sabato 17 aprile 2021

Recensione: DOVE STA IL LIMITE di Raja Shehadeh



A chi gli chiedeva di cosa parlasse il suo libro, Shehadeh rispondeva "che era incentrato sulla perseveranza (sumoud) usata come strategia di resistenza civile. (...) Noi palestinesi avevamo deciso di rimanere dov’eravamo nonostante tutti gli sforzi da parte degli occupanti di renderci la vita difficile per spingerci ad andarcene."
In che modo l'occupazione israeliana lo ha colpito, incidendo sulla sua vita, la sua quotidianità, i suoi rapporti interpersonali e, in particolare, sulla sua amicizia con l'israeliano Henry?
Il giornalista palestinese ne parla tra queste pagine, raccontando le peripezie che ha dovuto attraversare all'interno di Israele per un periodo di quarant'anni, per visitare amici e familiari, per provare semplicemente a godersi il mare, per discutere davanti ai tribunali dell'occupante e negoziare accordi di pace fallimentari.



DOVE STA IL LIMITE
di Raja Shehadeh


Einaudi Ed.
trad. G. Garbellini
192 pp
Raja Shehadeh vive a Ramallah in Cisgiordania, è un avvocato che sin da giovane si è dato da fare per impedire il sequestro delle terre palestinesi e favorire la pace e la giustizia nella regione. 
Conosce Henry, un ricercatore ebreo canadese, e con lui stringe una sincera amicizia, che però negli anni incontra non pochi ostacoli,  riassunti in un'unica domanda, che tormenta e fa indignare Raja: come può Henry, che si dichiara suo amico, accettare con (complice?) rassegnazione la situazione insopportabile che i palestinesi vivono giorno per giorno nei Territori occupati da Israele? 
È vero, Henry condanna la politica colonialista del proprio Stato, egli considera i palestinesi suoi fratelli ed auspica la pace tra i due popoli... ma questa sua posizione a Raja risulta alquanto blanda, di chi ammette sì l'ingiustizia, a parole magari la condanna pure... ma la "lotta" inizia e finisce là, senza che ne segua alcuna concreta azione di protesta.

I due uomini ci provano ad essere amici lasciando fuori la "questione israelo-palestinese", ma come si fa? Quando la vita  diventa sempre più insopportabile nella Palestina occupata, è impossibile sfuggire alla politica e al passato. 

Ed è su questo limite che separa i due popoli, che si gioca e che vive quest'amicizia, inevitabilmente messa a dura prova e oscurata da una realtà che non poteva essere ignorata:

"L’occupazione si stava trasformando in un regime coloniale che ci privava della nostra terra e affidava le nostre risorse naturali, i nostri terreni e la nostra acqua ai propri cittadini. Influenzava le nostre vite in ogni modo, grande e piccolo, e restringeva le nostre prospettive. Per combattere questo stato di cose, noi palestinesi fummo costretti a cavarcela da soli. "

Raja lo sa che il suo amico non è, di certo, direttamente responsabile delle sofferenze del popolo palestinese, eppure con il continuo furto delle loro terre, le restrizioni sulla vita quotidiana e l’incessante creazione di insediamenti ebraici, gli risultava difficile tenere dissociato Henry da tutto questo.

Le persone che hanno deciso di restare sotto il dominio israeliano, sia nello Stato di Israele sia nei Territori occupati - seppur risparmiandosi la drammatica esperienza dell'esilio -, hanno esercitato uno sforzo non indifferente per costruirsi una vita sotto regimi che cercavano di cacciarli via e, ancor di più, per restare aggrappati alla propria identità di palestinesi; con Henry, Raja discute di 

"identità: di come Israele fosse riuscito a forgiarsi un’identità nazionale e la Palestina no. Di fatto, la Nakba aveva smantellato società palestinese".

Per la sua gente, non era stata solo una questione di perdite materiali (nel corso degli anni successivi alla Catastrofe del 1948 - la Nakba -, che vide circa 750 000 palestinesi costretti ad abbandonare le loro case, i villaggi arabi sono stati rasi al suolo) ma piuttosto della negazione della loro stessa esistenza come nazione.

La strategia delle autorità militari israeliane era volta a soffocare lo sviluppo palestinese, ad esempio rifiutando le autorizzazioni indispensabili alla costruzione delle infrastrutture necessarie agli investimenti e al progresso economico.

"La presenza ebraica in questa terra si è rivelata essere non soltanto culturale, come speravi tu. È una presenza coloniale."

Raja riconosce al proprio popolo una forza che poggia sulla capacità di sognare nonostante tutto, di rifiutare una realtà povera e difficile e di vivere come se tutto potesse cambiare da un giorno all’altro. Del resto, se non avessero coltivato questo pensiero, avrebbero abbandonato la lotta da tempo.

Leggendo, proviamo insieme all'Autore la sua (in)sofferenza nel camminare su quelle terre con la sgradevole sensazione di varcare il confine di territori a lui proibiti, e immaginiamo quanto sia difficile vivere nella terra in cui si è nati e vederla, da un certo momento in poi, costantemente occupata da migliaia di soldati che  attraversano città, villaggi e campi profughi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, "infrangendo le norme accettate sui diritti umani, fermando i passanti per umiliarli (come non di rado è capitato allo stesso Raja), percuoterli o arrestarli, sparando sui dimostranti disarmati e imponendo lunghi coprifuoco a intere comunità".

Uno dei punti cruciali, su cui insiste Shehadeh, è la necessità di ricordare: la memoria è un fatto politico in Israele e in Palestina e il  non voler ammettere le atrocità del passato è poi la chiave fondamentale (e forse anche la sola) per riconoscere i crimini commessi dai coloni ebrei.

"Nessuno può costruire la propria felicità a spese delle sofferenze altrui... (...) Non c’è pace che si possa costruire sull’occupazione delle terre altrui, altrimenti non sarebbe pace autentica... In tutta sincerità, vi dico che non ci può essere pace senza i palestinesi."


La narrazione si muove in un tempo piuttosto lungo, che va dal 1959 al 2013, e in uno spazio che va da Tel Aviv a Jaffa, dandoci un quadro nitido dell'evoluzione della situazione dei palestinesi nei Territori occupati e lo fa partendo da un'amicizia, che ora viene percepita come essenziale ed importante (troppo perché l'appartenenza a due popoli tra loro vicini ma nemici la spezzi), ora è reputata amaramente e con dolore un "lusso" che lui, Raja, non può permettersi.

Eppure, nonostante i dubbi, le lacrime,  le domande, il risentimento e l'irritazione  provata spesso verso l'amico e pur restando sempre lucidamente consapevole di come non possa ignorare la triste realtà quotidiana vissuta in Palestina, tra queste pagine emerge un ulteriore dato di fatto: anche nelle circostanze più cupe è possibile che i legami veri vadano oltre le divisioni politiche.

