Con le peggiori intenzioni è il romanzo di esordio di Alessandro Piperno, con cui ha vinto il Premio Campiello; esso narra l'epopea generazionale della bislacca famiglia giudaico-romana Sonnino, partendo dal goliardico nonno Bepy, passando per i di lui figli e finendo con i nipoti, dei quali Daniel fa da voce narrante.
CON LE PEGGIORI INTENZIONI
di Alessandro Piperno
Ed. Mondadori 308 pp 2009 |
Tra queste pagine conosciamo personaggi davvero strani, e dico strani per usare un termine semplice che possa lasciar intuire cosa si nasconde dietro questa strampalata famiglia:
"Una banda stonata di sbruffoni, disonesti, faciloni, egotisti, che vivevano al di sopra delle proprie possibilità."
Anzitutto, lui, Bepy Sonnino: lascivo, intraprendente, bizzarro, sfacciato, sornione, adulatore, ammaliatore, insolente, arrogante, amorale... Se avete altri aggettivi poco lusinghieri, attribuiteglieli pure, non sbagliereste!
Certo, non si può dire che non fosse anche scaltro, astuto, intelligente, che avesse uno charme da tutti, uomini e soprattutto donne, riconosciuto; e se i primi lo detestavano per questo modo di essere e di atteggiarsi da latin lover, da amicone per forza, sempre accomodante verso tutti e fin troppo galante verso il gentil sesso, le donne appunto ne erano affascinate; anche quelle che ostentavano disprezzo per questo ebreo strozzino arricchito, alla fine capitolavano, e finivano per accettarne il corteggiamento e, nella maggior parte dei casi, ci finivano a letto.
Bepy, sposato con la bella Ada, che negli anni di matrimonio s'è rassegnata a questo marito fedifrago, con la fissa del sesso, convinto di essere un seduttore, nato per lasciarsi andare ai piaceri della carne.
Bepy, padre e nonno pragmatico, all'occorrenza pronto a fare scene madri verso le generazioni successive quando questi lo deludevano.
Bepy, uomo d'affari per anni socio del "gentile" Nanni Cittadini, che poi ha avuto un colpo di fortuna
coinciso col crack di Sonnino senior.
Ma se pensate che l'unico bizzarro in casa sia lui, è perchè non avete conosciuto gli altri.
C'è Teo, il primogenito di Bepy e Ada, convinto fondamentalista, con la fissa per Israele e per i diritti della nazione, tanto da stupire tutti trasferendosi in terra israeliana.
Leggiamo la storia del suo unico figlio, Lele, gay anticonformista, l'unico membro della famiglia, forse, ad avere personalità e a ricercare la vera libertà dalle ipocrite convenzioni sociali.
C'è Luca, secondogenito e padre di Daniel: semi albino, uomo d'affari sempre in viaggio, freddo, cinico, scostante, poco affettuoso eppure a modo suo tenero, ispira soggezione nonostante il suo albinismo, peculiarità che ha trasformato in qualcosa di affascinante, non vivendolo in un handicap; ha una esagerata quanto urticante ammirazione e deferenza verso l'ex-socio di Bepy, il borioso Nanni Cittadini.
E' sposato con Fiamma, cattolica, non ebrea, "dolce principessina, maniaca di Audrey Hepburn, divenuta adulta e infelice" che il matrimonio ha reso via via una donna malinconica, frustrata, che ha riversato ogni insoddisfazione sui figli.
Lorenzo, il fratello di Daniel, anticonformista, marxista, il cocco di mamma: su di lui non si versano fiumi di inchiostro.
Ma soprattutto lui, il protagonista vero nonchè narratore: Daniel, lo sgangherato nipote, che ci illumina non solo sui segreti di famiglia - raccontandoci le avventure, gli amori, le ossessioni e i tradimenti di questi esponenti dell'alta borghesia romana (ed ebrea!) degli anni Sessanta, del modo di vivere di questi rampolli dorati e pieni di sè, dei loro pseudo successi e dei fallimenti - ma ancor più sui propri pensieri, un turbine di stati d'animo, domande, sensazioni, ricordi, pareri mai condivisi con nessuno perchè lui è un tipetto insignificante, che non ha preso nulla del fascino del nonno nè dell'autorevole compostezza del padre.
"Il mio ruolo era secondario. Facevo da testimone silenzioso. Da attore non protagonista. Il mio compito era assentire, negare, talvolta sospirare, nei casi estremi arrivavo persino a emettere monosillabi."
Daniel sin da ragazzino soffre di complessi di inferiorità, si sente inadeguato, un Sonnino uscito male; è ossessionato dal sesso, dal terrore di essere impotente e di non poter mai provare il piacere di copulare; a un certo punto, diventa cleptomane a scopo feticista: ruba scarpe, calze.., tutto ciò che è indossato dai piedi femminili, che per lui è fonte di eccitazione...
E così seguiamo le sue disavventure, le figuracce, gli scarsi successi accademici, i sogni nel cassetto mai realizzati, l'amore non corrisposto per Gaia, l'adorata nipotina di Nanni: una ragazzina tanto bellina quanto disinibita, che lo tratta come un amico e basta, senza dargli mai alcuna speranza di essere altro.
Daniel mi ha fatto un po' di tenerezza mista a irritazione, perchè si lamenta di crescere e vivere all'ombra degli uomini della famiglia ma, allo stesso tempo, ci resta in quell'ombra, quasi si crogiola come un cagnolino bastonato che si lecca le ferite.
In questo romanzo, scritto con molta ironia, senso dell'umorismo, i personaggi sono tratteggiati fin nei minimi particolari e descritti con arguzia, in modo pittoresco, enfatizzandone certe singolari peculiarità, anche in riferimento alla classe sociale d'appartenenza, con le sue "regole", le apparenze che sono molto distanti dalla sostanza, l'importanza data al prestigio sociale, frutto della ricchezza, che traccia una netta linea di demarcazione rispetto ai "poveri".
E' evidente come ci sia un rapporto conflittuale padre-figlio, che si ripete di generazione in generazione: i padri hanno alte aspirazioni verso la prole, che puntualmente le disattende, come per ribellarsi ai voleri dei genitori egoisti e insensibili, in una sorta di "desertificazione sentimentale" che rende queste relazioni famigliari fredde.
I padri si rivelano inadeguati nel loro ruolo istituzionale, e nei loro atteggiamenti, nel look, nel modo di pensare... addirittura creano imbarazzo ai figli, che fanno di tutto per discostarsi dagli esempi paterni.
Le donne e mogli dei Sonnino (ma non solo) sono quasi sempre donne forti di carattere ma anche insoddisfatte, infelici, tristi, che accettano cose dei mariti che in realtà detestano a morte.
In questo esordio letterario, l'Autore fa mostra di una scrittura che sicuramente si caratterizza per capacità evocativa e introspettiva; la narrazione di aneddoti accaduti a padri-figli-nonni ebrei mi ha ricordato il romanzo di Israel J. Singer (LA FAMIGLIA KARNOWSKI), anche se il tenore è decisamente diverso e meno serio...
Ho trovato che lo stile sia eccessivamente verboso, prolisso, con descrizioni troppo lunghe; ci si dilunga molto, troppo, nello spiegare un concetto, un tratto caratteriale, un episodio; si narrano gli antefatti anche di personaggi secondari di cui personalmente mi interessava poco; sicuramente riconosco la grande cultura di chi scrive, però ecco.. essa è forse anche troppo ostentata, e immagino ciò sia voluto, visto l'uso di un vocabolario forbito, ricercato (e allo stesso tempo infarcito di paroline scurrili), che abbonda in espressioni, aggettivi e termini non di uso comune.
A venire in soccorso di queste peculiarità, che un po' mi stancavano nel corso della lettura è il piglio vivace, canzonatorio, la capacità di scandagliare nei recessi più profondi dei personaggi, che ripeto, son tutti anomali, strambi, troppo sopra le righe..., e forse per questo, in certi momenti, mi son sembrati quasi inverosimili.
Il mio giudizio comunque, nonostante le critiche che ho mosso, non è completamente negativo, anzi: c'è qualcosa di affascinante e trascinante nello stile narrativo così pungente, irridente, pieno di parole, di situazioni singolari e di personaggi tutt'altro che insignificanti.
A venire in soccorso di queste peculiarità, che un po' mi stancavano nel corso della lettura è il piglio vivace, canzonatorio, la capacità di scandagliare nei recessi più profondi dei personaggi, che ripeto, son tutti anomali, strambi, troppo sopra le righe..., e forse per questo, in certi momenti, mi son sembrati quasi inverosimili.
Il mio giudizio comunque, nonostante le critiche che ho mosso, non è completamente negativo, anzi: c'è qualcosa di affascinante e trascinante nello stile narrativo così pungente, irridente, pieno di parole, di situazioni singolari e di personaggi tutt'altro che insignificanti.
obiettivo n.35 Un libro che nel titolo ha la parola "intenzione/i" |
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz