e difende otto "case rifugio", trova cibo. 
Insieme a Raul Wallenberg strappa ragazzi dai "treni della morte" di adolf Eichmann, inganna nazisti tedeschi e ungheresi. Un organizzatore geniale e un magnifico impostore. 
Poi, il ritorno a casa e un silenzio durato quasi mezzo secolo, fino alla sua scoperta, merito di un gruppo di donne ebree ungheresi, ragazzine all'epoca della guerra, che gli devono la vita. E' stato onorato come eroe e "uomo giusto" in Ungheria, Israele, Stati Uniti, Spagna e infine, grazie a questo libro, anche in Italia.

sabato 8 novembre 2014

Chi era la "ragazza del dipinto"? Storie vere al cinema



La storia di oggi, che ha ispirato non un romanzo bensì un film - da non molto portato al cinema e del quale parleremo domani - è quella relativa a Dido Elizabeth Belle.

Il dipinto è questo..

Dipinto di due giovani donne
(Johann Zoffany)
Ritratto di Dido Elizabeth Belle Lindsay
con la cugina Lady Elizabeth Murray
 Dido Elizabeth Belle è nata (schiava) nel 1761 nelle Indie Occidentali, da una donna africana conosciuta come Maria Belle. Suo padre era Sir John Lindsay, ufficiale di marina e poi capitano della nave da guerra britannica.
L'uomo prese come amante Maria Belle, che era su una nave spagnola da lui catturata, ed ebbe con lei una figlia, che dopo il 1765 affidò alle cure dello zio, William Murray, 1° conte di Mansfield, e di sua moglie Elisabeth. Fu battezzata come Dido Elizabeth Belle nel 1766.
padre di Belle
Il conte e la contessa di Mansfield vivevano a Kenwood House ad Hampstead, alle porte di Londra. Senza figli, stavano già allevando la nipote orfana, Lady Elizabeth Murray, nata nel 1760. E' possibile che i Mansfield abbiano preso Belle perchè fosse una compagna di giochi per Lady Elizabeth e, più tardi nella vita, la sua cameriera personale. 
Il suo ruolo all'interno della famiglia più vicino a quello di una dama di compagnia che di una cameriera.
Belle visse in casa Kenwood per 30 anni. La sua posizione era insolita, perché pur essendo in condizioni di schiavitù, Lord e Lady Mansfield la trattavano come un membro della famiglia Murray.
Le due bambine crebbero insieme, ma ben presto fu chiaro che Belle non poteva occupare in società la stessa posizione della cugina, nonostante la morte del padre ne avesse fatto un'ereditiera e il prozio ne avesse formalizzato legalmente la condizione di "nata libera". 

mansfield
Nel 1783 Lord Mansfield dovette occuparsi di uno dei casi giuridici più scottanti dell'epoca: il massacro della Zong, una nave negriera di Liverpool che, nel 1781, gettò nelle acque al largo della Giamaica 142 schiavi incatenati. La scusa ufficiale fu la carenza di acqua potabile, il vero motivo la volontà di intascare l'assicurazione sulla vita di ciascuno schiavo, per ripagare le perdite economiche di un viaggio disastroso.
belle
In virtù delle leggi dell'epoca nessun membro dell'equipaggio poteva essere accusato di omicidio, quindi il processo riguardava solo l'eventuale risarcimento economico. Come segretaria del prozio, Belle seguì i fatti da vicino ed è probabile che la sua presenza abbia influenzato Lord Mansfield nel pronunciare una sentenza rivoluzionaria: l'uccisione di innocenti era illegittima a priori e nessuna richiesta di risarcimento poteva essere accolta se nata da un atto illegale. Il primo passo verso il futuro movimento abolizionista era stato compiuto.
Belle trovò anche l'amore nel giovane avvocato John Davinier, che sposò il 5 dicembre 1793. La coppia ebbe tre bambini (i gemelli Charles e John, e William Thomas) e visse serenamente fino alla morte di lei, avvenuta nel 1804, a 43 anni.


domenica 18 maggio 2014

Scoperti per caso: UN BAMBINO PIANGE ANCORA



Ho trovato e preso questo libro in e-book.
La trama mi ha incuriosita: è la coraggiosa testimonianza di un'infanzia e una giovinezza tedesca, durante e dopo gli orrori della seconda guerra mondiale; una dolorosa ricostruzione in cui si riassume l'atteggiamento di un'intera generazione.

A me interessano sempre le storie basate su fatti realmente accaduti e inseriti in contesti complessi.
Voi che ne pensate?

