NON AVRAI ALTRA DONNA ALL'INFUORI DI ME di Antonio Chirico
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"A che serve la verità? Assicurare i colpevoli alla giustizia fa forse resuscitare i morti? Certo che no. E colpevoli sono solo coloro la cui mano abbia premuto il grilletto? Ci sono invero responsabilità che nessun codice mai sanzionerà e in nessuna galera si potranno scontare. Sono le colpe dell’ambiente circostante, della cultura imperante, della famiglia di appartenenza, le colpe della stessa vittima del reato."
Nella serata dell'11 aprile 1923 un medico di quarant'anni sta uscendo dalla farmacia D’Andria quando viene freddato per strada da tre colpi di pistola.
Soccorso immediatamente, prima di esalare l'ultimo respiro riesce a mormorare alcune frasi e a ripetere più volte: «I miei cugini mi hanno ucciso.»
Non passa molto che si procede subito all'arresto della prima sospettata: Maria Caramia, che si trovava non lontano dal luogo del delitto e indossava abiti maschili.
Ma a sconfessare la sua colpevolezza ci pensa la sorella della stessa, Costanzina Caramia, che si dichiara colpevole di aver sparato al medico Pietro Caramia.
La donna viene quindi arrestata e accusata di omicidio volontario, da lei stessa confessato.
Caso risolto? Nulla di più semplice quando c'è un reo confesso, giusto?
Quello che, a prima vista, potrebbe sembrare un caso di omicidio "facile" da risolvere, in realtà si rivelerà un vero e proprio ginepraio che terrà impegnato per diverso tempo il giudice istruttore a capo delle indagini e tutto il commissariato coinvolto.
E soprattutto, vedrà impegnati i cittadini di Torre Santa Susanna che, come fedeli in una processione, si susseguiranno giorno per giorno, settimana dopo settimana, alla scrivania del giudice Francesco Giove, che ascolterà con molta attenzione ogni testimonianza, farà accomodare ogni persona che gli si presenterà davanti, desiderosa di dare il proprio contributo alla giustizia, e avrà la pazienza di lasciarle parlare (in alcuni casi "sproloquiare") anche quando non tutte le testimonianze si riveleranno realmente utili.
Il presente giallo storico di Antonio Chirico procede di deposizione in deposizione, in un alternarsi di uomini e donne di qualunque età e grado di istruzione, che si susseguono nel raccontare, con maggiore o minore sollecitudine, il proprio punto di vista, la propria conoscenza dei fatti e delle persone che ruotano attorno all'omicidio di Pietro Caramia.
Vengono ascoltati tutti: le persone sospettate di aver commesso l'omicidio (c'è la possibilità che la rea confessa potrebbe aver mentito) o di essere complici, i testimoni oculari - coloro che hanno visto i sospettati allontanarsi dalla farmacia, chi ha soccorso la vittima... -, tutti i vari e numerosi parenti di Pietro e Costanzina, che tra l'altro erano cugini.
La parentela, però, non ha impedito ai due di avere una relazione amorosa clandestina, dalla quale è nato un figlio; ovviamente, Costanza sostiene di essere stata sedotta e abbandonata, di essere stata circuita dal cugino - di diversi anni maggiore di lei e con molta più esperienza -, il quale ha approfittato della sua innocenza e ingenuità per poi stufarsene e gettarla via come una scarpa vecchia.
Di fronte a tutta la sofferenza causata all'ex-amante, l'uomo non si è mai impietosito ma ha sempre trattato con disprezzo e cattiveria la povera ragazza disonorata...
Che siano convocati dagli inquirenti o che si rechino spontaneamente in commissariato, coloro che testimoniano si dividono sostanzialmente in due categorie: chi parteggia per la vittima e chi invece "difende" l'assassina nel senso di vedere in lei la vera vittima, colei che nel corso degli anni ha sofferto, ha vissuto nella vergogna e nella solitudine, macerandosi nel dolore, nel rancore e in desideri di vendetta che evidentemente l'hanno portata a fare quello che ha fatto.
"Era in corso una guerra aperta tra gli zii e i nipoti maschi e ciascuna parte si stava muovendo sul campo con testimoni chi più, chi meno, falsi, per far prevalere la propria verità.Ma qual era la verità obiettiva? Quella dei testi “vicini” agli zii o quella degli informatori schierati dai fratelli di Costanza e a larghe maniche arruolati tra gli iscritti al fascio locale?Non era affatto facile comprenderlo. Sembrava che più si andava avanti nelle indagini, più la verità tendeva a nascondersi, e ciò che prima era chiaro diveniva incerto.La verità era una palude nelle cui acque torbide stavo lentamente affondando".
Seguendo gli interrogatori e le riflessioni dei giudice istruttore - un uomo equilibrato, coscienzioso, che esercita la propria professione con serietà e convinzione - diviene sempre più chiaro come, anche in un caso in cui il colpevole del reato in oggetto è certo (seppur con qualche dubbio sorto in itinere), non è altrettanto automatico e semplice stabilire in modo inequivocabile la verità assoluta.
Pietro è stato ucciso a sangue freddo, è vero, e ciò è un dato acclarato e confermato dalla stessa rea confessa, Costanza, che però ha agito... in quale stato emotivo e mentale?
La condotta scellerata (stando alle dichiarazione di Costanza e famiglia, non certo in base ai famigliari di Pietro) del dottore, e la conseguente frustrazione e infelicità della cugina, possono costituire un attenuante per l'assassina?
Siamo in un paesino del sud Italia in cui certi modi di pensare, di considerare i ruoli e i comportamenti degli uomini e delle donne, i pregiudizi, l'importanza data alle "chiacchiere di paese", alla conoscenza personale di Tizio e Caio, alle opinioni politiche (i fratelli di Costanza militano nel partito fascista), hanno il loro peso e tutti questi fattori sono importanti perché il giudice possa farsi un'idea complessiva del contesto umano e sociale in cui quel delitto ("d'onore"?) è maturato, come esso viene giudicato, condannato o addirittura "giustificato".
È un libro senza dubbio ben scritto, interessante e che, prendendo a pretesto un assassinio, ci offre un ritratto sfaccettato e realistico di una realtà di paese dei primi anni del '900; io l'ho apprezzato e credo che esso possa piacere in particolare a quanti sono appassionati di casi giudiziari a carattere storico; in queste pagine si può apprezzare la penna scrupolosa e accurata dell'autore, il quale di volta in volta adegua il linguaggio al livello culturale dei personaggi (tanti che accorrono a dire la loro sono persone semplici, umili, spesso analfabete, che si esprimono in dialetto stretto*), così che il lettore possa sentirsi immerso in quel luogo e in quegli anni, come se anch'egli fosse nell'ufficio del giudice a raccogliere deposizioni e a farsi una propria idea di ciò che ascolta.
* le parole/espressioni dal significato meno intuibile sono "tradotte" in italiano nelle note
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz