giovedì 24 novembre 2016

"La storia di Willie Ellin" ed "Emma", due opere incompiute di Charlotte Brontë finalmente disponibili per "Five Yards"




Lettori cari amanti delle sorelle Bronte, è nata la collana Five Yards (la collana che ospita testi classici della letteratura inglese e americana in traduzione italiana) all'interno delle edizioni Flower-Ed,  con La storia di Willie Ellin ed Emma, due opere incompiute di Charlotte Brontë tradotte ora per la prima volta in italiano. 


flower-ed
coll. Five Yards
15 euro
2016

Siamo nel 1853. Charlotte Brontë ha trentasette anni e guarda al futuro con grande incertezza. 
Le sue sorelle non ci sono più, le è rimasto solo il padre a cui badare. Il pensiero di morire da sola nella ventosa brughiera la opprime. Charlotte decide allora di sposare il reverendo Arthur Bell Nicholls, ricoprendo finalmente il ruolo di moglie.

In quel momento nei cassetti della sua stanza giace un manoscritto incompiuto, scritto a matita: La storia di Willie Ellin

In questo libro possiamo scorgere e apprezzare il prezioso momento della prima stesura del pensiero della scrittrice salita agli onori letterari grazie Jane Eyre e Villette: errori, ripensamenti, abbreviazioni, fugaci paesaggi e personaggi che ci sembra di aver già conosciuto, da sempre vivi e vividi nell’immaginario dell’autrice fin dall’infanzia.



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EMMA


Matilda Fitzgibbon è una ricca ereditiera. 
Ammessa al Fuchsia Lodge, la scuola privata delle sorelle Wilcox, è subito trattata con tutti i riguardi dovuti al suo rango. All’arrivo delle vacanze di Natale, la direttrice Wilcox invia un messaggio al padre dell’allieva, ma scopre, con l’aiuto dell’amico William Ellin, che si è verificato un terribile malinteso. 
Un alone di mistero circonda la famiglia Fitzgibbon e le sue ricchezze. Pubblicato dopo la morte di Charlotte Brontë, Emma è l’ultimo romanzo incompiuto dell’autrice. 

Questa rappresenta la prima traduzione in italiano dell’opera e comprende l’appassionata prefazione che lo scrittore William M. Thackeray le dedicò sul Cornhill Magazine nel 1860.


Quelle che vedete sono le copertine delle prime traduzioni in italiano dei due manoscritti, la cui importanza deriva proprio dalla forma embrionale in cui sono stati trovati. 
Sembra quasi di essere lì con Charlotte Brontë, sentire la sua veste frusciante mentre siede per scrivere e la matita che imprime la prima stesura di un’idea, con tanto di ripensamenti, abbreviazioni. 
I paesaggi e i personaggi sono solo tratteggiati, ma erano vivi nell’immaginario dell’autrice fin dall’infanzia e ci sembra di conoscerli da sempre.

Questi due libri sono disponibili in ebook e in cartaceo, grazie ad Alessandranna D’Auria che con grande passione e competenza ne ha curato la traduzione e l’ampio commento critico.
Una nuova traduzione, infatti, è già in lavorazione: si tratta di Ashworth, uno scritto di Charlotte Brontë lasciato anch’esso incompiuto, che prestissimo farà parte ancora della collana Five Yards.

Che ne pensate?
Vi piacerebbe leggere questi manoscritti di Charlotte?

Recensione film: MIRACOLI DAL CIELO di Patricia Riggen



Accettare le prove e la sofferenza è qualcosa di estremamente difficile e anche quando la fede ha sempre accompagnato la tua vita e le tue giornate, in "quei" momenti non sempre è automatico aggrapparsi ad essa, proprio perchè il dolore può scoraggiarci e portarci a vedere tutto nero e irrisolvibile...
Ma a volte succede un miracolo, proprio per quella situazione che sembrava ormai senza via d'uscita...


MIRACOLI DAL CIELO
(Miracles from Heaven)



"Viene definito miracolo qualcosa che non può essere spiegato dalle leggi della natura o dalla scienza. Ma allora come può essere spiegato? Come avviene? Chi o cosa c'è dietro?"

