sabato 12 novembre 2022

// RECENSIONE // PUTIN, L'ANGELO DI DIO di Giovanni Boschetti



Due angeli, dalla loro dimensione celeste e senza tempo, osservano gli esseri umani e il loro agire nel corso della storia, e si ritrovano a fare delle amare considerazioni su quanto male ci sia sulla Terra, su come l'allontanamento da Dio e il disprezzo di ogni spiritualità abbiano condotto gli uomini a farsi la guerra, ad ammazzarsi a vicenda.
Quali e quante possibilità ci sono perché l'Uomo rinsavisca e smetta di scegliere la strada della violenza?


PUTIN, L'ANGELO DI DIO 
di Giovanni Boschetti 



Edizioni Brè
134 pp
Salathiel e Kranithel sono due creature angeliche, vicine al Creatore ma anche al genere umano, del quale osservano e soppesano, attentamente e con viva partecipazione, le azioni.
Le malefatte come i gesti lodevoli, le virtù come le colpe. 

I due angeli vedono che c'è una guerra in atto (e non è certamente la sola) in uno specifico luogo della terra: l'Ucraina è stata attaccata dalla Russia di Putin.

Questo ha generato inevitabili meccanismi perché l'Occidente si è immediatamente schierato al fianco dell'Ucraina per aiutare il suo popolo a difendersi dall'aggressore.

Lungi dal volersi schierare e dal giustificare qualcosa che SEMPRE è deprecabile - la guerra - e lo è a qualsiasi latitudine, l'Autore immagina i suoi protagonisti che dibattono accoratamente su cosa abbia portato a questa invasione da parte della Russia, che da sempre considera l'Ucraina una sorta di patria spirituale e, quindi, una parte inseparabile di sé.
Cederla alle mire dell'Occidente colonialista? Giammai!

Le riflessioni di Salathiel e Kranithel partono "da lontano": gli uomini (come del resto, prima di essi, Lucifero e gli angeli ribelli che lo seguirono) hanno preferito allontanarsi da Dio, agire come se Egli non esistesse, preferendo un modello di vita privo della dimensione spirituale, in cui a contare e a muovere le loro azioni erano la cupidigia, il potere, il danaro...
Col tempo e con l'avanzare del progresso tecnologico e scientifico, l'uomo non ha fatto che tenere Dio sempre più fuori dai propri disegni, e non solo: Dio è diventato un argomento di scherno, "qualcosa" attorno al quale ridacchiare e da sbeffeggiare.

Ma tranquillo, lettore, questo non è un manuale per il catechismo e i due amici toccano tematiche oltremodo attuali e concrete, "terrene": che dire di come l'Ovest si sia fatto portavoce di presunte idee di libertà e di uguaglianza, "predicando" e diffondendo un altro tipo di "religione", quella del più sterile consumismo? 
Senza Dio, senza regole, senza etica, senza nulla a moderare e frenare gli impulsi degli individui, in balia della chimera della "libertà assoluta", dove è diretta l'Umanità tutta?

La globalizzazione, riflettono gli angeli,  non ha portato a delle reali conquiste in termini di libertà e, semmai, si è  accompagnato ad una sempre più pericolosa cancellazione delle identità culturali e religiose e a una scialba rivendicazione delle comuni radici cristiane.

Per contro, notano gli angeli, c'è chi - "quelli dell'Est" - ha tentato di arrestare l'avanzata di questa progressiva crisi dei valori e il diffondersi di un sempre maggiore vuoto spirituale.

«È tosto questo capo orientale, fa di tutto per mantenere la presenza di Dio all'interno del suo popolo" (...)»
« Se lui difende i nostri valori, gli altri, invece, cosa fanno?»
« Anche gli altri popoli dell'ovest della Terra sono convinti di volere Dio, ma lo fanno con un certo lassismo. Sotto questo profilo, sono meglio quelli dell'est».
« Sì, ma la guerra... ti rendi conto? Ammazzare innocenti, donne e bambini...»

Gli angeli, nel riportare il pensiero di terzi (fra cui artisti e uomini politici) manifestano opinioni diverse e contrastanti sulla controversa figura di Vladmir Putin, della cui vita vengono  menzionati alcuni fatti principali e, soprattutto, come egli abbia "...riproposto ai massimi livelli la "cristianizzazione" come matrice identitaria della Russia, della sua forza e del suo protagonismo storico".

L'autore ha scelto la forma del romanzo breve per sottoporre ai suoi lettori una disamina senza sconti e senza ipocrisie sugli errori in cui incorre da sempre l'Umanità, da ambo le parti, che sia Est o che sia Ovest e, non senza un pizzico di intento provocatorio - ma di una provocazione intelligente e non fine a sé stessa - ci chiede di togliere gli occhiali dei pregiudizi, delle prese di posizione a priori, delle opinioni acritiche, e di scegliere la via della riflessione, del desiderio sincero e pulito di conoscere l'altro e la sua "versione" dei fatti, condizione indispensabile per comprendere le cause, le origini, i motivi di ciò che accade attorno a noi, senza sentirci schiacciati dal peso di accuse trite e ritrite, come "filoputiniano" (il termine non ricorre nel libro, lo sto usando io) o "tu giustifichi la guerra".

È un invito a chiederci "semplicemente" (ma è davvero semplice?) come viene valutato un medesimo avvenimento se lo si guarda da un punto di vista invece che dall'altro; è scontato dire che la narrazione della guerra in corso, vista dalla parte russa, sarà totalmente diversa da come la racconta l’occidente.

Ho trovato originale l'idea di assumere come prospettiva quella esterna (e super partes?) degli angeli, che ovviamente - per deformazione dovuta alla propria natura di creature celesti - non possono che dare molto risalto ed importanza alla dimensione spirituale e alla necessità di "recuperare" la presenza di Dio, e non di continuare a tenerlo fuori dagli affari terreni; c'è da dire - e questo ai due amici ultraterreni non sfugge - che anche "in nome di Dio e della fede" gli uomini sono capacissimi di farsi la guerra e di macchiarsi le mani di sangue innocente.

Intense le pagine dedicate a chi (uomini, donne, bambini...) la guerra - con i suoi devastanti effetti - la vive, la subisce, vedendosi portar via persone care, la propria stessa esistenza.

Quale scenario attende il genere umano?
La bomba atomica che distruggerà tutto e tutti?
"Il capo dell'ovest" che umilia quello dell'est, ottenendo accordi di pace più esteriori che reali?
Dio che si stanca di questa stupida umanità e la lascia a sé stessa, a un ritorno all'istintualità primitiva, animalesca?

Il fatto che lo scrittore abbia scelto di presentarci una prospettiva "diversa", meno diffusa e adottata, non implica assolutamente che non vi sia la ferma condanna a una guerra che si poteva e doveva evitare e che, come tutti i conflitti, non porta mai dei veri e assoluti vincitori o vinti, ma solo tante povere vittime.

Di agile lettura, il libro di Giovanni Boschetti è un testo interessante e originale, che stimola discussioni e riflessioni su argomenti complessi e importanti e che invita a non sentirsi mai detentori della verità assoluta, ma a porsi sempre con un atteggiamento di critica, di desiderio di valutare i fatti e gli eventi (e la guerra è un evento che non giunge dall'oggi al domani, ma ha sicuramente delle cause complesse, che si sono formate nel tempo e che non andrebbero semplificate, perché si rischierebbe di falsificare la verità storica) sempre con la sincera voglia di capire e andando oltre una mera e poco utile partigianeria.


giovedì 10 novembre 2022

🌙 RECENSIONE 🌛 LA SETTIMA LUNA di Piergiorgio Pulixi



Eva Croce, Mara Rais e Vito Strega tornano a lavorare insieme ad un nuovo e complesso caso: la vittima è una giovane donna la cui vita sembrava rasentare la perfezione. Eppure qualcuno ha voluto farle del male, strappandole crudelmente la vita: perché? E soprattutto, chi è stato? C'è un serial killer che va assolutamente fermato prima che mieta altre vittime? E come mai l'assassino sembra aver replicato l'omicidio di Dolores Murgia, la povera ragazza uccisa in Sardegna e di cui si occuparono proprio Croce e Rais?
Molte sono le domande, poche le certezze e il colpo di scena è assicurato, tanto per i protagonisti quanto per il lettore.


