martedì 7 febbraio 2023

Gli Jenisch, "zingari bianchi" - il genocidio dimenticato dei "bambini di strada"



Pochi giorni fa vi ho parlato di un film del 2017, “Dove cadono le ombre” di Valentina Pedicini, che racconta l'atroce storia del genocidio degli Jenisch (i cosiddetti “zingari bianchi”) in Svizzera nel corso del Novecento: centinaia e centinaia di bambini “zingari” furono rinchiusi in ospedali psichiatrici, in orfanotrofi, dove subirono abusi, furono sterilizzati e sottoposti a elettroshock per estirpare loro il gene del “nomadismo”, con l'obiettivo di farne delle persone “normali” e ricollocarli in nuove famiglie di svizzeri “puri”.

Pur facendo parte in generale della comunità zingara, mentre le popolazioni romani (Rom, Sinti, Kalé, Romanichals) sono etnie di derivazione indiana, l'origine degli Jenisch è germanica e hanno un loro proprio idioma; la Svizzera è stato il Paese che ha da sempre contato il maggior numero di Jenisch, sin dall’XI secolo (in Germania nel XIII secolo). 
Già nel 1825, a Lucerna, un gruppo di Jenisch fu torturato e processato per crimini contro la società; più tardi, alle famiglie vennero sottratti i figli in modo da combattere la cultura, la lingua e i modi di vita di questa comunità errante.
Il bieco tentativo di sterminio scientifico terminò solo nel 1975. 
Secondo i parametri applicati dalle autorità elvetiche, i nomadi erano considerati pericolosi, asociali, irrecuperabili, da tenere a bada con metodi repressivi. A nulla contava avere la cittadinanza svizzera. 

Fotografie scattate da Walter Studer in occasione di un reportage sul nomadismo,
realizzato nel 1954 nei dintorni di Oensingen © Peter Studer, Berna.



Nel 1926, quando le teorie eugenetiche (che si proponevano di ottenere un miglioramento della specie umana, attraverso le generazioni) erano in piena espansione, un insegnante di ginnasio, Alfred Siegfried (espulso dall’insegnamento con l'accusa di pedofilia), diventò responsabile della sezione Scolarità Infantile della fondazione Pro Juventute, e diede vita al programma “Opera di assistenza per i bambini di strada” (Kinder der Landstrasse), attivo fino al 1972. 
Proprio Siegfried, nel 1943, tenne a Zurigo una conferenza nella quale rese noti gli scopi, i metodi e l’ideologia alla base della propria attività: gli Jenisch erano dei “vagabondi” e “una piaga” per la società, a motivo della loro appartenenza etnica. 
Nel 1970, il governo svizzero condusse una politica semi-ufficiale che si proponeva di istituzionalizzare i genitori Jenisch, ritenuti “malati di mente”, e togliere loro i figli, nel tentativo di eliminare la cultura zingara (il nomadismo era considerato una patologia degenerativa ereditariamente trasmissibile); agli "zingari" Jenisch veniva impedito il matrimonio, le nascite erano controllate, si praticarono le sterilizzazioni * e privazioni della libertà personale. 

Centinaia, anzi migliaia, di bambini e bambine furono strappati alle loro famiglie di origine (con cui perdevano ogni contatto) e consegnati in affidamento, rinchiusi in orfanotrofi, cliniche psichiatriche o istituti penitenziari; il  progetto prevedeva il cambio di identità delle piccole vittime e l’attribuzione di un nuovo nome di battesimo; ovviamente, essi venivano anche "rieducati" dal punto di vista culturale e linguistico, obbligati a non usare la loro lingua madre. 

Ruth Dreyfuss, ex consigliere federale e presidente della Confederazione svizzera nel 1999, affermò in proposito: «Le conclusioni degli storici non lasciano spazio al dubbio: […] è un tragico esempio di discriminazione e persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita della maggioranza.»

Solo nel 1987 la Confederazione elvetica si è scusata con gli Jenisch, riconoscendo la propria responsabilità morale e politica. 

Il numero esatto delle vittime non è noto, ma si presume che il numero di bambini coinvolti in questo maledetto progetto oscilli tra 500 a 2.000. 

Tra le vittime più note del programma di discriminazione e persecuzione dell’etnia jenisch, ricordiamo il politico Robert Huber e Mariella Mehr, nata a Zurigo nel 1947 (morta nel 2022) da una famiglia Jenisch, che ha raccontato la propria drammatica esperienza.
Mariella Mehr

"Io sono un essere umano. È importante preoccuparsi del fatto che siamo essere umani, più che della razza".

Mariella è stata soggetta a ripetuti ricoveri coatti in istituzioni mediche, dove già a partire dai nove anni subisce l’elettroshock; fu resa anche oggetto di lezioni universitarie e cliniche, quale esempio di «razza tarata». 
A 17 anni ebbe un bambino, che le fu tolto; a 24 anni venne sottoposta a sterilizzazione, come fecero già con la madre Maria Emma Mehr. 

Dal 1975, come giornalista, ha scritto molti articoli di denuncia. Negli ultimi vent'anni ha vissuto prevalentemente in Toscana. Ha pubblicato diversi romanzi e quattro libri di poesia. In italiano: il libro autobiografico Silviasilviosilvana (Guaraldi 1995), i romanzi Il marchio (Fandango, 2018), La bambina (Fandango, 2019) e Accusata (Effigie 2008), le raccolte poetiche Notizie dall'esilio (Effigie 2006), San Colombano e attesa (Effigie 2010) e Ognuno incatenato alla sua ora (Einaudi 2014).


"Stiamo separati di fronte al mondo"

Stiamo separati di fronte al mondo,
ognuno incatenato alla sua ora,
i nostri cani vanno a toccare un ieri,
quante volte e senza conseguenze?

Nebbia avvolge quel laggiù privo di sponde
nebbia si appoggia sulla mia spalla,
diventa pesante, più pesante, diventa pietra.

C’è una sola parola captata origliando
che voglio cavare fuori e conservare,
perché resti indietro una ferita aperta,
a mia consolazione, una via nel domani.

Bastava la speranza? Allora sperate con me,
tutti voi soccombenti.
Spera anche tu,
mio cuore,
un’ultima volta.

Mariella Mehr (Traduzione di Anna Ruchat)



* La sterilizzazione era una pratica conosciuta in Svizzera, considerata un’operazione rientrante nel normale lavoro del medico, prescritta per ragioni terapeutiche anche verso altre tipologie di persone quali alcolizzati, tossicodipendenti e persone malate di malattie veneree (in totale, il caso svizzero, ha visto tra il 1935 e il 1975 la sterilizzazione di circa 63mila persone, per la quasi totalità donne).


Fonti consultate:

https://www.rsi.ch/cultura/focus/Mariella-Mehr-14987043.html
https://tracce.studio/catalogo-generale/podcast/ognuno-incatenato-alla-sua-ora/  (podcast gratuito)
https://corriereitalianita.ch/gli-jenisch-in-svizzera-una-storia-di-persecuzioni/
https://thata.ch/jenische.htm
https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/008247/2010-03-08/
https://www.einaudi.it/autori/mariella-mehr/

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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