"Dove sta il limite"  ci racconta, con una scrittura personale, di cui avvertiamo tutta la tensione emotiva e la passione e la rabbia legate all'argomento occupazione, come un'amicizia in una terra divisa venga necessariamente influenzata; se così non fosse - se Raja non avesse, negli anni, visto, individuato e nominato le "crepe" nel suo rapporto con Henry, decidendo magari di viverlo senza troppi strascichi, con una leggerezza infantile, cieca, sciocca, di chi non chiama i problemi per nome e finge di non vederli per non dover discutere, litigare - ciò sarebbe indice di un legame debole, fiacco.
Ma così non è, evidentemente, e le fragilità di quest'amicizia nei tempi bui ne mettono in risalto la complessità, l'umanità, la forza, la sincerità, l'indissolubilità.

Shehadeh ci restituisce una cronaca appassionante e dettagliata degli effetti devastanti dell’occupazione anche negli aspetti più personali della vita quotidiana e lo fa con una penna lucida e vivida, alcune volte ironica e altre malinconica, ma sempre chiara, onesta e coraggiosa, che induce il lettore a chiedersi se tra coloro che oggi si considerano reciprocamente nemici l'un dell'altro, ci possa essere concretamente la prospettiva di un futuro comune insieme.

Una lettura molto interessante, che stimola a riflettere (e, chissà, magari a cercare notizie e ad informarsi personalmente) su una questione umana, sociale e politica che purtroppo non smette di essere attuale e oltremodo delicata e controversa.
Consigliato!!

giovedì 15 aprile 2021

Recensione: CHIARO DI LUNA di Paolo Biagioli



Ci sono amori che prendono posto nel nostro cuore e lì restano, resistendo al tempo, alle distanze, alle circostanze (belle e brutte) della vita che, se dà, altrettanto toglie.
Qualcuno ha detto che il primo amore non dura per tutta la vita (a volte può succedere, aggiungo io) ma te la cambia per sempre.
Al protagonista di questo romanzo accade proprio questo.


CHIARO DI LUNA
di Paolo Biagioli


104 pp

Cosa c'è di più tremendo per uno scrittore che sentirsi poco ispirato e non riuscire a buttar giù un libro che possa piacere e quindi vendere?

A trentanove anni, Pietro Marras sembra aver smarrito la vena creativa necessaria ad uno che di scrittura vuol campare, visto che il suo secondo libro è stato un grosso fallimento in termini commerciali; per tirare avanti, comunque, lavora presso una testata giornalistica locale.
Vive e lavora a Vercelli con Chiara, sua moglie, e un giorno di dicembre il suo cuore gli tira un brutto scherzo: viene colpito da un infarto ed è il terzo episodio in quattro anni.

L'immobilità lo costringe in ospedale, dove - solo con se stesso -  torna con la mente indietro nel tempo.

A dargli il la perché i ricordi facciano capolino ed egli si lasci andare alla nostalgia del tempo andato, è un articolo presente su una rivista poggiata accanto al letto; essa narra la leggenda del filo rosso che tiene legate due anime gemelle per sempre, qualunque cosa succeda.

Un po' come accadde a Proust, cui bastò il dolce e noto profumo di una madeleine immersa nel tè per riannodare il filo della memoria, pensare a quel filo rosso fa sì che il nostro giovane protagonista  si senta avvolto da un'ondata di ricordi che salgono su da un passato di ventidue anni prima, pronti a riscaldargli il cuore d'amore, di quell'amore provato per una ragazza che non ha mai dimenticato.

Era l'anno del quarto liceo e Pietro trascorreva il tempo assieme alla sua compagna ed amica del cuore, la dolce Clem.

Siamo verso la fine degli anni '90, i due adolescenti si barcamenano tra la scuola (i professori - alcuni molto severi -, le interrogazioni, le ricerche...) e i loro innocenti sogni giovanili; Pietro, ad es., ama suonare e vorrebbe poter comperare una chitarra; per aiutarlo, Clem chiede al padre Claudio (proprietario di una pasticceria) di assumere l'amico, così che questi possa guadagnare qualcosa e metterlo da parte per acquistare lo strumento.

Il legame tra i due ragazzi è fatto di dolcezza, lealtà, complicità, sorrisi, scherzi; si piacciono ma, un po' per timidezza e un po' perché, forse, temono di rovinare una bella amicizia, non si dichiarano; ma il tempo trascorso insieme è prezioso, speciale, che sia al cinema o a studiare o, ancora meglio, sulla spiaggia, al chiaro di luna e sotto un manto di stelle, silenziosi testimoni di un sentimento puro che ben presto assume i contorni di un amore giovanile.

Clem e Pietro si conoscono bene, sanno praticamente tutto l'un dell'altro, basta uno sguardo per intendersi, un abbraccio per sentirsi al sicuro; se si danno appuntamento, sanno che l'altro si presenterà puntuale e senza ombra di dubbio.

Sarà per questo che quando Clem non si presenta la mattina al solito posto per andare a scuola insieme, Pietro è perplesso e cerca di dire a se stesso che non c'è di che preoccuparsi, che può capitare un imprevisto..., capita a tutti, no?

Ma quello che Pietro apprenderà è che sì, la vita è fatta di imprevisti, e non solo: anche di brutte sorprese, di eventi drammatici inaspettati che scombussolano più di un'esistenza. 
Eventi irreversibili che lasciano vuoti incolmabili, che segnano per sempre.
Perché anche se la vita deve andare avanti nonostante i dolori e le disgrazie, quel filo rosso che unisce due cuori gemelli non si spezza col passare degli anni, e dopo ventidue anni, infatti, Pietro si lascia ancora travolgere dalle forti emozioni che gli suscita la sua dolce Clem, il cui ricordo è incancellabile nella mente e nel cuore di chi, come Pietro, l'ha amata.

Chiaro di luna è un romanzo breve ma che sa regalare belle emozioni; l'immediatezza e la semplicità di linguaggio lo rendono molto scorrevole e ci restituiscono tutta la spontaneità e la spensieratezza di due adolescenti di fine Anni Novanta, così belli e giovani, con tutta la vita davanti. Spensieratezza che contrasta con l'animo pesante e stanco di Pietro adulto, che deve fare i conti con un cuore capriccioso e un presente non proprio soddisfacente.

Quello tra Pietro adolescente e la sua Clem è un amore dolce, fresco, giovanile, romantico, e il romanticismo dell'Autore, lungi dall'essere sdolcinato, sa emozionare con naturalezza e perché al centro vi è una storia di sentimenti autentici ed intensi; non è tutto "rose e fiori", tra queste pagine, perché è proprio la vita a non esserlo: c'è il dolore, la solitudine, il bisogno di ricominciare a vivere, di mettere su carta il fiume di emozioni che, se non espressi, finirebbero per travolgere il protagonista, che nelle ultime pagine saluta il lettore con parole d'amore piene di nostalgia e dolcezza verso l'amata mai dimenticata.

Una lettura che consiglio, tanto più se avete voglia di una storia d'amore dolce e malinconica, scritta bene e che mi ha fatto venir voglia di ascoltare brani musicali di qualche anno fa ma, in realtà, intramontabili.




domenica 11 aprile 2021

Recensione: TRADITO! di Stan Telchin


Questa è la testimonianza di fede di Stan Telchin, un ebreo che va in crisi profonda dopo aver ricevuto una notizia sconvolgente: sua figlia Judy è diventata un'ebrea messianica, crede in Gesù come Messia. per Stan è l'inizio di una vera e propria ricerca, volta inizialmente a confutare sua figlia e a dimostrarle che sta sbagliando, che Gesù non è il Messia; ma non sa che questo lo porterà verso una personale ricerca delle proprie radici e identità ebraiche e a una vera e propria rinascita spirituale.

TRADITO!
di Stan Telchin 



I Telchin sono una famiglia ebrea molto unita, benestante, serena; a Stan e sua moglie Ethel - insieme alle loro figlie Judy ed Ann - non manca nulla e non potrebbero condurre una vita più soddisfacente.
Fino al giorno in cui una telefonata sconvolge tutti gli equilibri.
La figlia maggiore Judy ha una confessione da fare ai genitori: ha fatto un'esperienza unica e importantissima, che le ha cambiato la vita. 
Ha riconosciuto Gesù quale Messia.
È quindi diventata... un'ebrea messianica.

Stan è allibito: Judy è forse impazzita? Come può un ebreo credere nel Gesù dei Cristiani, rinnegando di fatto le proprie radici, l'identità e la storia del popolo a cui appartiene?

La reazione dei famigliari è di completa disapprovazione per questa "conversione" della ragazza, che però, per quanto dispiaciuta all'idea di deludere e dare loro un dolore, è consapevole della propria scelta e di come questa sua fede nel Messia sia per lei l'inizio di una nuova nascita, di una nuova vita.

Stan è un uomo colto, intelligente e non si dà pace: deve capire perché la sua bambina - da loro tanto amata e che altrettanto intensamente ama i propri cari - si stia comportando così: a cosa è dovuto questo cambiamento che egli considera inappropriato per un ebreo? 

Si convince quindi della necessità di indagare, di capirci di più: Judy ha deciso di credere nel Gesù del Nuovo Testamento? Bene! Allora è da lì che egli partirà per smontare ogni falsa convinzione che ha portato la figlia a prendere questo grosso abbaglio.

Inizia così un periodo di studio, una full immersion nella lettura del Nuovo Testamento, che porterà Stan a comprendere e conoscere la figura di Gesù di Nazareth come mai avrebbe pensato che fosse possibile: Gesù non ha portato nulla di opposto e di antitetico rispetto al Giudaismo (per quanto, ovviamente, gli ebrei del suo tempo, come i farisei, lo abbiano considerato un rivoluzionario, uno che voleva abolire la Legge e i Profeti). Egli era ebreo, viveva in un contesto ebraico, osservava tradizioni e festività giudaiche..., i suoi discepoli erano anch'essi ebrei...: insomma, altro che due binari paralleli inconciliabili e che non si incontrano! 
Giudaismo e Cristianesimo sono strettamente e intimamente collegati e un ebreo che crede in Gesù quale suo Messia non smette certamente di essere ebreo e non deve rinnegare assolutamente nulla della storia e dell'eredità antica del proprio popolo.

Questa è la storia toccante di un brav'uomo e della sua famiglia; di un ebreo che, in fondo, aveva perso il senso dell'appartenenza alla storia del popolo ebraico e che s'era allontanato da tutto ciò che avesse a che fare con Dio: osservava tradizioni giudaiche senza vederci, in esse, nulla di "divino".
A un certo punto, infatti, Stan dovrà trovare il coraggio di chiedersi: "Ma... io credo in Dio?  Chi è Dio per me?".

Quello di Stan è un percorso di rinascita, di riscoperta di quel Dio della Torah che, negli anni, nella sua famiglia era stato tenuto lontano, come se fosse ormai qualcosa di vago, di poco concreto, che nulla più a che vedere con il presente degli ebrei (sparsi per il mondo).

La storia di Stan è la storia di conflitto e di una conseguente guarigione.

Con lo scopo (e l'atteggiamento irritato) di chi vuol capirci di più per controbattere alle nuove convinzioni della figlia e dimostrarle che sta sbagliando, l’autore comincia una ricerca ritornando indietro nel tempo. 
Lungo il cammino deve affrontare sfide personali che richiedono una risposta che cambia la vita. 

È stato davvero interessantissimo leggere le graduali scoperte di quest'uomo assetato di risposte, e con lui ripercorrere alcune tappe e i principali fatti che hanno portato alla triste separazione del Giudaismo dal Cristianesimo; è stato emotivamente coinvolgente seguire i suoi tormenti, i suoi dubbi, le sue incertezze e la progressiva presa di coscienza di chi sia questo Gesù e del perché lui, da ebreo, non fa un torto a se stesso, alla sua famiglia o al suo stesso popolo, credendo in Lui, tutt'altro: ripone fede nelle promesse e nelle profezie scritte nell'Antico Testamento.

Un libro-testimonianza molto scorrevole e intenso.

"...non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco" (Romani 1:16)

sabato 10 aprile 2021

Prossime letture (aprile 2021)

 

Cari lettori, vi presento due libri che ho in programma di leggere prossimamente!

Il primo è NELLE SUE OSSA di Maria Elisa Gualandris (Bookabook, 311 pp., 15 euro). 


Durante un restauro, nella cantina di una villa sul lago vengono trovate ossa umane. Sono lì da almeno 
quarant’anni e nessuno ha idea di chi possano essere. 
La giornalista Benedetta Allegri si imbatte nella vicenda e spera che possa essere l’occasione per rilanciare la sua carriera precaria. 
Aiutata dall’affascinante commissario Giuliani, scopre che le ossa sono di Giulia Ferrari, una studentessa scomparsa nel 1978 che nessuno ha mai veramente cercato. 
La procura ha fretta di archiviare il caso e cerca di far ricadere la colpa su quello che all’epoca era il fidanzato della ragazza.
Benedetta, però, intuisce che la sua tranquilla cittadina di provincia nasconde molti segreti ed è pronta a tutto pur di giungere alla verità e ottenere giustizia per Giulia.

L'autrice.
Maria Elisa Gualandris, laureata in Filosofia all’Università Cattolica di Milano, vive sul Lago Maggiore ed è una giornalista professionista. Scrive di cronaca nera e giudiziaria per diversi media locali. Ogni mattina conduce il programma “Giornale e Caffè” su Rvl La Radio. Nel 2016 ha creato il blog I libri di Meg per condividere la sua passione per la lettura. È stata finalista al concorso “GialloStresa” nel 2013 con il racconto Pesach, pubblicato nell’antologia Giallolago (Eclissi). Nelle sue ossa è il suo primo romanzo
.

*****


L'altro è un romanzo storico ambientato in Basilicata all’epoca dell’Unità D’Italia: LA CONGIURA DELLE PASSIONI di Pietro De Sarlo (Altrimedia Ed., 240 pp. 19 euro).