Genere Drammatico
Anno di uscita 2016
Regia: Patricia Riggen
Cast: Brighton Sharbino, Jennifer Garner, Kylie Rogers, Martin Henderson


I Beam sono una famiglia felice e serena, molto credente e dai sani principi. 
Christy e Kevin hanno una bella vita e una bella famiglia, insieme alle loro tre figlie, frequentano una chiesa e hanno tanti bei progetti da realizzare.

All'improvviso però qualcosa di tragico viene a oscurare questa felicità: la secondogenita, Annabel, di dieci anni, è affetta da una rara malattia dell'apparato digerente, incurabile oltre che molto dolorosa.

Le prime diagnosi da parte dei dottori sono un po' superficiali e non mettono in risalto patologie gravi, ma i genitori non smettono di essere preoccupati, benchè ancora inconsapevoli di quale sia l'origine dei disturbi che fanno piangere di dolore la piccola Anna.

Quando si rende conto che i medici ai quali si è rivolta non hanno le giuste competenze per aiutare la figlia, Christy Beam fa di tutto perchè si trovi una terapia in grado di aiutarla a star meglio e, magari, a guarire.

La donna si rivolge così al celebre dott. Nurko, che esercita la professione medica a Boston; mamma e figlia lasciano il Texas e volano fino all'ospedale pediatrico per incontrare Nurko, che conferma la presenza di questa malattia rara per la quale non si conoscono ancora cure; l'unica cosa possibile per adesso è imbottire la bimba di morfina e antidolorifici in modo che soffra il meno possibile.

Dov'è Dio? - si chiedono Christy ed Anna. La fede della donna vacilla di fronte alla prova e al dolore della propria bambina; se Dio è amore, perchè permette questo?

Eppure, Dio non smette di rivelarsi e tanti piccoli miracoli accadono nel corso di questa brutta esperienza, che faranno comprendere alla mamma scoraggiata che lei e la sua piccola non sono sole ma che Qualcuno continua a vegliare su di loro.

Ma il vero miracolo deve ancora accadere!
Un giorno che Anna, tornata a casa dall'ospedale, si sente un pochino meglio, si convince a giocare con la sorella maggiore e insieme si arrampicano sul grosso albero che da sempre è davanti casa loro e che le ha viste arrampicarsi innumerevoli volte in passato: a causa di un ramo che minaccia di spezzarsi, per evitare di cadere  Anna finisce per precipitare comunque, ma all'interno del tronco vuoto dell'albero stesso, da un'altezza di tre piani..

In quelle terribili e angoscianti ore, sola e al buio all'interno dell'albero secolare, Anna vive un vero e proprio miracolo che lascia disorientati i medici specialisti, riunisce la sua famiglia e diffonde speranza nella comunità..


E' un film che vuol raccontare con semplicità una storia di fede e benedizioni, di quelle che, quando le ascoltiamo, forse ci vien voglia di dire: "Ma sarà vero? Questa storia ha dell'incredibile...!".

Ed è vero, la storia di Annabel Beam è incredibile ma... è vera, stando alla testimonianza diretta di chi ha vissuto tutto questo: quando la piccola viene recuperata da dentro l'albero, non solo non ha riportato contusioni e ossa rotte (solo un lieve trauma cranico), ma la sua malattia è sparita!

Come spiegare questa remissione, che la medicina definisce "spontanea" e che accetta stupita e senza aggiungere altro?

I Beam, e chi come loro ci vede la mano di Dio, parla di miracolo, e chi legge/ascolta la loro testimonianza di vita e di fede è ovviamente libero di darsi la propria ipotesi per spiegare la guarigione della bambina, magari anche di arrivare a non credere che sia mai stata malata..., o che ci siano spiegazioni scientifiche non ancora note, chissà...

Ma forse a volte basterebbe esercitare un po' di fede - nei Vangeli Gesù dice che basta una fede piccola (o sarebbe meglio dire "grande") quanto un granello di senape per spostare le montagne - per accorgersi che i miracoli non sono solo quelli evidenti ed eclatanti come una guarigione improvvisa e inspiegabile, ma anzitutto quelli che ci succedono giorno per giorno, persone o situazioni speciali che ci regalano un pizzico di gioia, fiducia, serenità, quelle "piccole cose" che quando siamo felici e soddisfatti non vediamo - presi come siamo da noi stessi, dalla nostra vita con i suoi impegni e il suo trantran - ma che diventano importanti e cariche di significato nei periodi di sconforto e disperazione.