UN BAMBINO PIANGE ANCORA
di Ursula Rutter Barzaghi

Tea Edizioni
169 pp
8 euro
2004
Trama

Nata («insieme con la guerra») e cresciuta nella Germania hitleriana, Ursula Rütter Barzaghi ha trascorso i primissimi anni di vita relativamente al sicuro, tra le mura della caserma di Lubln, in Lorena, protetta dagli eventi esterni ma non dalla cintura del padre, ex poliziotto violento e dedito al bere, rapidamente inseritosi nelle file dei nazisti. 
Il precipitare della situazione, e la fine del conflitto, l’hanno gettata poi, insieme alla madre, alla sorella e al fratello e a milioni di altri tedeschi, nella realtà di un Paese devastato, ridotto alla miseria e che si svegliava dall’incubo peggiore della sua storia. 
Il padre, nel frattempo, era scomparso «al fronte russo...», lasciando un ricordo così doloroso e ingombrante da cancellare persino l’immagine della sua uniforme, quella delle SS.
Con grande onestà, e con grande coraggio, Ursula Rütter Barzaghi ha scavato nella memoria e ha ricostruito la sua storia di bambina e di ragazza, cresciuta come tanti altri suoi coetanei ascoltando storie dell’orrore sui bambini cristiani rapiti dagli ebrei, o sui russi in agguato nei boschi in mezzo ai lupi; ignorando a scuola la tragedia recente e andando poi a giocare in mezzo alle macerie prodotte dai bombardamenti alleati; dedicando molto tempo alla ricerca del cibo e cominciando infine a lavorare. 
E ponendosi intanto domande sempre più dolorose e pressanti, sollecitate dai ricordi ma destinate a restare a lungo senza risposta, poiché coloro che potevano dire, raccontare, cercare di spiegare – gli adulti – erano barricati dietro un muro invalicabile, chiusi «sotto una cappa di silenzi stesa sulle loro colpe»: un abisso tra padri e figli che ha segnato per sempre un’intera generazione.

domenica 13 aprile 2014

Pawnee&Paiute



Nella recensione di "I cento colori del blu" ho detto che la protagonista Blue è stata cresciuta da un indiano, della tribù dei Pawnee.

Le prime tracce dei Pawnee risalgono al 1541.
donna pawnee

La nazione dei Pawnee era di ceppo “caddoan” e deve il suo nome (attribuito, come sempre, da altri popoli), forse, al termine “parika”, corno, con il quale si usava descrivere la particolare modalità di mantenere l’acconciatura, con il cranio completamente rasato sui due lati e con una sola striscia di capelli che, ingrassati debitamente, erano in grado di assumere forme diverse che ricordavano il corno, curvo e ripiegato indietro.
abitazione pawnee

Erano un popolo gioioso e amavano le scelte ponderate. Nel generale movimento delle genti caddoan verso nord-est, i Pawnee furono quelli che se la presero più comoda, facendo parecchie tappe e mantenendosi divisi in numerosi gruppi di dimensioni contenute. Alla fine, dopo un periodo di tempo veramente lungo, i Pawnee arrivarono alla loro destinazione principale, la valle del Platte, nel Nebraska, e lì conquistarono sul campo il diritto a vivere e cacciare, allontanando con la forza un altro popolo di cui, però, non si dice il nome.

Tra il XVII ed il XVIII secolo le tribù della confederazione dei Pawnee fu vittima di alcuni episodi collegati al diffondersi della schiavitù. Sia pure senza conseguenze gravi, i Pawnee venivano talvolta catturati da altre tribù e ceduti ai mercanti bianchi che li rivendevano altrove, talvolta insieme a Neri.

La religione pawnee è abbastanza complessa. Avevano un dio principale chiamato Tirawahat; questo era stato l'origine di tutto e lui aveva dettato le regole del cosmo. Poi c'erano altre divinità minori e tutte le stelle erano a loro volta delle divinità. Le stelle dicevano quando era opportuno piantare il mais. I Pawnee praticavano anche due danze rituali: la Danza del Sole e la Danza del fantasma.

Ma si parla anche di un'altra etnia dei nativi d'America: i Paiute.
paiute village
I Paiute sono una popolazione nativa del Nord America. Il termine indica propriamente due gruppi relativamente distinti di lingua uto-azteca. 
I Paiute del Nord abitavano tradizionalmente nei territori della California, del Nevada e dell'Oregon, mentre i Paiute del Sud erano stanziati in Arizona, Nevada, Utah e nel SE della California (Yosemite Valley).

L'origine del nome Paiute è incerta. Secondo alcuni antropologi il termine significherebbe "Ute dell'acqua" oppure "veri Ute". I Paiute del Nord chiamavano se stessi Numa mentre il nome che i Paiute del Sud davano a se stessi era Nuwuvi. In entrambi i casi questi significavano "il popolo". I primi esploratori spagnoli che entrarono in contatto con tribù di Paiute del Sud li chiamarono "Payuchi" mentre i coloni di origine europea li definivano "Scavatori" (in inglese Diggers), probabilmente per la loro abitudine di scavare alla ricerca di radici.


fonti: http://www.farwest.it/ - wikipedia

martedì 1 aprile 2014

Viaggiare leggendo... ad Amburgo, durante la guerra



Buongiorno amici e lettori!!!

travel.... reading
Cominciamo la giornata con la rubrica "Viaggiare leggendo" e soffermiamoci brevemente sulla località in cui è ambientato uno dei libro in lettura:

LA MIA AMICA EBREA
di Rebecca Domino


lulu.com
300 pp
1.99 euro
USCITA 27 GENNAIO
2014
Trama

Amburgo, 1943. La vita di Josepha, quindici anni, trascorre fra le uscite con le amiche, le lezioni e i sogni, nonostante la Seconda Guerra Mondiale. 
Le cose cambiano quando suo padre decide di nascondere in soffitta una famiglia di ebrei. 
Fra loro c'è Rina, quindici anni, grandi e profondi occhi scuri.
Nella Germania nazista, giorno dopo giorno sboccia una delicata amicizia fra una ragazzina ariana, che è cresciuta con la propaganda di Hitler, e una ragazzina ebrea, che si sta nascondendo a quello che sembra essere il destino di tutta la sua gente. 
Ma quando Josepha dovrà rinunciare improvvisamente alla sua casa e dovrà lottare per continuare a sperare e per cercare di proteggere Rina, l'unione fra le due ragazzine, in un Amburgo martoriata dalle bombe e dalla paura, continuerà a riempire i loro cuori di speranza.


Un romanzo che accende i riflettori su uno dei lati meno conosciuti dell'Olocausto, la voce degli "eroi silenziosi", uomini, donne e giovani che hanno aiutato gli ebrei in uno dei periodi più bui della Storia.

L'autrice.
Rebecca Domino è nata nel 1984, e da sempre è appassionata di scrittura. Dopo aver messo da parte questa sua grande passione per molti anni, è tornata a scrivere e adesso e' cio' che le piace di piu' fare. E' anche un'appassionata viaggiatrice e lettrice. "La mia amica ebrea" e' il suo primo romanzo
.

Wandsbeker Marktstr.,  Hamburg - Wandsbek (1999)
La storia narrata nel libro - che è davvero molto bello, scritto bene e si legge con molto interesse - è ambientata negli anni del Secondo Conflitto Mondiale ad Amburgo, in Germani, più precisamente a Wandsbek.
Wandsbek è un distretto di Amburgo (ce ne sono 18), che è la seconda città più popolosa della Germania, dopo Berlino.

Durante la seconda guerra mondiale Amburgo fu sottoposta ad una serie di devastanti raid aerei, come del resto è testimoniato dalla giovanissima protagonista Josepha.
Gli Alleati aveva messo a punto una strategia di bombardamento che (mediante l'uso di spezzoni incendiari da 4 libbre, sganci a grappolo, studi sull'impianto topografico dei centri storici facilmente infiammabili, situazione meteorologica, ecc.) poteva innescare un'unica e gigantesca tempesta di fuoco autonoma per almeno trenta minuti. 
Lo stesso Arthur Harris, capo del Bomber Command, battezzò l'attacco su Amburgo col nome di “Gomorra”, dando a intendere quali fossero le intenzioni circa il destino della città.

La notte del 28 luglio 1943 si generarono colpi di vento infuocato a 75 metri al secondo. Le case bruciarono per il solo effetto del calore e circa 50.000 persone furono sterminate. 
I cadaveri vennero ritrovati soprattutto nei rifugi sotterranei come le cantine, trasformati improvvisamente in enormi forni crematori. 
Alla fine della guerra, la città era ridotta a 43 milioni di metri cubi di macerie (compreso il centro storico), pur non raggiungendo la totalità della distruzione come invece accadde in altre città.
.
L'Autrice ha dimostrato di essersi ben documentata a livello storico non solo in merito ai bombardamenti ma anche perché cita un campo di concentramento che era sito proprio vicino Amburgo, a 30 km a sud-est: il lager di Neuengamme, aperto nel dicembre del 1938.

Dopo l'occupazione della Polonia, Himmler voleva avere a disposizione un Lager capace di accogliere 40.000 polacchi e così nella vecchia fabbrica di mattoni cominciarono affluire trasporti di piccola entità, 200 - 250 persone, tutte destinate a produrre mattoni. 
La materia prima, l'argilla veniva estratta da una cava che si trovava già dentro il recinto del Lager.

Nel marzo del 1940, quello che inizialmente era essenzialmente un Lager dove si producevano mattoni, si trasformò in un Lager terrificante.

Nei primi tempi, da Neuengamme venivano inviati continuamente deportati a Bernburg, uno dei sei centri dove si praticava l'eutanasia, per venire poi gasati.

Inizialmente i trasporti verso questo Lager contavano poche centinaia di persone per divenire consistenti.
Alla fine del 1940 contava già 5.000 deportati (430 erano morti negli ultimi mesi); a fine 1941 i deportati erano saliti a quasi seimila. A fine 1943 la forza del Lager arrivò a 25.700 deportati e a fine 1944 il Lager conta 48.800 deportati, di cui circa 10.000 donne ed i morti quell'anno superarono le 8.000 unità.

Alla fine di marzo del 1945 si contavano 87.000 uomini e 13.000 donne, ma i trasporti continuarono ad arrivare ed arrivarono pure i gruppi inviati dalla Gestapo di Amburgo per essere impiccati o fucilati dentro il Lager.

Il Lager di Neuengamme con i suoi 80 sottocampi divenne il più grande Lager della Germania settentrionale: passarono dentro i suoi reticolati circa 104.000 deportati e si stima che fra i 45.000 ed i 55.000 non sopravvissero.

fonti: Wikipedia - http://www.deportati.it/neuengamme_canale/default.html - 
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