domenica 6 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone


AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone è un romanzo autobiografico vero, genuino, che racconta con intensità e incredibile sincerità il rapporto tra un padre e un figlio, con tutto il bagaglio di incomprensioni e delusioni, di cose dette o taciute, di diversità e affinità, che l'ha caratterizzato, arrivando agli ultimi giorni della vita del genitore, colpito da una malattia crudele che ha contribuito, in modo definitivo e irreversibile, a lasciare in sospeso tutto ciò che li ha sempre divisi.


HarperCollins Italia
letto da Stefano Scialanga
180 pp
L'Autore ha scritto un libro molto bello che, se da una parte è sicuramente qualcosa di personale - in quanto racconta di sé, del legame con il padre -, dall'altra proprio la scelta di mettere al centro questo legame famigliare conferisce al suo memoir un taglio universale.
Non potrebbe essere diversamente visto che, se anche non siamo tutti genitori, siamo comunque tutti figli di un padre e una madre, il che rende questo tema vicino all'esperienza di ciascuno di noi.

Che figli siamo (stati) per i nostri genitori?

Giulio ci racconta della sua famiglia, di questo padre solido come una roccia, sicuro di sé, coerente, pratico, disposto al sacrificio, fedele agli impegni presi, con un grande spirito di abnegazione, un alto senso del valore dell'amicizia e un forte amore per la famiglia.

Un padre che avrebbe desiderato determinate cose per il figlio, aspettandosi che si prefiggesse e raggiungesse degli obiettivi di un certo tipo, che gli permettessero una certa stabilità e sicurezza nella vita.
Succede (e molto spesso, per non dire sempre) che i genitori maturino delle aspettative sui figli e che, in qualche modo, cerchino di guidarli nelle loro scelte affinché le realizzino, magari diventando ciò che essi non sono riusciti ad essere.

Che tipo di figlio è stato, in tal senso, Giulio per suo padre? 

Sicuramente un figlio che, a modo suo e seppur per poco, ha provato a dar retta al padre frequentando, ad es., l'Accademia Navale di Livorno, ma non era ciò che voleva fare e ha lasciato dopo un anno.

Quella tra Giulio e suo padre Giampiero è la storia di un rapporto tortuoso, fatto di aspettative paterne disattese e di rancori maturati nel silenzio testardo di un figlio che non riesce a comunicare serenamente con il genitore perché da lui si sente troppo spesso, e su ogni cosa, giudicato.
E giudicato male, come se fosse l'eterno irresponsabile, quello che non sa apprezzare la fidanzata perfetta che ha accanto, che vuol fare il giornalista e parlare in radio di libri, invece che cercare di puntare ad una professione più sicura, stabile, che gli permetta di mettere su famiglia e di farla campare degnamente. Come ha fatto lui, del resto.

Parlare con il padre è sempre stato difficile e così Giulio con lui ha sempre trattenuto le proprie emozioni, evitando di esprimerle, quasi fosse normale chiudersi in sé stessi e affidarsi al silenzio.
Non è piacevole sentirsi sempre inadeguati agli occhi di un padre esigente, che sembra disapprovare tutto di te, che sia la tua (legittima, vista l'età) voglia di divertirti o l'impegno non proprio totale e la scarsa inclinazione a "fare sacrifici a tutti i costi". 

Quando sopraggiunge d'improvviso la malattia (dolorosa e incurabile), le cose non vanno necessariamente meglio e, sebbene Giulio si avvicini al padre in termini di vicinanza fisica (prendendosene cura assieme alla madre), a livello emotivo non ci sono grossi passi in avanti.
Non per mancanza di amore, ovvio, ma perché... è difficile.

È difficile sbottonarsi davanti ad un genitore di cui abbiamo praticamente sempre temuto il giudizio, davanti al quale ci si è sentiti sempre non all'altezza.
Ed è difficilissimo ammettere le proprie paure: la paura della solitudine, quella che proviamo anche quando siamo in mezzo agli altri; il senso di frustrazione che si opprimente quando non ci si sente amati; il senso di disperazione provato quando non si riesce a trovare alcun vero motivo per sentirsi felici; ma, al di sopra di tutte, la paura che Giulio proverà inevitabilmente quando un giorno, voltandosi indietro, troverà il vuoto perché suo padre non ci sarà più a tendergli la mano e a sostenerlo; e infine la paura al pensiero di quando dovrà essere lui a sostenere qualcun altro, consapevole di... non saperlo fare.

Gli ultimi mesi della vita di Perrone padre sono vissuti dal figlio (quando ha perso il papà l'Autore aveva 24 anni) con un senso di grande frustrazione, nervosismo, stanchezza emotiva, senso di colpa, perché il ragazzo avrebbe desiderato scappare da quella casa in cui si respirava un'atmosfera greve di malattia, dolore e di "morte annunciata", per fare le cose che fanno i giovani alla sua età, ma sentiva anche che questi pensieri erano poco nobili e rispettosi verso il padre morente e verso la madre, sempre accanto al marito, pronta ad assisterlo in ogni necessità, notte e giorno.

Il racconto di Perrone non si limita a ruotare attorno all'analisi e al ricordo di questo legame famigliare difficile, per quanto di sicuro esso sia un modo, per lo scrittore, di rielaborare (mettendo su carta e grazie alla funzione catartica, terapeutica che la scrittura può avere) la propria ossessione per questo padre amato eppur distante in tanti aspetti; parallelamente ai toni nostalgici e molto intensi usati per questa principale tematica, infatti, ce ne sono di altri decisamente più simpatici, leggeri, divertenti.

Sì, perché Giulio riporta anche episodi goliardici di gioventù, scene di vita quotidiana (bello e commovente il momento in cui racconta il motivo per cui, per molto tempo, non ha amato la canzone "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli) , le notti brave,  le avventure, le gite in barca, gli amici del padre, dai soprannomi indimenticabili - Godzilla, Karate, America...

Già, che fine ha fatto l'innominabile America? Anche lui si perde nella nebulosa scia dei ricordi di un passato che non torna più?

"Siamo destinati a disperderci, anche nella testa di chi ci ha amati", scrive Perrone. 

La malattia s'è portata via non solo il padre, ma anche tutte le discussioni che avrebbero potuto fare, tutto quello che  Giampiero avrebbe dovuto vedere di lui; avrebbe potuto, ad es. appurare come le passioni del figlio non fossero frutto di un capriccio passeggero ma come, anzi, esse, con gli anni, siano diventate sempre più solide, convergendo in una professione portata avanti con passione, e non solo per dovere.

Tutte queste cose belle Giulio non potrà mai raccontarle al padre, ma scriverle è un modo per omaggiarlo, per sentirlo più vicino e, in un certo senso, per far pace con il suo ricordo.

Ho ascoltato la lettura di questo libro dalla voce molto espressiva di Stefano Scialanga, che modula alla perfezione ogni cambiamento di tonalità, dando risalto alle parole importanti, alle pause, dando una spinta vivace con la parlata romanesca, rendendo l'ascolto molto molto piacevole, regalandoci momenti ora spensierati, ora seri e intensi, ora commoventi e malinconici.

In passato ho avuto modo di apprezzare la scrittura ironica e brillante di Giulio Perrone (CONSIGLI PRATICI PER UCCIDERE MIA SUOCERA); in questo suo ultimo libro al lettore viene data l'opportunità di conoscerlo in modo intimo, personale, attraverso una narrazione molto profonda, densa dal punto di vista emozionale, ricca di pathos e capace di arrivare dritta al cuore del lettore. 

Assolutamente consigliato.

sabato 5 marzo 2022

[[ Anteprima Western ]] SICILIAN DEFENSE di Alessandra Pierandrei

 

Buongiorno, lettori!

Oggi vi presento un'anteprima western ma dai temi attuali (in primis ecologia, femminismo e giustizia sociale), che è il seguito di un romanzo da me letto e recensito qui sul blog, "Zugzwang - Il dilemma del pistolero" (RECENSIONE) di Alessandra Pierandrei "Sicilian Defense"  vede ancora al centro Kate, felicemente sposata con Jasper; purtroppo però i fantasmi del suo passato sono ancora vivi dentro di lei. E quando una persona a lei cara si troverà in grave pericolo, Kate si troverà di fronte alla prova più difficile: quella contro se stessa.

Il libro sarà pubblicato il 23 marzo in formato ebook e cartaceo; può essere letto anche senza aver letto prima "Zugzwang" in quanto la maggior parte dei personaggi sono sì ricorrenti ma il contesto è differente.

Nativi Digitali Edizioni 
Ebook 4.99€ 
(offerta di lancio 3.99€)
Data di uscita: 23 marzo 2022 
Genere: Western, Romanzo storico
cart. 14€ 
210 pp


Trama

“È come con la difesa siciliana: se tu rispondi con e5, giocheresti come tutti si aspettano da una donna: passiva e senza l’obbligo di farsi carico di un cambiamento. Ma se invece metti il pedone in c5, allora giocheresti ai tuoi termini. Sarà un gioco sbilanciato, è vero, ma il mondo non cambierà mai se manteniamo sempre tutto in equilibrio”.


Kate, finalmente, sentiva di avere in mano la propria vita; se avesse potuto, avrebbe chiesto a suo marito Jasper di farne un dipinto per assicurarsi che tutto rimanesse così.

Ma la vita sfugge a qualsiasi tentativo di controllo, e quella della giovane vice sceriffo verrà travolta da una serie di avvenimenti che costringeranno lei e gli abitanti di Hood River a prendere decisioni dalle conseguenze inaspettate, mentre è in gioco la salvezza di una persona a lei cara. 
Kate da sempre ha fatto di tutto per sfuggire ai fantasmi del passato, ma questa volta forse è giunto il momento di passare all’offensiva…

Se “Zugzwang” si concentrava sulla difficile redenzione di Jasper, in “Sicilian Defense” a rubare la scena è invece la protagonista femminile. 
Oltre al ritorno dei temi ecologici, nella reinvenzione del “buon vecchio western” di Alessandra Pierandrei emergono messaggi sociali ancora più espliciti. 
E chi l’ha detto che pistole e distintivi sono roba da uomini?


L'autrice.
Alessandra Pierandrei (
pagina blog), classe 1989, è un agglomerato di ansie, insicurezze e insoddisfazione: una specie di Charlie Brown ma con più capelli. Con grande sprezzo del pericolo (e soprattutto del buon senso) si è laureata in giurisprudenza ed è diventata avvocato, ma i suoi giorni nei panni di Lionel Hutz sono durati meno dei fritti misti a un buffet di matrimonio. 
Gestisce un blog in cui blatera delle cose più disparate e per anni ha fatto parte dello staff di Parole Pelate, un sito che recensisce serie tv, libri e film. 
Nel 2017 ha frequentato il corso di scrittura e sceneggiatura della Scuola Internazionale di Comics di Jesi (ora Acca Academy) tenuto da Marco Greganti e Giulio Antonio Gualtieri.
Nel 2020 ha pubblicato, con Nativi Digitali Edizioni, il romanzo western “Zugzwang – Il dilemma del pistolero”. 
Ad oggi, il suo più grande traguardo nella vita è stato mettersi in pari con gli episodi dei Simpson.
 

giovedì 3 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi



C'è stato un tempo in cui, quando qualcuno stava per morire, riceveva la visita di una persona che, dopo aver ascoltato i peccati del moribondo, prometteva di farsi carico del giudizio divino su di essi mangiando determinati cibi sulla sua tomba. In questo modo, l'anima di colui che moriva andava dritta dritta in Paradiso, senza l'ombra di peccato alcuno.
Li chiamavano mangiapeccati: erano necessari alla comunità (chi vorrebbe andarsene al Creatore con l'anima gravata di peccati? Meglio liberarsene, no?) ma allo stesso tempo trattate come appestati, dei maledetti da tener lontani, il cui sguardo era meglio non incrociare per non incorrere in qualche oscuro sortilegio; disprezzati al pari delle streghe, vivevano in miseria ai margini della società.
La giovane protagonista è una mangiapeccati che però non accetta passivamente il ruolo impostole da una società che la umilia in quanto donna e, grazie alla propria forza di volontà e determinazione, riuscirà ad essere padrona del proprio destino.


LA CUSTODE DEI PECCATI 
di Megan Campisi 


Ed. Nord
trad. A. Storti
400 pp
"La mangiapeccati si aggira tra noi, invisibile, inudibile. I peccati della nostra carne diventano i peccati della sua, così che possa portarli nella tomba. Invisibile, inudibile, la mangiapeccati si aggira tra noi."


May Owens è solo una ragazzina quando, ormai orfana di entrambi i genitori, viene condannata a diventare una Mangiapeccati per aver rubato un pezzo di pane. Per fame, non perché sia abitualmente una ladruncola.
Ma il pretore, che ha emesso la condanna, non ha tenuto conto della motivazione: si è limitato ad ordinare alle guardie che le tatuassero la lettera S sulla lingua e le chiudessero attorno al collo un collare, con su incisa la lettera S (sin = peccato).

Due terribili gesti che decretano il destino di questa ragazza: essere una mangiapeccati vuol dire essere una reietta, che da quel momento non potrà mai più rivolgere la parola a nessuno, che verrà guardata di sbieco con paura, diffidenza, disprezzo. 
Zero rapporti sociali, zero amici; nessuna vita "normale" le è più concessa.

Ad aspettarla la solitudine, il senso opprimente dei peccati altrui che si poggiano sul suo cuore, la puzza della morte, il sapore di quei cibi che le ricordano che la sua anima si farà sempre più nera; e poi c'è la speranza... La speranza che, se farà bene il suo "lavoro", forse Dio la accoglierà in Paradiso, ed eviterà di andare all'inferno insieme alla progenitrice Eva, madre di tutti i peccati in quanto la prima ad aver ceduto alla tentazione.

Si prova inevitabilmente una gran pena per la povera May, così sola, giovane e infelice, costretta da una società ingiusta e schiava di superstizioni e pregiudizi (in cui la fede cristiana è mescolata con credenze pagane), a diventare un abominio agli occhi del mondo.

La ragazzina comincia il suo apprendistato presso la Mangiapeccati anziana che, nel silenzio più assoluto e a suon di strattoni e scapaccioni, le insegna il mestiere: raccogliere le ultime confessioni dei morenti, preparare i cibi corrispondenti ai peccati commessi e infine mangiare tutto, assumendo su di sé le colpe del defunto, la cui anima sarà così libera di volare in Paradiso.

«L'invisibile è ora invisibile. L’inudibile è ora udibile. I peccati della tua carne diventano i peccati della mia, così che io li possa portare nella tomba in silenzio. Parla.»


Vivere con questa donna non è semplice: non solo perché non c'è comunicazione, ma soprattutto per gli atteggiamenti ruvidi di lei, che all'inizio sembra non mostrare la minima empatia verso l'inesperta "tirocinante"; eppure lo è stata anche lei e di certo ricorderà il proprio legittimo smarrimento nel ritrovarsi, da un momento all'altro, in una situazione nuova e non piacevole, anzi...
Il senso di solitudine e l'infinita tristezza per questa "nuova vita" appesantiscono l'animo di May, che pensa con dolorosa nostalgia al caro e paziente papà, alla dinamica e scaltra mamma, alla gentilezza (negatale, ormai) della vicina di casa, Bessie, e poi si guarda intorno e... cosa vede? Povertà, emarginazione, mormorii cattivi e sprezzanti da parte di persone che si credono migliori, e nessun gesto d'affetto da parte dell'unico essere umano che, ad oggi, è la sua sola famiglia.

Ma anche la vecchia mangiapeccati ha un cuore, per quanto stanco, indurito, rancoroso e solo, e tra le due disgraziate si instaura, pian piano, un rapporto se non di affetto, quanto meno di vicinanza umana.
Due anime sole, umiliate e maltrattate, che trovano una piccola ma necessaria fonte di consolazione l'una nell'altra.

Il loro lugubre servigio è indispensabile tanto presso i poveracci quanto a corte, ed infatti, un giorno, May e la sua Maestra vengono convocate addirittura presso il capezzale di una dama di compagnia della regina Behany*; la morente confessa ma i cibi (corrispondenti ai peccati confessati) che verranno posti sulla bara al funerale, hanno tra loro un "intruso", cioè il cibo di un gravissimo peccato assente durante la recitazione: un cuore di cervo, che rappresenta il peccato di omicidio.
 
Sconcertata, la Maestra di May si rifiuta di completare il pasto (mangiare un cibo non recitato equivarrebbe ad essere complice di una menzogna e ad addossarsi un peccato che o non è stato commesso o non è stato confessato, per cui non perdonabile da Dio) e per questa ragione viene imprigionata, con l'accusa di tradimento. 

Rimasta sola, la ragazza china la testa e porta a termine il compito, ma in cuor suo giura che renderà giustizia all'unica persona che le abbia mostrato un briciolo di compassione e che l'è stata tolta, lasciandola nuovamente più sola che mai.
 
Le Recitazioni e i Pasti proseguono tra i poveri e a corte, dove le dame di compagnia continuano a morire e sulle loro tombe seguita ad essere posto un cuore di animale, nonostante il peccato di omicidio venga puntualmente non confessato in punto di morte.

Cosa sta succedendo? Cosa si  nasconde dietro questa strana situazione? Qualcuno sta forse cercando mandare un messaggio? Chi e perché ha commesso degli omicidi a corte? 

May si ritrova coinvolta in una rete di menzogne e tradimenti che vede alcune persone presenti a corte tessere diabolicamente delle trame pericolose in grado di creare scompiglio sul diritto della Regina a regnare.
Determinata a vendicare la povera Maestra e a risolvere il mistero dietro quei cuori di animali, May è altresì pronta a correre dei rischi pur di venirne a capo, acquisendo nel frattempo una maggiore consapevolezza di sè, del proprio ruolo che, per quanto macabro e solitario, ha dei lato "positivi": la gente ha paura di lei e si scansa al solo vederla passare? Bene, vorrà dire che la ragazza approfitterà di questo timore superstizioso per fare ciò che ritiene giusto e per farsi, in un certo senso, rispettare.
Quello che non si aspetta, però, è di apprendere sorprendenti verità sull'identità della vecchia mangiapeccati e addirittura su sé stessa.

Intanto, nella sua vita fanno irruzione dei poveracci che entreranno prepotentemente sotto il suo tetto ma che costituiranno per May una sorta di stramba e disgraziata "famiglia".


Trovo questo romanzo storico della Campisi (al suo esordio letterario) molto coinvolgente; mi è piaciuto lo sfondo storico, così ben raccontato non solo per quanto concerne il modo di vivere (dei poveri, della gente a corte, degli attori ambulanti...), lo squallore dei quartieri poveri, l'aspetto religioso, le beghe dei regnanti, ma in particolare per il modo di pensare del tempo, che mescolava sacro e profano, che vedeva streghe e incantesimi diabolici in ogni dove, che non mostrava alcuna compassione per i derelitti, per i miseri e i lebbrosi; intrigante anche il tocco giallo, volto a risolvere le strane morti delle dame a corte.

L'Autrice mette il lettore in condizione di conoscere i sentimenti della protagonista, il suo dolore, la solitudine, la paura nell'essere diventata un oggetto di odio e insulti ingiustamente, la sensazione di avere un peso ingombrante - quello della morte - sul proprio cuore.

"Tante volte, nel corso degli anni, mi sono sentita svuotata. Nel senso di sola. Però adesso in me c’è qualcosa di ancora più brutto. Un senso di morte che mi striscia fino al cuore."

Ma May non resta passiva davanti ad un infelice destino deciso da altri; ragiona, valuta, osserva, e quindi evolve e matura, arrivando a capire che non sarà mai completamente sola e che anche nella sua vita ci sono spazi di libertà:

"Contro il dolore, contro la solitudine, contro i peccati che si ammucchiano sulla nostra anima, abbiamo noi stesse."

E sì, nella società in cui vive, il suo posto "posto non è una casa o una famiglia, ma una funzione: mangiare peccati", ma ciò non significa che lei sia solo quello. Lei è May Owens, una ragazza come tante, bisognosa di amicizia, affetto, comprensione, calore, come tutti.

"Forse la libertà sta nel poter essere più di una cosa. (...) Forse la libertà sta nel poter decidere da sé, anche se le decisioni sono pessime."

Consigliato, è un romanzo scritto bene e con una storia interessante e coinvolgente.


il romanzo è ambientato nel XVI sec., quando a regnare in Inghilterra era Elisabetta I (1533-1603), che corrisponderebbe alla regina Bethany del romanzo; a loro volta, la contrapposizione tra eucaristiani e creatoriti riprende quella tra cattolici e anglicani; in quegli anni si susseguirono, infatti, sovrani che di volta in volta obbligavano il popolo a convertirsi alla "propria" fede, perseguitando chi si ostinava a restar fermo nella "vecchia". 

****  In QUESTO POST ho scritto brevemente della figura dei mangiatori di peccati, realmente esistiti; nel romanzo l'Autrice scrive che le "mangiapeccati sono sempre donne, dato che Eva è stata la prima a mangiare un peccato, nella fattispecie il Frutto Proibito.", ma in realtà storicamente i mangiapeccati non erano necessariamente solo donne: anche gli uomini potevano assolvere a questa triste funzione.  ****

martedì 1 marzo 2022

[[ MONTHLY RECAP ]] I LIBRI LETTI A FEBBRAIO 2022



Ecco i libri letti nel mese di febbraio.






  1. HANDALA. UN BAMBINO IN PALESTINA di N. al-Ali: si tratta dei disegni del vignettista arabo che ha creato il piccolo Handala, diventato il simbolo della resistenza del popolo palestinese (4.5/5).
  2. IL MISTERO DEI BAMBINI D'OMBRA di P. Pulixi: un paranormal thriller per ragazzi, con protagonista un 11enne che deve risolvere un mistero ed evitare una possibile tragedia nella sua cittadina (3,5/5).
  3. UN'AMICIZIA di S. Avallone: due ragazze diversissime, due amiche per la pelle durante l'adolescenza. Anni dopo, neanche si parlano più. Perché? (4,5/5).
  4. IL GELSO ROSSO di G. M. Guaccio: romanzo di formazione che narra degli amori e delle lotte politiche di una donna combattiva e indipendente.
  5. I FIGLI DEL DILUVIO di L. Millet: un gruppo di adolescenti cerca di sopravvivere a un violento diluvio che sconvolgerà le loro vite (4/5).
  6. LA STANZA DELLE ILLUSIONI di D. Pitea: giallo classico con protagonista un uomo particolare, dal carattere difficile ma dal grande intuito (4/5).
  7. "Amore e amicizia" di J. Austen: breve classico in forma epistolare, scritto da una 14enne "zia" Jane.

Tutte letture piacevoli, ognuna per le sue ragioni, ma se devo scegliere, sul podio vanno il libro di Handala, che prende per mano il lettore mostrandogli da una parte i disastri che combinano gli uomini quando calpestano i diritti dei popoli, dall'altra la resistenza di questi ultimi; anche il libro dell'Avallone mi è piaciuto molto.


CITAZIONI DEL MESE

"nessun altro sguardo è capace di accogliere come quello di chi è spinto ad agire solo dall’amore." (La felicità degli altri, C. Pellegrino).

PROMEMORIA

Ci sono cose da fare ogni giorno: 
lavarsi, studiare, giocare, 
preparare la tavola 
a mezzogiorno. 

Ci sono cose da fare di notte: 
chiudere gli occhi, dormire, 
avere sogni da sognare, 
orecchie per non sentire.

Ci sono cose da non fare mai, 
né di giorno, né di notte, 
né per mare, né per terra: 
per esempio, la guerra. 

(GIANNI RODARI)


SERIE TV

Sto guardando HANNIBAL, liberamente ispirata ai personaggi del romanzo "Red Dragon" di Thomas Harris, con Hugh Dancy e Mads Mikkelsen nei ruoli rispettivamente di Will Graham e Hannibal Lecter.

Hannibal Lecter è uno psichiatra dalla mente tanto geniale quanto malata, un vero e proprio psicopatico
intelligentissimo dedito al... cannibalismo. 
La sua vita di serial killer super raffinato si intreccia con quella del brillante profiler dell'FBI Will Graham, che ha un grande e raro talento, sua croce e delizia: ha una tale capacità di empatizzare con le persone da saper immedesimarsi in esse, riuscendo ad insinuarsi nella mente dei serial killer tanto da vederne i disegni criminali, il che però lo porta inevitabilmente a caricarsi anche dei disturbi di personalità, delle paranoie e delle folle di costoro.
Will è un bravo ragazzo e potrebbe essere anche un bravo agente dell'FBI, se non fosse che è a sua volta vittima di disturbi (ha anche la Sindrome di Asperger), è ossessionato dagli efferati delitti su cui lavora e dal pensiero dei killer che insegue; non riesce ad avere una vita normale e serena, ad iniziare relazioni sentimentali ed amicali.

Quando il capo dell'Unità di scienze comportamentali dell'FBI, Jack Crawford affida a Will un difficile caso che riguarda la scomparsa di sette giovani ragazze, purtroppo il profiler non riesce a dare un contributo decisivo per arrivare a identificare la mano assassina, per cui Jack si trova "costretto" ad affiancargli un aiuto scientifico esterno, nella persona del Dottor Lecter.
I due stringono un rapporto simile ad un'amicizia che, però, tale non è davvero, visto che Hannibal - che tra l'altro supporta Will dal punto di vista psichiatrico, sottoponendolo a conversazioni che sembrano delle vere e proprie sedute - nasconde l'inquietante segreto di essere lui lo spietato assassino.

Le due menti geniali, così affini e così perverse, lavorano insieme ed in sinergia, mettendo sul campo tutte le loro abilità di leggere le scene dei crimini in modo da dare il giusto valore e la giusta interpretazione di ogni dettaglio.
Chiaramente, è difficile per Will e la polizia arrivare ad acciuffare la mente criminale che sta dietro le morti atroci che intanto stanno aumentando a dismisura, perché Lecter sta manipolando ed ingannando praticamente tutti...

Will si fida di Hannibal, che per lui è alla stregua di un amico, ma in realtà l'altro lo sta pian piano trascinando con sé nel baratro della follia, perché è l'unico che è riuscito a riconoscere come un suo pari, l'unico ad essere alla sua altezza.

Sono arrivata a metà della seconda stagione e procedo comunque lentamente perché ad ogni puntata c'è un tale quantitativo di sangue, organi interni espiantati, piatti prelibati cucinati con... ehm... ingredienti particolari (rigorosamente bio eh), torture varie, corpi martoriati, emulatori di Lecter pazzi quanto lui, visioni deliranti da parte di Will - continuamente sudato, tremante, tormentato da incubi a occhi aperti e chiusi, che se ne va in giro di notte senza esserne cosciente - che non posso guardare più di un episodio alla volta, perché... non ce la faccio proprio.
Allo stesso tempo, son curiosa di continuare ma non chiedetemi perché :-D

Ho cominciato anche MAID, una miniserie di una sola stagione (dieci episodi) ispirata dal memoir di Stephanie Land Domestica: Lavoro duro, Paga Bassa, e la voglia di sopravvivere di una Madre
E' la storia della giovane Alex, che decide di lasciare il suo violento fidanzato Sean (col vizio della bottiglia) e di fuggire con la loro figlioletta; trova riparo in una struttura per donne in difficoltà e si mantiene lavorando come addetta alle pulizie per la ditta "Value Maids". 
Alex deve lottare per riuscire a tenersi la bambina, per crescerla tra mille problemi di donna sola, con una madre inaffidabile e praticamente assente e i soldi che scarseggiano.


domenica 27 febbraio 2022

[[ Recensione ]] HANDALA. UN BAMBINO IN PALESTINA di Naji Al-Ali


Il vignettista Naji al-Ali, tra i più importanti della storia della Palestina, ha fatto della propria arte un mezzo per esprimere le proprie idee politiche e soprattutto, grazie al suo iconico personaggio, Handala (diventato simbolo della resistenza palestinese), ha dato voce alla sua gente che stava nei campi profughi e a quegli arabi privi della possibilità di esprimere i propri punti di vista e di reclamare i propri diritti.


HANDALA. UN BAMBINO IN PALESTINA 
di Naji Al-Ali



Ed. Marotta e Cafiero
trad. E.Leo
 120 pp
18 euro
Febbraio 2022
Sempre di spalle, con le mani allacciate dietro la schiena, una testolina tonda con pochi capelli ritti in testa: Handala è un bambino di circa undici anni, non bello (anche se in realtà il lettore non lo vede mai in viso; se non è di spalle, al massimo è di profilo), povero, o meglio, è il simbolo dei più poveri ed oppressi tra la sua gente - depredata, scacciata, indesiderata, gli orfani del Medio Oriente -, che con aria fiera guarda ciò che di brutto accade attorno a sè, in silenzio sì ma è come se dicesse: "Non vi curate di me. io me ne sto di lato. Guardo. Prendo nota. E so esattamente cosa state facendo".

A chi si rivolge? Chi si ritrova nel mirino del suo sguardo imperturbabile di bambino cui è stato impedito di crescere?
Non soltanto gli occupanti israeliani ma anche lo stesso governo palestinese e i regimi arabi.

Naji al-Ali sa cosa significhi essere un bambino in fuga dalla propria casa, dal proprio villaggio; aveva circa undici anni quando nel 1948, allo scadere del mandato britannico in Palestina, si realizza il sogno sionista di fondare lo Stato d'Israele, e questo non senza violenza, ma attraverso attacchi a città palestinesi, massacri ed espulsione in massa della popolazione indigena. È l'inizio della Nakba.
Naji, e con lui la famiglia e migliaia di altri nativi, si stabilì in un campo profughi in Libano, soffrendo le privazioni e le difficoltà che da allora hanno vissuto (e vivono) i tantissimi palestinesi esiliati, ai quali è stato negato il ritorno alle loro case.

Un'esperienza di questo tipo non poteva non lasciare traccia in lui, che presto maturò una coscienza politica.

"Appena ho preso consapevolezza di quello che stava succedendo, dello scompiglio disastroso nella nostra regione, mi sono sentito in dovere di fare qualcosa di contribuire in qualche modo".
.
Con la sua matita Naji ha raccontato l’orrore, la resistenza e la sofferenza del proprio amato popolo attraverso gli occhi del suo giovane Handala: il divieto di far ritorno alle proprie case, le lacrime versate dalle madri che vedono i propri cari mutilati o morti a causa delle bombe, i sentimenti di nostalgia ed alienazione, l'esproprio delle proprie terre, il desiderio di libertà dei prigionieri politici, il forte legame di appartenenza alle proprie radici.
Nelle sue vignette c'è tutto l'impegno sociale e politico di un partigiano che, pur non militando in nessuna organizzazione politica specifica, non ha esitato a mostrare con chiarezza le responsabilità da parte dei governi arabi e della classe dirigente nel contribuire a violare i diritti dei cittadini arabi, trattati come criminali se osavano alzare la voce per reclamare i propri basilari diritti.
Le classi dominanti arabe sono sotto accusa anche per aver barattato le risorse e la sovranità dei loro paesi in cambio della protezione da parte degli occidentali (USA, in primis).
Il piccolo Handala assiste inorridito alla distruzione di ogni possibilità di pace e giustizia nel mondo arabo e al bombardamento che piove da più fronti ("spade arabe, petrolio arabo e munizioni israeliane").

Con onestà, trasparenza e acume, Naji non risparmia rimostranze e critiche anche a quei funzionari palestinesi e ai capi arabi che si sono arresi, capitolando, davanti ad Israele, accettando risoluzioni e negoziati che, lungi dall'essere delle vere vie d'uscita, erano solo dei cappi al collo.

Le vignette di al-Ali comunicano con un "linguaggio" semplice ed immediato, privo di ambiguità, le ingiustizie e il diritto a resistere, stimolando anche la critica (l'autocritica) e incoraggiando il proprio popolo a lottare per la libertà.

Naji al-Ali è stato assassinato a Londra nel 1987; da chi, non è mai stato accertato ma, come scrive Joe Sacco nella prefazione al libro, essendo stato al-Ali sempre lucidamente critico verso chiunque opprimesse il proprio popolo (che fossero, come dicevo, gli israeliani o i regimi arabi), erano in diversi ad avercela con lui.
Ma a quasi trentacinque anni dalla sua morte, i suoi disegni continuano a parlare della sofferenza dei palestinesi di ieri e di oggi, nonché del loro incrollabile rifiuto di essere considerati invisibili e dimenticati, ricordando al mondo che non solo esistono ma che "Un giorno, il filo spinato che tiene lontani i palestinesi dalla propria patria si trasformerà, e la loro sofferenza avrà fine".

Ho acquistato (pre-ordinato) questo libro prima ancora che fosse disponibile, proprio perché avevo molta voglia di leggerlo e guardare i bellissimi e significativi disegni di questo artista coraggioso, che ha messo il proprio talento a servizio della causa del proprio popolo e, in generale, di tutti gli arabi oppressi e privati dei propri diritti. 
Handala non mostra il proprio viso ma ugualmente ne vediamo le lacrime e il cuore, indomito e pieno di dignità.






venerdì 25 febbraio 2022

** SEGNALAZIONI EDITORIALI ** RACCOLTE DI RACCONTI

 

Buonasera, cari lettori!

Questa sera vi presento alcuni libri di cui ho ricevuto segnalazione e che sottopongo anche alla vostra attenzione.

Si tratta, in tutti e tre i casi, di raccolte di racconti.


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OSCURE EMOZIONI di Isabella Grandesso (Catartica Ed., 14.00 €, 160 pp)-

L’oscuro prende vita, intrecciandosi ai confini delle umane emozioni, avvinghiando a sé i protagonisti ignari del loro destino mortale.

Oggetti, situazioni e istanti intrappolati nei gangli temporali di una realtà urbana, dove presagi funesti abbagliano e si diffondono tra le vie di quartieri misteriosi, come l’Esquilino a Roma o in luoghi leggendari come l’antica Cadiz. La dimensione onirica apre soglie verso l’ignoto, dove ciò che è noto non è più reale. 
In questa raccolta i racconti si susseguono senza respiro, prestandosi universalmente a una lettura funzionale per il viaggio e i tempi della vita contemporanea, intrappolando il lettore in un girone in cui l’oscuro rapisce le emozioni senza lasciare scampo.

L’autrice
Isabella Grandesso è nata ad Arino, un paese della Riviera del Brenta. È laureata in Psicopedagogia (Università degli Studi di Padova: prima tesi sul bullismo in Italia), ed è specializzata con un dottorato in Counseling Educativo (Università Pontificia Salesiana di Roma). Lavora tra Roma (dove vive) e la provincia di Venezia. Cresciuta tra vigneti e campi di grano, dedica alla scrittura la passione per l’intrigo del quotidiano. I suoi scritti sono stati premiati in numerosi concorsi letterari, tra cui il Festival della Letteratura per ragazzi di Nola. Ha pubblicato con Medusa Editrice due romanzi per ragazzi (“Niente paura, Phil!” e “Che coraggio, Phil!”) e con Porto Seguro Editore una raccolta di racconti (“Diapositive-Istantanee”).