Estremamente positiva la figura di Samule Nurko, che svolge il suo lavoro tra i bambini ammalati con slancio, passione e tanta umanità.

E' un film che consiglio a "credenti" e non; ai primi, perchè di certo si sentono vicini all'esperienza di fede dei Beam ed entrare in empatia con loro immagino venga spontaneo, come il vedere la mano di Dio nella guarigione miracolosa di Anna; ai secondi perchè magari, accanto alla reazione di scetticismo e perplessità, che storie incredibili come queste possono inevitabilmente suscitare, unite a commenti del tipo "film banale, melenso, di propaganda cristiana" ecc..., potrebbero affacciarsi altre considerazioni, meno legate a ciò che si "vede", "si tocca" e più vicine alla sfera spirituale e a quella dimensione che non si vede con gli occhi fisici ma con quelli del cuore e della fede, ma che non per questo è meno reale, anzi.


Sul sito aperto da Christy in merito al libro da cui è tratto il film, potete vedere tante foto di Anna e della sua famiglia: http://www.christybeam.com/

Recensione: "MI INNAMORAVO DI TUTTO. Storia di un dissidente" di Stefano Zorba


Cari lettori ed amici, ieri sera ho avuto attimi di terrore e smarrimento.
Finora ho sempre gestito il blog (e Internet in generale) collegandomi col mio netbook che, ok, è lentissimo e si impalla alla velocità della luce, ma quanto meno mi ha sempre permesso di fare le attività basilari, tra cui accedere a blogspot e pubblicare post.

Ebbene, ho scoperto che blogspot ha fatto delle modifiche, allargando la barra laterale; purtroppo il mio mini-pc non accetta i cambiamenti e non mi fa visualizzare un'emerita pippa, cosa che mi aveva provocato un coccolone perchè il primo pensiero è stato che il blog fosse morto, sparito e io avessi perso TUTTO...!
Fortunatamente non era così, è "solo" un problemino del mio pc-cino, quindi per pubblicare qualcosa, da questo momento, dovrò prendere in prestito il notebook di mio marito,il che però significherà che non potrò scrivere quanto e quando mi va... -_-'
Me tapina...!

In attesa che i tempi diventino migliori e io possa acquistare un pc adatto al genere umano e soprattutto ai suoi progressi scientifico-tecnologici, vi dono oggi un paio di recensioni, che tra l'altro sono pronte da qualche giorno.

Il primo parere è su un libro dai toni biografici che, sull'onda delle note e delle parole della significativa canzone di De Andrè - "Coda di Lupo" - ripercorre gli anni della contestazione e delle lotte giovanili che hanno caratterizzato il nostro Paese, le lotte di chi si ribellava ai falsi dèi che si sono imposti dal secondo dopoguerra in poi:  il dio degli inglesi, il dio goloso, il dio della Scala, il dio a lieto fine..., dèi ai quali non devi credere mai, portatori, come sono, di false illusioni; al centro vi è un uomo che ha indossato i non comodi panni del dissidente per opporsi proprio a questi falsi dèi..., ma con quali risultati?


MI INNAMORAVO DI TUTTO. Storia di un dissidente
di Stefano Zorba



Edizioni Alternative
10 euro
La storia narrata in questo libro prende spunto, come dicevo, da una canzone di Fabrizio de Andrè, “Coda di Lupo”, che parla del Movimento politico nato in Italia nel 1977  volto a combattere contro uno Stato che ha le “mani” sporche di sangue, del sangue di coloro che hanno combattuto e combattono per difendere i diritti umani e civili; ebbene, gli intensi e attuali versi di questa canzone fanno da guida a questo romanzo e alle vicende che caratterizzano la vita del suo protagonista, che si fa chiamare proprio Coda di Lupo.

Coda di Lupo da piccolo era un romanticone, un cuore semplice che si incantava davanti alle piccole cose, ma che poi ha fatto spazio all’odio, a quell’ “odio bulimico che si nutriva di se stesso e rigurgitava altro sangue nero nei recessi delle mie vene e delle mie arterie fino a mangiarmi l’anima.”.

La narrazione inizia e procede seguendo due diversi momenti temporali; il primo è quello di Coda di Lupo giovanissimo, che spera di sfondare nel calcio, in quanto ha del talento che gli viene riconosciuto da chi lo vede giocare. Purtroppo spesso i sogni vanno a sbattere contro la realtà e le sue sgradite sorprese, e presto altri interessi si fanno spazio nella sua vita.

Coda di Lupo si butta a capofitto nella lotta politica e civile, e lo ritroviamo durante una manifestazione in cui tanti giovani vengono presi poco gentilmente a manganellate da poliziotti arrabbiati; eppure, nonostante la confusione e il casino, in quel corteo Coda di Lupo trova non solo il proprio nome di battaglia (ascoltando in sottofondo proprio la canzone di De Andrè), ma anche l’amore:

“Quel giorno me ne sono andato dal corteo stringendo per mano l’amore. L’amore per quella ragazza appena conosciuta. L’amore per la lotta e per la convinzione di essere dalla parte del giusto. L’amore per quella voce roca e profonda che sapeva di sigarette e cantava di un indiano che non era un indiano vero ma un militante del Movimento del ‘77. L’amore per la speranza che un giorno avremmo cambiato davvero le cose. L’amore per una vittoria che sembrava lì dietro l’angolo.”

Il secondo filone temporale è quello presente, in cui un Coda di Lupo ormai adulto è nelle mani di uomini al servizio dello Stato che cercano di estorcergli informazioni circa la sua attività, che essi giudicano terroristica.

Coda di Lupo sa a cosa va incontro se non parla, a che tipo di torture e sevizie psicologiche e fisiche gli faranno i suoi carnefici se non dà loro le informazioni che vogliono; ma come può un uomo che ha dedicato la propria vita a certi ideali, tradirli e snocciolare i nomi dei propri compagni per salvarsi la pelle, ammesso poi che esca comunque vivo da quella prigione spoglia e sporca in cui sta marcendo?

Coda di Lupo cerca di restare lucido e presente a se stesso nonostante le torture inflittegli, perché nutre un profondo disprezzo per questi uomini venduti a uno Stato che non pensa ai propri cittadini bensì ai propri interessi capitalistici ed è pronto a calpestare i diritti delle persone e a schiacciare quanti lo contestano.

“Lottare è inevitabile e nobilitante. Nonostante non ci sia speranza. Lottare senza la speranza è l’unica cosa che ci è rimasta. I Don Chisciotte continueranno a farlo perché lottare li fa sentire vivi e liberi; e quando abbatteranno i mulini a vento i Sancho Panza di questo mondo se ne prenderanno il merito e saranno tiranni al loro posto.”

Non sarebbe in fondo più semplice per Coda di Lupo levarsi i panni del militante che combatte (forse inutilmente...?) lo Stato sanguinario e vestire quelli più comodi e sicuri del borghese, con una famiglia e un lavoro normalissimo da portare avanti, chiuso nel recinto di un’esistenza tranquilla ma in realtà priva di quello slancio e di quel fervore che gli appartengono?

“Io sono diventato un ribelle perché quando sei senza speranza e senza più nulla o ci si spara un colpo in testa o si alza il dito medio e si combatte.”

Ma uno come lui non è fatto per rinchiudersi in uno smoking, Coda di Lupo non vuol smettere di credere che sia ancora possibile cambiare le cose e sperare in un futuro migliore.

Questo romanzo, nella sua immediatezza e schiettezza di linguaggio, ci parla degli ideali e dei sogni di un ragazzo, poi diventato uomo, capace di sacrificare se stesso per ciò in cui crede, e delle sofferenze cui va incontro, in un imprecisato scenario di prigionia, in un sotterraneo desolato e squallido, circondato da aguzzini sadici e assetati di sangue e morte, e seguendo i ricordi del protagonista ripercorriamo anche alcuni avvenimenti della storia recente molto noti, come il G8 di Genova e la morte di Carlo Giuliani, le proteste dei NoTav… , il tutto sulle note della canzone del cantautore genovese


Un libro molto interessante, dalla tematica attuale, attraversato da una vena malinconica, una sorta di  “romanticismo ideologico” che purtroppo va a cozzare contro la presa di coscienza di una realtà spesso contrassegnata da soprusi, violenze alle quali è difficile opporsi in modo definitivo e risolutivo.

Cosa ci resta tra le mani, se non un "dio a lieto fine" cui non bisogna credere?

Consigliandovi questa lettura, che con passione e senza girarci intorno fa appello alle nostre coscienze civili, e che per storia e stile vi prenderà dalla prima all'ultima pagina, vi lascio in compagnia della voce e delle suggestive parole di De Andrè, che arricchiscono di pathos e di significato la storia narrata dall'Autore:






E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente,
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai.
E al dio della Scala non credere mai.


martedì 22 novembre 2016

Recensione: SPLENDORE di Margaret Mazzantini



C’è qualcosa che, più dell’amore, che possa donarci calore, felicità, voglia di vivere? Eppure, come è in grado di farci toccare il cielo con un dito, così l’amore può anche farci sprofondare negli abissi della disperazione e della solitudine, soprattutto quando non si riesce a trovare il coraggio di combattere per esso contro tutto e tutti, mostrando al mondo, senza paura, tutto lo splendore di un sentimento che chiede di essere vissuto.


SPLENDORE
di Margaret Mazzantini


Ed. Mondadori
279 pp
2013

“Tutte le relazioni d’amore nascono da una mancanza, ci immoliamo a qualcuno che semplicemente sa accomodarsi in questo spazio aperto e dolorante per farne quello che vuole: farci del bene oppure distruggerci”.

“Splendore” è la storia di Guido e Costantino, del loro legame profondo e indissolubile, che li accompagnerà per tutta la vita, donando loro però più dolore che gioia.
Eppure, per quanto radi, di quegli attimi di gioia e felicità si ha terribilmente bisogno per sentirsi vivi.

Conosciamo il protagonista (e voce narrante), Guido, quando è un bambino, e capiamo subito che è un bimbo essenzialmente solo, con un padre buono ma assente ed una madre tanto bella e affascinante quanto “distratta”; Georgette è la madre chiamata quasi sempre per nome da Guido, come a mettere un muro tra sé e lei, questa sorta di dea scesa in terra, venerata dai due uomini di casa, desiderata e amata con tenerezza e struggimento, nonostante ella sia così sfuggente e lontana.

Guido cresce quindi in compagnia di domestiche efficienti ma distanti, in una famiglia di adulti rigidi e stravaganti e di infiniti vecchi. Solitario bambino, ero guardato con timore come una sorta di insetto kafkiano che avrebbe potuto, ingigantendosi, divorarli”.

Il primo vero incontro con colui che diventerà l’amore della sua vita avviene un giorno in cui Guido lancia dalla finestra un regalo poco gradito, che viene raccolto dal figlio del portiere, Costantino.

I due ragazzini si ritrovano in classe insieme ma ostentano una forzata indifferenza, soprattutto Guido, che sente verso il suo coetaneo una attrazione mista a repulsione, sentimenti che perdurano per un po’ di tempo, fino a quando i due non si ritrovano insieme in gita (in Grecia), alle superiori, e lì vivranno giorni di euforia e libertà, che li avvicineranno.

Costantino è un ragazzone bello, taciturno, forte, e Guido non riesce a guardarlo con indifferenza; anzi, quando tra loro avviene un avvicinamento di tipo fisico, Guido si sforza di guardare l’amico con disprezzo, provando per lui addirittura odio, chiarendogli con durezza e un pizzico di cattiveria i propri gusti sessuali e precisando che lui non è omosessuale, come molto probabilmente lo è Costantino.

E nonostante il pensiero di Guido torni spesso a quel momento di intimità segreta avuta con il compagno di scuola, entrambi si attivano per cercare storie con ragazze della loro età, come per dimostrare qualcosa a loro stessi e agli altri, ma per quanto tempo potranno tenere a bada la propria natura?

La realtà è che non solo l’attrazione fisica ma soprattutto l’amore comincia a farsi strada pian piano dentro di loro e un giorno accade ciò che ambedue desiderano ma che non avevano il coraggio di dirsi e chiedersi:

“E davvero accadde, e fu contro natura, e davvero vorrei sapere cos’è la natura, quell’insieme di alberi e stelle, di sussulti terrestri, di limpide acque, quel genio che ti abita, che ti porta a fronteggiare a mani nude le tue stesse mani e tutte le forze del mondo. Allora fu natura, la nostra natura che esplose e trovò l’espressione più dolce e benevola. Ci trovammo. Come il vento che organizza il mondo, lo rade al suolo e lo riedifica lentamente.”.

In quel momento per loro magico e irripetibile, Guido e Costantino sono sé stessi, senza maschere, vergogna, paura.

Ma è difficile per due uomini sentirsi liberi di amarsi alla luce del sole; la società attorno a loro non è pronta ad accettare questo amore, giudicato da tutti pervertito, distorto, sporco, una cosa di cui vergognarsi, e se i due innamorati non sono sufficientemente forti e pronti ad affrontare pregiudizi, insulti, stigmatizzazione sociale…, è facile che a questo amore si rinunci.

Ed è ciò che accade a loro due; soprattutto Costantino si dimostra pieno di sensi di colpa, in virtù dell’educazione morale e religiosa ricevuta: sente che quella passione per una persona del proprio sesso è profondamente sbagliata e va repressa, così i due si allontanano e per anni vivono le proprie vite l’uno distante dall’altro.

Costantino resta a Roma e si sposa con Rossana, avendo due figli con lei (tra cui Giovanni, nato con gravi deficit mentali e di cui il padre si prenderà sempre amorevolmente cura), mentre Guido si trasferisce a Londra.

Il suo pensiero va sempre ed ossessivamente a quell’amore negato e nulla e nessuno sembra appagarlo, eppure anche Guido – che tra i due è quello più convinto a vivere la propria omosessualità senza troppi sensi di colpa – si concede storie con donne che gli offrono calore e protezione, finendo anch’egli per sposarsi con la bella e placida Izumi, di origini giapponesi, che ha già una figlioletta, Leni, con la quale Guido instaurerà un rapporto bellissimo.
Il loro matrimonio, pur fondato su basi non totalmente sincere perché Guido non è etero, è per l’uomo fonte di sicurezza, un rifugio dal dolore e dalla nostalgia per quell’unico amore che porta nel cuore e che non lo abbandona mai.

Ed infatti arriva il giorno in cui questo amore si ripresenta nella sua esistenza, più vivo e forte che mai:

…amore, amore mio infinito. Amore mio oltre le tempeste e i sogni, amore mio oltre gli orchi e la vergogna, amore dolce, amore violento, amore violato. Amore.”

La passione e il sentimento scoppiano nuovamente, riscoprendoli più maturi e affamati di emozioni:

“…ci piegammo come uomini sulle messi e raccogliemmo il nostro grano in quell’immenso splendore”.

Ormai adulti e forse più consapevoli, Guido e Costantino si ritrovano, cambiati nel corpo ma identici negli sguardi e nei gesti che si rivolgono: sapranno vivere il loro sentimento alla luce del sole, dichiarando al mondo, alle mogli, ai figli e a chi è loro intorno, che vogliono poter essere loro stessi, amarsi come sentono di avere il diritto di fare, andando contro e oltre pregiudizi, ingiurie, scherni, parole e occhiate cariche di disprezzo…?

Sicuramente non è una scelta scontata e semplice, perché entrambi sono sposati e vivere in modo manifesto il loro amore significa anche far del male alle proprie famiglie.

Ma forse ciò che blocca questa relazione è qualcosa di meno concreto e tangibile eppure altrettanto forte: gli eterni dubbi e sensi di colpa che da sempre corrodono il cuore e la mente di Costantino. Continueranno a riaffacciarsi prepotentemente nella sua testa, frapponendosi tra lui e la sua felicità con Guido?

Certo, l’alternativa alla rinuncia definitiva è vivere un amore clandestino, preso e divorato a morsi, all’interno di stanze d’hotel squallide, ore rubate ad una quotidianità apparentemente serena, normale, socialmente accettabile, ma che a lungo andare inevitabilmente diventa un’enorme gabbia soffocante e ipocrita.

