martedì 13 settembre 2022

[[ RECENSIONE ]] IL CIELO È DEI VIOLENTI di Flannery O'Connor



Il giovane Francis cresce all'ombra di un anziano prozio che si crede profeta del Signore e che, per questo, sente di avere una missione sulla terra, volta a purificare gli occhi di chi non vuol vedere la volontà divina. Alla morte del vecchio, sarà Francis a prendere su di sé l'onere di mettere in pratica il suo volere ed è intenzionato a farlo, costi quel che costi.


IL CIELO È DEI VIOLENTI 
di Flannery O'Connor



Ed. Minimun Fax
trad. G. Cenciarelli
240 pp

George Rayber e Francis Tarwater sono zio e nipote (Francis è figlio della defunta sorella di Rayber) e hanno in comune una condizione, legata alla loro infanzia: sono cresciuti con uno zio (Mason) a dir poco stravagante che li ha battezzati (dopo averli rapiti alla famiglia), spinto da un folle fanatismo religioso e convinto di aver ricevuto la chiamata dal Signore di andare in giro per le strade di questo mondo perduto nel peccato a battezzare povere anime disgraziate e destinate alla perdizione eterna. 

Crescendo, Rayber si è staccato dall'irrazionale influenza dello zio Mason, ha maturato nei suoi confronti un aspro disprezzo ed è diventato un maestro elementare, un adulto che segue con convinzione le orme della ragione e della scienza, e non quelle incerte e indefinite della fede; ha sposato un'assistente sociale, la quale però lo ha mollato con un figlio da crescere.
Il figlio in questione è un bimbetto dai capelli biondissimi (bianchi, praticamente) e affetto da ritardo mentale.

A sua volta, Francis è stato portato via dalla casa di Rayber (che lo aveva accolto dopo che il nipote era rimasto orfano) quand'era piccolino ed è stato allevato ed educato da zio Mason, sempre convinto di essere un profeta dell'Eterno in stile Antico Testamento.

Mason ora è un ultraottantenne e la fissa di battezzare per far nascere altre persone a nuova vita non l'ha abbandonato, anzi.
Ha un'ultima missione da compiere e cascasse il cielo se non la porterà a compimento: battezzare un altro membro della famiglia, vale a dire Bishop, il figlio deficiente di Rayber.
Se c'è da rapire il marmocchio pur di versargli qualche benefica goccia in testa, che rapimento sia.

Certo, gli anni passano e la "vecchia signora" s'avvicina, ma Mason non si preoccupa: se dovesse morire prima di aver battezzato Bishop, sarà il giovane Francis (suo unico e discepolo e futuro profeta) a farlo al posto suo.
Dopotutto, a differenza di Rayber, Francis è rimasto in casa sua e Mason non ha esitato a sparare al maestro, quando questi ha provato a riprendersi Francis.

Ora il nipote ha quattordici anni, è un ragazzetto burbero, scontroso, taciturno, sempre con la fronte aggrottata e un cappellaccio sul capo a coprirgli quella testolina gravida di tanti e cupi pensieri.

Francis è venuto su ascoltando le folli storie raccontategli dal vecchio prozio, che gli ha sempre parlato male di Rayber, ed infatti il ragazzino detesta lo zio maestro e non prova che risentimento (perché non ha fatto di più per sottrarlo a Mason?) e ostilità verso di lui.

Quando il "profeta" anziano muore mentre è seduto a far colazione, il profeta giovane ne brucia il corpo assieme alla casa.
Solo e arrabbiato, Francis Tarwater va dal maestro, che lo ospita a casa propria quando apprende (con sollievo) della morte del vecchio pazzo.

Rayber esulta dentro di sé: finalmente Mason non c'è più e con lui sono morti anche i suoi irrazionali e sciocchi insegnamenti sulla religione, su Dio e il battesimo. Ora può prendere con sé il giovane nipote e educarlo, dargli ciò che finora gli è stato negato, avvicinarlo alla civiltà, alla vita sociale, all'istruzione (visto che Francis, fintanto che è stato nella casa sperduta nei boschi con il prozio, ha condotto un'esistenza isolata e selvatica) e soprattutto estirpare dalla sua giovane mente tutte le idee malsane e fanatiche instillategli dallo zio (che sarebbe stato meglio nel manicomio in cui, per un po', era stato ricoverato) e avviarlo sulla luminosa via della ragione, della scienza, del sapere.
Tutte cose che purtroppo non può fare con Bishop, il cui scarso intelletto non permette di apprendere granché...

