lunedì 19 luglio 2021

Recensione: COSA NOSTRA SPIEGATA AI RAGAZZI di Paolo Borsellino (prefaz. Salvatore Borsellino)


Il 19 luglio 1992 in via D'Amelio, a causa di un attentato mafioso, trovano la morte il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Da allora sono passati 29 anni ma l'esempio e il sacrificio di uomini dello Stato, che hanno fatto della lotta alla criminalità organizzata il fulcro delle proprie esistenze, sono immutati e ricordarli è un dovere.


COSA NOSTRA SPIEGATA AI RAGAZZI è la trascrizione della lezione che il giudice Paolo Borsellino tenne nel 1989 in occasione di un incontro con gli studenti di un liceo di Bassano del Grappa.

Il fratello Salvatore ha voluto riportare le parole di Paolo sulla mafia perché arrivassero ai giovani, in quanto esse sono ancora attuali e meritevoli di attenzione e riflessione.
54 pp

Nel 1989 la seconda guerra di mafia aveva insanguinato la Sicilia e imposto sull’isola la dittatura armata dei corleonesi di Riina.

Con parole semplici, chiare e dirette, il magistrato comincia col parlare ai ragazzi di cultura della legalità, di quanto essa sia importante e di come debba essere oggetto di discussione a scuola perché parlarne vuol dire trasmettere alle giovani generazioni il concetto che in uno Stato ci sono delle leggi e queste devono essere osservate e non per la "semplice" paura della sanzione, ma per una questione di senso civico, di giustizia.

Borsellino solleva una questione delicata: l'assenza dello Stato e di risposte pronte ed efficaci ai tanti problemi dei cittadini ha fatto sì che gran parte del Meridione d’Italia (e soprattutto la Sicilia) si sia sentita lontana, estranea allo Stato, e quando un cittadino comincia per una qualsiasi ragione a ritenersi estraneo alle istituzioni, può accadere che smetta di osservare i comandi che da queste istituzione promanano, a infrangerli e a cercare strade diverse (e apparentemente più comodo e veloci) per risolvere i propri problemi.

Le organizzazioni di tipo mafioso traggono forza proprio da queste lacune istituzionali, proponendosi come una sorta di risposta alternativa alla sfiducia verso lo Stato, promettendo di dare una soluzione alle difficoltà di cui esso non si cura.

Con il suo modo di esporre il proprio pensiero in maniera schietta, Borsellino arriva a dire che "lo Stato italiano non si è mai preso veramente carico dei problemi della giustizia", e non solo...:

"La verità è che vi è stata una delega inammissibile a magistrati e polizia di occuparsi essi soli della mafia, poi lo Stato non ha fatto sostanzialmente nulla; non ha fatto nulla per creare un’amministrazione della giustizia efficiente in senso soprattutto civile, a cui il cittadino si potesse rivolgere quando doveva risolvere i suoi problemi..."

A proposito di questo, egli dice che in quanto magistrato non si sente protetto dallo Stato, perché il fatto di aver lasciato ogni responsabilità di lotta alla mafia a magistratura e forze dell'ordine ha portato automaticamente ad una loro sovraesposizione, per cui nella mentalità del criminale, togliendo il magistrato fastidioso di turno o i poliziotti che si occupano di mafia, si elimina il nemico numero uno (se non l'unico) della mafia.

Borsellino ricorda poi come a dare un ulteriore slancio all'enorme potenza economica che la mafia ha acquisito negli anni sia stato il traffico di sostanze stupefacenti.

Rispondendo alle domande degli studenti, egli espone il proprio pensiero sul fatto che il carcere possa o meno davvero essere un luogo in cui il criminale trovi la strada della redenzione; accenna al pentitismo, e alla indiscussa utilità della figura del pentito, le cui dichiarazioni possono offrire la chiave di lettura del fenomeno mafioso.

Salvatore Borsellino, nell'introdurre la trascrizione delle parole di suo fratello, ricorda come egli avesse ammesso che Palermo non gli piaceva, ma proprio per questo imparò ad amarla, "perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace, per poterlo cambiare".

Paolo, ci dice ancora Salvatore, era pazzo d’amore, "di quell’amore che ha ispirato tutta la sua vita e ne ha determinato tutte le scelte, come quella di restare al suo posto anche quando avrebbe dovuto rendersi conto che pezzi deviati di quello stesso Stato a cui aveva prestato giuramento stavano tramando per ucciderlo."

Le sue parole, rivolte a quegli studenti ma che risuonano attuali ancora oggi, tanto alle orecchie dei ragazzi quanto degli adulti, rivelano il suo ottimismo e la fiducia che egli riponeva, per il futuro della sua lotta, proprio nei giovani.

Uno scritto breve ma denso di importanti verità e di riflessioni che possono aiutarci a tener desta la nostra coscienza per imparare a riconoscere la mafia in tutte le sue manifestazioni, dalle più eclatanti a quelle più nascoste e, per questo, insidiose.

2 commenti:

  1. Un ottimo libro geazie per averlo recensito e per aver in questo modo concretamente fatto qualcosa per ricordarlo

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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