“Splendore” racconta di questo amore tra due uomini combattuti tra la voglia di stare insieme e l’obbedienza alle “convenzioni sociali”, contro cui non sanno andare definitivamente; vero è che Guido ci appare più determinato e coraggioso, al contrario di Costantino che sembra accontentarsi di vedere il proprio amante quando può e di nascosto, terrorizzato all’idea che “gli altri” scoprano la sua “vera natura”.

Ma quanto può andare avanti una relazione di questo tipo, senza logorarsi, senza logorarli dentro e fuori?

Quello dell’omosessualità è della sua accettazione sociale e civile è un tema sempre attuale, e se ai giorni nostri ancora permangono atteggiamenti di discriminazione e disprezzo verso i gay, tanto più essi erano radicati venti-trent’anni fa (periodo in cui ha inizio la nostra storia).

Guido e Costantino hanno bisogno di trovare il coraggio di esprimere il loro modo di essere ma è più semplice dirlo che attuarlo, e capita che proprio quando si decidono a farlo, qualcosa di tragico strappa loro dalle mani quel pezzo di splendore, di amore, che avrebbero voluto vivere appieno e liberamente.

Chi conosce già la Mazzantini, ritrova anche tra queste pagine il suo linguaggio così diretto (pure sboccato, soprattutto quando i due sono ragazzi, come del resto di solito lo è il modo parlare degli adolescenti quando sono tra loro e parlano di sesso), capace di smembrare sentimenti, parole, pensieri, sensazioni, dubbi, rimpianti e nostalgie, felicità e dolori dei suoi personaggi, che ci vengono presentati senza veli, senza indulgenza eppure con tenerezza insieme, nei loro momenti di buio e di smarrimento come in quelli (rari…?) di gioia.

Ci sono tanti passaggi che ci restituiscono tutta la tenerezza e lo struggimento di questo amore
che vorrebbe trovare il proprio spazio nel mondo e che sembra destinato invece a consumarsi in una terribile nostalgia…, la nostalgia di noi stessi, della nostra anima profonda”.

Quella narrata in “Splendore” è una storia d’amore, un amore difficile, dal retrogusto malinconico e amaro, come lo è lo stesso finale, che però nonostante tutto ci ricorda che nessuno di noi dovrebbe mai vergognarsi di sé e del proprio viaggio, perché la vita merita di essere vissuta e cavalcata nel suo “incessante splendore”.

Ho apprezzato come sempre la capacità di quest’Autrice di farsi portavoce dei pensieri e delle emozioni di un uomo combattuto, troppo spesso solo e infelice, e di svelarcene l’anima con la sua sconcertante onestà, con quello “sfacciato candore” che la caratterizza sempre, per quel che mi riguarda, nei suoi romanzi.

Consigliato in particolare a chi ama la narrativa contemporanea, le storie realistiche, drammatiche, in cui l’amore – in tutte le sue accezioni - e la vita – con tutto il suo carico di “sorprese”, negative e no - sono forse i veri e indiscussi protagonisti.

domenica 20 novembre 2016

Anteprima Newton Compton: HAI CAMBIATO LA MIA VITA di Amy Harmon



Un'autrice di cui finora ho letto e amato un paio di romanzi, è Amy Harmon, che torna in libreria dopo i bestseller I CENTO COLORI DEL BLU, SEI IL MIO SOLE ANCHE DI NOTTE,  INFINITO+1, con HAI CAMBIATO LA MIA VITA - titolo originale: "The Law of Moses" (cui segue "The song of David").

Per ora non c'è la cover italiana e, stando ad Amazon, l'ebook è previsto per fine gennaio.



HAI CAMBIATO LA MIA VITA
di Amy Harmon

Ed. Newton Compton
26 GENNAIO 2016 

Così comincia una storia fatta di dolore e belle promesse, angoscia e guarigione, vita e morte.
Una storia con un prima e un dopo, nuove partenze e falsi arrivi. E, più di tutto, così inizia una vera storia d’amore.