Dall’Appendice:


“Nello scrivere questo libro mi sono reso conto che l’Italia manca di una memoria condivisa proprio su quello che è stato il suo momento iniziale e fondante: il Risorgimento. Questo non può essere narrato come successione di atti eroici, come hanno insegnato alla mia generazione in tutte le scuole di ogni ordine e grado, ma è uno dei momenti più complessi, tormentati e territorialmente disomogenei della Storia Patria.”


Dalla quarta di copertina:

“Durante i mesi caldi dell'Unità d'Italia, Monte Saraceno, nome di fantasia di un paese dell'Appennino Lucano, è un microcosmo che ricalca i contrasti e le contraddizioni della Penisola. 'U Barone, l'Arciprete, il Notaro papà di Pietrino, 'A Masciara… Ciascuno alla ricerca di un’intesa per il bene della comunità, ognuno confuso ma non (ancora) travolto dagli eventi che agitano il Paese e giungono attutiti fino all’epilogo, senza vincitori né vinti.”

La congiura delle passioni è un romanzo corale, con una ricostruzione storica accurata e lo stile brillante di Pietro De Sarlo.

"Donna Giuditta diede qualche ulteriore istruzione alla figlia più piccola su come camminare senza imbrattarsi la gonna con il lordume presente sulle vie e Pietrino corse in piazza a raggiungere i suoi amici. Non andò però in chiesa, fu catturato dagli eventi che si svolgevano in piazza e dalla vista di Mirna che, al contrario delle usuali domeniche, non aveva il suo pappagallino con i biglietti portafortuna. L’aria era tesa, anzi plumbea. Mirna non aveva il consueto aspetto gioioso ma sembrava triste e lui cercava di capire come fare per correre a consolarla. Anche i suoi amici, di fare i consueti giochi non pareva avessero voglia, per cui rimanevano tutti seduti e in silenzio ad osservare gli eventi su una scalinata che arrivava diretta dalla Chiesa Madre alla piazza. Così, mentre le donne si recavano alla messa, il Notaro spuntò bel bello sotto il palazzo del Barone trovando una scena surreale: il Barone seduto sul balcone, il sindaco, insieme ai decurioni e gli eletti, di fronte e su un lato, alla sua destra, i galantuomini, vicino alla farmacia e di fronte a loro, e alla sua sinistra, una folla che non prometteva nulla di buono."

giovedì 8 aprile 2021

Segnalazione: i libri di Angelica Negretti || Quando leggere contribuisce a una buona causa

 

Buongiorno, lettori!

Oggi desidero presentarvi i libri di un'autrice esordiente; ad essi è collegata un'iniziativa a scopo benefico.

Infatti, acquistando una copia dei romanzi della scrittrice Angelica Negretti, potete contribuire ad aiutare i mici bisognosi di cure, in quanto parte del ricavato delle vendite sarà devoluto a “Miciopolis”, un’associazione di Vigevano che si occupa della tutela del GATTO attraverso la prevenzione del randagismo e l’aiuto delle colonie feline.

Ve ne segnalo un paio, ma QUI potrete dare un'occhiata anche alle altre sue opere.


“It’s Only The Beginning” (Armando Editore, 188 pp, 14 euro, 2019). 

Trama: Konrad, ragazzo estremamente sensibile, è tormentato da misteriosi incubi ricorrenti.
Nonostante tutte le difficoltà che incontra, resiste imperterrito ed affronta la vita con grande coraggio e determinazione.
Solo alla fine, scoprirà di essere in possesso di un dono prezioso, destinato a cambiare per sempre la sua vita.
"Non sempre il male viene per nuocere, talvolta, ne può derivare anche del bene ed essere addirittura un trampolino di lancio per il cambiamento per un nuovo inizio".


"The Choice Is Yours"  (Armando Editore, 301 pp, 2020)

Konrad, giovane sensitivo, si ritrova solo a compiere scelte estremamente difficili.
Nonostante tutti i raggiri e le delusioni che subisce, non perde mai il coraggio e la voglia di vivere.
Solo alla fine, riuscirà a superare tutte le difficoltà e a maturare la scelta giusta da compiere.

"... puoi uscire allo scoperto, vincendo le tue paure e continuando ad inseguire i tuoi sogni, oppure puoi restare nascosto qui, nella triste oscurità dei tuoi pensieri tormentosi ..."

mercoledì 7 aprile 2021

Recensione: IL ROMANZIERE di Domenico J. Esposito



Il protagonista di questo "romanzo nel romanzo" è Donato, un giovane scrittore che prova in tutti i modi a inseguire il proprio sogno: vivere del proprio talento di scrittore. Riflessivo, solitario, taciturno, dalla personalità complessa, il romanziere deve fare i conti con la propria scrittura e con gli effetti che quest'arte ha sulla propria esistenza e, paradossalmente, anche su quella di chi gli è attorno.


IL ROMANZIERE
di Domenico J. Esposito


Eretica Edizioni
163 pp
Scrivere dei libri e rendersi conto che poi le cose immaginate accadono realmente alle persone: il sogno proibito di ogni scrittore?
Forse... o forse no, se quello che viene messo su carta non è sempre lieto!

Donato Bratti (chi, come me, ha letto "Voler bene in segreto" ha già avuto modo di conoscerlo un pochino) è un giovane scrittore in crisi.

Egli sente di avere un gran talento come romanziere, prende spunto dalla realtà in cui vive (un paese nel beneventano) per buttare già su carta storie di gente comune, come lui.
Eppure... il successo tarda ad arrivare e la consapevolezza che i suoi libri stiano avendo uno scarso seguito lo fa sentire un fallito, privandolo della gioia e della serenità per affrontare il quotidiano.
Anche se le presentazioni dell'ultimo libro non mancano - certo, a volte in libreria interviene pochissima gente, altre volte ce n'è un po' di più -, Donato è insoddisfatto, depresso, a pezzi emotivamente; a ciò si aggiunge che non si sente capito da nessuno, soprattutto quando è costretto a rispondere sempre alle solite, banalissime e superficiali domande, del tipo "Ma riesci a campare di scrittura? Non sarà il caso che ti cerchi un lavoro vero?", "Stai scrivendo un nuovo libro? Quando esce?", "Nei tuoi libri il protagonista è basato su di te, vero?".

Insomma, il povero Donato è un eterno pesce fuor d'acqua in una società che egli giudica superficiale, egoista, individualista, e a un tipo come lui - che ama guardarsi dentro, osservare le persone per capirne intenti, pensieri, che non si accontenta delle chiacchiere vuote e sciocche, delle domande fatte per pura educazione ma prive di un reale interesse umano per l'altro, che detesta essere giudicato ed etichettato come un asociale dalla vita noiosa, con la testa tra le nuvole e alienato dal mondo - non resta che continuare a credere nonostante tutto nel proprio sogno di poter un giorno davvero sfondare con i propri libri, avendo così la sua personale rivincita contro chi non crede nelle sue capacità e lo giudica uno sfigato solitario.

Donato è ben consapevole di essere davvero un tipo particolare, che ad es. non esita a mostrare insofferenza quando è in compagnia di un interlocutore che blatera sciocchezze per una serata intera, o che ha enormi difficoltà a socializzare con persone che non conosce.
In special modo, sa di non avere il coraggio di avvicinare né tanto meno corteggiare una donna che gli piace.

Non ha chissà quante care amiche, ma quelle che ha (l'intelligente e perspicace Isabella o l'allegra Ramona) gli bastano e dal rapporto con loro - seppur non costante - prende il buono che un'amicizia disinteressata sa dare; quando, però, il suo sguardo incrocia per caso quello della bella Gloria, lo scrittore sente nascere dentro di sé la voglia di conoscerla.
Ma gli manca il coraggio di presentarsi e quando vede la ragazza per strada o al bar, l'ansia sale e lo frena dall'agire.
 
Sarebbe bello se nella realtà accadesse  come nei suoi libri, dove gli basta scrivere una frase, immaginare una scena... ed essa ovviamente viene vissuta dal protagonista senza alcun problema.

Ma la vita non è né un un romanzo né un film, e non basta mettere su carta una frase bella perché essa si  verifichi nella vita reale.

O forse sì?
A un certo punto, a Donato sorge un sospetto assurdo: possibile che egli abbia dei poteri soprannaturali?
Eh già, perché alcuni avvenimenti narrati nei suoi romanzi prendono veramente forma e purtroppo anche in senso negativo...

Quando si verifica un evento spiacevole a una persona che neppure conosce, Donato sente di esserne il responsabile in quanto egli l'aveva scritto precedente nei suoi racconti, per quanto con qualche dettaglio differente.

Quindi la disgrazia è colpa sua?
E se provasse a metter mano al racconto incriminato e a modificarlo per "salvare" il malcapitato?

Il presunto potere sembra avere effetti positivi nella vita reale della persona coinvolta, e questo getta lo scrittore nella più totale confusione: ma è lui che sta impazzendo nel credere che veramente quel che scrive possa verificarsi o possiede sul serio questa capacità paranormale?

E se provasse ad utilizzare tale dono incredibile per scopi più personali, dando una mano ad una sorte a volte capricciosa?

Non è facile per il romanziere accettare una tale sorprendente (e inquietante!) scoperta, perché egli si considera uno scettico, una persona estremamente razionale, poco incline a credere a superstizioni o in qualsivoglia divinità superiore che controlla le vite degli esseri umani; eppure, gli strani avvenimenti sembrano smentire le sue convinzioni, il che rischia di confonderlo e avvicinarlo pericolosamente sull'orlo della follia.

Saprà Donato Bratti sfruttare a proprio vantaggio quelle che potrebbero essere solo delle sinistre coincidenze, per ritrovare una nuova linfa vitale per la sua attività di scrittore e, cosa più importante, lasciarsi andare alla vita senza avere più paura di fare un passo verso gli altri?

"Il romanziere" è un metaromanzo che ruota attorno alle innumerevoli difficoltà incontrare da uno scrittore che quotidianamente insegue i suoi sogni nonostante non sempre quest'affascinante talento sembri ripagare di tutti i sacrifici. 

È anche un romanzo psicologico perché in larga parte segue il flusso di coscienza del giovane scrittore, il quale ha un ricco mondo interiore che egli riversa nei suoi mille pensieri, nelle notti insonni, nelle lacrime di frustrazione o paura, nel suo balbettare o chiudersi davanti ad una donna, nel sopportare le solite ovvietà trite e ritrite pronunciate con leggerezza da amici e conoscenti, che proprio non riescono a cogliere la sua vena artistica, nel suo perdersi in ragionamenti, domande, timori, che fanno di Donato Bratti un personaggio molto sfaccettato e complesso, pieno di fragilità ma altresì di risorse.

Come Efrem nell'altro (e succitato) libro dell'Autore, anche Donato deve sforzarsi di non soccombere davanti allo scoraggiamento, al malessere che prova nel sentirsi incompreso e non accettato per quello che è, e capire che non ci vogliono i super poteri per vivere ed avere successo nella vita: gli basta nutrire un pizzico di fiducia in se stesso, sorridere, godere delle piccole cose che capitano giorno per giorno e rendere la propria vita un romanzo tutto da scrivere... vivendola appieno.

L'Autore ci presenta il variegato e complicato universo interiore di un giovane uomo che deve imparare il difficile mestiere di vivere, prima ancora di quello di romanziere, e lo fa con una scrittura diretta ed immediata, che affianca dialoghi semplici e realistici al vortice di pensieri e riflessioni del protagonista, rendendo così la lettura scorrevole e profonda insieme,

martedì 6 aprile 2021

RomanticAnteprima: IL DUCA SILENZIOSO di Jess Michaels




Dopo IL DUCA TRADITO e UN DUCA DA SCEGLIERE, il 13 aprile esce il quarto libro della serie di romance regency “Il Club del 1797” di Jess Michaels: Il Duca Silenzioso. 

Lo trovate in esclusiva su Amazon a questo link

Traduttore: Isabella Nanni
Editore: The Passionate Pen LLC
Genere: Romance storico
Prezzo ebook: € 3,99 – disponibile anche in Kindle Unlimited
Prezzo cartaceo: € 14,55


Nato muto, Ewan Hoffstead, Duca di Donburrow è stato maltrattato dal padre malvagio e dai suoi miserabili fratelli minori fino a quando non è intervenuto uno zio a salvare la situazione. 

Tuttavia, porta con sé le cicatrici del proprio passato, inclusa la terribile convinzione che forse una "persona come lui" non merita davvero il titolo che suo zio gli ha preservato combattendo duramente in suo favore.

Charlotte, rimasta vedova di recente, agli occhi della società è la virtuosa Contessa di Portsmith, ma quando è con Ewan, si sente ancora la ragazzina estasiata che lo ha incontrato decenni prima, quando suo fratello era il migliore amico di lui e di suo cugino.

Un viaggio programmato per trascorrere il Natale con le loro famiglie nella tenuta di Ewan riunisce i vecchi amici. Ma quando una tempesta impedisce agli altri di arrivare in tempo,

Charlotte decide di smettere di vivere nella paura e di conquistare l’uomo che ha desiderato e amato per tutta la vita. Ewan non può resistere alla sua seduzione, ma teme di cedere al suo cuore. Soprattutto quando la famiglia che si era sbarazzata di lui ritorna e minaccia non solo la sua vita, ma quella della donna che ama.


Estratto

Ewan Hoffstead era vissuto nella consapevolezza che suo padre lo odiava ogni giorno dei dieci anni che aveva passato su questa terra. Sapeva anche perché: per tutta la vita non era stato in grado di parlare. Ci aveva provato, ovviamente. Era rimasto per ore davanti allo specchio a inspirare forte prima di sforzarsi di buttare fuori qualcosa, ma dalla sua bocca non era uscito niente. Suo padre aveva anche provato a frustarlo per disobbedienza quando non riusciva a emettere nient’altro che qualche grugnito impotente.
Tutto inutile. Ewan era muto e a quanto pareva sarebbe rimasto muto. Suo padre diceva che questo difetto lo rendeva stupido e guasto. Ewan si sentiva guasto, certo, ma non era così sicuro di essere stupido. Aveva imparato a leggere e a scrivere da solo, perché suo padre si rifiutava di perdere tempo dietro alla sua educazione. E quando era con suo cugino Matthew e la sua famiglia, nessuno sembrava pensare che fosse stupido. A dire il vero, spesso conosceva le risposte alle domande prima di Matthew ed erano quasi della stessa età.
Ma niente di tutto questo aveva importanza. Il Duca di Donburrow lo disprezzava e questo non fu mai più chiaro che durante la loro visita a casa di Matthew e di suo padre e sua madre, il Duca e la Duchessa di Tyndale, dove erano ospiti da una settimana. Era come se vedere un ragazzo dell’età di Ewan, senza nessuno dei suoi difetti, rendesse Donburrow ancora più spregevole e odioso
.

Biografia autrice.
Jess Michaels è un’autrice bestseller di USA Today. Sebbene abbia iniziato come autrice tradizionale pubblicata da Avon/HarperCollins, Pocket, Hachette e Samhain Publishing, e anche da Mondadori in Italia nella collana “I Romanzi Extra Passion”, nel 2015 è passata al self publishing e non si è mai guardata indietro! Ha la fortuna di essere sposata con la persona che ammira di più al mondo e di vivere nel cuore di Dallas. Quando non controlla ossessivamente quanti passi ha fatto su Fitbit, o quando non prova tutti i nuovi gusti di yogurt greco, scrive romanzi d’amore storici con eroi super sexy ed eroine irriverenti che fanno di tutto per ottenere quello che vogliono senza stare ad aspettare.


Biografia traduttrice:
Isabella Nanni si è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne ed è iscritta al Ruolo Periti ed Esperti della CCIAA di Bologna per la categoria Traduttori e Interpreti. Le sue lingue di lavoro sono Inglese, Tedesco e Spagnolo, da cui traduce verso l’italiano, lingua madre. A gennaio 2019 è risultata vincitrice ex aequo del concorso di traduzione de “La Bottega Dei Traduttori”. Dopo un MBA da diversi anni è libera professionista e si occupa di traduzioni, sia editoriali che tecniche anche in ambito legale. È inoltre consulente di business development per editori di testate trade.
È l’orgogliosa madre di due splendide giovani dal sangue misto come Harry Potter, emiliano e campano. Coltiva rose di tutti i colori e con una vita di riserva studierebbe arabo, cinese e russo. Non potendo, si affida ai colleghi traduttori per allargare i suoi confini culturali.


lunedì 5 aprile 2021

LE MIE LETTURE - MARZO 2021

 

Eccomi con il recap delle letture marzoline.


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  1. CORPO ESTRANEO di S.Sperandio: bellissimo thriller tutto made in Italy, che mi ha davvero catturata per i suoi intrecci dinamici, che si complicano ad ogni capitolo, per  la tenacia e, in generale, la complessità emotiva della protagonista.
  2. RENDI LA MIA SPERANZA ETERNA. Poesie 2015-1019 di V. Rizzo:  poesie su tanti temi, quali la vita, l'amore, l'umanità nel suo essere così complessa e sfaccettata, la natura, il potere creativo ed evocativo della scrittura.
  3. DELLA STESSA SOSTANZA DEI PADRI- POESIE AL MASCHILE di D. R. Colacrai: 27 poesie il cui indiscusso protagonista è l'uomo, in tutte le sue sfaccettature e dimensioni.
  4. GRACE LO DICE FORTE di E.Henderson: un libro che, pur collocando le vicende in un istituto per malati fisici e mentali gravi e mostrandoci come essi spesso venissero (mal)trattati al suo interno, ci parla di vita, speranza, amore, tenerezza.
  5. EREDITÀ di V. Hjorth: un dramma famigliare dolorosissimo, su cui è regnato il silenzio per tanti, troppi anni, ma che adesso grida per essere riconosciuto e chiamato col suo nome.
  6. FIORE DI ROCCIA di I. Tuti: romanzo storico ambientato nel 1915 in Friuli e grazie al quale ho conosciuto "le portatrici", un gruppo di donne coraggiose che operarono lungo il fronte della Carnia, trasportando con le loro gerle rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane.
  7. "Manuale di Sopravvivenza. Come liberarsi dalla trappola del narcisista, quando l’arma sono i figli" di A. Sansolini: offre consigli pratici su come affrontare la comunicazione tossica col carnefice per sfuggire alle sue innumerevoli trappole, volte sempre a terrorizzare e colpevolizzare la donna.
  8. VOLER BENE IN SEGRETO di D. J. Esposito: il protagonista di questo breve romanzo è un giovane uomo che sta vivendo un periodo della propria vita piuttosto triste, in cui a predominare sono sentimenti di solitudine, insoddisfazione, inutilità, che rischiano di gettarlo in uno stato di apatia e frustrazione dal quale deve trovare la forza di venir fuori per tornare a sorridere.

Tra queste letture, quelle che mi hanno colpito maggiormente sono state: Eredità, per l'argomento doloroso affrontato, espresso attraverso un flusso di coscienza che mi ha travolta emotivamente; Fiore di roccia per avermi fatto conoscere un pezzo di storia italiana a me ignota e per averlo fatto con una scrittura magistrale; Corpo estraneo, un thriller dinamico e dal ritmo serrato.


Attualmente proseguo la lettura di:

- DOVE STA IL LIMITE, di Raja Shahedeh, che rievoca la tragedia palestinese, attraverso un'amicizia complicata;
- IL ROMANZIERE di Domenico Esposito, con protagonista uno scrittore che vede verificarsi nella realtà le cose scritte nei propri libri;
- ELBRUS di Capocasa-Di Clemente, distopico.


CITAZIONE DEL MESE:


"Può l'uomo essere compassionevole in questo mondo che ci vuole l'uno contro l'altro, che toglie continuamente e spinge a usare denti e artigli come bestie per difendere ciò che resta?" (Ilaria Tuti, FIORE DI ROCCIA)



sabato 3 aprile 2021

Recensione: FIORE DI ROCCIA di Ilaria Tuti



Tra le pagine - meravigliose e dolorose insieme - di questo romanzo storico, l'Autrice mi ha portato in Friuli, indietro negli anni, in quelli difficili del primo conflitto mondiale (in particolare nel 1915), e mi ha permesso di conoscere delle donne straordinarie, coraggiose, che meritano di essere ricordate e ammirate perché diedero il loro prezioso contributo nel sostenere i soldati italiani impegnati lungo il fronte della Carnia: sono "le portatrici", donne di diverse età che durante la guerra prestarono la loro schiena, le loro gambe, le loro energie fisiche ed emotive alla Patria; ognuna di loro mise a rischio la propria vita per trasportare dentro una gerla portata in spalla rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane.



FIORE DI ROCCIA
di Ilaria Tuti

Longanesi
320 pp
«Non conosco le rose. C’è invece un’espressione più felice che racconta la tenacia di questa stella alpina: noi la chiamiamo ’fiore di roccia’.» (...). «È questo che siete. Fiori aggrappati con tenacia a questa montagna. Aggrappati al bisogno, sospetto, di tenerci in vita.»

