Un frammento della mia lettura in corso, "La guerra di Lorenzo"; il protagonista, un capitano dell'esercito italiano, cerca di affrontare un momento difficile - un bombardamento aereo da parte degli alleati - mentre partecipa attivamente alla guerra e a giungergli in aiuto per non cedere al panico, è il ricordo dell'amato padre:
"La mano di suo padre.Era quella la chiave che spiegava tutto. Suo padre non aveva avuto bisogno di parole per rassicurarlo: la sua mano, grande, asciutta, forte, era bastata a distendere la sua mente, a metterla nella disposizione giusta.Sì, quella era la chiave. Doveva ritrovare quella mano perduta nel gorgo del tempo, risentirne il tocco, forte, affettuoso, rassicurante. Finché riusciva a tenere viva quella mano, a non farla svanire, era immune dalla paura, dall'angoscia, dalla follia. Doveva trattenerla a tutti i costi, restarci aggrappato con forza, impedire che si dissolvesse e lo lasciasse piccolo e spaventato fra i lampi e i boati, in quell'immensa piazza rumorosa.".
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz