Una famiglia in apparenza come tante, in cui sembra regnare l'armonia, la tranquillità; ecco, tutt'al più si potrebbe additare la vita famigliare dei Vernes-Lacroix come fin troppo comune, anzi, diciamo pure noiosa e insipida.
Ma il lettore è avvertito già nell'epigrafe dall'autore: «Ogni famiglia ha uno scheletro nell'armadio».
Sì, perché a ben guardare, tra le mura di quella grande casa a più piani a Bayeux, non si odono voci allegre e non si vedono uscire dalla porta persone con un sorriso felice: c'è molto silenzio, poche parole dette a voce bassa, accompagnate da sguardi carichi di diffidenza, di odio e vendetta, di rabbia covata e vecchia di anni.
Un'aria vischiosa, cupa ed irrespirabile si percepisce in quella silenziosa dimora; il lettore ne avverte tutta la pesantezza e sente come i personaggi che vi abitano ne siano contaminati, nel corpo e nell'anima.
LE SORELLE LACROIX
di Georges Simenon
Adelphi trad. F. e L. Di Lella 171 pp |
«Fa’ che sia io a morire per prima!... O che moriamo tutti insieme, mia madre, mio padre, Jacques...».
A pronunciare, tra le lacrime, questa singolare invocazione alla Madonna è una ragazza di soli diciassette anni, Geneviève, mentre è in chiesa a pregare.
E sarà l'ultima volta che metterà il piede fuori di casa.
Non solo, ma dal momento in cui varcherà la soglia dell'abitazione - che condivide con la madre (Mathilde), la zia materna Poldine, il padre Emmanuel e il fratello Jacques - la sua salute, già cagionevole, diventerà sempre più debole, la sua esistenza inattiva e, similmente ad un cerino che va via via spegnendosi e la sua fiammella si fa sempre più piccola, anche il fisico della giovane ragazza si ammalerà, di giorno in giorno e progressivamente.
Le uniche mura che vedrà, nelle settimane successive, saranno quelle della propria spoglia cameretta.
Ne uscirà mai?
Ma soprattutto, cos'ha che non va Geneviève? È malata? Se sì, di cosa?
La famiglia interpella più dottori e luminari, che però non capiscono quale sia il male che affligge il corpo di quest'adolescente che si sta "semplicemente" spegnendo da sola, in un letto, senza far nulla per aiutarsi, senza sentire il desiderio e il bisogno di mangiare o la forza per mettersi in piedi.
Geneviève non ha voglia di vivere.
È profondamente infelice; è stanca di guardarsi intorno "come un animale che fiuta un pericolo", di essere preda di una costante agitazione che le fa provare un dolore fisico.
Se qualcuno le chiede il perché di tanta sofferenza, la ragazza non sa cosa dire.
"Chissà, forse soffriva in anticipo per qualcosa che non era ancora successo. O forse, come a volte aveva pensato, soffriva al posto di qualcun altro, per errore."
Per cercare di capire quale sia l'origine del malessere mentale e fisico di Geneviève, dobbiamo entrare con lei in casa sua e porci come osservatori attenti.
Solo osservando ogni dettaglio (ad es., gli sguardi che si scambiano i membri della famiglia, ogni impercettibile gesto), ponendoci all'ascolto di ogni bisbiglio, di ogni porta aperta o chiusa, di ogni passo sulle scale, possiamo cominciare a capire come siano le giornate tra quelle mura.
E così vedremo come dietro le esistenze monotone e placide di una famiglia "normale", non ci sia, in realtà, nulla di normale, di bello, di gioioso. Tutt'altro.
Mathilde - la madre di Geneviève e Jacques - è una donna triste, silenziosa, che guarda tutti da una prospettiva "storta": con la testa inclinata di lato, non guarda i famigliari bensì li spia, lanciando occhiatine furtive, con quelle sue labbra che cercano costantemente di ingannare l’altro con un pallido sorriso, nascondendo pensieri, emozioni, desideri, richieste.