Ma il suo ottimismo da insegnante in cerca di un allievo volenteroso da plasmare si scontra con la realtà: Francis lo odia, lo disprezza, lo ritiene un rammollito, un debole (l'handicap uditivo da cui Rayber è affetto è, per il ragazzo, motivo di scherno), che si è allontanato dalla giusta via della redenzione (nella quale si era avviato grazie al battesimo forzato da parte di Mason a sette anni) per ritrovarsi con un figlio brutto e idiota che, tra le tante disgrazie, non è neppure battezzato!

Rayber capisce che il nipote, benché tanto giovane, ha la stessa mentalità del vecchio e la sua testa è completamente inquinata dagli insegnamenti religiosi; non solo, ma Francis si è messo in testa di far sua la missione di Mason: battezzare il piccolo Bishop.

In realtà, il ragazzo da una parte vorrebbe trovare il coraggio (e l'opportunità, visto che Rayber controlla il figlio affinché non resti solo con Francis e questi non lo battezzi) di sottoporre al sacramento quel cugino scemo e ritardato, dall'altra prova sentimenti di repulsione verso tutti e non riesce ad interagire con le altre persone, se non aggredendo e rispondendo in modo sgarbato, rifiutando ogni minimo contatto fisico.

Non riesce a comunicare con Rayber, che pure si sforza di essere comprensivo (non è colpa del nipote se è così chiuso e fissato con la religione: è colpa del vecchio pazzo, che gli ha fatto il lavaggio del cervello!) e paziente, di non lasciarsi provocare dalla maleducazione di quel nipote selvaggio e incattivito.
Non riesce a guardare negli occhi il piccolo Bishop che, al contrario, si affeziona inspiegabilmente a quel nuovo inquilino, vorrebbe abbracciarlo, lo segue ovunque vada... ma viene scacciato in malo modo da un Francis nervoso, scostante, che non vuol essere neppure sfiorato.
Non riesce neppure a fare i conti con i propri elementari bisogni: non ha cura del proprio corpo né di ciò che indossa, e non riesce a mangiare, pur avvertendo i morsi della fame. Vuole tirar fuori il marcio che Mason gli ha infilato dentro a forza ma non è disposto a sostituirlo con null'altro; anche il fatto di aver accettato la missione del prozio (battezzare Bishop a qualunque costo) non ha nulla a che fare con una fede pura o con un vero convincimento personale, tant'è che non ha alcuna voglia neppure di frequentare altri con cui condividere la fede.

È come se Francis odiasse non solo gli altri, ma prima di tutto sé stesso; a tenerlo vivo sono emozioni e stati d'animo negativi, che lo divorano e lo rendono sempre arrabbiato e pronto a commettere anche gesti sconsiderati pur di portare a termine ciò che si è prefisso.
C'è solo una "persona" con cui riesce a dialogare ma non è reale: è una sorta di amico immaginario, un forestiero, che gli parla, lo provoca, gli fa domande invadenti, cerca di convincerlo a fare delle cose invece che altre. 

Tra il maestro e il nipote ha inizio una guerra senza esclusione di colpi, nella quale il razionale Rayber cerca in ogni modo di riportare Francis alla ragione e alla normalità, di insegnargli qualcosa di utile a vivere in questo mondo (e a non pensare a quell'altro mondo, popolato da esseri spirituali e superstizioni irrazionali) mentre nella mente del ragazzo continuano a risuonare gli insegnamenti di Mason.

Deluso e frustrato, il maestro dovrà combattere contro l'ossessione di Francis di voler battezzare Bishop; certo, non credendo nella sacralità del gesto, Rayber potrebbe accontentarlo e lasciarglielo fare, convinto com'è che nulla cambierebbe nell'esistenza dell'inconsapevole bambino, che ritardato è e ritardato resterebbe; ma per lui è una questione di principio: nulla che abbia a che fare con le idee di quello zio pazzo e fanatico deve varcare la soglia di casa sua.
Lui se n'è liberato (anche se Francis è convinto del contrario e non fa che ripeterglielo, con soddisfazione e cattiveria) ed è intenzionato a liberare anche il nipote, che è ancora giovanissimo e può essere aiutato.

Francis odia quello zio senza carattere e quel suo figlio senza cervello, ma non li lascia, resta in casa loro, segue Rayber nelle sue attività e intanto il pensiero di fare qualcosa al povero Bishop (non necessariamente battezzarlo, anzi, Francis cerca di non cedere a questa oscura tentazione) continua a mulinargli in testa.
Riuscirà ad averla vinta? O sarà Rayber a trascinare quel ragazzetto sporco, intrattabile e spigoloso verso la civiltà e la ragione?

"Il cielo è dei violenti" è considerato il capolavoro della scrittrice statunitense Flannery O'Connor (1925-1964) e in queste pagine l'autrice racconta la storia di una famiglia spezzata, divisa da convinzioni di fede non sane, fondamentaliste, le quali - lungi dal seminare e far crescere affetto, comprensione, protezione, amore - generano divisioni, rapimenti, costrizioni, manipolazioni, rabbia e odio.

Lo stesso Rayber, che pensa di essere un adulto scolarizzato e "illuminato" dalla ragione, ha la sgradevole percezione di essere diviso in due e che in lui coabitino un "sé violento" e uno "razionale"; vorrebbe convincersi di essere fuggito indenne dalle grinfie di quel vecchio zio ossessionato dalla religione, ma in realtà cova dentro di sé le conseguenze di quel rapporto famigliare nefasto; questa dualità piena di contraddizioni la replica anche nel suo legame con il proprio figlio, Bishop: lo ama eppure ci sono momenti in cui non lo sopporta e vorrebbe non esistesse.

La sensazione di avere un'anima divisa in due è presente anche in Francis Tarwater, che non si sente chiamato da Dio a fare un bel nulla, ma semmai indotto dall'uomo che l'ha cresciuto a portare avanti la sua missione; egli sente da una parte la voce insidiosa di quello zio profeta e dall'altra quella ancora più insidiosa e terribilmente seducente dell'amico invisibile (il diavolo?), che non gli dà dei buoni consigli.

La O'Connor non prende in giro la religione (descritta comunque nella sua versione più fanatica, irragionevole e aggressiva) ma ci racconta di come essa influisca sulla psicologia dei suoi personaggi, generando in loro violenza e persino follia.

Che ci siano episodi di violenza è chiaro sin dal titolo, che nell'originale è "The violent bear it away" e riprende un versetto del Vangelo di Matteo: "Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono" (cap. 12, v.11): bimbi rapiti o usati dagli adulti per fini non sempre nobili o spirituali, omicidio, stupro, incendi.
 
I romanzi che in qualche modo ruotano attorno al tema fede-religione vs ragione mi interessano sempre molto e la scrittrice pone l'aspetto religioso (lei era cattolica) alla base di questa storia; mi piace il modo realistico e vivido con cui descrive le ambientazioni (campagna, sud degli Stati Uniti) e i personaggi, i quali non sono perfetti, tanto meno sono "in odor di santità", neppure quelli convinti di esserlo e che nominano sempre Dio, Gesù e la Bibbia: il vecchio Mason non ha tutte le rotelle a posto ed è stato in manicomio; Francis ha problemi di natura emotiva e cova dentro molta rabbia e rancore; Rayber è diventato sordo a un orecchio e porta l'apparecchio acustico; Bishop è mentalmente ritardato. Sono esseri umani fragili, problematici, alienati, grotteschi.

Consigliato a chi ama le storie con personaggi difficili, disadattati, che faticano a stare al mondo e che vorrebbero trovare un qualche conforto e guida (o redenzione?) in qualcosa di superiore, che sia la religione o la ragione.

8 commenti:

  1. Un romanzo molto interessante che mi attira ed una recensione ancora una volta di grande spessore.

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    1. ciao Daniele, grazie. E' un'autrice che merita attenzione :)

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  2. Ciao Angela, non conoscevo questo romanzo e non fa parte del mio solito genere di letture, ma sembra molto particolare e affronta un tema decisamente attuale e di grande spessore...

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    1. Certo, la fede che si scontra con la ragione è qualcosa che attraversa tutta la storia dell'Uomo, dall'antichità ad oggi.
      Ciao Ariel :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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