Il prologo di questo bellissimo libro è collocato nel 1976, quando la terra in Friuli ha tremato a causa di un forte terremoto: in questa occasione la protagonista torna nel suo paese d'origine, e affondare le mani nella propria terra natia riporta la sua mente a decenni prima, quando era una donna giovanissima, chiamata dalla Storia a dare il proprio contributo a una guerra sanguinosa.

Agata Primus è una ragazza orfana di madre; vive da sola col padre ammalato e ormai allettato, di cui lei si prende amorevolmente cura con la tenacia e la pia devozione di una figlia che sa di dover rendere al proprio genitore bisognoso tutte le premure di cui necessita.
I suoi due fratelli sono andati in guerra, non si sono fatti più sentire e su di loro pesa il sospetto di collaborazionismo con il nemico austriaco.
Agata deve tirare avanti da sola quel che resta della sua famiglia, nel paesino di Timau*, sfiancato dalla fame, dalla povertà, da una guerra profanatrice e crudele, che priva le donne di mariti e figli, e che adesso proprio a loro chiede un aiuto, e non di poco conto.

È il parroco del paese a farsene portavoce: i battaglioni sul confine con l'Austria sono in estrema difficoltà e il Comando supremo chiede aiuto alla popolazione della valle: 

"Servono spalle, per assicurare i collegamenti con i depositi del fondovalle."

La voce di Agata ci giunge tristemente consapevole del grande sacrificio che i comandanti italiani stanno chiedendo a un "branco morente", quali sono le donne (giovani e non) con accanto i loro bambini: "lupe stanche, cuccioli affamati", "Abbiamo grandi occhi lucidi, ventri concavi e schiene vigorose avvolte negli scialli neri della tradizione.".

Eppure quelle donne non esitano (e se qualcuno lo fa, è solo per qualche attimo): i soldati (tra i quali ci sono anche i loro uomini, nel corpo degli alpini) hanno bisogno di loro e nella valle risuona la voce di una delle donne: "Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame."

Agata, Lucia, Viola...: sono donne semplici, "di montagna", con scarsa istruzione, e soprattutto sono affamate (hanno "denti che potrebbero divorare il mondo tanto è il vuoto che masticano abitualmente"), magre, hanno già il peso di una vita fatta di lavoro nei campi e incombenze domestiche, eppure non si tirano indietro: hanno "braccia talmente forti da poter cingere il mondo intero" e sono pronte a caricarsi di pesanti gerle e percorrere "milleduecento metri di salita nervosa affacciata sui burroni" per rendersi utili.

Guardiamo tutto attraverso gli occhi di Agata, che con la risolutezza, il coraggio e il realismo che le appartengono, ci descrive ogni passo, ogni timore, ogni sospiro, ogni fatica vissuta da questo corpo di donne, le quali non sono militari ma hanno lo stesso avuto un ruolo importantissimo nell'economia bellica.

Il loro primo incontro con i militari del campo non sembra essere dei migliori: i soldati afferrano famelici e furiosi le gerle per controllarne il carico di ognuna; lo stesso comandante Colman ha un breve scontro con Agata e cerca di metterla in riga, ricordandole che devono obbedirgli anche se sono delle semplici volontarie.

Sono donne e, in quanto tali, a loro non è chiesto di capire le ragioni della guerra, ma solo di obbedirvi.

Ciò che Colman non sa - e, con lui, gli stessi alpini ai suoi ordini - è che queste donne sono povere e affamate sì, sono poco istruite, ma hanno una grandissima dignità e uno spirito di sacrificio da cui c'è solo da imparare.

"La nostra capacità di bastare a noi stesse non ci è stata riconosciuta, né concessa. L’abbiamo tessuta con la fatica e il sacrificio, nel silenzio e nel dolore, da madre in figlia. Poggia su questi corpi meravigliosamente resistenti ed è a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Si nutre di spirito infuocato e iniziativa audace, vive di coraggio. Vive di altre donne. Siamo una trama di fili tesi gli uni sugli altri, forti perché vicini."

Agata è una donna di poche parole; figlia di una brava maestra, è cresciuta leggendo molto e, anche se non è una gran chiacchierona, quando parla, dice esattamente ciò che vuol trasmettere, senza fraintendimenti, con una onestà e una trasparenza che lasciano senza parole sia Colmar che il dottore del campo, Janes.

E proprio con questi due uomini - intelligenti, avveduti, che sanno adempiere ai propri doveri con coscienziosità e responsabilità - Agata intreccia un rapporto di stima che via via assume i contorni di una leale amicizia, fatta di molto rispetto e ammirazione reciproca.

Quando Agata torna a casa sua, dopo essere scesa dal monte con la gerla non più carica di munizioni o viveri ma di panni sporchi (dei soldati) da lavare (e riportare il giorno dopo), ad accoglierla c'è il silenzio di una casa disadorna, in cui si sente solo il respiro faticoso di un padre in fin di vita.
Ma c'è pure una presenza strisciante e fastidiosa, di cui lei vorrebbe liberarsi ma finora non c'è stato verso: appostato di nascosto, fuori dalla casa, pronto a spiarla e a farle crudeli dispetti, c'è lui, il ragazzo che la vuole a tutti i costi: Francesco.
Agata non sa come fare per fargli capire che tra loro non potrà mai esserci nulla; lei non solo non lo ama, ma a malapena lo sopporta, essendo lui figlio di una famiglia benestante che non si "sporca" le mani né servendo la Patria in guerra né tanto meno la sua è la vita sacrificata dei contadini.
Insomma, Francesco non è uno di loro.
Egli, inoltre, la spaventa perché è un prepotente che crede, in virtù della propria posizione sociale ed economica, di poter avere tutto ciò che vuole, Agata compresa. 
Il comportamento chiaramente sfuggente di lei, che cerca di mostrargli il proprio disinteresse in tutti i modi, non lo fa desistere, anzi, sembra stuzzicarlo ancora di più e, pur di vederla cedere, è disposto a fare qualsiasi cosa...

A creare una brusca frattura nella sua vita regolare, per quanto di per sé movimentata e non priva di rischi in questi mesi tra valle e base militare al confine, ci pensa un incontro inaspettato e pericoloso.

È l'incontro faccia a faccia col nemico, con l'altro che sta dalla parte opposta della barricata e che lei è tenuta ad odiare non perché lo conosce e sa che è un mostro, ma unicamente perché fa parte delle schiere nemiche...

Ma per quanto la guerra sia feroce, crudele e spesso renda tali gli essere umani - che si trovano, loro malgrado, l'uno di fronte all'altro, da nemici, e quindi pronti a uccidersi -, la coscienza di Agata non è ancora diventata insensibile alle sofferenze dei suoi simili, siano essi italiani o no.

"Serve una risolutezza sovrumana per non sentire il richiamo del riconoscersi l’uno nell’altro."

La ragazza - lottando comunque contro se stessa e sentendosi, nel cuore, una traditrice - supera l'immaginaria (e neanche tanto) linea di demarcazione che la separa dai nemici, e apre la porta della propria modesta casa a chi non dovrebbe, e se si sapesse, chissà cosa le accadrebbe!

C'è una seconda voce narrante nel romanzo, e anche se il suo punto di vista è espresso in capitoli più brevi, che di tanto in tanto interrompono la prospettiva di Agata, essa ha la sua importanza perché costituisce il ponte che lega due persone che non hanno scelto di essere avversarie ma che purtroppo, secondo la Storia, devono considerasi tali.

E cosa c'è di più visibile dell'incomunicabilità linguistica a ricordarci quanto si possa essere diversi e lontani da qualcuno? 

La guerra allontana, è vero, creando tra popoli nemici voragini che ovviamente sono amplificate dalle difficoltà a capirsi e a comunicare a causa della lingua diversa, eppure Agata trova il modo, con caparbietà e intelligenza, di abbattere distanze e muri, e ad aiutarla sarà proprio il dialetto parlato in quella zona del Friuli sin dai tempi antichi.
 
E mentre la protagonista combatte la propria piccola battaglia personale tra le mura di casa (con la meschina presenza di Francesco sempre in agguato), sul fronte la guerra si infiamma con ferocia, mietendo vittime.

Le pagine si susseguono via via drammatiche ed Agata si dovrà confrontare col dolore della perdita, che inaspettatamente sarà fonte di molto dolore per lei, che realizzerà di come anche (o forse soprattutto?) in circostanze complicate, drammatiche e di morte, si possano scoprire e costruire legami veri, autentici, importanti e indimenticabili.

Devo dire che con la penna di Ilaria Tuti è stato "amore alle prime righe": la sua scrittura così diretta, minuziosa, toccante, che si sofferma sui pensieri profondi della protagonista, mi ha molto emozionata e mi ha catturata attraverso le sue considerazioni, semplici e profonde insieme, sulla guerra con il suo fardello di morte e miserie, le relazioni umane, la forza morale di queste portatrici, il valore dell'amicizia, la possibilità di andare oltre ogni pregiudizio, ogni muro costruito per creare odio e divisioni, cercando un mezzo per comprendersi e avvicinarsi.
Per riconoscere nella propria umanità l'altro, che ha le nostre stesse paure, speranze, debolezze, sogni, e se in essi ci specchiassimo, inevitabilmente  ritroveremmo un po' di noi.

Non c'è nulla di questo libro che non abbia apprezzato, dall'ambientazione ai personaggi, dalla scrittura alla protagonista, una giovane donna riflessiva, che nasconde un animo sensibile dietro a modi di fare ruvidi e a una tempra indurita da una vita poco gentile: 

"A volte penso di essere anch’io una gerla: scortecciata dalla vita fino a che è rimasto solo il necessario, incisa da perdite, spellata dal bisogno."


Il titolo stesso mi rimanda a queste due anime che caratterizzano tanto la voce della protagonista e narratrice quanto il tempo e il contesto in cui è inserita: la fragilità e l'estrema delicatezza di un fiore e, al contempo, la solidità e la forza della roccia.

Sono davvero felice di aver scoperto questa scrittrice, ho intenzione di leggere altre sue opere (in libreria ho "Fiori sopra l'inferno"); la ringrazio perché ignoravo chi fossero le portatrici ed aggiungere una tessera al mio modestissimo bagaglio di conoscenze storiche è sempre una piccola conquista.

Assolutamente consigliato!!!


Alcune citazioni:

"non trovo le parole. È così difficile sceglierle, impastate come sono con l’incertezza e la paura, amalgamate in un patto di obbedienza e cura che nessuno ha mai preteso a voce, ma che dimora nel sangue di madre in figlia. Che cosa voglio fare? Non me lo ha mai chiesto nessuno."

"amo le parole, ma l’istinto è quello di custodirle. Ho imparato a maneggiare la loro arte, ma dentro di me è ancora salda la convinzione che alcuni, pochissimi, sentimenti non abbiano bisogno di suoni e non richiedano dialettica. Si espandono nei gesti, cantano nei sensi."

"Chi può sorridere davanti a tutta questa devastazione, se non chi vuole con tutta se stessa continuare a vederci la vita? In mancanza di questa sua vocazione, nessuna di noi ora sarebbe qui."

"Ho imparato dai libri che la realtà è una nostra personale interpretazione dei fatti. Stendiamo incessantemente un tessuto su persone e cose, ne sistemiamo le pieghe con i giudizi, oppure le creiamo con i dubbi. Tagliamo e cuciamo, confezionando con i pensieri il nostro piccolo mondo, in cui ci raccontiamo chi siamo e chi sono gli altri, ma il punto di vista di un personaggio non è mai attendibile per definizione, nemmeno se è quello del protagonista della storia.

"Il dolore è un atto intimo che impone solitudine, è il compiersi di una cesura che richiede lenti passaggi. A volte, un’intera esistenza."



*ultimo centro abitato prima del Passo di Monte Croce Carnico che conduce in Austria; è un'isola linguistica tedesca dove si parla un particolare dialetto carinziano medievale (fonte).



giovedì 1 aprile 2021

BENVENUTO, APRILE!



Benvenuto, Aprile ^_^


Ruscello d'Aprile

Caldo e freddo, albe e crepuscoli, l'uno 
sull'altro si sono affollati,
ora m'accorgo che, dacché sono a
Chung-chou, due anni sono passati,
dalle mie porte chiuse non odo, mattina
e sera, che il suon del tamburo,
dalle finestre più alte non vedo altro,
che navi che vengono e vanno.

Gli uccelli col canto mi tentano invano,
ad andare vagando fra gli alberi in fiore
l'erba coi mille colori, invano m'invita
a sedere in riva allo stagno,
Ma c'è una cosa, una cosa soltanto che
non mi stanco mai di guardare;
il ruscello d'aprile, che scorre su sassi,
e bisbiglia, passate le rocce.
(Po Chu-J)



Prato d'aprile

C'era un prato: con folte erbe, frammiste
a bianchi fiori, e gialli, e violetti;
e fra esse un brusio di mille piccole
vite felici; e se sull'erbe e i fiori
spirava il vento, con piegar di steli
tutto il prato nel sol trascolorava.
E volavan farfalle, uguali a petali
sciolti dai gambi; e si perdean rapidi
i miei pensieri in quell'aerea danza
ove l'ala era il fiore e il fiore l'ala.

(Ada Negri)





La canzone dell'amore perduto

Ricordi sbocciavano le viole
Con le nostre parole
Non ci lasceremo mai
Mai e poi mai
Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
Ad appassire le rose
Così per noi
L'amore che strappa i capelli
È perduto ormai
Non resta che qualche svogliata carezza
E un po' di tenerezza
E quando ti troverai in mano
Quei fiori appassiti
Al sole d'un aprile
Ormai lontano, li rimpiangerai
Ma sarà la prima
Che incontri per strada
Che tu coprirai d'oro
Per un bacio mai dato
Per un amore nuovo
E sarà la prima che incontri per strada
Che tu coprirai d'oro
Per un bacio mai dato
Per un amore nuovo.

(F. De Andrè)




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