mercoledì 15 febbraio 2023

** RECENSIONE ** UNA MINIMA INFELICITÀ di Carmen Verde

 

Un romanzo che ruota attorno al rapporto tra una figlia e sua madre; la prima non fa che cercare attenzioni dalla seconda per tutta la vita, anelando un affetto che la genitrice, per prima, non riesce ad esternare perché l'amore, da lei, è sempre fuggito via lontano, lasciandosi dietro non poca infelicità.



UNA MINIMA INFELICITÀ
di Carmen Verde


Ed. Neri Pozza
160 pp
 La mia missione – sublime quanto irrealizzabile – era meritare finalmente l’attenzione di Sofia Vivier. La felicità di poter dire (...) «Io la guardo e lei mi guarda», a me era negata. Mamma non mi guardava mai. Ma la sua indifferenza non faceva che accrescere il mio amore già smisurato.


Annetta Baldini apre l'album dei ricordi e, mostrandoci diverse fotografie di famiglia, ci racconta la sua storia quando è ormai adulta... e sola.
Terribilmente e irrimediabilmente sola.

La sua vita è trascorsa all'ombra della figura materna: Sofia Vivier, le cui attenzioni e il cui affetto saranno l'oggetto costante del desiderio da parte dell'unica figlia, Annetta appunto.
Annetta che cresce poco poco, secca secca, bassina, come se il suo corpo si rifiutasse di lasciare l'infanzia.
Annetta che cerca con lo sguardo sempre quello della mamma, che però troppo spesso ha gli occhi assenti, che sembrano passarla attraverso e non guardarla mai davvero.

Annetta che fa di tutto per farsi amare da Sofia, ma Sofia non sa come si fa, perché lei, di amore, non ne ha mai avuto e non sa come amare quella eterna bimba magrolina, del cui sviluppo anomalo e tardivo un po' si vergogna.

Sofia, la mamma bella, elegante e tanto, tanto inquieta. Un'anima in pena che non si preoccupa di dare scandalo.
Sposata con Antonio Baldini, ricco commerciante di tessuti (un uomo molto più grande di lei), Sofia sa che su di lei la gente chiacchiera, spettegola a più non posso: è una poco di buono, ha più di un amante e il marito lo sa e - che vergogna! - non dice e non fa nulla.
Un debole, un codardo senza polso, che accetta che la moglie si comporti come una sgualdrina, e con una figlia in casa, poi!

Antonio lavora e non parla; dentro casa è come un'ombra, un fantasma che attraversa lieve quelle stanze; la sua presenza lascia indifferenti sia la giovane moglie che la figlia, con la quale farà sempre fatica a instaurare un rapporto anche minimo di confidenza.

Annetta va a scuola dalle suore, ama leggere poesie che, a parere delle religiose, sono inadatte a una mente così giovane, sono inopportune, come del resto lo è Sofia, moglie infedele e madre distratta, che dimentica pure di andare a prendere la figlia a scuola.

Sofia sembra non curarsi dei pettegolezzi, ma fa ciò che desidera; se deve far entrare un uomo in casa, lo fa e basta.
E come potrebbe comportarsi diversamente, lei che è alla ricerca costante di qualcuno che la ami?

"L’amore era il suo pensiero più ostinato, la sua ferita più profonda, mai rimarginata. Se da ragazza l’aveva atteso, sicura di non esserne delusa, adesso lo inseguiva disperatamente, ossessivamente, arrancando per immonde strade di periferia, nella speranza di raggiungerlo.
Le era parso, a volte, che l’amore la sfiorasse nella direzione opposta e allora aveva cambiato strada (è questione d’istinto, l’amore), fino a perdersi. Altre, era rimasta ad aspettare e aspettare, fin quasi a non sapere più chi o cosa stava aspettando.
Povera Sofia. Credeva nell’amore come altri credono in Dio, ma in lei l’amore non aveva mai creduto."

In fondo, su questo aspetto, lei e la piccola Annetta sono simili: anche sua figlia è bramosa d'amore, ma lo cerca unicamente da quella sua mamma strana, distante, poco espansiva, parca di sorrisi, e ancor più, di abbracci o carezze.

I tre abitanti di casa Baldini, lontani l'un dall'altro, rinchiusi ciascuno nel proprio personale spazio privato (che sia il negozio per Antonio, la cucina o un'altra stanza della casa per madre e figlia), vivono insieme ma le loro esistenze si sfiorano senza concedersi spazio; il comune denominatore è l'infelicità: tutti e tre sono inesorabilmente infelici.

"L’infelicità è un luogo, un luogo fisico, una stanza buia nella quale scegliamo di stare. Tanto che, quando accendiamo un lume, subito lo schermiamo, perché nessuno possa spiare all’interno.
Fu nonna Adelina a insegnare a mia madre l’infelicità. Non dovette essere complicato: Sofia era un’allieva volenterosa."
"La vita non è meno della letteratura. Bisognerebbe studiare a scuola l’infelicità delle nostre madri."

A gettare, per diversi anni, un po' di scompiglio e malumori dentro casa ci pensa una donna: Clara Bigi, una domestica assunta per prendersi cura, inizialmente, della piccola Annetta, per controllarla affinché non legga cose poco adatte a lei e per dettare delle regole in quella famiglia lasciata un po' a se stessa.

La donna, in effetti, impone le proprie regole rigide e insensate, introducendo sì discontinuità nella vita familiare ma, al contempo, dando modo ad Annetta di crearsi un'apertura verso la mamma: le due, infatti, condividono la brutta opinione che hanno di quella domestica prepotente, crudele, che sembra essere diventata la padrona in casa Baldini, col silenzioso beneplacito di Antonio, che le lascia fare il bello e il cattivo tempo.

Ma quella vicinanza originatasi dalla comune antipatia verso Clara non durerà per sempre e, nel corso degli anni, diverse cose cambieranno: presenze che vanno via, altre che arrivano e poi se ne vanno anch'esse, mentre mamma e figlia restano sempre lì, ancorate a quella casa che assume, di anno in anno, le sembianze di un tempio (o di una tomba?), testimone di un'infelicità famigliare e dei tentativi fallimentari di dare e ricevere amore.

In questa sorta di sacrario Annetta si chiude, continuando a mettere al centro di tutto lei, sua madre, e finendo imprigionata in quel piccolo e insignificante corpo che non cresce, come se volesse restare bambina, sempre e solo figlia e non ancora (forse mai?) donna.

"L’anima è in pace solo nei luoghi che conosce." 

L'esordio letterario di Carmen Verde mi ha colpita positivamente per la sua penna lieve, delicata, intensa, minuziosa, che sa come trasmetterci i pensieri più profondi della protagonista, il suo famelico bisogno di amore insoddisfatto, che la lascia a digiuno e che in qualche modo è riflesso in quel corpo non cresciuto a dovere.

"Tutta la mia persona era perfettamente contenuta in quella di mia madre. Il mio piccolo corpo non era, in fondo, che una porzione del suo."

Ci arriva tutta anche la profonda tristezza, l'assenza di gioia e vitalità caratterizzanti queste singole esistenze, che sembrano vagare, come barchette portate di qua e di là dalle onde del mare, senza meta, incapaci di darsi affetto, conforto, vicinanza, reciproca comprensione.

Nonostante la mancanza di dinamiche ed avvenimenti avvincenti, Una minima infelicità è un romanzo che riesce a "costringere" il lettore a proseguire nella lettura, e il ritmo rilassato, la scrittura profonda, ipnotica e introspettiva, lo inducono a restare chiuso in casa con Annetta, a respirarne la stessa aria, a spegnere la luce e chiudere le porte di stanze disabitate e silenziose, a osservarla rimpicciolirsi sempre più, con il corpo e l'anima prosciugati.

Adatto a chi ricerca una lettura intima, di quelle che non ci portano, con l'immaginazione, in posti lontani e attraenti, ma che ci lasciano entrare dentro luoghi privati, tra le mura della casa di una famiglia infelice (come ce ne sono tante), a guardare, con un misto di tenerezza e pietà, una bambina affamata che guarda con occhi adoranti una mamma troppo assente e distante.



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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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