lunedì 24 febbraio 2025

REGINA ROSSA di Juan Gómez-Jurado [ RECENSIONE]



Thriller ambientato in Spagna, Regina Rossa è il primo volume dell'omonima trilogia (2.Lupa nera; 3. Re bianco).

L'ispettore Gutiérrez viene ingaggiato suo malgrado per affiancare Antonia Scott, una civile dal QI molto alto, capace di ricordare, visualizzare e collegare i dettagli più invisibili di una scena del crimine e risolvere complessi casi di omicidi seriali, tutto nell'ambito del progetto segreto Regina rossa



REGINA ROSSA 
di Juan Gómez-Jurado 


Fazi Ed 
Trad E. Tramontin
430 pp

#1 Trilogia "Regina Rossa"

Jon Gutiérrez, quarantatré anni, è ispettore di polizia a Bilbao ma la sua carriera è decisamente a rischio a causa di una sua condotta non proprio lecita: su Internet, infatti, circola un video in cui, nell’intento di aiutare una giovane prostituta, Jon introduce nell’auto del suo protettore una dose di eroina sufficiente a mandarlo dritto in prigione. 

Nobili intenzioni, ma gesto ignobile per un poliziotto.
Per evitare di essere sbattuto fuori dalla polizia, a Jon non resta che sottostare a una sorta di ricatto da parte di Mentor,  la misteriosa figura a capo dell’unità spagnola di un programma segreto specializzato nella cattura di criminali che sfuggono alle caratteristiche normali.
Tale programma è denominato "Regina Rossa".

Pena la fine della sua carriera, Jon deve fare tutto il possibile per convincere una donna - una civile - a rientrare nel programma, in quanto il suo contributo è stato in passato preziosissimo e Mentor non può permettersi di perderla.

La donna - che non è una poliziotta né una criminologa - si chiama Antonia Scott; non ha mai impugnato un’arma né portato un distintivo, eppure ha risolto dozzine di casi.
Ma è da un po' di tempo che ha smesso di collaborare con Mentor e il suo team, per passare il proprio tempo in una squallida soffitta a meditare e immaginare i modi in cui potrebbe porre fine alla propria vita.

Questo fino al momento in Mentor - tramite Gutierrez - riesce nuovamente ad assoldarla per un complesso caso di omicidio.

Antonia e Jon si ritrovano, quindi, a lavorare fianco a fianco, a far conoscenza, a "fiutarsi" reciprocamente e a decidere se possono fidarsi l'una dell'altro.

Collaborare è comunque urgente e necessario perché il caso davanti al quale devono lavorare è davvero spinoso: il cadavere di Álvaro Trueba, il giovane figlio della presidentessa della banca più grande d’Europa; il ragazzo è stato ritrovato in una villa immacolata con un calice pieno di sangue in mano. 

Il luogo in cui il corpo senza vita viene rinvenuto è troppo pulito per essere anche la scena del crimine.
Non sembrano esserci indizi di nessun genere e, apparentemente, l'assassino (o gli assassini) non pare aver commesso errori. 
Ma Antonia sa che tutti commettono dei passi falsi, anche se magari a una prima occhiata possono sfuggire.
Bisogna cercarli, ragionare, sforzarsi di vedere le cose con gli occhi del killer e questo Antonia sa farlo molto bene, e lo stesso Jon si rivela un valido aiuto per lei.

Ma Trueba non è la sola vittima.
Contemporaneamente, anche Carla Ortiz, figlia di uno dei più ricchi imprenditori del mondo, è scomparsa. 

Nell'interrogare i genitori di Àlvaro e di Carla, Jon ed Antonia scoprono che entrambe le famiglie hanno ricevuto una telefonata da un uomo che dice di chiamarsi Ezequiel; questi ha dettato le proprie condizioni per restituire quei figli vivi, ma evidentemente con Àlvaro qualcosa non ha funzionato, visto la brutta fine che gli han fatto fare.

Ma Carla è ancora viva e salvarla diventa la mission: impossible dei due singolari "cacciatori di killer".

Uno degli aspetti che più sconvolge e indigna Antonia è capire come la madre di Àlvaro e il padre di Carla si rifiutino di rivelare i dettagli della conversazione avuta con Ezequiel: evidentemente, ci sono dei segreti così grandi da non poter essere sacrificati nemmeno in nome di un figlio

Capire chi sia quest'individuo che si fa chiamare Ezequiel è fondamentale per arrivare a Carla e liberarla: si tratta di uno psicopatico o dietro c’è qualcosa di più? 

Quella che coinvolge Antonia e Jon è una vera e propria corsa contro il tempo, in cui devono tirar fuori le proprie abilità investigative, l'intelligenza e l'intuito necessari per "entrare" nella testa di colui (o coloro) che sta dietro la morte feroce e crudele di Àlvaro e dietro l'oscuro rapimento di Carla Ortiz.

Ezequiel è scaltro, lucido, ha sangue freddo e ha organizzato ogni dettaglio in modo minuzioso, per cui arrivare a lui è come cercare di risolvere un grande e complicato rebus, districandosi tra false piste,  trappole mortali, colleghi poco disposti a lavorare in sinergia con Gutierrez - poliziotto in disgrazia -  e "quella svitata" della Scott, e giornalisti asfissianti che sono d'intralcio all'indagine.
Tutto questo mentre i due protagonisti rincorrono "il loro uomo" attraverso i meandri più oscuri di  un'affascinante e misteriosa Madrid.

Pur essendo scorrevole, ho trovato che nella prima metà del libro il ritmo fosse poco incalzante e serrato, ma devo dire che, man mano che Jon ed Antonia procedevano con le indagini, scoprendo nuovi risvolti e facendo caso a particolari fondamentali per arrivare all'identità di Ezequiel,  la narrazione prendeva vigore, velocità, suspense, e tutti gli avvenimenti che portavano verso la fine si susseguivano a un ritmo via via più concitato, che mi ha lasciata senza fiato, come se anch'io stessi correndo assieme ai personaggi principali verso la risoluzione del caso.

Mi sono piaciuti Jon ed Antonio perché sono due eroi inconsapevoli, un uomo e una donna essenzialmente soli e solitari, ciascuno con le proprie insicurezze, i propri demoni, la paura di fallire e di sentirsi responsabili della morte di coloro che non sono riusciti a salvare.
Ma la loro perspicacia, il saper lavorare insieme nonostante la diffidenza iniziale, l'affiatamento che li avvicina umanamente benché entrambi siano fondamentalmente più asociali che socievoli, sono fuori discussione e saranno proprio i loro modi di essere - giudicati estrosi, instabili e "pazzi" da chi è all'esterno - a garantire il successo dell'indagine.

Tra colpi di scena, un avvicendarsi di passaggi sempre più dinamici e dal taglio cinematografico, dialoghi brillanti e cambi di prospettiva, Regina Rossa può essere sicuramente classificato come un buon thriller, che ha tutte le caratteristiche per conquistare i lettori e spingerli a proseguire con il successivo volume della serie.

Citazioni

"Questo è il bello delle certezze, sebbene siano temporanee. Ci nutrono di un certo sollievo."

"L’anima è fatta di piccoli compartimenti stagni a sé stanti, come una matrioska. Se continui ad aprire e aprire, finirai col trovare l’ultima delle bambole. E il suo volto non è mai come quello della bambola più grande. Quell’ultimo volto può essere meschino e crudele." 

sabato 22 febbraio 2025

FAME D'ARIA di Daniele Mencarelli [ RECENSIONE ]



Un padre è in viaggio con suo figlio e, a motivo di un improvviso ed imprevisto guasto all'auto, è costretto a fermarsi per qualche giorno in un piccolo paese del Molise.

Questo breve soggiorno, in compagnia di estranei che lo accoglieranno con calore e umanità, metterà in crisi l'uomo, la cui vita - ormai da anni - sembra essersi arenata in una pozzanghera di rabbia e infelicità profonde dalla quale egli non vede via d'uscita.


FAME D'ARIA
di Daniele Mencarelli


Mondadori
180 pp
Non è così, raro, purtroppo, che proprio nel bel mezzo di una vacanza, il mezzo su cui viaggiamo ci abbandoni, lasciandoci nei guai.
È ciò che accade a Pietro Borzacchi, un cinquantenne che sta viaggiando con il figlio Jacopo, diciottenne: d’un tratto la frizione della sua vecchia Golf gli gioca un brutto scherzo e nel momento peggiore, per di più, visto che è un venerdì pomeriggio e i due si ritrovano in quello che si può tranquillamente definire "un posto dimenticato da Dio".


