sabato 5 novembre 2022

[ 🏐 RECENSIONE 🏐] UNA PORTA NEL CIELO di Roberto Baggio



Il Divin Codino si racconta, senza ipocrisia e con estrema sincerità; ne viene fuori il ritratto autentico di un uomo che si è sempre lasciato guidare dalla passione, dall'amore e dall'innegabile talento per uno sport che lo ha reso uno dei migliori della storia del calcio, un fantasista ancora oggi nel cuore e nella memoria di chi lo ha apprezzato, dentro ma anche fuori dal campo.


UNA PORTA NEL CIELO 
di Roberto Baggio 



TEA Ed.
304 pp

"...non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall'altruismo e dalla fantasia."

Per anni è stato lì, attaccato al muro della camera in cui io e mio fratello dormivamo: il poster di Roberto Baggio in maglia bianconera (eh sì, siamo juventini), a misura di ragazzino e in bella vista, così che chiunque entrasse in quella zona della casa lo vedesse.
Perché noi Baggio lo abbiamo amato sempre e comunque, dentro e fuori dalla Juve, dentro e fuori dai Mondiali.

E anche quando sbagliò quel maledetto rigore: provai (e con me chissà quanti altri) un enorme dispiacere non tanto per l'occasione persa (serve precisare che Baggio sbagliò dopo Baresi e Massaro e che dopo avrebbe comunque ancora calciato il Brasile?) in quella memorabile finale del '94 a Pasadena, quanto per questi ragazzi che avevano dato il massimo e, non posso nasconderlo, per Roberto nello specifico, perché a Roby si voleva bene e meritava di mandare in rete quel pallone.


"...i rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di batterli. Quella volta ho fallito. Punto.

È stato quello momento il più brutto della tua carriera? 

Sì. Mi ha condizionato per anni, lo sogno ancora. Uscire da quell'incubo è stata dura. Se potessi cancellare un'immagine dalla mia vita sportiva, cancellerei quella."


Ma è andata com'è andata, lo sappiamo, e per quanto quella palla tirata in cielo abbia bruciato nella vita del calciatore di Caldogno per tanto tempo, è acqua passata e il Roberto di questa autobiografia (pubblicata per la prima volta nell'ormai lontanino 2001, quando aveva 34 anni) è un giocatore sereno, un uomo che ha trovato il proprio equilibrio su tutti i fronti.

Baggio si racconta, sollecitato dalle sagaci e schiette domande dell'intervista (il libro è stato scritto insieme ad Enrico Mattesini ed Andrea Scanzi), e ci parla di sé, della famiglia, del rapporto con il padre - da cui ha preso la passione per la caccia, che gli regalava momenti preziosi da trascorrere con il genitore -, dei fratelli, degli esordi sul campo, dei maledetti e numerosi infortuni che lo hanno costretto a fermarsi tante, troppe volte, ma che mai hanno spento il fuoco che gli bruciava dentro. Neanche quando il mondo dello sport lo dava per vinto, per "morto" (calcisticamente parlando), cosa che è successa più di una volta.
Ci parla dell'amore con e per Andreina, dei suoi due (il terzo è nato dopo la pubblicazione del libro) figli, del rapporto con gli allenatori, con i compagni, con le società che lo vendevano e compravano, con i tifosi, con la critica sportiva.
E non risparmia "stoccate", non nasconde come  nella sua carriera abbia incontrato sia persone capaci e desiderose di incoraggiarlo, sia tante altre molto meno positive, con cui rapportarsi era davvero difficile.

E così entriamo negli spogliatoi, sui campi da calcio, e leggiamo degli attriti con Sacchi, Ulivieri, Capello, Trapattoni e, su tutti, Marcello Lippi, allenatori con cui purtroppo s'è trovato poco bene e da cui spesso si è sentito trattato male, inspiegabilmente sostituito o relegato in panchina anche quando era in forma e lo dimostrava segnando o comunque giocando belle partite.

Leggiamo di quanto sia stata una lotta continua tener stretta la maglia numero 10, di quanto abbia sempre avuto un desiderio grandissimo di giocare in Nazionale, di "fare" i Mondiali, pensiero fisso e obiettivo irrinunciabile.

Ma accanto al Baggio calciatore (della Fiorentina, dell'Inter, del Bologna, della Juve...) c'è il Roberto devoto seguace del Buddhismo, che ha dato (e continua a dare) un senso speciale alla sua esistenza.

Da questa religione Baggio interiorizza modi di pensare che gli torneranno utili anche nella propria professione, oltre che umanamente, aiutandolo a non lasciarsi andare al fatalismo, alla rassegnazione, ma rendendosi sempre protagonista delle proprie decisioni, dei propri errori come delle vittorie e dei successi.

"...ognuno è responsabile di quello che gli succede: tutto ciò che ti capita, è colpa o merito tuo. Il buddhismo è una sfida durissima alla propria mente, è qualcosa che ti apre la mente ma che, al tempo stesso, la destabilizza. È una guerra a tutte le vecchie certezze consolidate. (...) Il buddhismo mi fa pensare alle cose che contano, mi fa stare bene, mi carica. E mi aiuta a non perdermi."