LA SETTIMA LUNA 
di Piergiorgio Pulixi



Nero Rizzoli
408 pp
In Sardegna, sulla terrazza di uno degli hotel più incantevoli della regione, quattro amici stanno brindando per festeggiare la nascita della nuova unità investigativa sui crimini seriali, di cui faranno parte: sono il vicequestore Vito Strega, le inseparabili ispettrici Eva Croce e Mara Rais (accompagnata da sua figlia) e l'ispettore  Bepi Pavan.
Scherzano, si prendono in giro (in particolare Mara si diverte a "sfottere" Pavan per la sua smodata passione per il buon cibo e la relativa, inevitabile, pinguedine), bevono, chiacchierano in un'atmosfera finalmente rilassata e non sanno che, a molti chilometri da loro, nel pavese, qualcuno sta per commettere un terribile omicidio. 

Teresa Poletto è una ragazza dai bellissimi capelli rossi, molto carina, con buon gusto nel vestire, è fidanzata con un ottimo partito (il ricco "figlio di papà" Samuele Bongiorni), amata e ammirata dai genitori e conduce una vita tranquilla, appagata.

Ma un giorno esce di casa per non farvi più ritorno.

La famiglia (la madre Natalia, il padre Italo - proprietari di un albergo a Garlasco e che versa attualmente in cattive acque - e la sorella minore Alice) dà l'allarme dopo qualche ora di inspiegabile assenza da parte di Teresa, che non è il tipo da non comunicare per troppo tempo con i famigliari, né da tenere spento il cellulare per ore... Qualcosa deve esserle accaduto. 
E non sarà qualcosa di bello, pensano genitori e sorella.

Ad occuparsi della scomparsa è la polizia di Pavia; il punto di riferimento per i Poletto diventa l'ispettrice toscana Clara Pontecorvo, una giovane donna la cui notevole altezza mette a disagio donne e uomini, oltre che la stessa poliziotta, che ha seri problemi sia a trovare vestiti e scarpe adatte alla sua stazza, sia un uomo da guardare negli occhi... e non dall'alto in basso!

Passano lunghe ore di silenzio e attesa: Teresa continua a non dar notizie di sé e la Pontecorvo cerca di rassicurare Alice Poletto, preoccupatissima per la sorella maggiore, alla quale purtroppo sta per succedere qualcosa di atroce ad opera di una persona che conosce bene quelle zone paludose, in cui proprio in quei giorni il cielo sta rovesciando giù tanta di quell'acqua da rendere molto difficoltose le ricerche.

Dopo aver ripescato l'auto della giovane, ad essere rinvenuto, nelle terre acquitrinose del Parco del Ticino, è il corpo senza vita della povera Teresa. 

Quando Clara arriva sul posto, resta interdetta e turbata: la vittima ha le mani legate dietro la schiena e indossa una maschera bovina; il modo in cui il cadavere è stato "sistemato" fa pensare a qualcosa di rituale, come se l'omicida avesse avuto un intento quasi artistico, per quanto ovviamente macabro ed efferato.

Ma ciò che più fa rabbrividire e impensierire l'ispettrice è l'accostamento inevitabile ad un altro delitto: quello avvenuto tempo prima in Sardegna e del quale si erano occupate le due colleghe Rais e Croce.

Non sarà il caso di chiamarle e di richiedere il loro validissimo e necessario contributo e aiuto?
Così, il vicequestore Strega riceve la richiesta di collaborazione dalla Questura di Pavia e, abbandonando ogni velleità di relax e vacanze, accetta e, assieme ad Eva, Mara e Bepi, va al nord.

« era la sua maledizione. Non poteva godersi un attimo di felicità senza che il buio riuscisse a scovarlo e tormentarlo.»

La fama che le due ispettrici hanno acquisito prima con il caso di Dolores Murgia (L'ISOLA DELLE ANIME) e poi con quello del Dentista (UN COLPO AL CUORE), risolto insieme a Strega, rende le due donne le più adatte a chiarire se ci siano davvero dei collegamenti con gli omicidi rituali in Sardegna: se è vero che non può trattarsi della medesima mano assassina di allora..., si tratta forse di un emulatore, altrettanto pericoloso?

Quando Eva e Mara analizzano, accompagnati da Pontecorvo e da Vito, le caratteristiche della scena del crimine, si rendono conto che sì, effettivamente ci sono delle similarità, ma anche delle innegabili incongruenze.

E se l'assassino avesse architettato quel genere di omicidio per attirare di proposito Strega&Co. nel pavese? In questo caso, ciò vorrebbe forse significare che ce l'ha con loro? Quel tipo di omicidio è un messaggio diretto a loro tre?

L'ossessione che travolse Vito e le due poliziotte, quando lavorarono insieme, si ripresenta, impietosa: c'è una povera e giovane vita spezzata con crudeltà che chiede giustizia.
C'è una famiglia distrutta che aspetta che il colpevole venga chiuso dietro le sbarre.

I tre, supportati dalla dirigente a capo della Mobile, Michela Guarino, da Pavan e da Clara Pontecorvo, si buttano a capofitto nella ricerca di ogni minimo indizio, di ogni più piccola traccia che possa far luce sulla morte violenta di Teresa Poletto.

Chi era davvero Teresa? Bella, giudiziosa, amata da tutti coloro che la conoscevano, ammirata dalla sorellina "sfigata" (Alice è l'esatto opposto dell'elegante e solare Teresa, nel carattere - più cupo, riservato e solitario -, nel modo di vestire - poco curato e molto casual -, nelle ambizioni) ed elogiata dai genitori: era davvero la ragazza perfetta?

Con l'avanzare degli esami e delle indagini, vengono fuori particolari agghiaccianti, che fanno capire come chi l'ha ammazzata abbia voluto farla soffrire, come per vendicarsi...; per arrivare a capire chi le ha fatto del male e perché, la polizia mette sotto torchio chiunque fosse vicino a Teresa e ciò che emerge è inquietante: più di una persona vicina alla vittima ha comportamenti strani, come se nascondesse qualcosa, e mente sfacciatamente nel fornire le risposte alle pressanti domande dei poliziotti. 
Come mai?

Cos'hanno da nascondere i coniugi Poletto in merito al loro hotel, che continua ad essere aperto pur avendo essi molti debiti e pochissimi clienti? Grazie alla testimonianza di Alice, si scopre che l'albergo è frequentato da gente poco raccomandabile. Di chi si tratta e in che guaio si sono cacciati i genitori di Teresa? Forse in qualcosa di più grande di loro che ha potuto ripercuotersi sulla figlia?

A destare ulteriori perplessità si aggiungono gli strani rapporti che Italo Poletto ha con il maresciallo Pappalardo; questi è un soggetto arrogante, dalla reputazione poco pulita, che in questa occasione sta adottando comportamenti sospetti: nasconde qualcosa anche lui? E che ha da spartire col padre di Teresa e con Samuele, il fidanzato di Teresa?
Anche quest'ultimo non la racconta giusta e il suo alibi, per la notte dell'omicidio, non è dei più solidi...

Mentre Strega-Croce-Rais si danno da fare per mettere al posto giusto ogni tessera del puzzle, il lettore fa la conoscenza di un giovanotto: Pietro Paralupo, un vaccaro che vive da solo in una località isolata del pavese; si prende cura quotidianamente e con perizia dei suoi animali, intrattiene scarsi contatti sociali e le sue uniche e costanti compagnie sono costituite dalle bestie in suo possesso e dalle voci che gli risuonano nella testa...
Pietro ha avuto una brutta infanzia, fatta di maltrattamenti, di legami famigliari sfaldati, di una sola presenza nella sua vita: il nonno, che però non gli ha dato alcun amore, protezione, cure, anzi, lo ha continuamente umiliato e sottoposto a percosse e abusi psicologici.

Pietro è un essere solo, infelice, con l'ingombrante fantasma di quel vecchio orco del nonno che continua a far sentire la sua maledetta voce.
Una voce che lo irride, lo schernisce, lo fa sentire il solito incapace.
Una voce che lo istiga: Vediamo se sei davvero in grado di portare a termine ciò che ti sei prefisso.
Cosa ha intenzione di fare Paralupo? 

A differenza di Vito e gli altri, il lettore viene presto messo a conoscenza di quale sia il ruolo di quest'uomo nella vicenda di Teresa.  

La strada per arrivare alla soluzione del caso non è in discesa e Vito, Mara ed Eva devono tener gli occhi aperti e stare attenti a tutto (anche se questo significa dubitare di un collega...), finché a un certo punto - inaspettatamente! - sembra che il colpevole sia lì, davanti a loro, e che ogni indizio conduca a questa persona, che - a ben vedere - in effetti poteva avere delle ragioni per uccidere Teresa.

Ma un intervento inatteso rimescola le carte, scagiona l'indiziato numero 1 e i tre poliziotti riprendono le proprie ipotesi investigative..., fino ad arrivare a svelare a chi appartiene la mano assassina.

Eppure, la domanda che sin dall'inizio accompagna Strega e anche noi lettori resta: chi sta dando la caccia a chi? Sono davvero i poliziotti a inseguire il killer o è lui a dare la caccia a loro?


Ritrovare Vito Strega, Mara Rais ed Eva Croce è stato come incontrare di nuovo dei "vecchi" (se mi sentisse Mara!) e  affezionati amici, ciascuno indimenticabile per quel che è.

Di Vito non si può non amare la grande professionalità, la sua serietà sul lavoro, il suo essere "tutto d'un pezzo" senza però mai perdere di vista la propria umanità: egli è e resta sempre una persona sensibile e molto empatica, desidera con tutto il cuore rendere giustizia alle vittime e sente su di sé tutta la responsabilità verso di esse che, con il loro inarrestabile canto degli innocenti, gli chiedono di non abbandonarle nel limbo dei troppo numerosi casi irrisolti.

Vito sta bene da solo e non sembra aver bisogno di altro che non sia il proprio lavoro, ma quando è in compagnia di Eva e Mara, si sente finalmente a casa, in famiglia. Loro sono diventate importanti per lui, insieme sono una squadra formidabile e il feeling che li unisce va al di là della sfera professionale.

« Eva e Mara gli avevano restituito interezza: si erano insinuate nelle sue crepe e con la loro presenza avevano ritemprato il suo spirito aiutandolo a ricostituirsi. In un momento di totale fragilità e smarrimento lo avevano ricomposto, regalandogli delle splendide cicatrici dorat. Strega non lo avrebbe mai dimenticato. Per questo sentiva l'urgenza di averle vicino. La loro presenza aveva un che di salvifico per lui.»

In particolare, la sua anima è affine a quella di Eva, con cui condivide un carattere schivo, sobrio, razionale ed equilibrato..., oltre a tormenti personali e fantasmi del passato.

E se ad unirlo ad Eva è un affetto misto ad una comunanza di vissuto e stati d'animo, a non dargli tregua per avere "qualcosa di più" di una bella amicizia è la vulcanica e vivace Mara Rais.
La sua lingua tagliente, irriverente e impertinente e la sua "ossessione erotica" per Strega danno vita a momenti di vivacità e leggerezza, che strappano più di un sorriso; lo stesso vale per le sue provocazioni all'indirizzo della seria (e per lei noiosa) collega Croce, e ancor più verso Pavan, oggetto di continue battute ironiche in merito al peso e alla fame da lupi che lo contraddistinguono.

Se Pavan aggiunge una componente simpatica e umoristica con i suoi modi fare "leggeri" (nonostante il grasso che lo avvolge) e la sua parlata veneta, a dare un'ulteriore sfumatura piacevole e ironica ci pensa anche Clara Pontecorvo, un nuovo personaggio femminile che mi è piaciuto molto.

Come non manco di dire ogni volta che leggo un romanzo di Pulixi, apprezzo tantissimo la sua scrittura immersiva e intensa, i suoi personaggi così ben tratteggiati psicologicamente e tanto appassionanti da staccarsi dalle pagine e coinvolgere il lettore con le loro vicende, i casi d'omicidio ben strutturati e precisi (a partire dall'uso di termini specifici in ambito criminologico), la presenza del male che si annida in personalità complesse, i capitoli brevi che conferiscono agilità al ritmo narrativo e tengono viva la curiosità e l'attenzione del lettore, che a ogni fine capitolo è invogliato ad andare avanti.
La narrazione è caratterizzata dalla presenza di diversi piccoli colpi di scena, ma quello finale.. è il top e, per quanto mi riguarda, mi ha lasciata a bocca aperta.

«Siamo alle solite» commentò Croce. «Ti eravamo mancati, vero, Strega?»
«Non avete idea di quanto» sorrise il vicequestore.

Quando arrivo all'ultimo rigo, a me Strega, Croce e Rais già mancano ma mi consola il pensiero di rivederli in un prossimo libro e poter dire, come Vito, "Non sapete quanto mi siete mancati!".

Non posso non suggerirvi di leggere questo ed altri libri di Piergiorgio Pulixi; chiaramente "La settima luna" narra fatti che cronologicamente vengono dopo L'isola delle anime e Un colpo al cuore, per cui io consiglio di leggere prima questi due.

BRIGHTSIDE (Jesse Roper)

I just wanna live my life on the bright side 
I wanna choose to believe, in the quality of human kind 
Because there’s going to be some hard times
Somethings got to push me through the night 
I just want to live, I just want to survive this old world 
I just want to live, on the bright side






martedì 8 novembre 2022

[ DIETRO LE PAGINE ] "L'isola delle anime" di Johanna Holmström e l'ospedale di Själö



Ho in lettura L'isola delle anime, un romanzo di Johanna Holmström ambientato a Själö, in un manicomio per donne ritenute incurabili, un luogo di reclusione dal quale in poche se ne andavano, dopo esservi entrate.

Cosa spinse la scrittrice a concentrarsi su un tema delicatissimo quale la follia, e a farlo da una prospettiva unicamente femminile?

Uno dei motivi che l'hanno spinta è stato constatare come molti dei suoi lettori tendessero a vedere nei suoi personaggi femminili immaginari delle patologie di tipo psichiatrico, indicando queste donne come borderline, depresse o psicotiche. 
Johanna aveva già scritto di donne in situazioni di crisi di vario tipo, ma qualcosa la indusse a chiedersi con quali occhi stesse guardando alla salute e alla malattia mentale.

Nel 2012 cominciò a cercare su Google "storia delle malattie mentali femminili in Finlandia", imbattendosi subito nella tesi della ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn sulle donne di Själö nel periodo 1889-1944
All'epoca non sapeva nulla di Själö, ma intuì di aver appena trovato il soggetto per un nuovo libro.

Nel romanzo il lettore incontra un certo numero di donne e la domanda sorge spontanea: avendo raccolto dati e fatti basandosi sulla tesi di Jutta Ahlbeck-Rehn "Diagnosi e disciplina: discorso medico e follia femminile all'ospedale di Själö 1889- 1944" (a cui lei stessa fa riferimento nella postfazione), quanto e cosa di questo materiale Johanna Holmström ha inserito nel proprio libro?

La Holmström ha dichiarato che i personaggi del romanzo sono frutto di un mix di diverse storie di pazienti.

Quando lesse per la prima volta la tesi di Juttas Ahlbeck-Rehn, immaginò di avere davanti a sé le donne di cui la sociologa raccontava le vicende personali all'interno della struttura ospedaliera; si trattava allora "solo" di sceglierle e farle prendere vita, anche se ovviamente le storie specifiche di ciascun personaggio di per sé sono inventate e anche i loro nomi non sono quelli reali (documentati negli archivi), visto che sarebbe stato poco rispettoso menzionare le donne realmente esistite. 
Così decise di creare le proprie storie di vita, plausibili e basate su eventi reali e sulle persone rimaste a Själö.

Johanna Holmström
fonte
Prima di iniziare a lavorare al progetto del libro, aveva un'immagine piuttosto stereotipata dell'assistenza sanitaria: nella sua immaginazione, il tipo di infermiera che lavorava in un manicomio, somigliava alla inquietante Miss Ratched (personaggio che compare nel romanzo "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e attorno al quale ruota la serie RATCHED), fredda e poco sensibile verso i poveri malati. Ma questi pensieri sono cambiati durante il processo di scrittura.
La scrittrice si è presa del tempo per fare ricerche negli archivi di Turku, guidata dal prezioso studio di Ahlbeck-Rehn; ha studiato le storie dei grandi ospedali psichiatrici in Finlandia, ha letto Foucault, Freud, Lacan, consultato i giornali degli anni ’30 e vari materiali.


L'ospedale di Själö è stato chiuso definitivamente nel 1962, in quanto ritenuto troppo lontano rispetto alla terraferma. Paradossale, se si pensa che si scelse quest'isoletta proprio per il fatto che fosse remota, distante, così da lasciare i ricoverati al loro destino...

Själö o Nagu Själö (in svedese) o Seili (in finlandese) è una piccola isola al largo della costa sud-occidentale della Finlandia; fa parte del comune di Pargas. 
Il nome Själö si riferisce, etimologicamente, al fatto che l'isola sia stata dimora di foche.

L'isola è nota per la sua chiesa e la sua natura, per ospitare un istituto di ricerca e, certamente, per l'ex ospedale; quest'ultimo viene menzionato per la prima volta nel 1689, sebbene i pazienti si trovassero sull'isola già da molto prima.

ospedale visto dall'alto
(Wikipedia)


Infatti nel 1619 fu costruito il lebbrosario per ordine del re svedese Gustavo II Adolfo, che scelse Själö per la sua posizione remota. 
Quando, nel 1700, la lebbra iniziò a scomparire dalla Finlandia, sull'isola principale fu costruito un manicomio; più precisamente, nel 1785 l'ospedale da lebbrosario fu convertito in una struttura per malati di mente. 
Nel 1889 tutti gli uomini furono trasferiti da Själö e il nosocomio divenne esclusivamente dedicato alle pazienti di sesso femminile. Alcune di loro erano molto giovani; una aveva solo 9 anni.

Il numero di pazienti a Själö variava tra 30 e 50; all'interno, l'edificio era diviso da un lungo corridoio fiancheggiato da stanze (ciascuna accoglieva una sola persona) di 1,87 x 2,07 metri. 
Il personale si assicurava che i pazienti fossero tenuti in isolamento e non era molto attenta a che le "celle" fossero curate per bene.
Ad essere ricoverati erano persone ritenute incurabili e i "pazzi", che restavano là praticamente fino alla morte e le loro proprietà passavano alla chiesa.

l'interno di una camera
source

I soggiorni delle donne a Själö, dunque, erano spesso molto lunghi, quando non terminavano con la loro morte.

I "metodi di trattamento" dell'ospedale di Själö erano la terapia occupazionale, la camicia di forza, l'isolamento in una cella "calmante" con figure geometriche marroni; non mancò l'utilizzo anche di bagni bollenti o ghiacciati.

Durante i periodi di guerra, le donne non ricevevano molto cibo e spesso si ammalavano; attorno a loro solo sporcizia, fame e miseria.

Dopo la chiusura del manicomio (1962), gli edifici furono rilevati dall'Università di Turku e l'istituto di ricerca concentrò i propri studi sugli ecosistemi del Mare dell'Arcipelago e sull'intera area del Mar Baltico. 

Come dicevo più su, la ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn ha studiato cosa è successo alle donne di Själö e in che modo l'appartenenza a determinate classi sociali influenzasse il loro destino; anche lo stesso genere sessuale contava: le donne, infatti, erano classificate come malate molto più degli uomini. 
Dei quasi 200 pazienti presenti nei dati di Ahlbeck-Rehn, 52 non avevano una diagnosi psichiatrica precisa.
Pochi furono coloro che lasciarono l'istituto; ci sono state donne che hanno fatto ritorno a casa solo dopo essere state sterilizzate...
Le donne povere delle classi sociali inferiori o le donne sessualmente "disinibite" (o ritenute tali) erano le tipologie più frequenti di pazienti.
Negli anni '30 del secolo scorso, criminali appartenenti alla classe inferiore furono mandati all'ospedale psichiatrico di Själö. Secondo la teoria dell'igiene razziale, c'era la convinzione che il sottoproletariato fosse biologicamente incline a malattie, follia e ubriachezza.

In pratica, la follia era un fenomeno sociale, non soltanto un fatto medico.



Fonti consultate:

Articolo 3 (da "Il manifesto")
Wikipedia.org 

lunedì 7 novembre 2022

Novità in libreria (ottobre 2022)



Libri da poco entrati in libreria.

LA RAGAZZA BLU
di Kim M. Richardson


Pienogiorno Ed.
Cussy Mary Carter ha diciannove anni, è intelligente, indipendente, con un'insaziabile sete di sapere. 
Segno particolare: ha la pelle blu: ultima testimone di un popolo, realmente esistito, che superstizioni e maldicenze hanno segregato nelle zone più impervie dei monti Appalachi. 

Nei giorni più difficili, cerca conforto nel suo cuscino come da una carezza. Ne ha ricavato la federa dal vestito che sua madre le aveva cucito quando era bambina. Diceva che il blu della stoffa avrebbe fatto sembrare la sua pelle più bianca; un po' meno colorata, almeno. 
Con sua madre tutto sembrava più leggero, anche gli sguardi feroci della gente, anche l'isolamento in cui la sua famiglia deve vivere a causa di una rara alterazione genetica che rende l'epidermide di un blu cielo, pronto a scurirsi a ogni emozione. 

Ma Cussy, detta Bluette, non ha ereditato dai suoi avi solo il suo colore. Sa leggere, cosa rara su quei monti negli anni Trenta della Grande Depressione, e ancor più per una donna. È orgogliosa, determinata, e curiosa di imparare ogni cosa. 
Per questo è stata subito entusiasta di aderire all'innovativo progetto che Eleanor Roosevelt ha istituito per diffondere la lettura. 
A dorso di un mulo, il suo compito è portare libri e giornali nelle zone più remote e disagiate. 
Non solo un impiego, di più: una missione, perché per molti quelli sono gli unici spiragli di luce in una vita di lotta e sopraffazione. 
Nonostante crudeli pregiudizi, nonostante suo padre, che pure la ama profondamente, per proteggerla cerchi di affibbiarle un marito qualsiasi, nonostante il fanatico predicatore Frazier le dia la caccia per purificarla a forza dal suo peccato blu, Cussy non smette di bramare e difendere la libertà che la cultura e il suo lavoro le danno. 
E nemmeno di combattere per il suo riscatto, la sua indipendenza, il vero amore che sente di meritare.


📚📚📚📚


L’ombra del giglio è il secondo volume della serie con protagonista Hanna Duncker: un thriller intenso e tesissimo con cui Johanna Mo si conferma, con voce sicura, nuova regina del romanzo criminale svedese.

L'OMBRA DEL GIGLIO
di Johanna Mo

Ed. Neri Pozza
trad. G. Diverio
432 pp
19 euro
Ottobre 2022
Tutti a Öland conoscono il nome di Hanna Duncker per via di suo padre, condannato per incendio doloso e omicidio quindici anni prima. Una vicenda mai del tutto chiarita e un vero fardello per Hanna, specialmente ora che è tornata a lavorare per la polizia svedese sull’isola della sua infanzia. Da detective implacabile e testarda qual è, infatti, Hanna non riesce a lasciar andare i fantasmi del passato, neanche quando le indagini di routine non consentirebbero distrazioni.
È un torrido agosto quello in cui lei e il collega Erik Lindgren si trovano a investigare sul caso di una persona scomparsa. Thomas Ahlström, agente immobiliare quarantenne, è svanito nel nulla insieme al figlio neonato Hugo. È la moglie a lanciare l’allarme: il pensiero, intollerabile, è che il piccolo Hugo sia stato ucciso da colui che piú avrebbe dovuto proteggerlo e che l’uomo, in seguito, si sia tolto la vita. L’unico punto di partenza possibile è indagare nel passato dell’agente immobiliare. È così che Hanna ed Erik incappano in Lykke, una ventiquattrenne nevrotica e disoccupata, apparentemente impegnata soltanto nella lotta alle erbacce che, in quell’estate anomala, hanno inghiottito gli splendidi fiori del giardino della sua villetta. A complicare le cose, le ricerche ufficiose di Hanna sul delitto paterno si fanno insostenibili quando dagli incartamenti della vecchia indagine sembra emergere lo spettro di un altro uomo che Hanna conosce fin troppo bene. Esacerbata dalle false piste, cosí come dalla violenza e dall’ambiguità delle relazioni umane, Hanna si dibatte fra sonore bugie e parziali verità. Esiste un confine netto tra colpa e innocenza? E quanti segreti può contenere una famiglia?
Dopo l’esordio de La morte viene di notte, 

L'autrice.
Johanna Mo è nata a Kalmar, in Svezia, e ora vive con la sua famiglia a Stoccolma. Ha trascorso gli ultimi vent’anni lavorando come critica letteraria, traduttrice e redattrice freelance. La morte viene di notte, il suo romanzo d’esordio, è il primo di una serie di gialli con protagonista la detective Hanna Duncker.


💙💜💛💚

Con un romanzo capace di illuminare gli abissi dell’inconscio come le vette della creatività, Anne Eekhout, autrice pluripremiata, ridà voce a una grande donna della letteratura e al suo tormento artistico e umano.

MARY
di Anne Eekhout

Ed. Neri Pozza
366 pp
trad. L. Pignatti
29 euro
Ottobre 2022
Ginevra, maggio 1816. Una giovane donna si sveglia nel cuore della notte, assediata dagli incubi del suo passato e dalla gelosia per la sorellastra, Claire, che sembra cogliere qualsiasi occasione per insidiare suo marito Percy. 
Lei è Mary Shelley, née Wollstonecraft, e suo marito è Percy Shelley, poeta inglese celebrato e amatissimo, che Mary ha seguito per tutta Europa fino a giungere, insieme a Claire, in quel luogo di villeggiatura sulle sponde del lago di Ginevra. Sono in cinque in vacanza a Villa Diodati, compresi John Polidori e Lord Byron detto Albe, e il 1816 è l’«anno senza estate», quando l’eruzione di un vulcano in Indonesia ha oscurato il cielo in tutto il mondo e impedito al calore del sole di allietare le loro giornate. Così, la compagnia trascorre tutte le sere di pioggia di fronte al fuoco, a bere vino e laudano e a raccontarsi storie di fantasmi. Ma i fantasmi dei racconti non sono gli unici ad abitare quella grande casa. Mary ha solo diciannove anni ma alle spalle tutta una vita vissuta, di sentimenti e avventure. E, nonostante il piccolo William sia la sua gioia, non riesce a dimenticare la figlioletta morta che ogni notte, all’ora delle streghe, la sveglia con l’eco remota di un pianto disperato. Ma soprattutto Mary non riesce a dimenticare gli eventi di quattro anni prima, in Scozia, quando a Dundee ha conosciuto Isabella Baxter e l’affascinante ma sinistro Mr Booth. Isabella, riccioli scuri e pelle chiarissima, un’adorabile fossetta sul mento, è per Mary una creatura di irresistibile fascino; Mr Booth è untuoso, e dei pomeriggi passati in casa sua con Isabella spesso Mary non ha alcuna memoria. Quegli enigmatici eventi monteranno nell’immaginazione della futura scrittrice, fino a esplodere in un vortice in cui verità e finzione si mescolano senza soluzione di continuità. Ed è da quei ricordi misteriosi che, nelle lunghe sere ginevrine, Mary partorisce un incubo che abiterà le notti del mondo per i secoli a venire: il mostro di Frankenstein.

L'autrice.
Anne Eekhout, nata nel 1981, ha esordito nel 2014 con il romanzo Dogma, finalista al premio Bronzen Uil per la migliore opera prima in lingua nederlandese. Nel 2017 ha pubblicato Op een nacht (Una notte), selezionato per il BNG Literature Prize, destinato agli scrittori sotto i quarant’anni, e nel 2019 Nicolas en de verdwijning van de wereld (Nicolas e la scomparsa del mondo), nominato al premio Beste Boek voor Jongeren per giovani adulti.


sabato 5 novembre 2022

[ 🏐 RECENSIONE 🏐] UNA PORTA NEL CIELO di Roberto Baggio



Il Divin Codino si racconta, senza ipocrisia e con estrema sincerità; ne viene fuori il ritratto autentico di un uomo che si è sempre lasciato guidare dalla passione, dall'amore e dall'innegabile talento per uno sport che lo ha reso uno dei migliori della storia del calcio, un fantasista ancora oggi nel cuore e nella memoria di chi lo ha apprezzato, dentro ma anche fuori dal campo.


UNA PORTA NEL CIELO 
di Roberto Baggio 



TEA Ed.
304 pp

"...non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall'altruismo e dalla fantasia."

Per anni è stato lì, attaccato al muro della camera in cui io e mio fratello dormivamo: il poster di Roberto Baggio in maglia bianconera (eh sì, siamo juventini), a misura di ragazzino e in bella vista, così che chiunque entrasse in quella zona della casa lo vedesse.
Perché noi Baggio lo abbiamo amato sempre e comunque, dentro e fuori dalla Juve, dentro e fuori dai Mondiali.

E anche quando sbagliò quel maledetto rigore: provai (e con me chissà quanti altri) un enorme dispiacere non tanto per l'occasione persa (serve precisare che Baggio sbagliò dopo Baresi e Massaro e che dopo avrebbe comunque ancora calciato il Brasile?) in quella memorabile finale del '94 a Pasadena, quanto per questi ragazzi che avevano dato il massimo e, non posso nasconderlo, per Roberto nello specifico, perché a Roby si voleva bene e meritava di mandare in rete quel pallone.


"...i rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di batterli. Quella volta ho fallito. Punto.

È stato quello momento il più brutto della tua carriera? 

Sì. Mi ha condizionato per anni, lo sogno ancora. Uscire da quell'incubo è stata dura. Se potessi cancellare un'immagine dalla mia vita sportiva, cancellerei quella."


Ma è andata com'è andata, lo sappiamo, e per quanto quella palla tirata in cielo abbia bruciato nella vita del calciatore di Caldogno per tanto tempo, è acqua passata e il Roberto di questa autobiografia (pubblicata per la prima volta nell'ormai lontanino 2001, quando aveva 34 anni) è un giocatore sereno, un uomo che ha trovato il proprio equilibrio su tutti i fronti.

Baggio si racconta, sollecitato dalle sagaci e schiette domande dell'intervista (il libro è stato scritto insieme ad Enrico Mattesini ed Andrea Scanzi), e ci parla di sé, della famiglia, del rapporto con il padre - da cui ha preso la passione per la caccia, che gli regalava momenti preziosi da trascorrere con il genitore -, dei fratelli, degli esordi sul campo, dei maledetti e numerosi infortuni che lo hanno costretto a fermarsi tante, troppe volte, ma che mai hanno spento il fuoco che gli bruciava dentro. Neanche quando il mondo dello sport lo dava per vinto, per "morto" (calcisticamente parlando), cosa che è successa più di una volta.
Ci parla dell'amore con e per Andreina, dei suoi due (il terzo è nato dopo la pubblicazione del libro) figli, del rapporto con gli allenatori, con i compagni, con le società che lo vendevano e compravano, con i tifosi, con la critica sportiva.
E non risparmia "stoccate", non nasconde come  nella sua carriera abbia incontrato sia persone capaci e desiderose di incoraggiarlo, sia tante altre molto meno positive, con cui rapportarsi era davvero difficile.

E così entriamo negli spogliatoi, sui campi da calcio, e leggiamo degli attriti con Sacchi, Ulivieri, Capello, Trapattoni e, su tutti, Marcello Lippi, allenatori con cui purtroppo s'è trovato poco bene e da cui spesso si è sentito trattato male, inspiegabilmente sostituito o relegato in panchina anche quando era in forma e lo dimostrava segnando o comunque giocando belle partite.

Leggiamo di quanto sia stata una lotta continua tener stretta la maglia numero 10, di quanto abbia sempre avuto un desiderio grandissimo di giocare in Nazionale, di "fare" i Mondiali, pensiero fisso e obiettivo irrinunciabile.

Ma accanto al Baggio calciatore (della Fiorentina, dell'Inter, del Bologna, della Juve...) c'è il Roberto devoto seguace del Buddhismo, che ha dato (e continua a dare) un senso speciale alla sua esistenza.

Da questa religione Baggio interiorizza modi di pensare che gli torneranno utili anche nella propria professione, oltre che umanamente, aiutandolo a non lasciarsi andare al fatalismo, alla rassegnazione, ma rendendosi sempre protagonista delle proprie decisioni, dei propri errori come delle vittorie e dei successi.

"...ognuno è responsabile di quello che gli succede: tutto ciò che ti capita, è colpa o merito tuo. Il buddhismo è una sfida durissima alla propria mente, è qualcosa che ti apre la mente ma che, al tempo stesso, la destabilizza. È una guerra a tutte le vecchie certezze consolidate. (...) Il buddhismo mi fa pensare alle cose che contano, mi fa stare bene, mi carica. E mi aiuta a non perdermi."



La fede acquisisce negli anni (si avvicina ai principi buddisti da giovanissimo, quando, arrivato a Firenze, fu costretto a restar fermo per un po' a motivo del ginocchio infortunato) un posto fondamentale nelle sue giornate (come anche la preghiera) e nella sua esistenza, diventando per Roberto "la strada maestra: praticando, dovevo trovare il coraggio di vivere. Era ed è un continuo allenamento spirituale al coraggio."
I momenti difficili e dolorosi nella vita non gli sono mancati ma grazie alla sua fede li ha affrontati avendo una giusta visione e prospettiva: " Il buddhismo ti insegna che tutte le prove avverse, le difficoltà, possiamo trasformarle in una sorgente di potere, di forza interiore, che porterà gioia alla nostra vita."

Mi è piaciuto moltissimo questo aspetto della vita e della personalità di questo campione, il cui talento non ha mai smesso di confrontarsi ed essere anche condizionato da una ricchezza interiore e spirituale che è andata via via crescendo: la sua crescita professionale non potesse avvenire disgiuntamente da quella umana.

A Baggio - tra le tante critiche mossegli - non è mai andata giù una in particolare: quella di essere un "mercenario", uno che non restava in una squadra mosso dall'amore per la stessa, per la città, per i tifosi, ma che preferiva fare le proprie scelte sulla base (unicamente) dei compensi economici,
Se ce ne fosse bisogno, Roberto ribadisce con forza che lui, ad es., dalla Fiorentina, da Firenze, non se ne sarebbe mai andato, ma la decisione è stata presa ai "piani alti" e certo non fu chiesto allo sportivo se volesse restare o meno.
Lui, a Firenze, sarebbe rimasto e lei, nel suo cuore, vi è rimasta di sicuro, in modo speciale. 

"...il mio addio a Firenze è stato traumatico. Io non ho un carattere semplice, sono un tipo riservato, che si riguarda ad aprirsi in profondità con le persone, ma con i fiorentini stavo bene. Può sembrare strano, perché i toscani, specialmente se fiorentini, hanno generalmente un carattere aperto, sfrontato. Eppure, tra me e loro, l’intesa era semplice, naturale."

La schiettezza nel narrarsi rende la lettura di questa autobiografia tutto fuorché un mero elenco degli eventi significativi della vita del protagonista e narratore: essa, anzi, è viva, avvincente, dà modo di entrare in profondità, di conoscere Roberto e di ascoltarlo come se noi stessi fossimo davanti a lui, a far quattro chiacchiere.

Ne vien fuori il racconto di uno sportivo che non si è mai tirato indietro dal fare sacrifici, che non si è mai arreso, il dribbling migliore è stato "Superare in tunnel l’autocommiserazione, trovare la forza dentro di me, arrivare a 35 anni con ancora la voglia di divertirsi, la capacità, orgogliosamente intatta, di stupire."

Roberto Baggio, il calciatore tradito dalle proprie ginocchia, che ha sempre trovato in sé stesso la forza di non restare a terra, di rimettersi in piedi " pesto, sanguinante, ma in piedi. Non ho conosciuto l’onta del ko, non sono andato al tappeto. Le ho prese, le ho date, a testa alta, sempre, guardando negli occhi il mio destino. Ero ancora in piedi, ero giovane, ero vivo. Nonostante tutto ero forte, anche dentro. Ero vivo. E piano piano ho capito che ce la potevo fare."

Sono belle le parole di Roberto verso i propri tifosi, sul cui affetto ha sempre potuto contare; bello il suo rapporto con Mazzone, suo allenatore al Brescia, che gli ha dato fiducia, gli ha voluto bene, permettendogli di ritrovare l'entusiasmo degli inizi.

Non ha mai amato le luci della ribalta, sempre riservato, lontano dal frastuono: caratteristiche che si porta dietro anche dopo la carriera calcistica, conducendo una vita appartata, dedicandosi alla famiglia, alle sue passioni, ai vecchi e fedeli amici, alla natura.

"Che immagine vorresti che serbasse di te la gente? 
L’immagine di una bella persona, coerente con se stessa, che ha provato a divertire le persone con la cosa che più gli piaceva al mondo. E l’ha fatto provando testardamente, continuamente, ogni giorno, a superare i suoi limiti iniziali e naturali. Dando tutto quello che aveva dentro. (...) E se la mia vita somiglia a un sogno, e a un sogno somiglierà, vorrà dire che qualcosa di speciale ci avrò messo davvero."


Io non sono una fan sfegata del calcio, nel senso che sì, sono juventina e di certo seguo la Nazionale quando gioca, ma a a parte questo, null'altro.
Però ho le mie simpatie speciali, e Baggio e Alex Del Piero fanno parte di questi pochi eletti sui quali mi piace leggere e cercare informazioni, video, interviste, libri.

Una lettura davvero appassionante, che ha destato il mio interesse e che mi ha fatto conoscere meglio un grande fuoriclasse, per il quale ho sempre provato molta ammirazione.

Consigliato a quanti amano le autobiografie, di sportivi in particolare.


"Ah, da quando Baggio non gioca più
(...) Non è più domenica"

giovedì 3 novembre 2022

★★ RECENSIONE ★★ CRONACHE DELLE MULTISFERE - L’ombra di Durgash, di Tommaso Sguanci



Un'oscura presenza minaccia di condurre il mondo nel caos e nel terrore; a tentare di fermarla ci pensano un saggio e potente stregone, un giovanotto con poca fiducia in sé stesso ma dal cuore impavido e una ragazza dei nostri giorni piena di talenti speciali a lei stessa sconosciuti.


CRONACHE DELLE MULTISFERE
L’ombra di Durgash
di Tommaso Sguanci

Bertoni Ed.
264 pp
17 euro
Leitar è un ragazzo cresciuto presso una coppia senza figli e trascorre le proprie giornate lavorando alla fucina del padre.
Ha tanti sogni e speranze per il futuro e fantastica sul proprio destino e sulla possibilità di diventare, un giorno, un cavaliere che sconfigge mostri e compie atti eroici!
Ma i sogni ad occhi aperti si scontrano con la triste realtà di un padre che gli ricorda ogni giorno difetti, incapacità, insicurezze...,  insomma, se fosse per il genitore, il povero Leitar non avrebbe alcuna prospettiva futura di successo in nessun campo dell'esistenza!

Ma un giorno il fato gli offre un'occasione imperdibile: seguire il grande mago Mìriador e dare una svolta decisiva alla propria vita, puntando a divenire un uomo in grado di lottare contro forze oscure e vincerle.

Sì, perché il male si sta facendo sentire in tutta la sua malvagità: un  essere potentissimo e tenebroso, Durgash il demone, si è risvegliato dall’Abisso per dominare su tutto ciò che esiste, estendendo le proprie ombre di morte ovunque nel mondo: urge il tempestivo e massiccio intervento di qualcuno in grado di fermarlo e sconfiggerlo!

La profezia dice che...
 
«... solo un eroe dal coraggio di leone, dalla perseveranza d’acciaio e dalla lealtà indiscussa può, con l’aiuto degli Adhara, raggiungere il perduto Castello Empireo nel Regno di Solaria, presentarsi all’Antico Imperituro e chiedere il suo estremo aiuto.»

Quale migliore opportunità per Leitar che imbarcarsi in quest'avventura pericolosa ma allettante e dar mostra di tutta la propria buona volontà e audacia?

