giovedì 13 agosto 2015

Recensione film: IL NOME DEL FIGLIO di Francesca Archibugi



Una cena tranquilla tra parenti e amici spesso può trasformarsi in qualcosa di molto diverso, dove invece di mandar giù i bocconi prelibati preparati dalla padrona di casa, se ne ingoiano altri, di più amari.

IL NOME DEL FIGLIO 





Regia: Francesca Archibugi
Cast: Valeria Golino, Alessandro Gassman, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti.

È l'adattamento della piece Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, dal quale era già stato tratto il film francese Cena tra amici.

Siamo a Roma.
La bella Simona (Micaela Ramazzotti), sposata con l'agente immobiliare Paolo (Alessandro Gassman) Pontecorvo, sta parlando alla radio del romanzo che ha appena scritto.
Intanto, proprio Paolo, insieme all'amico di sempre Claudio (Rocco Papaleo), vanno a cena dalla sorella del primo, Betta (Valeria Golino), sposata con Sandro, con cui si conoscono da una vita perchè amico di famiglia.
I quattro non potrebbero essere più diversi eppure, nonostante qualche scaramuccia ogni tanto, soprattutto per le diverse visioni politiche di Paolo e Sandro, si vogliono bene, amano ricordare i vecchi tempi e stare insieme a scherzare e sfottersi.
A dare molto movimento alla serata è Paolo, che ama fare il burlone e prendere in giro tutti, soprattutto Sandro, che si arrabbia facilmente quando si nomina tutto ciò che ha a che fare con il fascismo.
Ed infatti, durante la cena, aspettando Simona, mentre la povera Betta si affanna a fare su e giù per portare i piatti in tavola, dopo aver annunciato che Simona aspetta un maschietto, Paolo svela il nome che lui e la moglie hanno pensato di dare al nascituro: Benito.
Basta questo nome a scatenare una discussione accesa sull'inopportunità di scegliere proprio un nome tanto (storicamente e ideologicamente) controverso, ed in particolare è Sandro a non accettare la cosa.
Come può Paolo soltanto pensare di dare al figlio un nome dal sapore decisamente fascista (dire Benito equivale a dire Mussolini e quindi fascismo) quando sa benissimo che non solo la famiglia Pontecorvo ha origini ebraiche, ma ha pure sofferto durante la guerra?

Anche Betta disapprova, senza però lasciarsi andare in escandescenze, essendo per natura un tipo tranquillo, a dire il vero anche troppo, visto che la vita matrimoniale la sta un po' stressando e intristendo, soprattutto perchè il marito sembra molto assente, e con i figli e con lei; anche nell'aspetto, Betta s'è lasciata andare, eppure c'è qualche piccolo segreto nella sua vita di moglie e madre super presente e sacrificata... Ma Sandro - pur avendo gli occhiali - è troppo cieco e preso ad interagire sui social network per accorgersene...

E cosa ne pensa Claudio, il musicista eccentrico, sempre equilibrato, un po' nascosto dietro agli altri, che preferisce fare da paciere ed evitare di dire la sua, evitando di lasciarsi travolgere dalle accese discussioni di Paolo e Sandro?
Lui cerca di defilarsi, di limitarsi ad ascoltare... ma si arriverà ad un punto della serata in cui bene o male tutti avranno qualcosa - che da tempo sta sul groppone - da dirsi senza peli sulla lingua.

Insomma, tra un piatto e l'altro, i toni si alzano e l'arrivo di Simona non placa gli animi, anzi...
La ragazza si rende conto di non essere apprezzata da loro, neanche dal marito, che la tratta come una bella bambola da mostrare in pubblico ma per carità, non è necessario che lei apra la bocca.
Pure la genuina, seppur un po' tamarra, Simona avrà qualcosa da dire e lo stesso Claudio, zitto zitto, riserverà una bella sorpresa finale per tutti...

E' una commedia molto carina e godibile, che si svolge praticamente sempre a casa (se si escludono la scena iniziale e quella finale); gli attori sono vivaci e genuini, ci fanno sorridere per le loro baruffe, che vanno di pari passo con l'affetto che li lega da anni; ogni tanto ci sono dei flashback e dal presente si fa un salto a quando i quattro erano ragazzi e per divertirsi assieme bastava una semplice canzone di Lucio Dalla.

Un film molto piacevole, io lo consiglio! Gassman troppo simpatico! ;=)
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mercoledì 12 agosto 2015

Imparare leggendo



Sul blog, nel tempo, ho aperto diverse rubriche, a cadenza settimanale e non, che ad oggi non sempre condivido con voi in modo costante (per quanto ci pensi e vorrei).
Dico questo perchè non ho intenzione di aprire una nuova rubrica, ma pensavo di dare spazio - senza impegni troppo fiscali - a una cosetta cui ho pensato mentre leggevo "Ho lasciato entrare la tempesta" e "La Chimera", dove mi son trovata davanti a termini di cui non conoscevo il significato.

E siccome "la vecchia non voleva morire, perché diceva che aveva altre cose da imparare", e siccome la lingua italiana è ricca, tra le tante cose, di un sacco di vocaboli, impareremo insieme qualche parolina o espressione meno frequente.


CONOSCEVATE QUESTE PAROLE, che nel caso specifico di oggi fanno riferimento a un uccello e a due piante? ^_-

Ok, iniziamo da...

EDREDONE

Si tratta di un animale, e questo lo avevo intuito dalla lettura (del primo libro sopra citato).
E' una grande anatra marina appartenente alla famiglia delle Anatidae.

L'edredone comune è caratteristico per la sua forma corpulenta e per il suo grande becco a forma di zeppa. Il maschio è inconfondibile, con il suo piumaggio bianco e nero e la nuca verde. La femmina è un uccello bruno, ma nonostante questo si può ancora distinguere da tutte le altre anatre, ad eccezione delle altre specie di edredoni, sulla base delle dimensioni e della forma della testa. La lunghezza del corpo è compresa tra 50–71 cm. Il richiamo di quest'anatra è un grazioso "aa-uuu". Questa specie è spesso facilmente avvicinabile.

È distribuita sulle coste settentrionali di Europa (ed infatti la storia di Agnes Magnusdottir è ambientata in Islanda), Nordamerica e Siberia orientale. Nidifica nell'Artide e in alcune regioni temperate settentrionali, ma sverna un po' più a sud, nelle zone temperate, dove può formare stormi numerosi sulle acque costiere.

Sono celebri le le piume di Edredone, talmente morbide e calde che erano spesso utilizzate nella fabbricazione di trapunte, piumini e sacchi a pelo. Questa usanza resta viva in Islanda, dove si è creato un ambiente ottimale per l’accoglienza delle coppie nidificanti.

fonte: Wikipedia - http://www.uccellidaproteggere.it/


Restiamo in ambito naturalistico, ma passiamo alla flora.

Anteprima settembrina firmata Neri Pozza: TRA CIELO E TERRA di Paula McLain



Anteprima settembrina firmata Neri Pozza:

TRA CIELO E TERRA
di Paula McLain


I Narratori delle Tavole
trad- S. Fefè
384 pp
18 euro
SETTEMBRE 2015
Con una scrittura impeccabile e un ritmo degno dell’esistenza tumultuosa di cui narra, Paula McLain compone il romanzo della vita di Beryl Markham, di una donna capace di sfidare il suo tempo in nome della libertà d’amare e vivere secondo i propri desideri e le proprie passioni.

Trama

Nel 1904, i Clutterbuck lasciano l’Inghilterra e, navigando per settemila miglia fino al porto di Mombasa, raggiungono Nairobi, e da lì la «terra imperiale» che Charles Clutterbuck ha comprato a buon prezzo.
La terra si riduce a seicento ettari di macchia incolta e a tre capanne esposte alle intemperie.
Data la vicinanza all’equatore, non esiste il crepuscolo.
Il giorno diventa notte nel giro di pochi minuti. In lontananza si sentono gli elefanti farsi strada nella boscaglia. I serpenti vibrano nelle tane.
Due anni dopo, quando la macchia incolta ha quasi le sembianze di una fattoria di allevamento di cavalli, Clara, la moglie di Charles, compra un biglietto di ritorno per l’Inghilterra per sé e per Dickie, il figlio maggiore di cagionevole salute.
L’Africa è troppo dura per lei, dice.
 Alla stazione di Nairobi bacia la piccola Beryl, rimasta sola col padre, e la esorta a essere forte.
Beryl cresce libera nell’Africa indomita e selvaggia.
 A volte, quando è buio pesto, sguscia da una finestra aperta per raggiungere il suo amico Kibii, un ragazzino kipsigi.
Intorno a un falò basso e scoppiettante ascolta i racconti della tribù e sogna di diventare anche lei un giovane guerriero.
Un giorno, a casa degli Elkington, una magnifica dimora che dà su chilometri e chilometri di boscaglia africana, Paddy, il leone che scorrazza libero per casa, l’azzanna a una coscia, subito sopra il ginocchio, e poi molla la presa, come se gli fosse chiaro che non è «destinata a lui».
Quale sia il destino di Beryl, nata Clutterbuck, è scritto nel rapido susseguirsi degli eventi che segnano la sua vita: la guerra, con ampie porzioni del Protettorato britannico trasformate in campi di battaglia per impedire ai tedeschi di prendersi la terra; il fallimento della fattoria paterna, con Charles Clutterbuck che decide di trasferirsi a Città del Capo, dove amano i cavalli e dove lui conta di ripartire da zero; il matrimonio della giovanissima Beryl con Jock Purves, un uomo forte e robusto ma nulla più; la scelta di diventare la prima donna al mondo con la licenza di addestratrice di cavalli, il fatidico incontro con Karen Blixen, la misteriosa baronessa danese che gestisce una piantagione di caffè da sola, mentre il marito va a caccia di rinoceronti; l’amore per l’affascinante amante della baronessa, Denys Finch Hatton, organizzatore di safari e aviatore che sembra non dubitare mai di se stesso o dell’universo in cui si muove; il divorzio da Jock e il matrimonio con lord Mansfield Markham; l’attrazione per il volo, trasmessagli da Denys, che ne fa la prima donna a sorvolare l’Atlantico senza scali.

«Paula McLain è giustamente considerata la nuova star del romanzo storico… Tra cielo e terra è scritto magnificamente e avvince dalla prima all’ultima pagina».  Ann Patchett

«Una moglie a Parigi è un ottimo libro, ma Tra cielo e terra lo supera. Beryl Markham, così avanti rispetto al suo tempo, riceve qui finalmente la consacrazione che merita».  New York Daily News

«L’eloquente ricostruzione da parte della MacLain dell’audace vita di Beryl ci rammenta che le donne indipendenti, capaci di muoversi a una velocità propria, ci sono sempre state». O: The Oprah Magazine

L'Autrice.
Paula McLain è nata a Fresno, in California, nel 1965. Nel 1996 riceve dall’Università del Michigan il premio MFA per la poesia. Dopo due raccolte di poesie (Less of Her e Stumble Gorgeous) e un libro di memorie (Like Family: Growing Up In Other People’s Houses), il suo romanzo Una moglie a Parigi (Neri Pozza 2011, BEAT 2013) è stato un bestseller tradotto in più di trenta lingue.

martedì 11 agosto 2015

Cosa sto leggendo? (What am I Reading?)



Cari lettori ed amici, come procedono le vostre letture?
Io, delle mie, non posso lamentarmi tantissimo, ultimamente ho letto un paio di romanzi che mi hanno preso molto, anche se ho iniziato Mansfield Park dal secolo scorso e procedo al pari di una tartarughina che ha mangiato troppo ed è costretta a rallentare ancora di più il suo passo a causa dei crampi allo stomaco..