Mathilde non è una madre affettuosa, si è data poco ai propri figli, i quali infatti non provano grossi slanci d'affetto per lei; Jacques, in particolare, prova un misto di indifferenza e disprezzo.
È una moglie stanca, priva di dolcezza, comprensione; lei col marito non dialoga, neanche litiga. Come potrebbe farlo? Ha giurato, in passato, di non parlargli mai più. Perché? La ragione c'è, certo, ed è la stessa che da anni crea tensioni, frizioni, rancori, ostilità.
È proprio lui: lo scheletro nell'armadio.
Quel segreto antipatico e umiliante che unisce e al contempo divide le due sorelle Lacroix, Mathilde e Poldine, che si conoscono alla perfezione come solo due sorelle cresciute insieme, e mai separate, possono conoscersi.
Si odiano, non si sopportano, si parlano a monosillabi e quando la dose di parole aumenta è solo perché è Poldine a volerlo, a provocare, stuzzicare, ferire, con il suo tono tagliente, le sue battute acide e l'atteggiamento presuntuoso e prepotente.
Poldine l'odiosa e l'odiata; Poldine, l'effettiva padrona di casa, quella con cui vanno a parlare il fittavolo o il medico, colei che decide pure cosa si mangia e distribuisce zuppe nei piatti per tutti.
Poldine, che si è sposata ma è stata praticamente sempre nubile; suo marito è un'ombra debolissima e ormai invisibile che vive tranquilla per i fatti suoi in Svizzera, e intanto la moglie e la figlia, Sophie, sono vissute con Mathilde e famiglia.
Poldine, la sorella forte, decisa, tirannica, impicciona: vuol sapere tutto di tutti in casa, non sopporta di essere esclusa o ignorata; bisogna chiederle il permesso pure per alzarsi da tavola.
Insomma, non è propriamente la sorella, la cognata e la zia che tutti vorremmo.
E lei lo sa ma non fa nulla per farsi amare.
Perché, come sua sorella - più remissiva, che la detesta ma, allo stesso tempo, non potrebbe mai separarsi da lei, anzi ne è dipendente - anche lei cova sentimenti negativi e distruttivi, di vendetta, odio, pieni di risentimento.
E tutto questo marcio non può non venir fuori, in qualche modo..., magari con un deplorevole tentativo di avvelenamento da parte di uno di loro, degno di un giallo "alla Agatha Christie"...!
La figlia, Sophie, è il contrario di Geneviève: ben piazzata, rumorosa, sicura di sé, indipendente, irriverente, pratica.
E zoppa. E la zoppìa l'ha resa poco simpatica e molto livorosa verso colei che, in qualche modo, è legata all'evento che le ha procurato l'incidente alla gamba.
Emmanuel Vernes è il marito di Mathilde.
Fa il pittore e si chiude nel proprio atelier per ore ed ore; non ci tiene ad uscire da quella stanza - gabbia e rifugio insieme - e non siamo noi a dover biasimarlo per questo: chi avrebbe voglia di trovarsi in mezzo a quelle due sorelle che si odiano ma non riescono a star lontane, che sporcano di malignità tutto ciò su cui posano lo sguardo?
Mathilde non gli parla e lo guarda con disapprovazione o, nel migliore dei casi, con indifferenza.
Poldine altrettanto, ma talvolta gli rivolge la parola per rimproverarlo, trattarlo male, farlo sentire un essere inutile.
Ed è così che, effettivamente, l'uomo si sente in quella casa in cui tutti si spiano con la coda dell'occhio, dove non ci sono mai sorrisi né parole gentili, dove ogni parola o breve dialogo scorre sui binari del doppio senso e delle espressioni ambigue, dei toni di voce aspri, degli sguardi impietosi e sempre pregni di sottintesi e mancanza di fiducia.
Anche Emmanuel è molto infelice; l'unica persona che sembra amarlo è la povera Geneviève, che però dal basso del suo giaciglio non fa nulla per alleviare la solitudine del padre.
E poi c'è Jacques, il ribelle di casa. L'unico che sembra destarsi dal torpore di quell'atmosfera carica di parole non dette, di mormorii spiacevoli, intervallati da qualche violenta sceneggiata.
L'unico che si accorge che la loro non è una famiglia normale, ma una "gabbia di matti", un posto da cui scappare, che puzza di un deprimente e desolante squallore, dove l'unico colore è il grigio, cupo e triste.
"La verità è che voi, tu e tua sorella, avete bisogno di odio...".
C'è che rimpiazza un amore con un altro amore e chi rimpiazza un odio con un altro odio, e non riesce a vivere se non ha un'idea fissa, un'ossessione da alimentare e da rovesciare su qualcuno.
Il legame tra le due sorelle Lacroix - indiscusse protagoniste di questo breve romanzo - è morboso, insano ed è alimentato e tenuto in vita dai continui sospetti e dall'odiarsi a vicenda, dal sorridersi a mezza bocca, dall'osservare di nascosto, dal camminare in punta di piedi e dall'aprire le porte senza fare rumore, sbucando fuori all'improvviso per cogliere l'altra in flagrante...
Quale sia il segreto di questa famiglia, quali siano i comportamenti che ciascuno dei membri mette in atto per sopravvivere (o per sfuggire) in questo circo - popolato non da buffi pagliacci ma da maschere di Pierrot che comunicano tristezza -, li lascio scoprire a voi lettori, se avrete voglia di mettere il naso in una casa che - vi avviso - non ha un'atmosfera allegra, piuttosto è greve e soffocante.
Ed esercita per questo una fascinazione misteriosa e inevitabile sul lettore, che viene indotto a restare in quelle camere, a far su e giù da un piano all'altro, a origliare conversazioni, a guardare impotente chi si lascia scivolare tra le dita la voglia di vivere, a irritarsi tanto con i passivi quanto con i dispotici.
Simenon ha costruito una storia di per sé semplice, in cui non si può dire che accada chissà quale avvenimento sensazionale, dove i personaggi non sono attraenti, vincenti, gradevoli, come non lo è (volutamente) l'ambientazione (sempre la medesima in tutto il libro) e la sensazione di essere chiusi anche noi in un ambiente piccolo e irrespirabile è palpabile.
Ma ciò che mi affascina di questo autore è il suo essere un maestro raffinato e acuto quando si tratta di scrutare nei rapporti umani, facendo emergere i lati oscuri e torbidi dell'essere umano, rendendo visibili malesseri interiori, lasciandoci respirare odio, cattiverie, animosità, ripicche, che noi riusciamo poi a vedere scritti negli occhi, nei toni di voce, nelle poche ma efficaci parole, nei silenzi carichi di livore e solitudine.
Questa è la storia di un dramma famigliare in cui a contare è l'universo emotivo dei personaggi, le loro sofferenze, gli inganni, l'ipocrisia, i dispetti commessi l'uno a danno dell'altro, che si trasformano in ragnatele pronte a legarli per sempre ma altresì a renderli immobili, senza vie d'uscita, avvolti inesorabilmente in una profonda infelicità, vittime di un clima malsano che ciascuno di essi ha contribuito a creare.
[CURIOSITÀ: cercavo una lettura breve e veloce, mi sono "imbattuta" nella recensione di questo libro sul blog di Aquila Reale.. e ho colto la palla al balzo ^_- ]
Ciao Angela, la tua profonda recensione mi ha fatto rivivere le emozioni percepite con la lettura del romanzo. Simenon è un grande e per fortuna la sua produzione è vastissima :)
RispondiEliminaGrazie Aquila per la tua, di recensione,che mi ha incuriosita 🙂 circa Simenon, ho infatti intenzione di leggere altro!-
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