La fede acquisisce negli anni (si avvicina ai principi buddisti da giovanissimo, quando, arrivato a Firenze, fu costretto a restar fermo per un po' a motivo del ginocchio infortunato) un posto fondamentale nelle sue giornate (come anche la preghiera) e nella sua esistenza, diventando per Roberto "la strada maestra: praticando, dovevo trovare il coraggio di vivere. Era ed è un continuo allenamento spirituale al coraggio."
I momenti difficili e dolorosi nella vita non gli sono mancati ma grazie alla sua fede li ha affrontati avendo una giusta visione e prospettiva: " Il buddhismo ti insegna che tutte le prove avverse, le difficoltà, possiamo trasformarle in una sorgente di potere, di forza interiore, che porterà gioia alla nostra vita."

Mi è piaciuto moltissimo questo aspetto della vita e della personalità di questo campione, il cui talento non ha mai smesso di confrontarsi ed essere anche condizionato da una ricchezza interiore e spirituale che è andata via via crescendo: la sua crescita professionale non potesse avvenire disgiuntamente da quella umana.

A Baggio - tra le tante critiche mossegli - non è mai andata giù una in particolare: quella di essere un "mercenario", uno che non restava in una squadra mosso dall'amore per la stessa, per la città, per i tifosi, ma che preferiva fare le proprie scelte sulla base (unicamente) dei compensi economici,
Se ce ne fosse bisogno, Roberto ribadisce con forza che lui, ad es., dalla Fiorentina, da Firenze, non se ne sarebbe mai andato, ma la decisione è stata presa ai "piani alti" e certo non fu chiesto allo sportivo se volesse restare o meno.
Lui, a Firenze, sarebbe rimasto e lei, nel suo cuore, vi è rimasta di sicuro, in modo speciale. 

"...il mio addio a Firenze è stato traumatico. Io non ho un carattere semplice, sono un tipo riservato, che si riguarda ad aprirsi in profondità con le persone, ma con i fiorentini stavo bene. Può sembrare strano, perché i toscani, specialmente se fiorentini, hanno generalmente un carattere aperto, sfrontato. Eppure, tra me e loro, l’intesa era semplice, naturale."

La schiettezza nel narrarsi rende la lettura di questa autobiografia tutto fuorché un mero elenco degli eventi significativi della vita del protagonista e narratore: essa, anzi, è viva, avvincente, dà modo di entrare in profondità, di conoscere Roberto e di ascoltarlo come se noi stessi fossimo davanti a lui, a far quattro chiacchiere.

Ne vien fuori il racconto di uno sportivo che non si è mai tirato indietro dal fare sacrifici, che non si è mai arreso, il dribbling migliore è stato "Superare in tunnel l’autocommiserazione, trovare la forza dentro di me, arrivare a 35 anni con ancora la voglia di divertirsi, la capacità, orgogliosamente intatta, di stupire."

Roberto Baggio, il calciatore tradito dalle proprie ginocchia, che ha sempre trovato in sé stesso la forza di non restare a terra, di rimettersi in piedi " pesto, sanguinante, ma in piedi. Non ho conosciuto l’onta del ko, non sono andato al tappeto. Le ho prese, le ho date, a testa alta, sempre, guardando negli occhi il mio destino. Ero ancora in piedi, ero giovane, ero vivo. Nonostante tutto ero forte, anche dentro. Ero vivo. E piano piano ho capito che ce la potevo fare."

Sono belle le parole di Roberto verso i propri tifosi, sul cui affetto ha sempre potuto contare; bello il suo rapporto con Mazzone, suo allenatore al Brescia, che gli ha dato fiducia, gli ha voluto bene, permettendogli di ritrovare l'entusiasmo degli inizi.

Non ha mai amato le luci della ribalta, sempre riservato, lontano dal frastuono: caratteristiche che si porta dietro anche dopo la carriera calcistica, conducendo una vita appartata, dedicandosi alla famiglia, alle sue passioni, ai vecchi e fedeli amici, alla natura.

"Che immagine vorresti che serbasse di te la gente? 
L’immagine di una bella persona, coerente con se stessa, che ha provato a divertire le persone con la cosa che più gli piaceva al mondo. E l’ha fatto provando testardamente, continuamente, ogni giorno, a superare i suoi limiti iniziali e naturali. Dando tutto quello che aveva dentro. (...) E se la mia vita somiglia a un sogno, e a un sogno somiglierà, vorrà dire che qualcosa di speciale ci avrò messo davvero."


Io non sono una fan sfegata del calcio, nel senso che sì, sono juventina e di certo seguo la Nazionale quando gioca, ma a a parte questo, null'altro.
Però ho le mie simpatie speciali, e Baggio e Alex Del Piero fanno parte di questi pochi eletti sui quali mi piace leggere e cercare informazioni, video, interviste, libri.

Una lettura davvero appassionante, che ha destato il mio interesse e che mi ha fatto conoscere meglio un grande fuoriclasse, per il quale ho sempre provato molta ammirazione.

Consigliato a quanti amano le autobiografie, di sportivi in particolare.


"Ah, da quando Baggio non gioca più
(...) Non è più domenica"

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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