Vi riepilogo le mie letture. Scrivetemi le vostre, se vi va!

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MANSFIELD PARK, J. Austen

Fanny Price è diversa da tutte le altre eroine di Jane Austen: non ha il senso dell'umorismo di Elizabeth Bennet né la frivolezza di Emma, e nemmeno la consapevolezza di Elinor Dashwood o l'irruenza di sua sorella Marianne. Fanny è tutta buon senso, umiltà, riservatezza e vulnerabilità. è il personaggio più passivo del romanzo, eppure dal punto di vista dell'azione morale, Fanny è la più attiva perché è l'unica che riesce a vedere le cose nella giusta prospettiva fin dal principio.Nella sua immobilità, è un personaggio chiave, simbolo di quel mondo di pacata quiete e solidi valori che era l'Inghilterra rurale del primo Settecento, contrapposto alla frenesia e dinamicità di una Londra ormai alle soglie della Rivoluzione industriale. Con Fanny, Jane Austen disegna il ritratto di un'eroina positiva non per abbondanza, ma per difetto di qualità mondane: un'eroina che fa dell'immobilità la propria forza, e vince senza fare nulla.

Uff... ma è forse il romanzo più lento della Jane? No, perchè davvero... non scorre! >_<
Sono l'unica a pensarlo?

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IRIDIUM, di M. Cavaletto, C.B. D'Oria

In questo nuovo capitolo della St. Jillian Saga, i nostri protagonisti si troveranno ad affrontare ciò che hanno sempre temuto: la consapevolezza che la Morte ci cambia nel profondo e che l’Amore non è un’àncora di salvezza, ma il peso che ti affonda.
Mentre la guerra fra vampiri, lican e Cacciatori diventa sempre più violenta, una Profezia avrà il potere di cambiarne le sorti.
Ma il Destino, questa volta, chi pretenderà in cambio?

Procedo abbastanza spedita, la lettura si sta rivelando scorrevole al punto giusto! :=)



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LA CHIMERA di Sebastiano Vassalli

Nel 1610 Zardino è un piccolo borgo immerso tra le nebbie e le risaie a sud del Monte Rosa. Un villaggio come tanti, e come tanti destinato a essere cancellato senza lasciare tracce. C'è però una storia clamorosa, soffocata sotto le ceneri del tempo, che Sebastiano Vassalli ha riportato alla luce: la storia di una donna intorno alla quale si intrecciano tutte le illusioni e le menzogne di un secolo terribile e sconosciuto. Antonia, una trovatella cresciuta nella Pia Casa di Novara, un giorno viene scelta da due contadini e portata a Zardino, dove cerca di vivere con la fede e la semplicità che le hanno insegnato le monache.
 Ma la ragazza è strana, dice la gente. Perché è scura d'occhi, pelle e capelli, come una strega, e una volta è svenuta al cospetto del vescovo Bascapè, l'uomo che doveva diventare Papa e che si è messo in testa di trasformare in santo chiunque abiti quelle terre. E poi perché Antonia è bella, troppo bella, ed è innamorata, ed è indipendente: in lei ci dev'essere per forza qualcosa di diabolico... 
Vassalli illumina gli angoli più oscuri di un secolo senza Dio e senza Provvidenza, ricostruendo un episodio che è stato crocevia di molti destini e che, in un turbine di menzogne e fanatismi, ci dice molto di come si è formato il carattere degli italiani.

Il romanzo storico è un genere che mi piace molto, Vassalli ha un modo di scrivere accattivante; vero è che - come con altri romanzieri del genere, tipo il Manzoni - quando ci sono le descrizioni dettagliate del contesto e di certi fatti specifici del tempo di riferimento, un po' il ritmo rallenta, ma la storia e il personaggio di Antonia si stanno rivelando senza dubbio interessanti!

Recensione: HO LASCIATO ENTRARE LA TEMPESTA di Hannah Kent



Come anticipato ieri sera, ho un'altra recensione maturata nel fine settimana da condividere con voi.
Lasciatemi il vostro parere, se viva, e ditemi se è un romanzo che avete letto (e cosa ne pensate) o se vi piacerebbe leggerlo.

HO LASCIATO ENTRARE LA TEMPESTA
di Hannah Kent


Ed. Piemme
364 pp
17.50 euro
2014




“Ho lasciato entrare la tempesta” è un romanzo che parte da fatti realmente accaduti ed è, come dice l’Autrice stessa in appendice al libro, frutto di ricerche approfondite condotte nei luoghi in cui si è svolta la storia di Agnes Magnusdottir.

Siamo nell'Islanda del Nord, e il lettore conosce Agnes Magnusdottir come una donna poco più che trentenne, condannata all’esecuzione capitale insieme a un giovanotto di nome Fridrik Sigurdsson per concorso in omicidio, ai danni di due uomini, Natan Ketilsson e Petur Jonsson.


In attesa di morire, Agnes viene condotta dalla prigione in casa di un uomo, Jon Jonsson, che vive con la moglie Margret e le due figlie Steina e Lauga, che conducono la loro tranquilla esistenza nella propria fattoria.
Apprendere di dover ospitare un’assassina condannata a morte lascia sbigottita la famiglia, che teme per la propria incolumità e reputazione, ed infatti da subito tutti si dimostrano distanti e sgarbati con la prigioniera, mostrandole ostilità e freddezza.

Agnes è consapevole del proprio destino, ma sa che stare presso la famiglia Jonsson sarà sempre meglio che essere rinchiusa in una squallida prigione, coperta di fango e a marcire al freddo.

Ma il freddo è dentro di lei, nel suo cuore, nella sua anima, e consuma ogni singola fibra del suo corpo: Agnes è sempre stata una ragazza molto intelligente – troppo per i gusti degli altri, che hanno sempre visto questo suo acume come un aspetto negativo, proprio di una persona malvagia – e si rende conto che nonostante sia ancora fisicamente in vita, in realtà è già morta dentro.
È forse per scacciare quel buio mortale che è radicato ormai in lei che la donna ha richiesto la presenza di un certo reverendo Thorvardur Jonsson (detto Toti), affinchè l’accompagni nel suo cammino verso la morte, risollevandole lo spirito e avvicinandola a Dio?

Certo, Toti è un vicario così giovane ed inesperto da sembrare davvero la figura meno adatta per assolvere ai doveri di tutore spirituale a vantaggio poi di una donna ambigua, mossa da cattivi sentimenti e pensieri, scaltra e diabolica qual è reputata Agnes Magnusdottir.

Eppure, lei vuole inspiegabilmente (anche se la ragione ci verrà detta in itinere) Toti come suo tutore, e lui accetta il compito pur sentendosi inadeguato e confuso. Del resto, di cosa può aver bisogno una condannata a morte se non di preghiere e letture bibliche?

Ma Toti non è un ragazzo insensibile e frequentando la casa di Jon e parlando con Agnes si renderà conto che quest’ultima non è un corpo vuoto in attesa della fine, bensì un’anima e una mente ricca di pensieri, sentimenti e di fatti da raccontare. Agnes è una donna che ha sempre sofferto nella propria vita e che ha dovuto imparare a sottomettersi e ad obbedire a sempre nuovi padroni, cosa che del resto è abituata a fare da quando è piccola: abbandonata troppo presto dalla madre, e dal patrigno subito dopo, Agnes è costretta a vivere in più famiglie, lavorando duramente come una serva, facendo i lavori più umili e degradanti e incontrando nel suo cammino poche persone buone e troppe che l’hanno maltrattata, insultata, usata.

Natan compreso.

Natan è un personaggio davvero inquietante: un fattore esperto nell’arte della medicina, portata avanti non secondo i metodi tradizionali, ma attraverso l’uso di erbe e misture che, in quel momento storico (siamo nell’Islanda del 1829) vengono visti di mal occhio, come se fossero opera del diavolo (anche se poi, di nascosto, tanti, anche benpensanti di un certo rango, vanno da lui per chiedergli aiuto), idea favorita dalle voci sinistre e spaventose che ruotano attorno a quest’uomo, dichiaratamente miscredente e con strane capacità di preveggenza.

Cosa c’entra Agnes con Natan? E perché si è arrivati ad accusarla del suo omicidio?


L’Autrice intervalla una narrazione in terza persona – che si sofferma su Toti e sulla famiglia che accoglie l’assassina – a quella in prima persona, in cui ci apre il cuore e i pensieri tormentati e sofferti della povera Agnes, che ha un passato pieno di episodi da svelare…
Un passato che l’ha vista cercare amicizia e amore, ricevendone però amare ricompense.

La dolce ed ingenua Sigga, che ha lavorato insieme a lei presso Natan, poteva essere sua amica, ma un triste destino le ha allontanate, a causa dell’unico uomo che Agnes ha mai amato…


Anche Sigga è stata condannata per l’omicidio di Natan e Petur ma con risvolti decisamente diversi…
Come mai? Quanto contano i pregiudizi delle persone, che arbitrariamente e sulla base di aspetti secondari, decidono che un altro essere umano sia buono o cattivo, ingenuo o furbo?

Inizialmente, l’unica persona disposta ad ascoltare la donna è Toti, che sente pietà mista ad una insolita attrazione per la prigioniera, i cui occhi di ghiaccio e i gli sguardi intensi lo turbano non poco.

Pian piano, anche la giovane Steina comincia a sentire una certa simpatia e affinità per Agnes, contravvenendo agli ordini paterni di non rivolgerle la parola; la sorella minore Lauga non comprende come Steina possa solo pensare di fare amicizia con una criminale, e così pure la madre, Margret, gravemente ammalata, che prova repulsione e diffidenza verso la sgradita ospite.

Ma Agnes ha così tante cose da dire di sé, e gli inverni in Islanda sono così freddi, che sedersi vicino al fuoco, con una tazza di latte tra le mani a parlare ed ascoltare… diviene automatico, anche tra persone che non hanno nulla in comune.

E forse, quando si ascolta con attenzione qualcuno – anche se questo qualcuno sembra non avere il diritto di parlare e dire la sua, soprattutto perché la legge e la morale hanno già stabilito che è un soggetto riprovevole - ci si rende conto che la verità non è mai una sola, e che anche le storie tristi e difficili hanno diritto ad una voce che le racconti, a delle orecchie che le ascoltino... e a dei cuori disposti a sentire, a immedesimarsi, a capire i perché e i come.

L’Autrice ci fa entrare in una modesta casa islandese dell’800, ci fa sentire odori e sapori, ci fa provare il freddo gelido delle notti in cui la neve cade inesorabile, ci narra leggende e racconti propri di quell’epoca, dandoci anche particolari sulle pratiche dello scuoiare gli animale e del conservarne le interiora ecc.. 
Il lettore entra nella vita di una famiglia di quel tempo e nella storia con tutti e cinque i sensi, e col cuore soprattutto, perché comprenderà che le parole piene di dolore e rimpianto di una donna, la cui sorte è segnata irrimediabilmente, non possono non smuovere qualcosa dentro, e si arriva alla fine della storia con un filo di commozione e tristezza, per un finale che non può essere modificato, ma che la Storia ha già deciso, scritto e tramandato.

Un romanzo che prova a riscattare questa figura femminile, ritenuta dai suoi contemporanei una strega, una brutta persona legata a pratiche diaboliche… ma che probabilmente è stata soltanto una donna sola, sfortunata, che ha lasciato entrare la tempesta nella propria vita e si è trovata in balia di persone ed eventi più grandi di lei, che l’hanno travolta e fatta annegare.

Una storia ben raccontata, intrisa di molti elementi reali ed altri fittizi, che ci regala lo spaccato di una realtà distante da noi per tempo e spazio, ma vicina se pensiamo a quante persone, nel corso della storia europea (donne in primis), hanno pagato e pagano a caro prezzo il peso di superstizioni e dei modi di pensare ignoranti e bigotti.

Nel viene fuori il ritratto di una donna straordinaria, per vissuto e personalità, ma normale e “comune” per sentimenti, bisogni e desideri.

Mi è piaciuta molto l’ambientazione, sia i luoghi – che hanno un che di esotico, con i loro nomi difficili da scrivere e da pronunciare – sia l’atmosfera, un po’ oscura, per via delle vicissitudini della protagonista, e lo scendere nei dettagli nella narrazione, che va avanti fluida, interessante e soffermandosi sull’interiore dei personaggi e su come i rapporti possano cambiare quando si trascorre del tempo insieme, semplicemente parlando e ascoltando.

Consigliato!!

lunedì 10 agosto 2015

Recensione: IL RAGAZZO IN SOFFITTA di Pupi Avati



In questo week end ho terminato due libri ed iniziato un altro.
Eccovi la recensione di...


IL RAGAZZO IN SOFFITTA
di Pupi Avati


Ed. Guanda
256 pp
16 euro
2015
Berardo Rossi detto Dedo è popolare e brillante, è negato per il latino e tifa Milan anche se vive a Bologna. Giulio Bigi è timido e sovrappeso, legge l’Eneide come fosse «Tuttosport» e indossa orrende cravatte. Due quindicenni che sembrano appartenere a pianeti diversi, se non fosse che ora abitano nello stesso palazzo e frequentano la stessa classe… E che nella famiglia di Giulio c’è un segreto che coinvolgerà, suo malgrado, anche Dedo. Giulio, infatti, non ha mai visto suo padre, chiuso in ospedale fin da prima che lui nascesse. Ora quello sconosciuto sta per tornare a casa. Ma non è la persona che lui si aspetta. Mentre dagli armadi del passato emerge una favola nera di ambizione musicale e passione non corrisposta, Dedo si rende conto che il «ciccione del piano di sopra» è diventato un amico, che quell’amico è in pericolo, e che è il momento di fare delle scelte: ora sono loro due contro tutti. Da una Trieste intrisa di nostalgia a una luminosa e cinica Bologna,  
Pupi Avati mette in scena nel suo primo romanzo un intenso intreccio psicologico e una vicenda ricca di suspense: la storia di un’amicizia adolescenziale, di un lungo amore, di una nera vendetta. E crea con Dedo e Giulio due protagonisti di estrema autenticità: due ragazzi costretti a diventare grandi affrontando le sconfitte dei loro padri.

Pupi Avati è uno dei più amati registi italiani contemporanei, con all’attivo oltre quaranta tra film, sceneggiati e miniserie televisive che gli sono valsi numerosi premi. Ha pubblicato nel 2013 la sua autobiografia, La grande invenzione. Questo è il suo primo romanzo.



Volere bene è un mistero che lo capisci solo se ci pensi molto.

Questa semplice verità, sostenuta da un 15enne di Bologna, introduce la storia, anzi le storie raccontate per noi dal regista Pupi Avati, che alterna la narrazione di episodi avvenuti in momenti e in città diverse ma collegate tra loro profondamente.

I due filoni narrativi, infatti, si svolgono l’uno a Bologna, l’altro a Trieste.

Nella Bologna dei nostri giorni conosciamo un adolescente vivace, intelligente, tifoso sfegatato del Milan e non proprio bravissimo a scuola, Berardo Rossi, detto Dedo, le cui giornate trascorrono tra compiti, amici e il pensiero di essere notato dalla ragazza più bella e più snob della scuola, Olimpia.
La sua vita scorre tranquilla e serena, finchè un giorno i genitori (separati) affittano la mansarda di loro proprietà ad una famiglia, composta da una mamma e dal proprio figlio, Giulio Bigi, coetaneo di Dedo.
I due, oltre a vedersi nello stesso stabile, si ritrovano anche compagni di classe, e Dedo, con l’acume e quel pizzico di cinismo proprio dei ragazzi della sua età, comprende subito che tipo sia il suo nuovo compagno; Giulio è infatti un ragazzone grasso e timido, imbranato e strano, con quelle cravatte ridicole su cui sono disegnati personaggi famosi e che contribuiscono a dargli un’aria ancor più buffa.

Come si fa a non prenderlo in giro con gli amici? Per essere strano, è strano eccome, Giulio, ma è bravo in Latino e traduce l’Eneide “che è una bellezza”, offrendosi di aiutare Dedo, con cui desidera fare amicizia e dal quale vuole essere accettato. 

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E ben presto, tra i due ragazzi, seppure diversi per carattere, nasce un’affinità ed una 
amicizia che diventerà preziosa per entrambi, che sarà un'occasione di crescita e insegnerà loro che nella vita non si è soli se si “hanno le spalle coperte” da un amico che c’è e ti resta accanto anche quando tutti ti abbandonano e il mondo sembra crollarti addosso.
Sì perché Giulio è preoccupato e lo dice a Dedo: suo padre, che è in ospedale e che non ha mai visto e conosciuto in vita sua, sta per tornare a casa… e il ragazzo non sa come affrontare questa nuova esperienza con un uomo cui deve voler bene…ma che in realtà è un estraneo.

Ma il peggio deve ancora venire perché tutti i dubbi di Giulio dovranno fare i conti con una realtà ben peggiore: suo padre non è l’uomo che lui aveva immaginato; è sì ormai provato e bisognoso di cure… ma dietro a quel corpo fragile e a quella mente non proprio lucidissima, si cela qualcosa di ben più grave: un segreto “vecchio di anni” ma fresco nella memoria di tanti…, un segreto che sua madre si è tenuta dentro e che non ha voluto condividere col figlio, per preservarlo, proteggerlo… Ma da cosa?