PIETRE. Storie di provincia di Vincenzo Elviretti (Catartica Ed., 14.00 €, 152 pp) è 

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una raccolta di sette racconti brevi ambientati nei sabato sera qualunque, nelle partite di calcio della domenica delle squadre non professioniste, negli angoli bui dei centri storici quasi disabitati, tra gli strumenti stonati di una banda che suona musica in tonalità minore alle processioni religiose.Provincia canaglia. Le pietre: immobili, mai stanche della loro monotonia. Le uniche a non cambiare mai e a durare in eterno, o quasi. I padroni di certi posti dimenticati da dio.Quelle che seguono sono storie di ragazzi, ragazze di provincia.

Provincia intesa più come luogo fisico che come condizione mentale. Non si tratta di personaggi che sognano la fuga ma di elementi ben inseriti nel contesto che li circonda, con una dimensione stabilita. Un piccolo avvertimento: quasi tutte le storie finiscono male.
La provincia può anche uccidere. Ma la provincia è come una madre che coccola i suoi poveri figlioli, ed è ben noto il nostro essere un po’ mammoni. La rispettiamo in quanto tale. La amiamo, comunque.

L’autore
Vincenzo Elviretti è nato a Ostia nel 1981. Vive e lavora in provincia di Roma. Nel 2019 ha pubblicato con Catartica Edizioni il suo primo romanzo breve “Il vento, racconto di una canzone”. Con la stessa casa editrice ha contribuito alla raccolta collettiva di racconti “Caos ed equilibrio” pubblicata nel 2020, con il testo “Il vero virus” e, inoltre, è stato membro della giuria del Premio letterario “Urban Jungle”, sia per la prima che per la seconda edizione. Negli anni ha pubblicato diversi racconti in raccolte collettive e riviste letterarie. Alla fine degli anni zero ha auto-pubblicato una raccolta di racconti che è stata oggetto di un saggio ad opera di Paolo Leoncini, professore di letteratura all’Università “Ca Foscari” di Venezia. Il testo del sig. Leoncini è stato pubblicato su Italica n. 88, la rivista letteraria dell’Università dell’Indiana (USA). La stessa raccolta, “Pietre, storie di provincia” viene ora ripubblicata, riadattata e rielaborata, da Catartica Edizioni
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E ‘l modo ancor m’offende, Voci di donne vittime di femminicidio di Maria Dell’Anno (Edizioni San Paolo 2022, pp. 224, euro 18,00).

Undici donne che non ci sono più.
Undici voci di donne che si tolgono il velo della violenza subita e ci raccontano la loro versione della storia.
Le voci di queste undici vite spezzate ci aprono gli occhi e rispondono a domande che non possiamo evitare: Cosa pensavano queste donne della loro vita, dei loro uomini, del loro essere mogli e madri? Come hanno lottato per riacquistare una vita libera dalla violenza maschile? Chi poteva e doveva aiutarle? Cosa ha fatto per loro lo Stato di cui erano cittadine? 
Cosa deve cambiare nella nostra cultura e nel rapporto tra uomini e donne? E cosa può fare ciascuno e ciascuna di noi per cambiarlo?

Questi racconti, scritti in prima persona, sono dedicati a donne vittime di femminicidio; storie vere di donne che hanno rivendicato la propria libertà, la libertà di decidere della propria vita, di dire no, e per questo sono state "punite" da mariti, ex-mariti, fidanzati. Sono racconti frutto di un attento lavoro di ricerca di informazioni e notizie apparse sulla stampa, nelle sentenze processuali e/o riportate in altri studi, nonché in alcuni casi della diretta testimonianza dei famigliari delle vittime personalmente contattati dall'autrice.

L'autrice.
Maria Dell’Anno è giurista, criminologa e soprattutto scrittrice. Ha pubblicato i saggi Se questo è amore. La violenza maschile contro le donne nel contesto di una relazione intima (Ed. LuoghInteriori, 2019) e Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio (Ed. LuoghInteriori, 2021) e i romanzi Troppo giusto quindi sbagliato (Ed. Le Mezzelane, 2019) e Fuori tempo (Ed. Eretica, 2021). Ha vinto vari premi letterari e suoi racconti sono pubblicati in antologie. Scrive articoli su Noi Donne, www.noidonne.org.

 

mercoledì 23 febbraio 2022

Dietro le pagine di... "La custode dei peccati"

 

In questi giorni sto leggendo LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi, che ha al centro la storia di una ragazzina - May Owens - cui è toccato un triste "destino": in seguito ad un furto, è stata condannata a diventare una mangiapeccati




Chi erano i/le mangiapeccati? C'è traccia di loro nella storia?

Confesso di non aver mai sentito parlare né di aver letto nulla a proposito di queste figure realmente esistite, prima di leggere il libro della Campisi.

Presa dalla curiosità, ho provato a cercare qualche informazione al di fuori dal contesto del romanzo, che chiaramente, per ragioni narrative, contiene sì elementi storici ma anche fittizi, inventati.

Inquadriamo anzitutto il periodo storico: XVIII e XIX secolo, ma in realtà è una pratica presente in età Medievale e sopravvissuta al trascorrere del tempo, visto che verso la fine del 1600 si registra ancora questa "vecchia usanza ai funerali", che pare sia stata praticata fino all'inizio del XX secolo; gli studiosi hanno ipotizzato, a proposito della sua origine, che essa presumibilmente potesse essere frutto di un'interpretazione dell'uso del capro espiatorio menzionato nel Levitico

fonte

Altri hanno ritenuto che provenisse da tradizioni pagane, ma in Death, Dissection and the Destitute, Ruth Richardson scrive di un'usanza medievale che riguardava proprio il "mangiare il peccato": prima di un funerale, i nobili una volta davano cibo ai poveri in cambio di preghiere a favore di un loro caro morto di recente.

Dove si praticava? In Inghilterra, Scozia e Galles.
I "mangiatori di peccati" (sin eaters) erano persone della comunità che consumavano i peccati della gente morta di recente.

A dare una prima vera testimonianza della pratica è stato lo studioso del 1600 John Aubrey (1626-1697), il quale annotò che nell'Herefordshire c'era questo costume: nei funerali venivano assunti dei poveri che avrebbero dovuto "prendere su di loro" tutti i peccati del defunto, e in che modo? Il mangiapeccati doveva consumare, sul corpo del morto, pane e birra, e avrebbe ricevuto sei pence in denaro, il tutto nella convinzione che in questo modo l'anima della persona deceduta potesse andare dritta dritta in Paradiso perchè i suoi peccati non gravavano più su di essa... ma su quella del mangiapeccati.

Siccome consumare i peccati di un'altra persona non era un attività proprio allettante, solitamente a prendersi quest'onere erano individui poveri e già magari emarginati dalla comunità, disposti quindi a mettere a rischio la propria salvezza in cambio di un magro compenso o di un pasto gratuito.

È facile immaginare come queste figure fossero oggetto di profondo disprezzo; i loro tristi servigi dovevano essere esercitati in modo discreto e, una volta fatto il loro lavoro, costoro venivano cacciati di casa, spesso picchiati e maltrattati fino a quando non se ne erano andati.
Si pensava che incrociare lo sguardo di un mangiatore di peccati attirasse una maledizione, anche perché questi disgraziati erano comunque ritenuti dannati, più peccatori degli altri e, in una certa misura, più malvagi. Essere in presenza di un mangiatore di peccati significava essere in presenza dei peccati di molte persone.

Va da sé che i mangiapeccati vivessero spesso come dei derelitti, lontani dagli altri, odiati ma comunque necessari nel caso in cui qualcuno morisse prima che potesse confessare i propri peccati. 

La Chiesa non ha mai punito quest'usanza alternativa... ma neanche incoraggiata, tant'è che poi è andata man mano scomparendo.
Ne parlano anche John Bagford (1650–1716, scrittore, bibliografo) e Catherine Sinclair, che annota nel suo diario di viaggio del 1838 (Hill and Valley) come la pratica fosse sì in declino ma se ne trovassero ancora tracce nel Monmouthshire (contea del sud-est del Galles) e in altre contee ad ovest. 

Richard Munslow, sepolto nel 1906 a Ratlinghope (un villaggio nello Shropshire, Inghilterra) pare sia l'ultimo mangiatore di peccati. 






Fonti consultate:

https://www.atlasobscura.com/
https://historyofyesterday.com/
https://www.secondshistory.com/

martedì 22 febbraio 2022

[[ RECENSIONE ]] IL MISTERO DEI BAMBINI D'OMBRA di Piergiorgio Pulixi

 

Piergiorgio Pulixi è in libreria con un nuovo romanzo, che è al tempo stesso ritorno ed esordio; sì, perché con Il mistero dei bambini d'ombra lo scrittore sardo esordisce nel genere narrativa per ragazzi, senza perdere mai il tocco noir e misterioso che, personalmente, amo nei suoi romanzi.

Il protagonista di questa storia ambientata in una cittadina americana è il dodicenne Jake che, quando il suo migliore amico sparisce nel nulla, si ritroverà coinvolto in una serie di sinistri casi irrisolti di altri bambini scomparsi trent'anni prima.


IL MISTERO DEI BAMBINI D'OMBRA
di Piergiorgio Pulixi


Ed. Rizzoli
192 pp
Jake Mitchell ha dodici anni e vive sereno con i suoi genitori a Stonebridge, una città tranquilla su cui però pesa il ricordo di un'oscura tragedia: nel 1984 in una sola notte tutti i bambini (duecento!) al di sotto dei tredici anni erano scomparsi senza lasciare traccia.
Di loro non si è saputo più nulla.

Volatilizzati. Come se non fossero mai esistiti, se non nel cuore di chi li ha amati e non ha smesso, in cuor proprio, di sperare di vederli comparire sull'uscio di casa, all'improvviso, così com'erano spariti.

Dopo trent'anni, questa storia ha il sapore della leggenda, di quelle che i genitori ripetono ai figli per scoraggiarli a restare fuori casa quando ormai è tardi e buio, ed è pericoloso.
Victoria, la madre di Jake, ne parla come "la leggenda dei bambini d'ombra" perché durante gli anni si è sparsa la voce che ogni tanto qualcuno riesca a sentire le voci di questi ragazzini che giocano al limitare del bosco, ma in realtà nessuno li ha mai visti, se non sotto forma di ombre. Come se fossero dei fantasmi.

Jake non sa però che dietro quella triste storia si nasconde un grande dolore per i suoi cari, in quanto tra quegli scomparsi di tre decenni prima c'era anche l'allora 11enne zio Ben (fratello maggiore di sua madre); la sua inspiegabile scomparsa ha recato tanta sofferenza in famiglia, tanto che (comprende presto il ragazzino) addirittura suo nonno non è stato più lo stesso...

Da quando è venuto a conoscenza di questa importante tragedia famigliare, Jake si ritrova a pensare sempre più spesso a quello zio che non ha mai conosciuto ma che gli somiglia non poco, e che ora sente più vicino che mai.
A rammentarglielo c'è, inoltre, la mitica Ernie Ball, la pallina da baseball a lui appartenuta e che Jake chiede alla mamma di poter tenere con sé.
È una pallina speciale e il ragazzo avrà modo di sperimentarne il valore, nei giorni successivi.

Di lì a breve, infatti, accade un fatto drammatico, che lo scuote profondamente: il suo migliore amico Mike è scomparso nel nulla.
Jake non capisce cosa stia succedendo, è spaventato e comincia a cercare il suo amico nei posti che frequentavano insieme, ma niente...
Si reca in biblioteca per fare ricerche su ciò che è accaduto anni e anni prima a zio Ben e agli altri bambini e scopre, con sua grande sorpresa, che anche Mike stava raccogliendo informazioni in merito.

Aiutato, in un primo momento, soltanto dall'amica di scuola Courtney, e poi da altri pochi amici più stretti ed affidabili, Jake, con al seguito Rocket (il cane di Mike), farà di tutto per risolvere il mistero della sparizione di Mike (cui se ne aggiunge presto un'altra) e, di conseguenza, quella di tutti i bambini d'ombra.

A fornirgli un aiuto prezioso in quest'avventura, che si rivelerà via via davvero pericolosa, c'è la Ernie Ball, che non è una palla come tutte le altre: c'è in essa qualcosa di magico! Infatti, essa si illumina tutte le volte che c'è un pericolo e che Jake ha bisogno di una mano per superare una difficoltà o un nemico imprevisto; non solo, ma quando la pallina brilla, il ragazzino riesce a distinguere le ombre dei bambini scomparsi trent'anni prima!
Cosa vuol dire questo? Forse sono vivi? Se è così, dove si trovano? Perché non tornano a casa? E come può Jake aiutarli a non essere più solo delle ombre?

Quella che all'inizio ha quasi le sembianze di un'avventura eccitante, ben presto assume contorni sinistri e paurosi, soprattutto quando Jake - parlando con un uomo, un nativo, giudicato da tutti in città poco raccomandabile - viene a conoscenza di una oscura leggenda che ha per protagonista uno spirito maligno. E se fossero da attribuire ad esso le assurde sparizioni?

Intanto, gli adulti cercano di attivarsi per cercare i due ragazzini scomparsi, col timore che la disgrazia, che essi aveva cercato di seppellire in un angolo dimenticato della memoria, si stia ripetendo con i loro figli; a coordinare le ricerche e ad occuparsi del caso è lo sceriffo Bud Malone, anch'egli un nativo americano.

Ma Jake e i suoi amici sono troppo preoccupati per aspettare che la polizia risolva il mistero, così decidono di fare le ricerche per conto proprio.

Dovranno tirare fuori tutto il loro coraggio, restare uniti, guardarsi le spalle a vicenda ed essere pronti a superare i confini di ciò che conoscono, che è reale e visibile, per varcare la soglia di una dimensione sovrannaturale, in cui possono accadere fatti che essi non pensavano possibili.
Per il gruppo di amici diventa sempre più evidente che è in corso una vera e propria "battaglia" tra il Bene e il Male, una corsa contro il tempo per cercare di impedire a sconosciute forze malvagie di continuare a far del male ai ragazzini di Stonebridge.

A mio avviso, è un romanzo che ha le caratteristiche giuste per piacere ai giovani lettori, grazie al mix di elementi thriller e paranormale, a un modo di raccontare ricco di suspense, chiaro e scorrevole, che lascia entrare nelle misteriose atmosfere che fanno da sfondo alle avventure del protagonista; rilevante è il valore dell'amicizia, per la quale Jake e i suoi amici sono disposti ad andare incontro a qualcosa di ignoto e spaventoso pur di salvare i compagni in difficoltà.

Nota: Ascoltare la storia di Pulixi narrata da Michele Maggiore è stato piacevole e non mi ha mai annoiata.


domenica 20 febbraio 2022

[[ RECENSIONE ]] UN'AMICIZIA di Silvia Avallone



Chi di noi non ha avuto, negli anni cruciali dell'adolescenza, un "migliore amico"?
Silvia Avallone ci racconta la storia di due migliori amiche, che insieme vivono un periodo della loro vita indimenticabile, che delineerà le loro personalità e il loro futuro. E nonostante il tempo, la vita, le ambizioni, le delusioni... le allontaneranno alzando muri, tutto il turbinio di emozioni e i ricordi, che quell'amicizia racchiude in sé, resteranno incisi dentro di loro anche nell'età adulta.


UN'AMICIZIA
di Silvia Avallone




Ed. Rizzoli
464 pp

Elisa Cerruti e Beatrice Rossetti non potrebbero essere più diverse.
La prima è rossa di capelli, nel vestire è un po' punk e non segue la moda dei suoi coetanei (preferisce nascondersi in felpe oversize con cappuccio calato in testa a nascondere il viso), ama leggere (soprattutto poesie), ascolta punk hardcore e metal, frequenta il Pascoli a T ed è la secchiona non integrata del gruppo classe, presa in giro, oggetto di risatine di scherno e senza amici.

Beatrice ha charme, ha carisma, una chioma riccia e bruna da fare invidia, un fisichetto che promette bene già da ragazzina; è intelligente e determinata, veste all'ultima moda e la sua è una famiglia benestante, di quelle che - a vederle brevemente da fuori - paiono uscite dalle riviste patinate a simboleggiare la felicità famigliare e a ricordare ai comuni mortali quanto invece essi siano brutti e insanabilmente perseguitati dalla sfiga più nera.

Elisa vive con suo padre Paolo, ingegnere informatico e docente universitario, col quale non ha un buon rapporto. O meglio, non ha mai avuto alcun rapporto, visto che ha vissuto sempre con mamma Annabella e il fratello maggiore Niccolò a Biella, fino a quel momento (ha quattordici anni nel 2000).

Ma purtroppo, essendo la sua una famiglia disfunzionale, la serenità non ha mai bussato alla porta di casa loro (o al massimo l'ha fatto ma non l'è stato aperto), e attualmente Elisa ha dovuto subire la decisione dei suoi genitori (separati da anni) di far vivere il figlio maschio (che si cala hashish e marijuana come fossero tic tac) con quella squinternata della madre (un'eterna ragazzina, incapace di prendere seriamente e con responsabilità il proprio ruolo genitoriale), mentre Elisa si trasferisce, contro la sua volontà, dal serioso e quasi sconosciuto padre.
Elisa non riesce a rapportarsi a un genitore che ha praticamente sempre sentito per telefono alle feste comandate ma che, per i figli, è stato assente.

Ma ormai questo è e si deve accontentare.
La sua vita a T procede nel più totale piatto anonimato, fino a quando la bellissima Beatrice le dà corda, le telefona, dandole addirittura appuntamento.
Un primo approccio (a dire il vero, non è esattamente il primo in assoluto, in quanto le due si sono incontrate tempo prima, su una spiaggia: due anime affrante da una situazione famigliare opprimente, in cerca di una muta e reciproca consolazione) davvero singolare, che le vede protagoniste del furto di un paio di jeans in una boutique elegante di T.

Dopo quell'episodio, tra le due nasce un legame che si farà via via sempre più saldo, rendendole inseparabili e complici, nonostante le differenze caratteriali (e non solo), anzi, forse proprio grazie ad esse.

È Bea ad aiutare Elisa a "sbocciare", a farsi avanti con il ragazzo che le piace (Lorenzo, che ricambia, tra l'altro), a fare il piercing alle labbra, a truccarsi, a vestire meglio, a provare a uscire dal bozzolo di timidezza ed invisibilità in cui è rinchiusa e ad essere più sicura di sé.
Elisa è ipnotizzata dal fascino di questa coetanea sfacciata e spontanea allo stesso tempo, alla cui ombra lei si ripara per sentirsi almeno un po' importante, per non essere più la sfigata che viene da Biella e che nessuno calcola manco di striscio; le luci scintillanti, di cui Bea brilla in modo naturale, illuminano un pochino anche lei, che accanto all'amica si sente qualcuno, fosse anche solo per osmosi.

"...sembro grigia. La magia è sempre appartenuta a Beatrice. Era lei che sfiorandomi mi rendeva interessante. Lei che irradiava un bagliore di stelle intorno."

Il racconto di quest'amicizia (che ha inizio nel 2000) è frutto di un percorso a ritroso che la protagonista e narratrice - Elisa - sta facendo con la memoria oggi (2019), in cui si è decisa finalmente a scrivere un libro (sogno riposto nel cassetto da quand'era una studentessa che buttava giù poesie tristi).

In questo suo memoir, Elisa ha posto al centro l'amicizia con Beatrice Rossetti, con cui però ha perso ogni contatto personale da ben tredici anni.

E la Beatrice di oggi non è una donna qualsiasi: è la Rossetti, quella famosa, che compare ogni giorno sulle riviste, i cui amori sono oggetto di gossip, la cui "sbrilluccicante" vita è costantemente sotto i riflettori (in tutti i sensi), a cui basta indossare un cappello perché diventi di moda o un rossetto perché vada a ruba un minuto dopo. È la Bea che tutti amano e odiano, invidiano e adorano, di cui si segue ogni scatto perfetto sui social, che sorride alle telecamere con il suo trucco perfetto, che vola da una località all'altra senza fermarsi un attimo.

Questa Beatrice non è la Bea con cui Elisa ha condiviso gli anni dell'adolescenza.
O per meglio dire..., sì, è ciò che la stessa Bea ha sempre desiderato diventare (famosa, ricca, acclamata, seguita, imitata...) ma Elisa non la riconosce, sa che dietro quella facciata c'è un passato che la Rossetti si guarda bene dal rendere pubblico.
Perché? Se ne vergogna?
Si vergogna di parlare della sua famiglia, perfetta all'esterno ma infelice e disperata dentro le mura di casa? Di sua madre, una modella mancata che ha riversato ambizioni e frustrazioni sulla minore delle figlie (Bea, appunto)? Si vergogna di dire che con il padre non ha alcun rapporto e che lo odia? E che dire di quel suo primo amore, Gabriele, un operaio con la fissa del motocross, bello sì ma analfabeta e senza futuro? Anche di Elisa si vergogna di parlare? Di dire quanto fossero legate e che lei ha addirittura vissuto un periodo a casa di quest'amica mezza punk e disagiata, e con il padre di lei, un prof universitario fissato con internet e sempre chiuso in casa?

Elisa scrive, trascorre ore al pc buttando giù parole, vecchi ricordi chiusi nel cassettini segreti della sua memoria, e che, nel diventare parole, riacquisiscono forza, vitalità, senso e valore.

Scrive di sé, di com'era impacciata e goffa, arrabbiata con il mondo (in primis con suo padre, soprattutto perché questi cercava in tutti i modi di abbattere il muro di risentimenti e diffidenza della figlia); di sua madre, creatura incomprensibile e bizzarra, desiderosa di indipendenza e leggerezza ma costretta dalla vita a gestire due figli strani quanto lei. Una madre non sempre attenta, spesso fatalmente distratta, eppure così amata da Elisa, che ha faticato e sofferto molto nel recidere il cordone ombelicale che le legava.

Scrive di Lorenzo, il primo (ed unico?) amore della sua vita, con il quale era convinta di poter stare per sempre.
Ma soprattutto scrive di lei, di Bea, del loro rapporto fatto di pazzie adolescenziali, di risate e pianti, di abbracci e litigate, di silenzi e squilli per far pace, di andate e ritorni - perché Bea era così: un'onda anomala, che s'alzava, travolgeva tutti, inondava tutto, e poi si ritirava... per poi tornare più forte di prima.

"...non posso prescindere da quello che la ragazzina dei miei diari è diventata: un personaggio pubblico, di quelli ingombranti. Anzi, direi che più ingombrante di te, al mondo, non c’è nessuno."

Scrivendo, la schiva e solitaria Elisa - la cui vita attuale è tornata al grigiore e alla noia di quand'era la ragazzina spaesata e invisibile prima di conoscere Bea - si prende, in un certo senso, la propria rivincita; è come si dicesse al mondo: Sicuri di conoscere davvero la famosa Beatrice Rossetti? Sicuri che ella sia semplicemente la bellona senza mai un riccio fuori posto che ammirate sulle copertine e sui social? In realtà, nessuno di voi la conosce realmente! Io invece sì, e avrei tanto di qual materiale da offrire che si potrebbero riempire colonne e colonne di riviste di gossip!

Ma Elisa non scrive per svendere la propria ex-amica, per vendicarsi dei tredici anni di silenzio e per la ragione per la quale le due si sono allontanate; no, scrive per mettersi in gioco, fare i conti con se stessa affidando alle parole il potere di restituirle tutta la complessità e le contraddizioni di due persone che hanno fatto un pezzetto di strada insieme, che si sono perse ma che, Elisa lo sente, restano irrimediabilmente legate; due donne con le loro storie, che non vengono mostrate al mondo ma che pure, silenziosamente, restano dentro e parlano di chi siano realmente.

Di anno in anno, Elisa ha provato con tutta se stessa a rimuovere questa amicizia, a coprirla "con gittate di cemento", a fingere che non sia mai esistita. Ha senso tentare di riportarla in vita attraverso fiumi di parole, scavando nei ricordi?

Leggiamo la storia di quest'amicizia speciale che, dopotutto, è come tante altre; anzi, è una delle tante possibili, ma che a modo suo ha sostenuto le due protagoniste quando sono state talmente fragili da rischiare di rompersi; peccato che però, a un certo punto, qualcosa tra loro si è spezzato.

"il lutto per un’amicizia finita non si risolve. Non c’è modo di curarlo, rielaborarlo, chiudere e andare avanti. Rimane lì, piantato in gola, a metà tra il rancore e la nostalgia."

E nonostante il dolore, a quasi trentaquattro anni Elisa lo ha imparato:

"...non si vive, e non si cresce, senza passare attraverso un’amicizia sbagliata".

Quindi finisce così, come un voler portare semplicemente a galla un passato ormai morto - che sarà stato pure complicato e difficile per tanti versi, ma comunque vivo, reale, bello, pieno -, tanto per sottolineare il piattume del proprio presente, le assenze mai colmate, gli amori interrotti e i modesti obiettivi raggiunti?
L'amicizia con Bea è persa per sempre e vive solo nei ricordi e, adesso, nelle pagine di questo libro?

Molto bello questo romanzo dell'Avallone, l'ho letto con molto interesse e coinvolgimento; mi sono piaciute le due amiche dai caratteri contrastanti ma che pure si incastravano alla perfezione; la loro psicologia viene fuori benissimo e così pure i loro conflitti interiori, emotivi, non solo personali ma in special modo famigliari: non è facile nascere in alcuni tipi di famiglie, così anomale, "malfunzionanti", che per assurdo funzionano solo in quel modo "sbagliato, arrangiato, strano."

Un bellissimo ed emozionante romanzo di formazione che ci ricorda quanto crescere e diventare adulti sia una delle sfide più complicate da affrontare ma anche la più incredibile.

Assolutamente consigliato; la penna dell'Autrice scivola sulle pagine con una leggerezza e una maestria nel tratteggiare i propri personaggi, tali da rendere questa lettura, di certo non breve, straordinariamente agile e appassionante.


Nota: nel leggere del rapporto tra Bea ed Eli, in cui una "domina" sull'altra, che ne è quasi soggiogata, il pensiero è andato a un'altra amicizia letteraria, forse più famosa e celebrata (per via anche della serie tv, in onda in queste settimane sulla Rai) ma non vi nego che ho preferito questa a quella... geniale. 😉

venerdì 18 febbraio 2022

[[ RECENSIONE ]] IL GELSO ROSSO di Gennaro Maria Guaccio



La storia di Rosa è la storia di una donna la cui esistenza ha preso strade sempre diverse, imprevedibili, che l'hanno allontanata da casa per poi portarla, come a chiudere un cerchio, sempre lì, sotto il suo amato gelso rosso, silenzioso e rassicurante testimone di cambiamenti, di scelte fatte, di conquiste ed errori, dell'innocenza di una ragazzina piena di sogni, di una donna combattiva, desiderosa di libertà ed indipendenza, dei suoi ideali, dei tradimenti e degli amori che ne sono seguiti.



IL GELSO ROSSO
di Gennaro Maria Guaccio



LFA Publisher
220 pp
"...la vita è come un ponte che va attraversato ma importante è non pensare di edificarvi sopra la propria dimora perché, verosimilmente, il nostro mondo, l’anima del mondo e l’essere di ogni singolo uomo hanno un anelito che va ben oltre questa vita."

Rosa Alfano è nata durante il secondo conflitto mondiale a Trocchia (NA), un paesino di gente semplice, che lavora per lo più i campi; porta il nome di sua nonna Rosina, alla quale è molto affezionata.
Papà Giuseppe è socialista e sin da ragazzina Rosa è cresciuta ascoltando i "sermoni" dello zio Giorgio, attivista della locale sezione del PCI e che si è preoccupato di stimolare l'intelligenza di Rosa consigliandole i libri da leggere e assicurandosi che studiasse, perché la cultura è un'arma importante per essere persone libere, che conoscono i propri diritti e sanno rivendicarli.

Rosa è una ragazzina intelligente, curiosa, sveglia, è un'avida lettrice e cresce tra i lavori in campagna e a casa, e la scuola; sin da bambina sogna di diventare maestra e si impegna nello studio per poter realizzare, un domani, il suo desiderio.

Da adolescente vive la sua bella storia d'amore con Antonio, un giovanotto che lavora come fabbro nella bottega paterna e che, al contrario della fidanzatina, non ama lo studio ma è in compenso un gran lavoratore e un ragazzo onesto.

Rosa cresce in un contesto vivace, abbastanza sereno (le preoccupazioni vengono più che altro dal rapporto con i signori e padroni di quella terra di cui i suoi famigliari sono fittavoli), coccolata dai comprensivi genitori, apprezzata dagli insegnanti per i suoi buoni risultati a scuola, amata dal bell'Antonio - focoso e pieno di passione - e influenzata, dal punto di vista della coscienza sociale, dal parroco di paese, don Serafino (socialista), e dal già citato zio Giorgio Micillo, che ne riconosce il carattere deciso, la mente aperta e perspicace, e la prende tanto a cuore da aiutarla a formarsi sul piano sociale e politico.

Dopo aver conseguito la maturità magistrale, Rosa incomincia a lavorare come maestra, proprio come aveva sempre sognato; il suo rapporto con Antonio cresce, viene ufficializzato e si arriva al matrimonio.

Intanto la ragazza si interessa sempre di più al socialismo, tiene discorsi pieni di fervore alla gente del paese, a questi lavoratori che devono maturare ciascuno una coscienza sociale per potersi ribellare ai ricchi proprietari terrieri che vogliono dominarli e tenerli schiavi.
Siamo tutti cittadini del mondo, grida Rosa con vigore, "La mia patria è dovunque ci sia libertà".

"...se avessimo già potuto realizzare un’onesta società socialista, (...) ognuno avrebbe il suo legittimo posto nella società, perché ognuno ha il diritto e il dovere di fare qualcosa per tutti gli altri. Il lavoro è un diritto e un dovere di tutti."

La vita di Rosa procede all'ombra del maestoso gelso, che se da una parte è il simbolo di una vita attaccata profondamente alle proprie radici, alla propria terra, alla propria gente, dall'altra a una donna come la protagonista - che ha un fuoco dentro indomabile e una voglia di vivere lasciando il proprio segno in questo mondo -  esso ricorda un modo di vivere sì tranquillo e rassicurante, ma anche per questo sempre uguale a se stesso,  immobile, scevro di stimoli e di occasione di crescita.

Il desiderio di essere una donna indipendente la porterà lontana da Antonio, dai genitori, dal suo lavoro di maestra, dal partito, con cui entrerà ben presto in contrasto perché a suo avviso le idee dei compagni nel Sud Italia "si sono troppo uniformate ai sistemi statalisti e tendono a imborghesirsi", col rischio di acquisire quel carattere arrogante e dominante tanto criticato in chi governava prima.

Va, quindi, a Parigi e lì la sua vita prende una piega diversa da quella vissuta fino a quel momento a Pollena Trocchia; del resto, il contrasto tra la piccola comunità agricola, contadina, in cui tutti conoscono tutti, in cui i ruoli uomo-donna sono già definiti, e le esperienze francesi (in particolare, viene in contatto con un gruppo di giovani rivoluzionari, uno su tutti Daniel Cohn-Bendit, sostenitore di ideologie marxiste, anarchiche e della libertà sessuale), che sicuramente serviranno a Rosa per diventare la donna eclettica e determinata che è, è abissale.
A Parigi si farà degli amici e avrà le sue relazioni amorose, fino a quando una serie di difficili circostanze non la indurrà a tornare a casa, al suo gelso rosso...

La storia di Rosa Alfano ci scorre davanti agli occhi in un alternarsi di passato e presente; il racconto della sua infanzia/giovinezza, la scuola, l'amore con e per Antonio, il suo avviarsi verso il mondo della politica attraverso le presenze maschili più importanti (il padre, il prete e lo zio), è intervallato dal presente, narrato sotto forma di pagine di diario (che lascerà nella mani di don Serafino), in cui la donna racconta il suo presente (con le sue difficoltà) e ricorda ciò che è stato.

Al centro di questo romanzo c'è questo personaggio femminile principale dalla forte personalità, che si staglia sullo sfondo di una comunità contadina, fatta di gente che trascorre praticamente tutta la vita con la schiena piegata dalla fatica, che tramanda il mestiere di padre in figlio, che deve vedersela con i capricci egoistici dei ricchi proprietari delle terre in cui loro lavorano dalla mattina alla sera; padri che sperano - forse non tutti, ma qualcuno sì - che almeno i propri figlioli riescano a fare strada grazie alla scuola; Giuseppe Alfano è uno di questi, convinto del potere dell'istruzione e che studiare serva per migliorare il mondo, per dare speranza alla gente povera e semplice, che ha le mani sporche di terra (la terra dei ricchi), le saccocce vuote... e il cuore pieno di dignità.
L'autore ci descrive un tipo di società con un regime economico principalmente agricolo, dove la quasi totalità della terra appartiene a pochi, e questo non può che generare povertà nella grande maggioranza della popolazione.

Interessante anche il periodo francese, che permetterà a Rosa di confrontarsi con un contesto fin troppo aperto, anche per una donna come lei che desidera liberarsi della mentalità ristretta e "paesana" da cui proviene. Ma tutta questa presunta libertà - di vivere, amare, fare il lavoro che si vuole - le porterà la felicità?

"...io sono stata libera di fare cose che quelli nati dove sono nata io non hanno potuto fare. (...) Ho agito con passione, questo sì. Ho agito come me la sentivo, tuttavia con coraggio e con rettitudine, ritengo. Anche quando ho amato, ho trovato la ragione di amare e di essere fedele a chi amavo. Ho goduto della libertà di amare quando volevo amare."

Sin dai suoi inizi nel partito PCI, Rosa non potrà mai evitare anche un altro confronto/scontro: quello tra il proprio pensiero politico e sociale con le verità insegnate dalla religione cristiana, e per quanto ella cercherà nel tempo di sentirsi slegata da dogmi e precetti cattolici, arriverà il momento in cui dovrà fare i conti anche con la fede, arrivando a non sentirla più come qualcosa di lontano e di esterno a se stessa ma, al contrario, di profondamente intimo e autentico.

È un romanzo di formazione ad ampio raggio e infatti seguiamo l'evoluzione e  la maturazione dell'energica protagonista sotto tutti gli aspetti: fisico, sentimentale, socio-politico, spirituale; la sua vita è costellata di decisioni coraggiose e di delusioni, di imprevisti belli e brutti, di incontri con persone che l'aiuteranno - in positivo o in negativo - a crescere, a diventare una donna consapevole di se stessa e di ciò che davvero alla fine conta per lei.
Una donna con più di una ferita nel cuore (e non solo), ma che s'è lasciata coraggiosamente guidare dalla propria fame di vivere, conoscere, conquistare, consapevole di come ciascuno di noi debba dare il proprio contributo in questo mondo in cui vive e di cui fa parte.

Una lettura stimolante ed interessante per contesto storico, tematiche affrontate e per le dinamiche che si sviluppano attorno alla protagonista.

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