Stupendo tutti quelli che lo conoscono - e che lo hanno sempre giudicato un ragazzetto senz'arte né parte, senza grosse qualità e avviato verso un'esistenza anonima -, il ragazzo si fa avanti con lo stregone Mìriador, di cui ha infinita stima, e si offre come suo allievo: desidera essere da lui addestrato per diventare un guerriero forte e indomito.

Il mago è un uomo saggio, carismatico e sa come temprare non solo il corpo ma ancor più la mente e lo spirito del suo allievo, timido, impacciato, convinto di valere poco e di non avere grandi abilità da mostrare.

Ma il mago vede oltre i limiti odierni del giovane e lo mette in condizione di vivere e affrontare molte situazioni particolari per acquisire nuove consapevolezze su sé stesso; Leitar impara giorno per giorno a credere in sé stesso e ad accedere a sempre più alti livelli di conoscenza, dimostrando così di essere un giovane di valore.

Il momento fatidico di combattere contro creature mostruose e maligne si fa sempre più vicino, ma Leitar non sarà impreparato, perché sta donando e mettendo in gioco ogni parte di sé nell'addestramento cui lo sta sottoponendo Mìriador.

In un'epoca ben diversa e decisamente più vicina alla nostra, vive una ragazza, Laura, amante della danza ma che, per ora, si accontenta di lavorare come manichino vivente in un negozio di abbigliamento a Valencia, insieme alla spumeggiante migliore amica Aldara. 

Se l'amicizia sembra offrirle cose belle, è l'amore a farla soffrire; l’ultima relazione sentimentale ha lasciato Laura ferita, ma il destino mette sul suo cammino un ragazzo bello e dolce, Miguel, con cui pensa di aver trovato l'amore vero.
Purtroppo l’amore va e viene, sa portarti in alto e, all'improvviso, farti precipitare giù...; e quando a farti star male non è soltanto quello che credevi essere l'amore della tua vita ma anche qualcun altro da cui mai ti saresti aspettata un tradimento, la delusione non può che essere doppiamente bruciante. 

Laura è una ragazza solare, romantica, sincera, che però viene ferita da coloro a cui voleva bene e proprio quando il dolore e l'amarezza sono fortissimi, proprio nel momento in cui si sente più sola che mai, ecco che giunge la svolta: in seguito ad alcuni sogni strani e inspiegabili, davanti ai suoi occhi increduli si apre un portale magico che la introduce in una realtà incredibile.

Così, senza alcun preavviso e in un modo del tutto straordinario, Laura si ritrova da un giorno all'altro a varcare un confine, invisibile agli altri ma scintillante e meraviglioso ai suoi occhi, che la conduce dritta dritta in un mondo e in un'epoca lontanissime dalle proprie.

In mezzo a un popolo con stili di vita e consuetudini differenti ("da Medioevo!", pensa la ragazza, sgomenta e confusa), Laura impara che ci sono modi più semplici di vivere e che richiedono nuove attitudini, nuove capacità di adattamento, nuovi sforzi fisici ed emotivi; viene accolta da una famiglia di contadini e anch'ella viene messa a lavorare nella fattoria, immergendosi in un tipo di vita lontanissimo da quello al quale era abituata ma che la rende via via più matura, nonché consapevole di abilità e poteri speciali, che non sapeva di possedere.

Il suo cammino è destinato a incrociare quello di Leitar ed un giorno, mentre sta fuggendo da terribili e mostruose ombre scure, si imbatte proprio in lui.

Leitar e Laura si ritrovano, da quel momento, a condividere un percorso straordinario, da cui  dipende l’esistenza dei loro mondi così lontani, chiamati Multisfere. 

Mìriador prende sotto la propria ala anche la bella Laura (che viene "ribattezzata" Layra), la educa affinché diventi cosciente dei propri poteri magici e impari a utilizzarli in modo efficace e intelligente, tanto più che il giorno della battaglia con le ombre oscure di Durgash si sta avvicinando.

I due giovani devono percorrere la strada perduta che porta all’Antico, l'unico capace di fermare Durgash; dovranno trovare il modo di viaggiare tra le Multisfere, affrontando le proprie paure ed insicurezze, così da fortificarsi quando saranno faccia a faccia con nemici tanto potenti quanto spietati.


In questo primo volume della Trilogia "Cronache delle Multisfere", sin dalle prime pagine veniamo immersi all'interno di un mondo popolato - oltre che da uomini e donne apparentemente simili a qualunque essere umano - da personaggi aventi poteri e capacità eccezionali e caratteristiche sovrumaneil lettore si ritrova, quindi, in compagnia di guerrieri, principesse, cavalieri, stregoni, creature immaginarie straordinarie dagli attributi fisici spaventosi; assiste a lotte e battaglie corpo a corpo, vive accanto ai protagonisti vicende avventurose in una terra e in un'epoca lontane, indefinite e fantastiche; anche i nomi di alcuni personaggi sono tipici degli epic fantasy (Chiardiluna, Mordighiaccio...) e, in generale, il linguaggio è consono al genere narrativo di riferimento.
Fino ad un certo punto della narrazione, come dicevo più su, il racconto delle avventure strabilianti di Leitar è interrotto da quello delle vicende di Laura, che vive nel "nostro mondo" e ai tempi di oggi, con esseri umani comuni e mortali; nei capitoli dedicati a questa parte della storia, il linguaggio si adegua al contesto contemporaneo e alla giovane età dei personaggi.

Come in ogni fantasy che si rispetti, non può mancare la contrapposizione tra il Bene e il Male: alla potenza malefica che vuol portare pestilenze, morte, carestie, deve opporsi un'anima coraggiosa, indomita, leale, un cuore puro che sappia e voglia combattere con tutte le proprie forze per non lasciare a delle entità malefiche di avere la meglio.

I due protagonisti hanno modo di evolvere e maturare psicologicamente: da sfiduciato e imbranato, Leitar diventa, col tempo e non senza sforzi, un ragazzo determinato, sicuro di sé, impara a tirar fuori le proprie abilità nascoste e ad acquisirne di nuove; questo non vuol dire che non continui ad avere debolezze e timori, che non viva momenti di scoraggiamento, ma egli saprà attingere a delle risorse interiori per trovare le giuste motivazioni così da proseguire nella missione affidatagli dal suo maestro.
Anche Laura attraversa un cambiamento: da ragazza dedita a cercare sempre e solo il grande amore, quasi convinta che la sua felicità dipenda dall'avere accanto un uomo da amare e che la ami, una volta attraversato il portale magico diventa una giovane donna risoluta, curiosa di imparare, di mettersi in discussione e di aiutare Leitar e tutti coloro che combattono contro Durgash, anche accettando lati di sé sconosciuti.

Essendo il primo capitolo di una saga fantastica, il finale è aperto e lascia con la voglia di continuare a leggere per scoprire come se la caveranno i due amici nella battaglia contro le tenebre,

Come ormai non manco di precisare tutte le volte che leggo e recensisco un fantasy, il genere non è propriamente in cima ai miei preferiti, però proprio per questo apprezzo quei romanzi, nel saper far leva sulla mia immaginazione, mi permettono di passare momenti di svago e divertimento attraverso avventure epiche e personaggi di fantasia dai poteri incredibili.

Consigliato a quanti hanno voglia di viaggiare con la fantasia in una terra lontana e di incontrare creature magiche e meravigliose.

lunedì 31 ottobre 2022

IL MIO OTTOBRE, TRA LETTURE E SERIE TV


Buongiorno!

.

Ottobre è quasi andato via e io tiro le somme delle letture del mese.


  1. IL CASO ALASKA SANDERS di J. Dicker: thriller dall'architettura complessa, denso di piccoli colpi di scena che, gettando ora luci ora dubbi sull'identità dello scaltro assassino, ci conducono a una soluzione inaspettata (5/5);
  2. QUELLO CHE RIMANE di P. Fox: la piatta quotidianità di una coppia americana borghese degli Anni '60 viene scossa da un gatto indisciplinato e affamato (2.5/5);
  3. LA SORELLA PERDUTA di L. Riley: il settimo libro della saga famigliare ci svela l'identità dell'ultima, ricercatissima sorella, Merope. Lucinda ci porta in giro per il mondo, in particolare in un'Irlanda tanto affascinante quanto tormentata da guerre intestine (5/5);
  4. LE SORELLE LACROIX di G. Simenon: dramma famigliare dalle atmosfere cupe, soffocanti, in cui a scorrere, sotterranee, sono invidie, rancori, vendette, ipocrisia, solitudini, infelicità. Tanta infelicità (4/5);
  5. UNA PORTA NEL CIELO di R. Baggio: il ritratto sincero e autentico di un vero campione (4,5/5);
  6. 2030: APOCALYPSE WAR di E.Delparifantasy distopico ambientato nel prossimo futuro, che vede il mondo attaccato da un crudele tiranno giapponese, preso da un delirio di onnipotenza in stile Hitler (3/5).

