Cari amici e readers, il libro di cui desidero parlarvi oggi non è un romanzo, anche se a volte la vita fa dell'esistenza di certe persone qualcosa di ben più complesso di un romanzo; si tratta della biografia sull'ultimo re d'Italia, Umberto II di Savoia.
UMBERTO II. Il dramma segreto dell'ultimo Re
di Gigi Speroni
Ed. Rusconi 369 pp 1992 |
Siamo quindi nel marzo 1983, il Re è nella bara, che sta per essere chiusa e sigillata, e ai suoi piedi, oltre ad esserci la terra delle regioni italiane - di quel Paese natio e amatissimo, al quale ha dovuto dire addio - c'è il sigillo che sancisce l'autorità regale esercitata da un sovrano.
Il re l'ha voluto portare con sè perchè nessun altro dopo di lui potesse servirsene.
La storia dell'ultimo sovrano d'Italia si arresta lì, nell'Abbazia di Altacomba (non lontano da Ginevra); la storia di un "gentiluomo molto sfortunato" (per citare Giulio Andreotti), che trascorse 37 anni della sua vita (poco meno della metà, visto che è morto a 78 anni) in esilio.
Umberto nasce a Racconigi il 15 settembre 1904, terzogenito del re Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro.
Leggendo le dettagliate pagine di questo libro, ci viene dato modo non soltanto di fare un ripasso di Storia Contemporanea italiana dagli inizi del '900 all'immediato periodo successivo al secondo conflitto mondiale (fino ad allungarci, negli ultimi capitoli, al 1983, anno della morte del sovrano), ma soprattutto apprendiamo quella che è stata la vita di quest'uomo che,
"passando attraverso due conflitti mondiali, una dittatura e la guerra civile assieme a tutti i personaggi che hanno fatto questo nostro secolo (...) ha recitato la sua parte".
Leggiamo della sua nascita, di come essa sia stata accolta con un sospiro di sollievo dai genitori e dalla Nazione intera, visto che l'attesa di un erede al trono - dopo le due femminucce Jolanda e Mafalda - stava mettendo tutti un po' in ansia; leggiamo della sua adolescenza, i cui anni sono stati "segnati" da un'educazione molto rigida, militaresca, affidata ad un ammiraglio dalla mentalità prussiana.
Sin da giovanissimo, Umberto manifesta una personalità complessa, piena di contraddizioni: è introverso, apparentemente impassibile ma in realtà molto sensibile, afflitto da tormenti interiori e preda di stati d'animo altalenanti.
Il primo incontro con la ragazzina che diventerà sua moglie anni dopo - Maria Josè, figlia del re del Belgio - avviene nel febbraio 1918: lui ha 13 anni, lei 11; più diversi caratterialmente non potrebbero essere.
Tanto è riservato e serioso lui (almeno nelle "sedi ufficiali", perchè in realtà, in compagnia degli amici, è goliardico, ironico, divertente, forse anche troppo, visto che dopo le nottate all'insegna dei divertimenti, pare facesse penitenza...), quanto è ribelle e "selvaggia" lei; tanto lui ha ricevuto un'educazione rigidissima, da principino impettito e distaccato, quanto lei ne ha ricevuta una permissiva e molto più "libera".
Umberto e Maria Josè: due vite parallele ma diametralmente opposte, e in particolare dopo la caduta della Monarchia, questo desiderio/bisogno di vivere separati verrà fuori in modo netto e chiaro, quando cioè ormai l'etichetta, il formalismo, le apparenze, la necessità di mostrare al mondo la coppia/famiglia felice non ci sarà più, tant'è che lui si rifugerà in Portogallo e lei in Svizzera, dopo aver lasciato l'Italia..
Ciò che emerge circa il rapporto tra Umberto e la vita politica del Regno d'Italia, è che il principe non potè mai occuparsene fintanto che a governare c'era il Re suo padre; "I Savoia regnano uno alla volta" era il motto di Casa Savoia, per cui, se anche Umberto, nel corso del tempo e in momenti particolarmente critici, avesse mai avuto un'opinione nettamente diversa da quella paterna, una posizione politica o una proposta da fare che contraddicevano il padre, mai si sarebbe permesso di parlarne ad alta voce, di osare disubbidire a Sua Maestà.
Verso il padre, infatti, Umberto mantenne sempre un atteggiamento di assoluta sottomissione, di obbedienza non solo a Vittorio Emanuele in quanto genitore, ma anche in quanto Re.
Vero è che da questo ritratto non vediamo un uomo dal carattere particolarmente forte, volitivo, capace di tenere testa a personaggi come, uno su tutti, Benito Mussolini.
A dirla tutta, anche il padre, chiamato il "Re soldato", non mostrò grande carattere da guerriero quando avrebbe dovuto: nei difficili anni in cui il fascismo cominciava ad insinuarsi velenosamente nelle pieghe del nostro Paese e del Governo, infatti, ci stupisce e ci fa anche indignare un po' l'ostinatezza di questo Re che non ha voluto aprire gli occhi sul pericolo costituito da quell'uomo che per 21 anni governerà l'Italia insieme a lui, in una diarchia che non porterà che lacrime e sangue alla popolazione italiana.
Un re cieco e sordo, insomma, che - nascondendosi dietro la motivazione (o la scusa?) di non poter parteggiare per un'ideologia politica piuttosto che per un'altra, convinto che spettasse a Camera e Senato agire eventualmente contro Mussolini, perchè lui doveva mantenersi super partes - alla fine non trovò mai il coraggio di opporsi al fascismo in modo aperto e inequivocabile...
Che la Monarchia non simpatizzasse troppo con e per Mussolini e la sua ideologia, pare ormai un dato di fatto (o forse no? Immagino che su questo ci siano opinioni discordanti...), e l'antipatia era decisamente ricambiata dal duce che, se avesse potuto, si sarebbe volentieri liberato di quel re piccolo e debole che mal sopportava; per non parlare di quel principe che lui reputava insignificante e senza personalità.
Anche nei drammatici anni della seconda guerra mondiale, il re tardò ad intervenire contro Mussolini, convinto che qualora lo avesse fatto, il rischio sarebbe stata una guerra civile fratricida, che lui desiderava evitare al suo Paese.
E Umberto, cosa ne pensava?
"Per me, l'Italia e basta!".
Umberto continuò a stare tra le fila dell'esercito e combattere per la Patria come un comune soldato, pur non essendolo: avrebbe dovuto, infatti, ragionare come erede al trono, preoccupandosi del futuro del proprio Paese e della Monarchia stessa, ma così non fu...
Quando le cose precipitarono, partendo dal 25 luglio e passando per l'8 settembre 1943, la decisione del sovrano di lasciare Roma (nel caos più totale) per poter continuare a governare il Paese senza rischiare di finire in mano ai tedeschi, segnò la fine del regno dei Savoia.
Forse se Vittorio Emanuele avesse abdicato prima o se Umberto avesse insistito per restare nella capitale (disobbedendo agli ordini paterni, cosa che mai si sognò di fare in vita sua), la storia sarebbe andata diversamente? Il futuro della Monarchia sarebbe comunque passato per il referendum del 2 giugno 1946, che vide gli italiani decidere tra essa e la Repubblica?
"Ripercorrere quei giorni vuol dire rileggere centinaia di memorie spesso viziate da tesi precostituite o dal tentativo di difendere i propri atti, ascoltare testimonianze a volte annebbiate da ricordi troppo lontani. Ma il tempo ci può anche aiutare perchè, come diceva Voltaire, "è un galantuomo e mette ogni cosa al suo posto". E se è vero che la Storia la fanno gli uomini e i fatti da loro determinati, possiamo tentare di avvicinarci alla verità semplicemente raccontando di quegli uomini e di quei fatti dopo aver cercato di sfrondare il vero dal falso con la maggiore ragionevolezza possibile".
Ed è quello che ha provato a fare il giornalista Gigi Speroni (morto nel 2010) raccontandoci la vita dell'ultimo Re, ricordato come il "Re di Maggio" (regnò dal 9 maggio al 13 giugno 1946, anche se in pratica lo fece dal giugno 1944, quando cioè fu nominato Luogotenente, esercitando di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità e il titolo di re, che restò al padre fino all'abdicazione), che ebbe... la sfortuna (?) di portare su di sè colpe non sue e ne pagò le conseguenze in modo drammatico e irreversibile.
Il ritratto che ne vien fuori è quello di un uomo che Re lo era per quel senso di dignità che non lo abbandonò mai, un uomo che Re lo era nel sangue, prima ancora che per educazione e per tradizione famigliare; fu molto amato ed ammirato dai più (dal popolo, quanto meno, poi i nemici ci sono sempre...) per il suo aspetto attraente ed elegante, il suo sorriso sereno, i suoi modi sempre galanti ed educati, tutte virtù morali che mantenne in ogni circostanza, anche quando la sorte cominciò ad essergli crudelmente avversa.
Lo fu anche in esilio, e dal Portogallo non smise mai di pensare alla sua amata Italia, con la speranza di tornarci (da vivo possibilmente, cosa che non si avverò).
"Gli italiani sono dei sentimentali. Io, qui, continuo e debbo continuare ad essere re."
"Non sono un sentimentale. Lo fossi non avrei sopportato 27 anni di esilio. Nessuno conosce l'Italia, angolo per angolo, quanto me. Nessuno immagina quanto io la rimpianga. C'è nella lingua portoghese una parola, saudade, che è qualcosa di più che rimpianto, qualche cosa di più che nostalgia.. E' intrisa di dolore."
Leggendo queste pagine, la figura dell'ultimo Re d'Italia mi ha fatto una certa tenerezza e il pensiero di lui morto in terra straniera, come un profugo senza patria, anzi cacciato da essa e costretto a non mettervi più piede, ha messo un po' di malinconia.
Ma sentimentalismi a parte... Potrei dirvi ancora altro, perchè ce n'è di materiale, ma concludo dicendo che la lettura di libri come questi - che in certi momenti sanno inevitabilmente un po' di lezione di Storia a motivo delle tante date e delle fonti citate e riportate - ci fa riflettere sulla nostra storia passata, neanche tanto lontana da noi, su cui è giusto che maturiamo conoscenze e pareri personali, fondati e sensati, e non semplicemente frutto di pregiudizi.
Ammetto di essermi accostata a questo libro con il "presentimento" che fosse "filomonarchico" e quindi poco obiettivo, ma mi son ricreduta strada facendo; dell'operato dei Sovrani non vengono affatto nascosti gli errori e le responsabilità, senza con questo "sparare a zero" sugli stessi. Del resto, una delle considerazioni finali che ne ho tratte è che, se di errori (e di portata rilevante) sono stati fatti sicuramente dagli ultimi Savoia regnanti, è pur vero che sono stati tutti pagati, e a caro prezzo.
E non solo dai protagonisti, ma anche dai discendenti, per decenni.
E' una lettura che consiglio chiaramente a chi ama la Storia e, in particolare, a chi nutre qualche curiosità su una delle dinastie reali più antiche d'Europa, che sicuramente riguarda molto da vicino il nostro Paese e quello che è oggi, nel bene e nel male.