Chi è quest’uomo che vive nella soffitta di Dedo? E quale terribile segreto Giulio ha scoperto sul proprio padre?
Quando il segreto rischia di non essere più tale, Dedo, che non è un ragazzo indifferente, anche se una piccola parte di sé vorrebbe non essere coinvolta in affari più grandi di lui, dovrà fare una scelta e l’affetto sincero, che lo lega a Giulio, lo porterà a restargli vicino nel momento del maggior bisogno. Perché è così che fanno i veri amici.

“Giulio piange e allora lo abbraccio e lui mi stringe come credo nessuno mi abbia mai stretto nella mia vita, come se stando così attaccati riuscisse a darmi un poco di quel male bestiale che lo sta mangiando dentro. Né mio padre né mia madre, nemmeno la nonna mi hanno mai stretto così forte e vorrei stringerlo anche io così per fargli capire che questa roba terribile non ci ha divisi ma ci ha uniti e che io so quanto lui è solo e disperato.”

Come dicevo, la narrazione si sposta da Bologna a Trieste, raccontandoci di fatti e persone che, capiremo man mano, sono avvenuti prima dell’incontro e dell’amicizia dei due ragazzi e che  sono anche strettamente collegati ad essi.

In che modo? Eh beh, il nocciolo sta proprio lì, quindi mi guardo bene dallo svelarvelo; vi dico soltanto che a Trieste conosceremo un’altra mamma con il suo bambino, Samuele Menczer.

Quella di Samuele è la storia di un figlio che era il centro del mondo per la sua mamma, la quale riverserà su di lui non soltanto  il proprio amore ma anche ogni alta aspettativa e speranza, convinta che il figlio possa diventare un virtuoso del violino, e muoverà – fin quando e come le sarà possibile – mari e monti perché Samuele studi con impegno lo strumento e sia ammesso in scuole prestigiose per diventare un grande violinista. 
La tortuosa strada del musicista gli permetterà di conoscere una donna, della quale si innamorerà perdutamente e che popolerà i sogni e l’immaginazione di Samuele in modo ossessivo, come se fosse realmente la sua amante, tanto da non riuscire ad avere relazioni con altre donne senza sentirsi un traditore verso il suo amore.

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Ma la sognata carriera di violinista gli farà raccogliere anche una serie di umiliazioni in pubblico, che faranno nascere e crescere in lui – che già ha una personalità un po’ particolare, un modo di vedere e considerare se stesso poco obiettivo (si crede davvero un virtuoso del violino, forse per rispetto ai desideri materni), unito alla convinzione di essere volutamente fatto fuori per invidia dagli altri musicisti - sentimenti, pensieri negativi e pericolosi, di rancore, vendetta, rabbia, frustrazione… Tutte cose che non saprà gestire e che gli procureranno dei guai e lo indurranno a commettere un’azione terribile…

E se il mondo della musica sembra sbattergli pian piano la porta in faccia, quello dell’amore invece sembra finalmente fiorire e portargli tra le braccia l’unico amore della sua vita, una vita che però continua non essere generosa con Samuele…

Cosa lega la storia di Samuele e dei fatti di Trieste con i due adolescenti uniti contro il mondo in quel di Bologna?


Pupi Avati ci regala una storia intensa che non si allontana dalla tematica del rapporto padre-figlio (presente del resto in alcuni suoi film, almeno per come ricordo io, tipo Il papà di Giovanna o Un ragazzo d'oro), rivestendola di continue e complesse conflittualità, di mancanze e assenze che chiedono di essere riempite di vere presenze, di parole e di amore, anche se questo non è sempre possibile perché la vita è davvero ricca di sorprese, raramente belle

E ricco di sorpresa è soprattutto il finale, che ci regala un colpo di scena; infatti, se è vero che abbastanza in fretta comprendiamo cosa collega Dedo/Giulio a Samuele Menczer, ciò su cui l’Autore sofferma la nostra attenzione è costituito dai risvolti psicologici dei personaggi, delle loro azioni e scelte.

Pur essendo una storia drammatica - come drammatica è la verità difficile che dovrà affrontare il povero Giulio sul padre e sul suo terribile passato,  lo e è la decisione di un adolescente vivace di farsi carico del problemi dell’amico, proteggendolo come meglio può, e infine lo sono le vicende che coinvolgeranno Samuele, da tutti additato come un mostro crudele – Pupi Avati ce la racconta con intenzionale leggerezza, con intelligenza e acume, alternando linguaggio e momenti ironici, simpatici (che vedono protagonisti Dedo, i suoi commenti e le sue battute, i comportamenti strambi del fratellino autistico Follo…), giovanili, anche se mai privi di significato, a linguaggio e momenti più seri, narrati in modo realistico ma con garbo, mettendo a nudo la psicologia dei personaggi, le loro emozioni, le speranze disattese, la paura del fallimento; quella paura che “va tenuta lontana, che è una malattia della mente dalla quale occorre guarire(cit.); non mancano i momenti di suspense, che coinvolgono il lettore dal punto di vista emozionale.

Fa sorridere di tenerezza il cambiamento di Dedo, che da ragazzino spensierato e un po’ egoista diventa altruista, capace di preoccuparsi per l’amico, col quale condivide e vive il passaggio dall’infanzia (nel senso di atteggiamenti e modi di fare “da ragazzi”, senza grosse responsabilità) all’età adulta, in cui la vita mette davanti a situazioni complicate e che richiedono scelte mature.

La soffitta diventa (mia personalissima interpretazione) per Dedo, ma in special modo per Giulio, il luogo simbolico e oscuro in cui risiedono le loro paure, in primis la paura di conoscere e affrontare verità gravi e terribili davanti alle quali è necessario mostrare coraggio, salendo gradino per gradino le scale buie che conducono fin su, “penetrando nella zona buia del corridoio che è un buio infinito, che si prolunga e ancora si prolunga sotto i miei piedi che strisciano insicuri sul piancito buio” (cit.) e dare a loro stessi l’opportunità di mettersi alla prova, di rafforzare un’amicizia, di liberarsi di fantasmi tormentati e tormentanti, stringendosi insieme in un dolore unico, che li accomunerà e li avvicinerà per sempre.

Concludendo, davvero un bel romanzo, mi piace molto la scrittura di Pupi Avati, i suoi intrecci, l’attenzione posta sui rapporti umani e sulle loro difficoltà e implicazioni psicologiche; in tanti momenti mi ha fatto sorridere e sicuramente mi ha coinvolta, pagina dopo pagina; insomma il mio giudizio è assolutamente positivo e non posso che consigliarne la lettura!

domenica 9 agosto 2015

Dietro le pagine di "Ho lasciato entrare la tempesta" (Burial Rites) di Hannah Kent



Come vi dicevo, ho in lettura "Ho lasciato entrare la tempesta" (titolo originale: Burial Rites), ambientato nel 1829, nell'Islanda del nord, e che vede protagonista una serva chiamata Agnes Magnúsdóttir, giudicata colpevole di aver ucciso il suo datore di lavoro mentre era addormentato.

storie dietro storie
Ciò che leggiamo spesso è frutto della fantasia dell'Autore ma altre volte quest'ultimo trae ispirazione da storie/situazioni/persone reali, di cui ha avuto conoscenza diretta o indiretta.

La rubrica "Dietro le pagine" prende nome e idea da una presente nel blog "Itching for books" e cercherà di rispondere (cercherò di darle una cadenza settimanale, sempre in base alle piccole ricerchine che riuscirò a fare) a questa curiosità: Cosa si nasconde dietro le pagine di un libro? Qual è stata la fonte di ispirazione?
".

Immediatamente condannata dalla piccola comunità in cui è cresciuta, Agnes è stata anche e soprattutto condannata a morte. La sua è stata l'ultima esecuzione eseguita in Islanda, avvenuta 12 di gennaio 1830 a Þrístapar (Thristapar).
Agnes Magnúsdóttir fu decapitata insieme al complice Friðrik Sigurðsson  per l'omicidio di Natan Ketilsson e Pétur Jónsson.
Il romanzo si basa su questi eventi realmente accaduti.
Nel 1996 la storia di questa donna è diventata un film, diretto da Egill Edvardsson, con Maria Ellingsen.
Leggevo in web che ci sarà un altro film tratto dal libro, con Jennifer Lawrence nei panni della protagonista.

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Nel libro, la storia comincia con Agnes che fa il suo ingresso in una piccola azienda agricola di Kornsá, dove deve rimanere prigioniera fino alla data della sua esecuzione. Qui incontra il padrone di casa, sua moglie e le loro due figlie.
La famiglia è inorridita all'idea di avere un'assassina in mezzo a loro, ed evita di parlare con Agnes.
Solo Tóti, il giovane vicario nominato come suo tutore spirituale, desidera cercare di capirla.
Con l'avanzare dell'inverno, le difficoltà delle zone rurali costringono tutti a lavorare fianco a fianco, e pian piano  l'atteggiamento della famiglia inizia a cambiare verso Agnes, finché una notte, lei comincia a raccontare la sua versione dei fatti, e gli altri si rendono conto che non tutto è come avevano appreso.

L'Autrice ha sentito parlare di Agnes Magnusdottir nel 2003, quando viveva in una piccola città nel nord dell'Islanda. Durante i mesi invernali le è capitato di attraversare un luogo molto suggestivo chiamato Vatnsdalur. Quando ha chiesto ai suoi compagni di viaggio se la zona è stata significativa per una qualsiasi ragione (era coperto di piccole colline che quasi sembravano tumuli sepolcrali), le hanno detto che era il luogo dell'ultima esecuzione avvenuta in Islanda.
Curiosa,  ha insistito per ulteriori informazioni, e le è stato detto che due persone erano state decapitate per l'omicidio di due uomini; una di questi condannati era Agnes.
Da quel momento sono partite le ricerche personali dell'Autrice, che ha passato circa due anni a leggere tutto quello su cui poteva mettere le mani in merito a tutti gli aspetti dell'Islanda ottocentesca: ciò che la gente mangiava, gli abiti che indossavano, usi e costumi, canti popolari in occasione dei funerali, lavori stagionali e quotidiani, le malattie più diffuse, se gli uomini avevano la barba, che colore di biancheria intima indossavano le persone, quanto è pesante un vaso da notte, qual è il modo migliore per scuoiare un agnello..


Agnes (?)
Per rispondere a queste, e a ogni sorta di altre domande, ha letto i diari di viaggio di quel periodo, le saghe islandesi, le fiction di autori come Halldór Laxness, libri di storia, procedimenti legali, riviste - tutti gli articoli accademici su vaiolo, epidemie -, poesia. Ha anche trascorso sei settimane per la ricerca negli archivi nazionali di Islanda e nelle biblioteche, dove ha potuto studiare censimenti, registri ministeriali e 'registri delle anime', imparando la maggior parte dei fatti della vita di Agnes.
Ha anche trascorso qualche tempo visitando i luoghi in cui è ambientato il romanzo. E' stato un percorso molto intenso, molto gratificante, che ha richiesto un sacco di traduzione e un sacco di pazienza.


Read more: http://www.femalefirst.co.uk/books/burial-rites-325855.html

sabato 8 agosto 2015

Novità Newton Compton del 6 agosto



Ultime novità Newton Compton, dal 6 agosto in libreria!


trad. E. Farsetti
352 pp
9.90 euro
E L'AMORE BUSSO' 
di G.J. Wlaker-Smith


Charli Blake ha 17 anni non è facile, è considerata una piantagrane, ha una brutta reputazione e abita in un paesino sperduto, Pipers Cove, una piccola località sulla costa della Tasmania, l’ultimo posto dove vorrebbe stare. Proprio Charli, che sognava mille avventure in giro per il mondo, si ritrova bloccata laggiù e costretta a sopportare le angherie delle ragazze cool della scuola che fanno di tutto per emarginarla e metterla in ridicolo. 
Ma quando Adam Décarie arriva a Pipers Cove, direttamente da New York, sembra finalmente giunta la grande occasione anche per la giovane Charli. È convintissima, infatti, che Adam sia il ragazzo perfetto per lei e che proprio il destino lo abbia fatto finire in quel paese così lontano dalla civiltà.




trad. A. Sbardella
480 pp
12 euro
SOLO PER QUESTA NOTTE
di Megan Maxwell


Dopo aver consumato bollenti notti di passione in mezzo al mare, al termine della crociera durante la quale si sono conosciuti, Yanira e Dylan si sono trasferiti a Los Angeles per organizzare i preparativi per le nozze. 
Neanche lo zampino della ex di lui riesce a mandare a monte il matrimonio, così i due amanti si sposano.
Ma l'avventura in un gioco erotico particolare farà nascere sospetti, gelosie e varie separazioni, fino a che Yanira e Dylan non riusciranno ad evitare che le loro vite vadano fuori controllo…
Dopo il successo della trilogia erotica che ha conquistato centinaia di migliaia di lettrici nel mondo, Megan Maxwell torna con una nuova puntata delle sensuali avventure di Dylan e Yanira, inziate con Chiedimi chi sono.




QUELLA GELIDA NOTTE A STOCCOLMA
di Tove Alsterdal


In una fredda notte di primavera, Charlie Eriksson si butta da un balcone all’undicesimo piano di un condominio a Stoccolma. 
Poche ore prima della sua morte, un barbone però l’ha vista fuori da una discoteca, insieme a un uomo dai modi minacciosi. 
Ma chi potrebbe mai credere alla testimonianza di un senzatetto? 
Il caso viene archiviato come suicidio, anche perché la vita della giovane donna era segnata dall’abuso di droghe. Ma la sorella Helene vuole davvero capire quello che è successo a Charlie e comincia a dubitare che si sia suicidata. 
Perché era andata a Buenos Aires quattro settimane prima della sua morte? Seguendone le tracce si imbatte in indizi che la riportano indietro, fino al 1970, alla dittatura di Videla, al dramma dei desaparecidos, alla resistenza contro la junta militare, al dolore infinito e combattivo delle Madri della Plaza de Mayo. 
Scopre che la loro madre si era innamorata di un misterioso argentino, poi improvvisamente scomparso. Nella sua ricerca a tratti pericolosa Helene si confronta con una verità brutale. 
E presto si rende conto che ci sono ancora persone pronte a mettere a tacere tutti coloro che vogliano fare luce su un passato che, anche dopo così tanto tempo, rimane in gran parte oscuro e brucia come una ferita ancora aperta…

venerdì 7 agosto 2015

Il paese dei desideri. Il ricordo di Hiroshima di Tamiki Hara


Qualche giorno fa, precisamente il 6 agosto, è caduto il 70° anniversario dal terribile e devastante attacco nucleare che distrusse la città di Hiroshima. Il numero di vittime dirette è stimato da 100 000 a 200 000 persone, per la maggior  parte civili.
L'autore della raccolta di racconti che vi presento oggi è Tamiki Hara (1905 – 1951), scrittore e poeta giapponese. Fu uno dei sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima e le sue opere appartengono alla letteratura della bomba atomica.

Il paese dei desideri. 
Il ricordo di Hiroshima
di Tamiki Hara

Ed. Atmosphere
240 pp
16 euro
Luglio 2015
Sinossi

Pubblicati tra il 1949 e il 1951, i racconti Hi no kuchibiru (Labbra di fuoco), Chinkonka (Requiem), Eien no midori (Verde infinito), Shingan no kuni (Il paese dei desideri) sono incentrati sullo stato del Giappone del dopoguerra e soprattutto sulla complessa condizione psicologica dell'autore che, comune a molte persone, e in particolare a molti intellettuali del tempo, lo faceva oscillare tra ansie, paranoie, senso di colpa e apatia. 
Nei racconti qui presentati si ravvisano frammenti di memoria che affiorano e intervengono a riempire gli spazi vuoti di una realtà incompleta, ma il risultato non è mai rassicurante. 
La speranza di ritrovare una parvenza di normalità è frustrata, nelle persone più sensibili, da un senso di precarietà che sembra impossibile da estirpare. 
In Utsukushiki shi no kishi ni (Sulle rive di una morte meravigliosa), il quinto racconto, vi predominano le due immagini del protagonista maschile che, ormai presago del lutto della moglie, colpita da grave malattia, che lo colpirà di lì a poco, cerca di inventarsi una nuova quotidianità all'interno della città in guerra, e sua moglie che, nell'approssimarsi della morte, si rivela sempre più bella. "Il paese dei desideri" è considerato il testamento di Hara, poiché ne anticipa in maniera agghiacciante il suicidio.

Frammenti di... "Ho lasciato entrare la tempesta"



Sto leggendo il romanzo d'esordio di Hannah Kent, "Ho lasciato entrare la tempesta"; ecco u n pezzettino di questo libro, in cui la sfortunata protagonista, Agnès, si sfoga su quanto la faccia soffrire il giudizio superficiale di chi crede di conoscerti... ma in realtà non sa nulla di te.

"Non è giusto. La gente sostiene di conoscerti per le cose che hai fatto, e non perchè si è seduta ad ascoltare la tua versione dei fatti. Per quanto tu provi a vivere una vita retta, se in questa valle compi un passo falso, non sarà mai dimenticato. Non importa se hai agito per il bene. Non importa se dentro di te una voce sussurra: "Non sono come dite!". E' l'opinione degli altri che determina chi sei".




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