Sul podio ottobrino finiscono il thriller di Dicker per avermi catturata e appassionata per tutta l'intricatissima indagine condotta da Marcus e l'amico poliziotto, e ovviamente la mia Lucinda, narratrice ammaliante e tanto brava a unire fantasia e realtà; interessante e piacevolissima l'autobiografia del Divin Codino.

Inizio novembre leggendo:
  •  LA SETTIMA LUNA di Pulixi,
  •  IL TEMPO DELL'ATTESA di Elizabeth J. Howard (2° vol. de I Cazalet
  • IL NIDO di Tim Winton.


SERIE TV

  • Proseguo con THIS IS US, sono alla quarta stagione e ho appena incontrato un altro nucleo famigliare, che si affianca ai Pearson; devo ancora inquadrarli per bene.
  • Devo terminare DEFENDING JACOB, di cui vi parlerò perché uno degli argomenti principali affrontati - è possibile che esista una componente genetica che spieghi la presenza di un'eccessiva aggressività in alcune famiglie/singole persone? - lo trovo molto interessante.
  • Ho guardato i quattro episodi di VATICAN GIRL, la docu-serie sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, cold case che seguo da quando sono entrata nell'età della ragione e che, in quasi 40 anni, ha accumulato tante di quelle ipotesi (dalle più verosimili alle meno probabili), bugie, depistaggi e silenzi omertosi, da essere diventato quasi sicuramente uno dei casi di scomparsa più misteriosi e complicati degli ultimi anni (e comunque l'unico caso di sparizione di una cittadina vaticana). Ma soprattutto, a tenermi ferma a questa storia, al di là dell'attenzione mediatica e del mio personale interesse per il crime, è il dispiacere per questa famiglia che convive da quasi 40 anni con un'assenza che ogni giorno ha recato e reca tutt'oggi dolore, impotenza, frustrazione... e speranze. Certo, si tratta di speranze finora disattese. Quello della famiglia Orlandi è un dolore che però non l'ha portata ad arrendersi ma, anzi, a continuare a lottare con più tenacia che mai perché venga fatta luce sul destino di un'innocente che, in quel giugno 1983, aveva solo 15 anni e non ha fatto più ritorno a casa. 
  • Di giovedì in giovedì prosegue la visione della quinta stagione di THE HANDMAID'S TALE: la nostra June (ex-Difred) è intenzionata a non abbandonare la figlioletta 12enne che è ancora a Gilead e che presto potrebbe andare in sposa (!!!) a un vecchio porcello. Ed è arrabbiata nera, disposta anche a tornare in territorio nemico, se dovesse rendersi conto che da Toronto, solo a suon di chiacchiere e inutili incontri diplomatici, la situazione potrebbe non cambiare di un millimetro. Daje Osborne, spacca tutto! 


sabato 29 ottobre 2022

* 29 ottobre 1956 * IL MASSACRO DI KAFR QASIM



Il 29 ottobre 1956, 66 anni fa, avvenne il massacro del villaggio di Kafr Qasim un villaggio palestinese passato a Israele dopo l’armistizio con la Giordania.

Quarantanove furono i palestinesi indifesi ammazzati dalla Magav, la polizia di frontiera israeliana; fu un massacro  pianificato ai massimi livelli, che mirava a terrorizzare la popolazione e rientrava tra le fasi di un’operazione volta alla pulizia etnica dalla regione.

Il 29 ottobre 1956, Israele decise di anticipare il coprifuoco notturno dalle 21:00 alle 17:00 con effetto immediato nelle città arabe israeliane situate nell'area del Triangolo, vicino all'allora confine con la Giordania, un'area triangolare nel centro di Israele abitata da molti palestinesi, appena a nord-est di Petach Tikva.

Nonostante fossero state avvertite che centinaia di residenti, che lavoravano come agricoltori, non sarebbero stati a conoscenza del nuovo coprifuoco (in quanto erano uscite di casa al mattino), le truppe israeliane avevano ricevuto l'ordine di sparare per uccidere qualsiasi persona avvistata fuori dalla propria casa dopo le 17:00, senza fare alcun distinguo tra uomini, donne, bambini e coloro che tornavano da fuori. 
Quando gli abitanti del villaggio tornarono alle loro case dopo le 17:00, la polizia di frontiera li fermò, li fece scendere dai loro veicoli e iniziò a sparare a distanza ravvicinata, uccidendo a sangue freddo 49 persone, tra cui sei donne e 13 bambini sotto i 15 anni. 

Quando il governo israeliano e il comando militare appresero dell'uccisione di questi abitanti del villaggio, dapprima cercarono di nascondere l'orribile massacro, ma inutilmente, in quanto la notizia di diffuse; questo costrinse il governo israeliano a portare i responsabili in tribunale, ma in realtà non furono processati coloro che diedero ordine di sparare sui civili, bensì solo i soldati sul campo, i quali ricevettero tra l'altro condanne troppo lievi (e comunque vennero rilasciati entro un anno); cosa ancor più assurda (se possibile), il comandante della brigata, Issachar Shadmi, fu condannato a pagare solamente una multa simbolica di 10 centesimi per eccesso di autorità.

Centesimi. Tanto valeva la vita di decine di innocenti.


«Il massacro di Kafr Qasim non ha un giorno commemorativo. Non è un episodio su cui l’oblio avrà la meglio. È una storia d’odio che si dipana da quando Herzl ha sguainato la spada dalla Torah e l’ha puntata in faccia all’Oriente. (...)
 Per che cosa sono morti? Sicuramente non per noi. Sono vittime, non martiri. Quello è il loro duplice  dramma, perciò siamo doppiamente addolorati per loro. Possiamo dire che sono morti per accrescere il nostro odio contro l’oppressione e l’usurpazione, per accrescere la nostra devozione alla terra. Ma non abbiamo bisogno di questa prova feroce. Noi siamo capaci di sviluppare il nostro senso di amore e di odio senza questa morte inutile. Per cosa sono morti dunque? Non per noi, ma per gli assassini. Per far sentire i sionisti capaci d’interpretare nella storia un ruolo diverso da quello di vittima. Per dimostrare loro che possono provare piacere a uccidere. “O sei l’assassino o sei la vittima.” Questa è la scelta obbligata che  si sono trovati davanti.»  *         



Vittima n. 18 
(poesia di Mahmud Darwish, trad. A. Cafagno) **

Una volta, l’uliveto era verde
Lo era! E il cielo era
una foresta azzurra. Lo era, mio amore.
E quella notte, cosa è cambiato?

Hanno fermato il camion all’angolo della strada.
Erano così calmi.
E svoltato ad est. Erano così calmi.

Una volta, il mio cuore era un canarino blu… Il nido del mio amore!
Lo era! E i fazzoletti che mi hai dato erano tutti bianchi. Lo erano, mio amore.
Cosa li avrà mai macchiati quella sera?
Non capisco proprio, mio amore.

Hanno fermato il camion all’angolo della strada. Erano così calmi.
E svoltato ad est. Erano così calmi.

Per te, io ho tutto:
Per te ho ombra e luce,
Una fede nuziale o quel che vuoi
Un campo di ulivi o di fichi.
E, come ogni notte, verrò da te
Entrerò dalla tua finestra, mentre dormi, e getterò un gelsomino.
Non incolparmi se tarderò un po’
Loro, mi hanno fermato

L’uliveto è sempre stato verde
Lo era, mio amore.
Ma, al tramonto,
Cinquanta corpi sono divenuti
Una pozza rossa. Cinquanta corpi.
Non incolparmi, mio amore.
Mi hanno ucciso. Mi hanno ucciso.
Mi hanno ucciso.




*  Mahmud Darwish, UNA TRILOGIA PALESTINESE
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