Ma la ruota della fortuna non ha smesso di girare del tutto e infatti padre e figlio incontrano Oliviero, un anziano meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant’Anna del Sannio. 
Ma il weekend è comunque alle porte e Oliviero non si è ancora attrezzato per i miracoli, così è costretto a dare a un nervoso Pietro la "brutta" notizia: dovrà aspettare un po' prima che l'auto sia pronta, ma intanto lui e Jacopo possono alloggiare da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione.

Chiunque incontri i Borzacchi e posi gli occhi su quel ragazzone alto di nome Jacopo, non ci mette molto a rendersi conto che il giovanotto... "non è normale": lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro, e poi quegli improvvisi mugugni (Mmmmm...) che emette e che solo il padre sa "interpretare". 

Pietro è abituato agli sguardi sgomenti che, di secondo in secondo, virano verso l'imbarazzo, la compassione, la pietà, ma l'abitudine non l'ha reso più comprensivo, tollerante o paziente, tutt'altro: risponde a quelle espressioni interrogative o alle domande esplicite ("Ma quindi cos'ha suo figlio?") in modo spiccio, sbrigativo, brusco, a volte con toni palesemente seccati.
A Pietro non piace dover spiegare che suo figlio, il suo unico figlio, è un autistico a basso (bassissimo, praticamente zero) funzionamento. Detto in parole più semplici e chiare: 
«Significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso.»

Quando l'interlocutore di turno ascolta questa spiegazione cruda e schietta, "si spegne" e smettono di susseguirsi domande curiose e occhiate pietose.

Pietro, se potesse, eviterebbe di alloggiare nella camera vecchia e scarsamente funzionale della pensioncina di Agata, ma non può fare diversamente: la macchina va assolutamente sistemata perchè lui deve raggiungere sua moglie Bianca che lo sta aspettando a Ginosa, per festeggiare insieme il loro anniversario di matrimonio.

E invece eccoli lì, in quel paesino di poche centinaia di anime eppure bellissimo, in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana.

Stando al bar di Agata, Pietro conosce diverse persone, dal sindaco con i suoi amici a Gaia, una donna dal sorriso incantevole, dolce e bella, che trasmette allegria e solarità.

Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità quel muro di diffidenza che separa Pietro da chiunque, essendo lui una persona schiva, poco socievole, arrabbiata, volutamente chiusa nel proprio guscio di sofferenza.. 
Perché Pietro è un uomo che vive all’inferno. 

“I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.” 

Essere padre di Jacopo è tutt'altro che facile e a questo dolore quotidiano si aggiungono i non pochi problemi economici, che rendono l'esistenza dei Borzacchi tanto complicata...

Certo, non è la povertà la cosa peggiore: Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all’altezza del cuore: i sentimenti contrastanti che nutre per quel figlio che

"...ha il viso di sua madre, di Bianca. Ha la delicatezza dei suoi lineamenti, la stessa carnagione di latte.
Soltanto, lui è come vuoto.
Un corpo vuoto, dondolante."


E poi tutta la fiumana di altri pensieri e di stati d'animo negativi: la frustrazione per una situazione famigliare che non potrà mai migliorare, la sofferenza, la repulsione, la rabbia nera, cieca di chi sente di vivere una grande ingiustizia e sa, al contempo, di non potersela prendere con nessuno perché non c'è un colpevole cui addossare responsabilità.


«L’unica cosa che mi viene in mente quando lo guardo è: perché a me? Cosa ho fatto di male? In questa vita non ho fatto male a nessuno. Magari in qualcuna delle precedenti. O future. Non lo so. Ma perché a me?»

L'autore riesce, con la sua scrittura onesta, schietta, vera, a trasmetterci con potenza tutto ciò che passa nella mente del protagonista, così da percepirne chiaramente la tempesta emotiva che si agita dentro di lui, quella fame d'aria che lo accompagna ogni giorno, perché non c'è momento in cui egli non si senta mancare il respiro a causa di quel carico di fatica e malessere, di stanchezza fisica e psicologica, di abbattimento, che ormai fa parte della sua vita, che caratterizza la sua esperienza di genitore di Jacopo, il figlio unico che non parla, non mangia e non si può vestire da solo, cui bisogna cambiare il pannolone, che va accudito in ogni cosa.

Ma in quei giorni di stallo, sospesi in un paesino sperduto nel nulla, in mezzo ad estranei che cercano di trattare i due ospiti con amicizia e solidarietà, il dolore di Pietro si troverà, suo malgrado e senza che egli lo voglia, di fronte a qualcosa di nuovo e inaspettato: l'umanità che ancora esiste e resiste in cuori semplici, aperti e disponibili ad accogliere, come lo sono quelli di Agata, Gaia e Oliviero, che si avvicinano a Pietro con discrezione e delicatezza.

Fame d’aria è un romanzo delicato e potente, che ci "parla" di malattia, di dolore, del rapporto padre-figlio e di come e quanto sia difficile crescere un figlio autistico grave, che ha bisogno di assistenza in ogni ambito e che non ha significativi margini di miglioramento futuro.
Ci ricorda come queste famiglie, aventi un membro in una grave situazione di disabilità, necessitino di aiuti concreti, che alleggeriscano il fardello quotidiano del "prendersi cura"; affronta la drammatica domanda che ogni genitore di un figlio portatore di disabilità fisica/psichica si pone con tanta angoscia: che ne sarà di mio figlio quando io non potrò più stargli accanto?

È una storia in cui convivono tragedia e rinascita, amore e odio, rabbia e lacrime, senso di colpa e frustrazione, amore per il proprio figlio e rifiuto di questa genitorialità così piena di doveri faticosi e, purtroppo non di rado, di poche (nulle?) gratificazioni.
Mi è piaciuto molto, ho proprio "sentito" la sofferenza e la rabbia di Pietro e le pagine finali sono forti e commoventi.

Non posso non consigliarvelo.


Altri libri di Mencarelli recensiti:

LA CASA DEGLI SGUARDI

domenica 16 febbraio 2025

SERGE di Yasmina Reza [ RECENSIONE ]




Con questo romanzo la scrittrice e sceneggiatrice francese ci presenta i membri di una famiglia ungherese di origini ebraiche, i Popper, focalizzandosi soprattutto sui complessi e conflittuali legami fra i tre fratelli Serge, Jean e Nana, ritratti in tutta la loro fragile umanità, nei lati comici come in quelli patetici e malinconici.



SERGE 
di Yasmina Reza


Adelphi Ed.
trad. D. Salomoni
186 pp
Come suggerisce il titolo stesso del libro, il personaggio centrale è Serge, il maggiore dei tre fratelli Popper, un tipo cialtrone, inaffidabile, intelligente ma anche inconcludente, egoista e superstizioso, scorbutico, irriverente, fragile e seducente.
Ma non è sua la voce narrante, bensì del fratello "di mezzo", Jean, che adora Serge e da sempre lo segue, giustifica e asseconda senza mai metterlo in discussione, piuttosto subendone volutamente il carisma.
E poi c'è la loro sorellina, la moralista e petulante Nana, l'unica la cui vita sentimentale non è naufragata, a differenza dei fratelli che, invece, hanno relazioni amorose fallimentari.

Attorno a loro tre, satellitano altri personaggi minori, altre storie - figli, nipoti, mariti, ex amanti - e ogni storia va ad unirsi alle altre per formare un intreccio narrativo sfaccettato, raccontato con toni irriverenti e brillanti, che mettono in risalto la natura umana con le sue contraddizioni, ansietà, crisi e debolezze

La lettura di questo libro non è stata, per me, particolarmente entusiasmante o coinvolgente, ho "sentito" una barriera emotiva tra me e i personaggi principali, le cui vicende non mi hanno "presa", ma questo non mi ha impedito di apprezzarne alcuni elementi.

Serge, ad es., è un uomo che facilmente potrebbe non destare simpatia in quanto spesso si comporta e parla in modo superficiale, poco sensibile (con la figlia, con la sorella, con l'ex-compagna...) ma, a ben guardare, vi è in lui una personalità ricca ed interessante da un punto di vista psicologico.

A sentirlo parlare, potremmo essere indotti a dire che Serge sia antisemita (pur avendo origini ebraiche), che detesti "la propria gente" e che, soprattutto, non sembri condividere e provare il dolore per il dramma dell'Olocausto.

Questo suo "sentimento" emerge in particolare nel momento in cui sua figlia Joséphine propone e organizza un viaggio in Polonia per visitare il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in quanto lì sono morti diversi loro parenti, negli anni della seconda guerra mondiale.

"...andare sulla tomba dei nostri parenti ungheresi. Persone che non avevamo mai conosciuto, di cui non avevamo mai sentito parlare e la cui misera fine non sembrava aver sconvolto l’esistenza di nostra madre. Ma erano la nostra famiglia, erano morti in quanto ebrei, avevano subìto la sorte funesta di un popolo del quale avevamo ricevuto il retaggio e in un mondo ebbro della parola memoria sembrava disonorevole lavarsene le mani. Almeno è così che interpretavo il fervido coinvolgimento di mia nipote Joséphine..."

Ad accompagnare la ragazza sono il padre Serge e gli zii Jean e Nana, ciascuno con in testa aspettative, pensieri, motivazioni diversi gli uni dagli altri.

Se le due donne danno molta importanza a questo "viaggio turistico" nel campo di concentramento, prendendolo molto sul serio (com'è giusto che sia, aggiungerei), i due uomini no: c'è in loro un atteggiamento quasi di resistenza e insofferenza, un desiderio più o meno esplicitato di staccarsi da questa triste eredità legata al loro essere ebrei, frutto dell'esempio avuto dalla loro madre, la quale

"... aveva la tendenza così poco contemporanea a non essere per nessuna ragione al mondo una vittima. Sicché non amava quello Stato la cui essenza consisteva per lei nell’esporre agli occhi del mondo una cicatrice indelebile."

Josephine Popper faceva da contraltare al marito Edgar, sionista convinto, che avrebbe voluto educare i figli all'interno della cultura e della religione ebraiche, ma aveva fatto l'errore, a proprio dire, di lasciare ogni decisione alla moglie (!!?!?!?).

Ma se, ancora una volta, Jean si limita ad essere nell'ombra, assumendo posizioni tiepide, non esponendosi mai davvero e cercando di mediare tra i famigliari quando bisticciano aspramente, Serge non esita a dare il peggio di sé, con comportamenti e parole sgradevoli, disfattiste e irritanti, che non possono che creare tensioni e litigi.

Ma lui è così: tendente alla distruzione dei rapporti con gli altri come di sé stesso, nevrotico, insoddisfatto, in perenne crisi d'identità.

"Serge, incapace di rallegrarsi di essere in un posto senza aspirare subito a non esserci più, che passava la vita a sostenere di dover trovare scampo. Nostro padre diceva, è tarantolato, non riesce a star fermo! Ai suoi occhi era un pessimo segno. In quella irrequietezza lui ci vedeva solo vanità, solo pazzia o malessere. Io non ho mai creduto che si trattasse di semplice irrequietezza. Gli uccelli non sono né irrequieti né pazzi. Cercano il posto migliore e non lo trovano. Tutti crediamo che esista un posto migliore."

La caratterizzazione dei personaggi passa attraverso le loro azioni e le loro parole e l'autrice ha scelto di utilizzare un linguaggio che ben li rappresenta: provocatorio, pungente, graffiante, umoristico e leggero, amaro e malinconico, e in questo modo emergono le tante facce, le ombre e le luci, la tenerezza e il cinismo, che connotano i rapporti umani, ancor più i legami famigliari, quasi mai privi di contraddizioni e criticità.

Ripeto, non ho letto il libro con un grande coinvolgimento perché non incontra molto i miei gusti, ma non mi sento affatto di sconsigliarlo.

giovedì 13 febbraio 2025

IL CUORE È UNO ZINGARO di Luca Bianchini [ RECENSIONE ]



Con questo romanzo Luca Bianchini ci porta nel Trentino Alto-Adige, a Bressanone, dove molti parlano tedesco e la gente cena alle sette di sera. In un clima amichevole e allegro, tra chiacchiere e pettegolezzi, avviene la morte di una persona famosa, in circostanze piuttosto misteriose.
Al maresciallo Clemente spetta il compito di sciogliere ogni domanda e dubbio dell'enigma altoatesino che lo terrà impegnato assieme alla propria consorte.



IL CUORE È UNO ZINGARO
di Luca Bianchini


Mondadori
224 pp
Il maresciallo Gino Clemente è un polignanese doc trapiantato a Bressanone, una cittadina a pochi chilometri dall’Austria, dov'egli vive con sua moglie Felicetta.

L'uomo, per cercare di integrarsi nella comunità altoatesina, si muove in mountain bike, mentre la Felicetta si dà con entusiasmo al giardinaggio nella loro nuova casa.

La vita scorre serena ma ecco che, a spezzare la monotonia di giornate sempre uguali in questa località di montagna, ci pensa il ritorno di una vecchia gloria della musica pop italiana: Gabriel Manero, un cantante famoso per aver cantato nel 1983 il suo unico grande successo – Todo corazón –, cui i coniugi Clemente (e non soltanto loro) sono molto affezionati in quanto, negli anni verdi, quel brano musicale era diventato la colonna sonora del loro amore.

La carriera di Gabriel da anni è in una situazione di stallo, tanto che l'artista si è dato ai reality per cercare di rientrare un po' nel giro dei Vip.
Originario proprio di quella città dove non si esibisce da quarant’anni, Manero viene invitato a inaugurare la Casa del luppolo, la birreria gestita dalla biondissima ed esuberante Barbara Kessler, e il suo concerto diventa l'evento più atteso e chiacchierato per gli abitanti dei dintorni, desiderosi di andare a sentire dal vivo il loro concittadino che per anni non s'èra fatto più vedere. 

È l’occasione giusta per un tuffo nel passato, nostalgico e romantico per quanti hanno amato i pochi successi del cantante; quest'ultimo sembra, a sua volta, carichissimo e felice di questa rimpatriata tra compaesani, al punto da concedersi, dopo l’esibizione, di fare festa grande nella sua eccentrica villa.

Ma qualcosa di brutto accade nella villa in cui Manero viene visto per l'ultima volta: la mattina seguente, infatti, egli viene trovato senza vita sulle scale di casa. 

Potrebbe trattarsi di una caduta accidentale? O c'è qualcosa di losco sotto?
Forse qualcuno, a Bressanone, poteva odiare Manero al punto da fargli del male?
O forse un personaggio estraneo a quei luoghi e appartenente alle conoscenze private del cantante?

Le domande sono molte e dai primi accertamenti emergono particolari che portano la polizia a far partire immediatamente le indagini.

Il maresciallo pugliese non vede l'ora di mettere in campo tutte le proprie abilità investigative prendendo in carico un caso che è meno semplice di quanto potrebbe sembrare inizialmente, così inizia a far domande in giro, a interrogare quelle persone che - per ragioni di lavoro, famigliari e amicali - conoscevano Manero e l'hanno frequentato per quelle poche ore in cui è stato a Bressanone.

Man mano emergono molti dettagli su di lui, sui suoi trascorsi, sui rapporti con il manager, con la sorella, i suoi "vizietti", le ambizioni professionali..., insomma Clemente si crea gradualmente un quadro sempre più ricco di quest'artista che ha trovato, ritornando nella propria città natale dopo molti anni d'assenza, una morte prematura e non priva di lati oscuri.

Ad affiancare Clemente nell’impresa investigativa ci sono il brigadiere Guglielmotto, un intraprendente piemontese dal sorriso candido e dalla passione per il gentil sesso, e il suo storico braccio destro Agata De Razza, che a Bressanone è di casa e lì ha lasciato un grande amore.

La stessa Felicetta sarà un valido aiuto per suo marito, aiutandolo a riflettere e valutare i tanti particolari che vanno a rendere la morte di Manero un rebus complicato.

Ovviamente, Clemente riuscirà a venirne a capo e il lettore ha modo di divertirsi insieme a lui nel risolvere questo "giallo del Nord Italia", in cui domina un'atmosfera dolcemente nostalgica, allietata dall'amore per le "vecchie canzoni" che hanno fatto battere il cuore in gioventù.
Mi è piaciuta la figura di Manero perché è molto diffusa: un cantante noto per un o due hit che gli hanno portato gloria e fans venti/trent'anni prima, ma che ai giorni d'oggi è poco considerato, per cui è costretto a girare show celebrativi e nostalgici e reality vari pur di tornare in auge.

Piacevolissima anche la malinconia legata a certi pezzi musicali che, dopo molti anni, ancora ci fanno battere il cuore.

Ho apprezzato il cambio di location, soprattutto considerando che i personaggi di Bianchini - simpatici, chiacchieroni, amanti del gossip, curiosoni e impiccioni, deliziosamente macchiettistici - ci ricordano che "tutto il mondo è paese" e che, al di là delle differenze tra regioni, certi tratti (vizi e virtù) appartengono a noi italiani da Nord a Sud, tanto ai polignanesi quanto ai bressanonesi.

L'ultimo romanzo di Luca Bianchini è una commedia a tinte gialle spassosa, che sa intrattenere amabilmente il lettore con una storia densa di personaggi allegri, ricca di dialoghi vivaci (gli interrogatori di Clemente sono particolari e strappano più di un sorriso, perché mentre si sta disquisendo di cose importanti, ecco che puntualmente gli interlocutori aprono parentesi e cambiano argomento, passando a cose più frivole per poi ritornare al caso da risolvere), con un'ambientazione suggestiva e un mix di ironia e nostalgia che rendono questa lettura piacevole.


domenica 9 febbraio 2025

BAMBINO di Marco Balzano [ RECENSIONE ]



Rabbia e solitudine: questi sentimenti riempiono il cuore del protagonista del presente romanzo - ambientato a Trieste tra la fine del primo conflitto al periodo immediatamente successivo al secondo - e lo accompagnano per tutta la sua esistenza, vissuta seguendo una scia di violenze e sopraffazioni dalla quale sarà difficile uscire illesi.


BAMBINO 
di Marco Balzano

Einaudi
224 pp
Mattia Gregori nasce a Trieste nel 1900, figlio dell'orologiaio Nanni e di sua moglie Tella; ha un fratello maggiore, Adriano, che, quando diventa adulto, parte per l'America in cerca di fortuna.

All'età di diciotto anni, il giovane fa una scoperta che lo lascia di sasso, lo ferisce e apre in lui, nella sua anima, una lacerazione talmente profonda da segnarlo per tutta la vita: la donna
che l'ha cresciuto e che lui ha sempre chiamato mamma non è la stessa che l'ha partorito

Chi è mia madre?

La domanda risuonerà per tutta la vita nelle orecchie e nella testa di Mattia, guidando e condizionando le sue decisioni più importanti perché innesca in lui, sin dal primo momento, un trauma che si traduce in una rabbia violenta e in un'amara solitudine che non smetterà mai di divorarlo dentro.

Ribelle e testardo già di suo, Mattia prende delle decisioni discutibili già da ragazzo, maturando in poco tempo un atteggiamento oppositivo e diffidente verso il mondo in generale e finanche verso il padre, che il lettore imparerà a conoscere come un uomo paziente, gentile, saggio.

Mattia Gregori è sostanzialmente una persona sola e tale sarà sempre, perché la sua solitudine è qualcosa che gli sta appiccicata addosso e che è parte di lui come può esserlo un neo, una voglia sulla pelle, una tratto somatico.

Quando entra tra le file degli squadristi fascisti è come se trovasse il suo habitat naturale, il "luogo" in cui lasciar esplodere la sua personalità ferina, aggressiva, capace di atti feroci, spietati e incapace di manifestare pietà.

Bambino viene soprannominato, a motivo dei suoi tratti fanciulleschi, delicati, che gli conferiranno quell'aria giovanile, acerba, inesperta anche quando sarà un uomo maturo.
Ma di acerbo e inesperto sembra non esserci nulla in lui, che è un ragazzo intelligente e svelto, scaltro, determinato, che ben presto verrà apprezzato dagli squadristi per la sua "cattiveria", il suo agire senza battere ciglio, con quella freddezza necessaria a chi sa di dover compiere azioni brutali senza lasciar spazio alla compassione.
E Mattia è purtroppo a suo agio nell'ostentare una ferocia da boia, in particolare nei confronti degli slavi, considerati degli stranieri che non hanno alcun diritto da vantare sul suolo italiano. Trieste va ripulita dalla presenza slava e con la sua camicia nera egli batte palmo a palmo le terre contese per scacciare questi usurpatori.

Ma non è tanto l'adesione convinta all'ideologia fascista a muoverlo, quanto la speranza di ritrovare quella madre senza nome né volto, da cui molto probabilmente egli ha preso quel suo viso avvenente e tanto delicato. 

Era italiana o slovena, colei che l'ha messo al mondo? Perché suo padre si rifiuta di dirgli il suo nome, di spiegargli chi sia la donna con cui l'ha concepito?

La ricerca ossessiva di una donna mai conosciuta diventa il senso e il fine di tutto, persuadendolo che chissà, aggregandosi alle camicie nere e andando nelle case degli sloveni, forse qualche notizia su di lei riuscirà ad ottenerla.

In questo modo - facendo parte di un branco, che fa della violenza bruta la sua forza e il suo modus operandi - Bambino cerca di placare la propria inquietudine, di sentirsi meno solo, meno fragile.

Eppure suo padre è agli antipodi di ogni forma di prepotenza e sopraffazione, e cerca in ogni modo di distogliere il figlio da quella follia che è il fascismo, ma inutilmente.
Pur volendogli bene, Mattia non può perdonargli l'ostinato silenzio dietro cui il vecchio orologiaio si trincera per non rivelare l'identità della madre biologia di quel figliolo che gli sta regalando solo pene e preoccupazioni. 

Seguiamo, di capitolo in capitolo, in un susseguirsi veloce e fluente di avvenimenti drammatici, di rapine e assalti, l'esistenza di questo protagonista che, credo, facilmente resta impresso nella mente del lettore, anche una volta chiuso il libro, in quanto Mattia è l'antieroe,  protagonista e antagonista insieme, è il "cattivo della situazione", ma l'autore è talmente bravo a catapultarci nella sua vita, a farci scivolare accanto a quest'uomo dalla personalità complessa, imprevedibile, ricca di tante sfaccettature, che si fa fatica a detestarlo nonostante compia, sotto i nostri occhi, tante, troppe azioni turpi, infami, deplorevoli.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale, i nazisti in città, l'occupazione jugoslava di Trieste, le foibe: fatti storici che conosciamo bene e che vengono raccontati tutti d'un fiato, attraverso i quali vediamo Mattia crescere negli anni, passare dall'essere un ragazzo furioso e sciagurato ad un adulto che si ritroverà, a volte anche suo malgrado, al centro di spirali di atrocità, sangue e morte, venendone risucchiato, pagandone in prima persona amare conseguenze, anche quando egli stesso si sforzerà di destarsi da quel torpore che gli ha obnubilato la ragione, il senso della pietà, dell'amore, e proverà a cambiare rotta.

Le sue scelte inevitabilmente metteranno in pericolo la vita sua e di suo padre diverse volte, ma Mattia affronterà ogni problema con quel coraggio quasi folle e avventato che è parte di lui e che lo aiuta a tenere sotto controllo ogni paura e a rispondere con risolutezza, con la testardaggine di chi fa di tutto per non soccombere, per restare sempre in piedi.
  
Il quadro che emerge di Mattia, vi dicevo più su, è molto complesso e pensare di ridurre tutto a giudizi limitati circa la sua condotta e la sua "anima" ("è un uomo cattivo, un essere spregevole, un fascista senza cuore") viene sì spontaneo ma non renderebbe l'idea di chi sia davvero Mattia Gregori, e quale varietà di sentimenti e pensieri attraversino furiosamente la sua mente e il suo cuore.

Non starò qui a dirvi che, in fondo in fondo, Mattia non è un cattivo, che è solo un ragazzo vissuto in un periodo storico complicato e che si è "trovato" inconsapevolmente al fianco dei fascisti; egli sicuramente è padrone delle proprie decisioni, della direzione data alla propria vita, ed è assolutamente in grado di discernere il bene dal male, di comprendere quanto deprecabili siano i propri crimini.

«Ho ucciso e fatto uccidere. Ho sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono sempre ritrovato dalla parte sbagliata»

Però va detto: Mattia non è un individuo amorale, non è ovviamente un essere privo di sensibilità, incapace di provare sensi colpa o rimorso; tutt'altro, egli ne prova e, nel corso delle tragiche vicissitudini in cui sarà coinvolto, ci sarà sempre in lui un angolino di ragionevolezza e di cuore in cui ritroverà quell'umanità che gli appartiene (come appartiene ad ogni uomo, anche al "peggiore") e che lo spingerà a riflettere su sé stesso, sui propri sbagli, e a desiderare di riparare gli ingranaggi della propria anima e della propria vita, come suo padre ha passato la propria ad aggiustare vecchi orologi.

Arriverà mai per Mattia Gregori, "Bambino", il bisogno, il desiderio di redimersi, di cambiare vita, di smetterla con sangue, tradimenti, manganellate, caccia allo sloveno o all'ebreo, per provare a far posto al desiderio di una famiglia, di dare e ricevere amore, di vivere in pace con gli altri e, prima ancora, con sé stesso?

Bambino è un romanzo storico appassionante, intenso, dal ritmo incalzante, interessante e accurato nella ricostruzione storica e sociale del periodo di riferimento e dei luoghi in cui le vicende sono collocate.
Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui ho imparato a conoscere il protagonista: attraverso i suoi comportamenti, le scelte fatte consapevolmente, il suo riconoscere il male che lo divora dall'interno e attento, nonostante tutto, a non spegnere mai del tutto quel lumicino di umanità che continua a brillare in un angolino del suo cuore, anche quando verrà avvolto dalle tenebre più fitte della disperazione, della solitudine, del dolore.

Molto bello, lo consiglio!


martedì 4 febbraio 2025

STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA di Elena Ferrante - L'amica geniale III [ RECENSIONE ]



Nel terzo volume de L'amica geniale ritroviamo Lila e Lenù, ormai donne e ciascuna impegnata a costruirsi la propria esistenza rispettivamente dentro e fuori dal Rione.
Se piano piano, per Lila (sebbene dopo non poche difficoltà), si aprono prospettive di vita migliori, ad avere un percorso quasi inverso è Elena, che passa dalle gratificazioni ottenute a livello personale e famigliare, a una condizione di crisi e insoddisfazione che la porterà a compiere scelte inattese e discutibili.


STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA 
di Elena Ferrante



Ed. E/O
384 pp

Abbiamo lasciato Elena, nel secondo volume, mentre presentava il proprio romanzo a Milano; l'abbiamo vista, però, in serie difficoltà nel cercare di difendere il proprio esordio in letteratura: lei per prima non riusciva a tirar fuori argomentazioni sensate per far comprendere ai presenti i pregi del proprio romanzo.
Finché dal fondo della stanza non ha udito una voce conosciuta che si è alzata tonante per elogiare l' opera prima della signorina Elena Greco: Nino Sarratore.
Proprio lui: l'amore della sua infanzia, dell'adolescenza... e continua ad esserlo anche nell'età adulta, benché entrambi abbiano preso strade lontane l'una dall'altro.

Ed è così che Nino comincia a far capolino nell'esistenza di Elena, che non ha mai smesso di sognarlo e desiderarlo, anche quando Lila "se l'era preso".

Ma adesso Elena è fidanzata con Pietro Airota, colto e serio studioso e, nonostante la giovane età, già professore universitario; tra i due fidanzati c'è un abisso a separarli: Lenù viene dal sud Italia e oltre tutto da un quartiere di gente povera, ignorante, mentre gli Airota sono persone importanti, benestanti, altolocate e molto colte, con le idee ben precise nelle questioni politiche come in quelle letterarie e non solo.

Entrare in questa nuova famiglia è esaltante e preoccupante insieme, per Lenuccia: è consapevole di essere troppo distante da loro, per esperienze, retroterra culturale, ambizioni, retaggio famigliare (la sola idea di far conoscere gli Airota ai propri genitori e fratelli la mette in grandissimo imbarazzo), ma al contempo lei ha bisogno di sentirsi unita a "questa gente che conta", raffinata, che ha tante conoscenze importanti e che potrebbero aiutarla a ritagliarsi il suo posto come scrittrice.
Ed infatti la suocera, Adele Airota, diventerà un punto di riferimento per lei, che è intenzionata a sfondare nel mondo della scrittura. 

Passiamo dal racconto dei tentativi di Elena di emergere come scrittrice - sempre in ansia per i pareri e le recensioni "degli addetti ai lavori" sul suo libro, per il modo in cui ne esce la sua persona (una giovane, acerba ma promettente stella della narrativa? Una ragazza dalle umili origini che cerca di spiccare e farsi notare in ambienti prestigiosi, frequentati da letterati? O una ragazza ribelle, pseudofemminista cui basta parlare di sesso, scrivere scene scabrose per credere di dar voce alle voglie di indipendenza delle donne?), impegnata ad imporre le proprie scelte alla famiglia, a contrapporsi con sicurezza alle lamentele (anche violente) della burbera madre, preoccupata che il fidanzato Pietro sia accettato dai famigliari - a quelle più drammatiche di Lila, che deve fare i conti con le mille difficoltà quotidiane di una vita fatta di duro lavoro in fabbrica, gli obblighi verso Gennaro (che sta crescendo meno bene di quanto vorrebbe), il rispetto per quel pezzo di pane di Enzo, amico fedele e paziente, e la necessità di tener lontana da sé la mentalità gretta e limitata del Rione, pur facendone sempre parte.

La fragilità di Lila si manifesta in malesseri profondi (e spesso indefinibili) nel corpo e nella mente, che sembrano scavare in lei, fisicamente e psicologicamente, delle voragini buie che da un momento all'altro rischiano di ingoiarla, di scaraventarla in un buco nero in cui ella perde lucidità, controllo di sé e della propria esistenza, dalla quale dipende quella del figlio Gennarino.

A questa situazione già complessa si aggiungono i problemi che a un certo punto le dà il movimento dei lavoratori, che incalza per averla tra le proprie file affinché faccia valere i diritti della categoria degli operai sfruttati e mal pagati; ma questo porterà non poche grane sul lavoro a Lila, sia con Soccavo che con i  dipendenti.

Nonostante passino mesi senza vedersi e, a volte, anche senza sentirsi per telefono, tra Lila e Lenù c'è un filo invisibile ma forte che continua a tenerle unite, e quando Lila ha bisogno di aiuto, Lenù c'è sempre.

Malgrado siano donne di trent'anni, le dinamiche che da sempre connotano il loro rapporto permangono: Elena è conscia della propria subalternità rispetto a Lila e si odia e la odia per questo perché, pur riconoscendole intelligenza e capacità, non accetta di sentirsi inferiore all'amica, soprattutto in virtù del fatto che lei la propria intelligenza l'ha nutrita, coltivata, e attraverso lo studio e l'impegno è riuscita a ottenere dei risultati, che però non tutti le riconoscono. 

In particolare, non le vengono riconosciuti da quelle persone il cui parere è per Elena importante, come la professoressa Galiani, che sembra vittima del fascino oscuro e inspiegabile di Lila e che snobba l' alunna modello sotto gli occhi sprezzanti dell'altra.

Lila, nel suo essere arguta e perspicace, vede benissimo quanto e come Elena fatichi per farsi accettare e considerare dai professori di cui si circonda, e quasi la prende in giro per questo, non comprendendo come possa la sua amica tenerci tanto alle opinioni e alla stima di quelle scimmie ammaestrate che parlano in un linguaggio forbito di tante cose e raramente concludono alcunché.

A sua volta, Elena si lascia travolgere da sentimenti contrastanti verso la Cerullo: continua a volerle sempre più bene, corre se lei fa un cenno,  prende con sé Gennarino per settimane se Lila glielo chiede, ma c'è una parte di sé che sembra detestarla, quasi desidera che lei muoia, che scompaia, che smetta di essere l'eterna pietra di paragone contro cui Lenuccia finisce per sfracellarsi ogni volta, consapevole di non riuscire a brillare come lei, che custodisce in sé, già dall'infanzia, "qualcosa di inafferrabile che seduceva e insieme allarmava, una potenza di sirena".

Non mancheranno gli scontri tra le due su diverse questioni: la salute di Lila, la vita matrimoniale e le gravidanze di Elena, i successivi (fallimentari) tentativi di proseguire nella scrittura, le decisioni che Lila prenderà in merito al proprio lavoro e che vedono coinvolti i Solara, fino ad arrivare a ciò che farà Elena quando il suo matrimonio comincerà a subire, e a non sopportare più, troppe scosse...

Anche in questo romanzo non possiamo non farci trascinare da quella lava incandescente che è la penna della Ferrante, che continua a rendere sempre più appassionanti le vicissitudini esistenziali di queste due indimenticabili e complesse protagoniste.

In modi differenti, entrambe hanno provato a spezzare le sbarre che le imprigionavano nel rione e a quel destino di miseria, ignoranza e sottomissione che lo caratterizza.
Ora che sono adulte, attraversano gli anni Settanta riflettendone speranze e incertezze, tensioni e sfide fino ad allora impensabili, e il tempo e lo spazio non bastano a separarle mai definitivamente, anzi, il loro legame fortissimo e ambivalente sembra uscirne ogni volta rafforzato.

Lenù odia la crudele e cinica franchezza con cui Lila sa metterla davanti alle proprie debolezze, ai propri errori, alle proprie mancanze, ma allo stesso tempo non può farne a meno, pretende che l'amica le dica sempre la verità, anche quando sa che le farà male.

Dal canto suo, Lila tratta spesso con sufficienza Lenù e non risparmia critiche aspre ai racconti che l'amica scrive e che le fa leggere; nondimeno, continua a stimare Elena Greco e a ritenerla più che capace di brillare, di tirar fuori il meglio da tutto lo studio su cui ha speso anni, perché Lila crede ancora che la sua Lenuccia possa aspirare a grandi obiettivi e vivere una vita bellissima anche per lei.

Si approfondisce, in questo libro, il personaggio di Pietro, anch'esso non privo di contraddizioni: è una brava persona, gentile, educata, paziente, seria, coerente, eppure c'è nel suo modo di ragionare così ordinato, razionale ed equilibrato, qualcosa che lo rende limitato, "ottuso", come lo definisce la stessa Elena, che più volte andrà in crisi perché Pietro - a dispetto dell'apertura mentale che la tanta cultura dovrebbe donargli - non è diverso da tanti uomini che si aspettano che la moglie badi alla casa, ai figli, che sia sempre disponibile e attenta ai bisogni del marito, rinunciando alle proprie ambizioni, se necessario.

E poi c'è lui...: l'unico, inimitabile Nino Sarratore.
L'essere più vanesio, egoriferito, narcisista, subdolo, arrogante, ECCETERA ECCETERA, che mi è capitato di incontrare in letteratura.



Sarò scontata, ma non mi resta che consigliarvi di iniziare e/o proseguire questa serie.



CELLA 34 di Antonio Giugliano [ DISPONIBILE DAL 4 FEBBRAIO ]


Buongiorno, lettori!

Oggi è in uscita un thriller psicologico edito da Nua edizioni.


CELLA 34
di Antonio Giugliano


204 pp
15.67 euro (cart.)
3.99 euro (ebook)
USCITA
4 FEBBRAIO 2025
Sastiano Russo, cinquantenne, è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio della moglie, Cetty, e dei suoi tre figli. Si è sempre dichiarato innocente.

Dopo aver passato tre anni e mezzo in un carcere per detenuti comuni viene trasferito in un altro istituto di pena, nel Nord Italia, dove c’è un reparto per soli ergastolani.

Qui fa amicizia con diversi detenuti: il primo è Giangiacomo, un ex brigatista mai pentito che sostiene di aver partecipato al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro. Poi Mattia, Gennaro e il montenegrino Rajan, tutti killer. E Gigi, un pluriomicida psicopatico con cui si instaura un rapporto conflittuale, e infine Giacinto, un vecchio che fa sculture di pane.

La moglie morta lo va a trovare nei meandri della sua mente per ricordargli la promessa di raggiungerla il prima possibile.

Sastiano deve così intraprendere un percorso interiore durante il quale elaborerà il proprio senso di colpa, provando un rinnovato desiderio di riscatto.


A fine mese, in occasione del Review Party dedicato a quest'uscita, potrete leggere la recensione del romanzo.

domenica 2 febbraio 2025

LIBRI LETTI A GENNAIO 2025



Buon pomeriggio, cari lettori!

Eccomi con il recap del primo mese dell'anno.


LETTURE DI GENNAIO


  1. L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI di E. Shafak: romanzo di formazione in cui un'adolescente cresciuta a Londra apprende il passato dei propri genitori, legato indissolubilmente alla loro terra d'origine, Cipro, e ai conflitti che l'hanno dilaniata negli anni Settanta (4,5/5). SE CERCHI UN ROMANZO INTENSO, PROFONDO E STIMOLANTE.
  2. TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI di L. Imai Messina: romanzo
    pinterest

    ambientato in un'isola del Giappone che ci ricorda il potere curativo della scrittura (4/5). DELICATO E POETICO.
  3. LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di S.Apuzzo – S. Baldini – B. Archetti: le testimonianze scritte, sotto forma di lettera, di cosa voglia dire nascere e crescere nei campi profughi palestinesi (4/5).  PER CHI VUOL "VEDERE" OLTRE I MURI DEI PREGIUDIZI.
  4. LA VILLA DELLE STOFFE di A. Jacobs: primo volume della saga storica famigliare con al centro una famiglia tedesca imprenditrice. Amori e segreti nella Germania del primo ventennio del Novecento (4/5). PER CHI HA VOGLIA DI AFFEZIONARSI A UNA FAMIGLIA VIVACE.
  5. STORIA DEL NUOVO COGNOME di E. Ferrante: secondo volume de L'amica geniale. Prosegue l'amicizia tra Lenù e Lila, tra alti e bassi, tra gratificazioni e delusioni (5/5). PER CHI NON PUÒ FARE A MENO DI STARE AL RIONE CON LE DUE AMICHE.
  6. MICIO CUPIDO di I. Carioti: romance contemporaneo con un pizzico di fantasy. Un gatto scorbutico contribuisce a far innamorare un cantante caduto nel dimenticatoio e una veterinaria sfortunata in amore (3/5). PER CHI DESIDERA UNA STORIA D'AMORE RACCONTATA CON IRONIA.
  7. OSSESSIONI di G. Dondi: romanzo storico incentrato sul rapporto tra Giuda Iscariota e il Maestro (3.5/5), secondo una prospettiva diversa dal solito. ADATTO A CHI PRIVILEGIA LA NARRATIVA STORICA.
  8. NON AVRAI ALTRA DONNA ALL'INFUORI DI ME di A. Chirico: giallo storico giudiziario che riporta fatti di cronaca ispirati a vicende realmente accadute in Puglia negli anni Venti del secolo scorso (3.5/5). PER GLI AMANTI DEL GENERE.
  9. CZESLAWA di M. Costa: l'ultima settimana di vita di una 14enne polacca, uccisa ad Auschwitz (4/5). PER NON DIMENTICARE.
  10. STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA di E. Ferrante: terzo volume de L'amica geniale. Mentre Lila cerca e trova una propria stabilità nel Rione, Lenù fa i conti con la propria infelicità famigliare (4.5/5). 


READING CHALLENGE

Per la RC di quest'anno, lo schema ripercorre la sfida letteraria del 2024: alle categorie fisse - cui si può attingere durante tutto l'anno e più di una volta - si aggiungono di volta in volta gli obiettivi specifici di ogni mese; a gennaio gli obiettivi sono i seguenti:

- Un romanzo che parli di incidenti sul lavoro;
- Un libro finalista/vincitore di un premio letterario internazionale (Nobel, Book Prize, Strega europeo, National Book Award, Goncourt);
- un romanzo che tratti di una storia di vendetta o tradimento;
- "Cose da salvare in caso di incendio" di Haley Tanner.


Io ho scelto il secondo obiettivo con 
11. PRIMO SANGUE di A. Nothomb: biografia del diplomatico belga Patrick Nothomb, padre di Amèlie. Vincitore del Premio Strega europeo 2022 (4/5). SE CERCHI IL RITRATTO BREVE, VIVACE E PIACEVOLE DI UN PERSONAGGIO REALMENTE ESISTITO.



SERIE TV


L'ho iniziata e devo finire di vederla: IL CONTE DI MONTECRISTO su Rai Uno, che mi sta piacendo, anche se confesso che, avendo letto il romanzo diversi anni or sono, molti dettagli mi sfuggono.

SAVE ME: serie tv coreana, ho guardato la prima stagione su Prime e mi ha presa moltissimo. 
Detta in poche frasi: una ragazza di sedici anni si trasferisce da Seul in una cittadina con la propria famiglia; a scuola suo fratello subisce atti gravi di bullismo e da questi episodi si scatena una serie di fatti drammatici sempre più inquietanti la tensione crescerà a ogni puntata.
Questa povera famiglia - segnata e sconvolta da una tragedia che la colpirà - finirà nelle mani di una setta pseudo-cristiana (???) guidata da un santone che definire folle è un complimento. Quattro ragazzi cercheranno di salvare la fanciulla dalle grinfie della setta.

Ho visto anche la seconda stagione di SQUID GAME e pure questa mi ha convinta; l'ho praticamente divorata e aspetterò il seguito con molta curiosità.

Spero di riuscire a parlarvi di queste due serie coreane in un post a esse dedicato.

venerdì 31 gennaio 2025

L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI di Elif Shafak [ RECENSIONE ]



Un romanzo delicato e potente in cui leggiamo d'amore, dolore, distruzione, separazioni, guerre, ostilità tra popoli, in una cornice che, nel mettere al centro la natura con la sua multiforme e splendente bellezza, sembra riconciliare l'uomo con questa vita piena di tribolazioni ma allietata altresì da colori luminosi e profumi d'erbe, dal battere delle ali di uccelli di ogni piumaggio, dai frutti gustosi degli alberi.


L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI
di Elif Shafak



Ed. Rizzoli
trad. D. A. GewurzI. Zani
368 pp
"I piccoli miracoli avvengono. 
Come la speranza può scaturire dalle profondità della disperazione o la pace germogliare tra le rovine della guerra."


Ada Kazantzakis è un'adolescente di sedici anni nata e cresciuta a Londra; sua madre Defne è morta e lei vive col suo amato papà Kostas, uomo taciturno e dedito alle piante e, in generale, alla natura.

Del passato dei suoi genitori, Ada non sa praticamente nulla e questo per volere esplicito di Defne, che ha sempre desiderato lasciar fuori l'amata figlia dal tumultuoso e doloroso passato che lei e Kostas condividono.

I due, infatti, vengono entrambi da Cipro ma da due "rive" contrapposte: greco e cristiano lui, turca e musulmana lei.

Il loro amore nasce nella meravigliosa e assolata Nicosia, a Cipro, in quell'isola favolosa di acque turchine e profumo di gardenie, all'ombra rassicurante di un grande albero di fico. 

Sono gli anni Settanta, i due adolescenti innamorati si incontrano di nascosto in una taverna ("Al fico allegro")  dalle cui travi annerite pendono ghirlande d'aglio e peperoncini e che appartiene a due uomini buoni e gentili (Yusuf e Yiorgos), che diventeranno due cari amici della coppia.

Al centro di quella taverna, testimone dei loro incontri amorosi, svetta fiero e imponente un albero di fico, che assiste non solo allo sbocciare di quel sentimento innocente e puro, ma anche allo scoppio dell'eterno conflitto dell'isola (sempre più sanguinoso), spaccata in due lungo la «linea verde».

Sull’isola i due gruppi etnici - i turchi ciprioti, favorevoli alla divisione di Cipro in due Stati sovrani, e i greci-ciprioti, che rivendicano l’annessione di Cipro alla Grecia - vivono in uno stato di aperta ostilità; in entrambe le fazioni nascono gruppi armati che, attraverso azioni di guerriglia, cercano di esercitare pressioni politiche ciascuna in base ai propri fini.
Inevitabili saranno gli episodi di violenza che causeranno centinaia di vittime da ambo i lati e porteranno al tracciamento della famigerata Linea Verde, volta a separare la comunità turco-cipriota da quella greco-cipriota; il territorio e la stessa capitale Nicosia vengono così divisi.

In un contesto del genere, dove le parole d'ordine sono odio, ostilità, vendette, come può crescere l'amore tra due ragazzi che non dovrebbero neanche immaginare di potersi unire tra loro?
Per le famiglie sarebbe un dolore e un'infamia venire a sapere di questo amore clandestino e proibito.

"L’amore è una spavalda affermazione di speranza, e quando comandano morte e distruzione non si abbraccia la speranza  Non si regala il cuore quando ogni cuore deve restare sigillato, e soprattutto non a quelli che non  credono nella nostra religione, non parlano la nostra lingua, non sono del nostro sangue. Non ci s’innamora a Cipro nell’estate del 1974. Non qui, non ora. E invece eccoli là, quei due."

 
Defne e Kostas si amano davvero, ciò che li unisce non è un sentimento temporaneo ed effimero, eppure la guerra e gli scontri che devastano la loro bellissima e adorata terra, riusciranno a separarli, seppur non per sempre, visto che sappiamo dell'esistenza di Ada.

Per oltre vent'anni i due amanti saranno separati e in questo lungo lasso di tempo si annideranno in loro tanti sentimenti e pensieri contrastanti: senso di abbandono, solitudine, risentimenti, sfiducia, amarezza.

Una volta ritrovatisi, crescere Ada lontano da quella triste fetta del loro passato, sarà una necessità per Defne e Kostas, per voltare pagina e provare a vivere lontani con il corpo e con la mente dalle atrocità di cui è portatrice la guerra, ogni guerra.


La storia, come si intuisce, si snoda intervallando due piani temporali e spaziali: il Duemiladieci a Londra, dove Ada è una ragazza che cova dentro di sé sofferenza, disagi, malesseri emotivi cui non sa dare un nome, mentre Kostas è un padre maturo, che si è dedicato anima e corpo alla famiglia ma anche alle sue piante; e gli anni Settanta, in cui assistiamo alla nascita dell'amore tra i due ciprioti in un momento storico-politico complicato e sanguinoso.
Questi due piani narrativi prevedono un narratore esterno, che però diventa interno quando a raccontare è la pianta di fico.

Ad unire i due periodi e le due tracce narrative c'è appunto essa, la pianta di fico che cresceva florida e frondosa nella locanda di Yusuf e Yiorgos: Kostas è riuscito a portar con sé qualcosa di quella pianta e a farla rinascere e ripiantarla a partire da una talea; ora cresce nel giardino dietro la casa di Ada e continua ad essere l'unico, misterioso e concreto legame con una terra dilaniata e sconosciuta, con quelle radici inesplorate che, cercando di districare un tempo lunghissimo fatto di segreti, violente separazioni e ombrosità, lei ha bisogno di trovare e toccare, per poter crescere e risolvere quei conflitti interiori che le tolgono serenità.

Ad aiutarla in questo processo di avvicinamento alle proprie radici, ci pensa una zia particolare ed estrosa: Meryem, sorella maggiore di Defne, di cui Ada non sa nulla, come non sa nulla in generale delle famiglie d'origine del propri genitori.

Il romanzo di Elif Shafak è molto bello, affianca passaggi tristi con altri malinconici, poetici e struggenti; è denso di avvenimenti drammatici ed emotivamente coinvolgenti, ricco di umanità - di cui ci presenta tanto la capacità di fare il bene, di amare, di perdonare, di andare oltre le differenze, quanto quella di operare il male, di odiare, di alimentare divisioni e discriminazioni.
Il contesto ambientale, geografico, storico e politico è molto ben descritto e il lettore viene portato in quest'isola meravigliosa e affascinante, dalla natura variegata e splendida (la natura ha un posto d'onore tra queste pagine, ci sono descrizioni anche tecniche di uccelli e piante) ma dilaniata dalla stupidità dell'uomo.

"Ma su un’isola afflitta da anni di violenza interetnica e atrocità inaudite non furono solo le persone a soffrire: è toccato anche a noi piante, e pure gli animali hanno patito stenti e dolori man mano che sparivano i loro habitat. Solo che di cosa è successo a noi non glien’è mai importato niente a nessuno."

I personaggi principali sono molto ben tratteggiati psicologicamente e non solo, ed è bello come essi ci vengano mostrati nel loro agire, con tutte le fragilità, insicurezze ed esigenze che li caratterizzano.

La storia di Cipro ci ricorda una verità che è purtroppo quotidianamente sotto i nostri occhi: 
"...ovunque ci sia guerra e dolorosa spartizione, non ci sono vincitori. Né umani, né d’altro genere."

È un romanzo (anche) di formazione perché la giovane protagonista, Ada, ha modo di evolvere, conoscere e comprendere informazioni importanti della propria famiglia, del paese in cui sarebbe nata se le cose fossero andate diversamente, che inevitabilmente le appartengono e contribuiscono a renderla la persona che è.

In questo libro si affrontano tante tematiche fondamentali per il vivere umano: i legami famigliari, l'amore di coppia, tra genitori e figli, tra sorelle, l'amore proibito da vivere di nascosto, i malesseri dell'anima e della mente, il legame profondo con la natura che ci circonda e la responsabilità, da parte dell'Uomo, di rispettarla e amarla; l'odio interetnico, le discriminazioni, le ostilità che conducono a guerre fratricide tra popoli vicini, che potrebbero vivere e convivere come amici e invece si vedono come nemici; l'importanza delle proprie radici e origini, del passato, a condizione che questi non ci strangolino, impedendoci di guardare al futuro.

Molto bello, ve lo consiglio, la Shafak ha una penna poetica e piena di fascino.



Citazioni

"Dolore, quanto dolore c’era in tutti, e dappertutto. L’unica differenza era tra quelli che riuscivano a nasconderlo e quelli che non ce la facevano più".

"Il luogo dove siamo nati è la forma della nostra vita, anche quando ne siamo lontani, anzi specialmente in quel caso."

"...quando lasciamo casa nostra per lidi sconosciuti, non andiamo semplicemente avanti come prima. Qualcosa dentro di noi muore, in modo che qualcos’altro possa ricominciare da capo."

"Perché il corpo dell’innamorato è una terra senza confini: la si scopre non tutta d’un colpo, bensì un passo ansioso dopo l’altro, perdendo la strada e l’orientamento, percorrendone le valli assolate e i campi ondulati, trovandolo caldo e accogliente e poi imbattendosi, celate in angoli quieti, in caverne invisibili e inattese, trappole in cui si inciampa e ci si taglia."

«Perché il passato è uno specchio oscuro, deformante, che se ci guardi dentro vedi solo il tuo dolore, e che non lascia spazio al dolore di nessun altro.»

"Penso che il mio Paese sei tu. Ti pare una stranezza? Senza di te io non ho una casa; sono un albero abbattuto, dalle radici mozzate; basta un dito a ribaltarmi."

"La verità è un rizoma, uno stelo sotterraneo che germoglia di lato. Per raggiungerla bisogna scavare parecchio e, una volta scoperta, va trattata con rispetto."

"La mente umana è un posto stranissimo, patria ed esilio al tempo stesso. Come faceva a trattenere qualcosa di sfuggente e intangibile come un profumo quando era in grado di demolire pezzi interi del passato, mattone per mattone?"

"...una volta che ce l’hai in testa, che siano i ricordi tuoi, o dei tuoi genitori, o dei tuoi nonni, questo cazzo di dolore ti penetra anche nella carne. Ti resta dentro e ti segna per sempre. Ti incasina i pensieri e cambia il modo in cui vedi te stesso e gli altri."



mercoledì 29 gennaio 2025

TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI di Laura Imai Messina [ RECENSIONE ]



Ci sono, custoditi tra le pagine di questo romanzo, una poesia, una delicatezza e un incanto che lo rendono quasi una favola, un racconto che fa bene al cuore e che ci ricorda quanto possa essere potente la scrittura e quanto bene faccia sentirsi liberi di raccontarsi, di aprire gli argini del proprio cuore senza il timore di venir giudicati.



TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI
di Laura Imai Messina


Einaudi
240 pp
Io non lo sapevo ma... esiste davvero: il Missing Post Office, sulla piccola isola di Awashima, situata nel mare interno di Seto; con la sua forma ad elica, conta poche centinaia di anime. 

In questo posticino ameno, quasi magico, c'è il cosiddetto «Ufficio Postale alla Deriva», qualcosa di originale, insolito e, a modo suo, speciale.

In questo minuscolo ufficio vengono conservate tutte le lettere spedite a un destinatario che però è irraggiungibile, vuoi perché non c'è il nome, vuoi perché manca proprio l'indirizzo. Missive mai recapitate, insomma.

Coloro a cui sono destinate lettere e cartoline possono essere destinatari di vario genere, anche i più bizzarri: dall'amore perduto e mai dimenticato all'inventore del fon, dal giocattolo preferito nell'infanzia e smarrito per sempre alla povera lucertola cui, da bambini, si è tagliata la coda.

Sono delle lettere particolari, lunghe o brevi, che non arriveranno mai nelle mani della persona/animale/ricordo/oggetto alla quale sarebbero destinati, e questo le rende preziose perché in esse c'è il cuore di chi le ha scritte, ci sono le sue lacrime, i suoi sorrisi, i sospiri e le risate, le malinconie e i rimpianti.
Ci sono frammenti di vite, a volte anche vite intere, tra quelle righe.
Ci sono le parole pensate e mai dette, per paura, per imbarazzo o vergogna, perché il tempo è sempre il solito tiranno, per tante ragioni diverse.

"Alla deriva", sì, perché queste lettere somigliano a quei suggestivi e romantici messaggi nelle bottiglie, affidate al mare, al caso, al tempo..., che vanno alla deriva, come naufraghi.

A me ricordano anche un po' un diario segreto che non faremo mai leggere a nessun altro, forse noi per primi difficilmente ne ripercorreremo le pagine, per tenere lontane quelle emozioni, quei ricordi troppo forti, travolgenti, che per i più disparati motivi (e bisogni) preferiamo allontanare da noi.
Parole che, in fondo, sono destinate praticamente a  noi stessi e che mettiamo su carta perché scrivere fa bene, può curare, ci fa compagnia, ci aiuta a decifrare il mondo e, ancor prima, a capire la nostra stessa anima.

La protagonista è una ragazza dolcissima e gentile: Risa, che sbarca ad Awashima in un mattino freddo di primavera, portando con sé una sacca misteriosa gonfia di buste. 

«Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra». 

È sbarcata in quest'isoletta giapponese per lavorare nell’Ufficio postale alla deriva e catalogare le tantissime lettere arrivate in dieci anni.

L'isola è incantevole ma si sta spopolando; dopo un iniziale atteggiamento di diffidenza verso questa giovane donna, gli abitanti si abituano alla sua presenza e imparano man mano a volerle bene, anche perché l'incombenza che s'è presa non è da poco: mettere in ordine la corrispondenza è un lavoro enorme e nessuno capisce perché una signorina laureata debba rintanarsi in quel luogo dimenticato da tutti per svolgere un lavoro davvero singolare.

Ciò che essi non sanno è che Risa ha più di una ragione per essere lì: anzitutto, suo padre è un postino e ha lavorato tutta la vita con serietà e sollecitudine affinché neppure una lettera andasse perduta.  
E Risa è un po' come il suo amato papà: tenace, desiderosa di prendere le cose sul serio, di trattarle con delicatezza, e queste lettere - in cui ci sono istanti, pensieri, sentimenti, ricordi intimi e importanti delle persone - sono un tesoro da rispettare, meritano attenzione e cura.

E poi c'è un'altra motivazione, anch'essa molto personale: la sua defunta madre. 

La sua è stata una madre presente, sì, ma in modo intermittente e sicuramente diverso da quello che ci si aspetta da una mamma; Risa la ricorda come una persona che viveva costantemente in un mondo interiore tutto suo, in cui conosceva parole magiche per evocare creature del bosco e in cui era totalmente immersa, dimentica della realtà vera, circostante.

Quella madre particolare le ha insegnato la poesia e la curiosità verso ciò che è estraneo, perché «è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario»

E se proprio sua madre le avesse lasciato un messaggio che è finito lì, nell'Ufficio alla Deriva? Non sarebbe un modo per tenerla ancora un po' con sé, vicina al cuore, per sentirne la voce attraverso le sue parole scritte?

Nel suo soggiorno sull'isoletta, Risa farà incontri speciali, che le faranno bene e che le insegneranno a guardarsi dentro, a non fuggire dalle proprie emozioni, a mettere a fuoco ricordi, desideri, speranze, timori e quel legittimo bisogno di amore che si scontra con la paura di lasciarsi andare e di soffrire.

Avrà anche modo di ricordare un episodio dell'infanzia (quando aveva solo tre anni) che aveva sepolto nei recessi della propria memoria e, riaffiorando, la riempirà di quell'inspiegabile gioia che si prova quando si riesce a recuperare qualcosa di importante che pareva smarrito per sempre.


"Tutti gli indirizzi perduti" è un romanzo che mi ha ammaliata con la sua atmosfera quasi da sogno, con una storia deliziosa che, nella sua semplicità, emana poesia, incanto, umanità, dolce malinconia, tenerezza; la protagonista mi ha conquistata per la sua personalità sensibile, buona, riflessiva, per le sue fragilità e insicurezze; particolare l'ambientazione che, pur essendo reale, sembra quasi fantastica, irreale, forse per quel carattere esotico, ricco di fascino e suggestione che l'Oriente esercita.

Una lettura molto introspettiva, delicata e profonda, che tocca, con un linguaggio immediato e diretto, temi universali, come i legami famigliari, l'amore, le paure che ci bloccano, i sentimenti segreti e intimi mai espressi a voce alta, e tutta quella sfaccettata  e meravigliosa galleria di emozioni che connota e dà senso alla vita di ogni essere umano.

Consigliato!!



Awashima


Missing post Office
(qui)


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