Qualcuno l’aveva trovato avvolto in un asciugamano, nel cesto della biancheria di una lavanderia a gettoni: aveva solo un paio di ore di vita, ma era già vicino alla morte.
 Lo chiamarono Mosè. Quando dettero la notizia al telegiornale delle dieci dissero che era il figlio di una tossicodipendente e che avrebbe avuto problemi di salute.
Ho immaginato il bambino-crack come se avesse avuto una gigantesca frattura lungo il corpicino, come se si fosse rotto mentre nasceva. Sapevo che crack significava ben altro, ma quell’immagine si cristallizzò nella mia mente.
Forse fu questo ad attrarmi fin dall’inizio.
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È successo tutto prima che io nascessi, e quando incontrai Mosè e mia madre mi raccontò la sua storia, era diventata una notizia vecchia e nessuno voleva avere a che fare con lui.
La gente ama i bambini, anche i bambini malati. Anche i bambini-crack.
Ma i bambini poi crescono e diventano ragazzini e poi adolescenti. Nessuno vuole intorno a sé un adolescente incasinato.
E Mosè era molto incasinato. Mosè era un caso a parte. Diverso da tutti gli altri ragazzi, ma anche affascinante, e molto, molto bello. Stare con lui avrebbe cambiato la mia vita in un modo che non potevo immaginare.
Forse sarei dovuta rimanere a distanza di sicurezza. Ascoltare i consigli della gente. Mia madre mi aveva avvertito. Anche Mosè mi aveva avvertito.
Ma non sono riuscita a rimanergli lontana. Questa è la nostra storia.

sabato 19 novembre 2016

Recensione film: IL RACCONTO DEI RACCONTI di Matteo Garrone



Liberamente ispirato a "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile (1575-1632), una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, Il racconto dei racconti (The tale of the tales) è un film di Matteo Garrone del 2015, candidato a diversi riconoscimenti e vincitore, tra gli altri, del Globo d'Oro per la Miglior sceneggiatura e, per i Nastri d'Argento, è stato premiato come Miglior Regista, Miglior Costumi e trucco (ed altri).


IL RACCONTO DEI RACCONTI




ANNO: 2015
REGIA: Matteo Garrone
ATTORI: Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Alba Rohrwacher, Shirley Henderson, Stacy Martin, Hayley Carmichael.


La trama del film segue tre filoni narrativi, che si intrecciano tra loro e che si rifanno a tre fiabe di Basile: La cerva, La pulce e Le due vecchie.


In un tempo indefinito e in un mondo lontano, c'erano tre regni vicini, dove vivevano, nei loro rispettivi castelli, re e regine, principi e principesse. 

Nell'episodio La cerva, conosciamo il re e la regina di Selvascura, che non hanno ancora avuto un erede; Il desiderio di un figlio a tutti i costi è fortissimo e ossessivo nella Regina (S. Hayek), che è disposta a tutto pur di diventare madre. Quando al castello giunge un negromante (lo Iettatore di Bonolis) dall'aria inquietante, tutto cambia: il desiderio della regina viene soddisfatto ma questo a lungo andare avrà le sue conseguenze.
selvascura
Il giorno in cui la regina resterà incinta e partorirà il figlio Elias ( e tutto in una notte), anche una serva vergine darà alla luce il proprio figlioletto, Jonah, fisicamente identico al principino. I due (albini) saranno legati indissolubilmente l'uno all'altro, anche se la regina madre cercherà in tutti i modi di spezzare questo legame, preoccupata di preservare il futuro del proprio figlio...
Ma, come dicevo, certe scelte cruente ed egoistiche non restano a lungo senza portare con sè conseguenze imprevedibili...

Ne Le due vecchie conosciamo Dora e Imma, due anziane sorelle il cui volto solcato da rughe ricorda loro ogni giorno che la gioventù è bella andata, ormai; Dora ha una voce melodiosa e un giorno il lussurioso re del regno di Roccaforte (V. Cassel) l'ode cantare e viene preso dalla brama di possedere il corpo di questa donna sconosciuta, di cui non vede il volto e che lui crede essere incantevole; Dora sa di non poter piacere al re, che insiste per averla con sè a palazzo, così lo inganna, va di notte da lui e, nascosta dal  buio, giacciono insieme;  
re di Roccaforte
quando la mattina dopo, il re scopre di aver fatto all'amore con una racchia rugosa, si agita come non mai e la fa buttare di sotto... Ma Dora non muore e anzi nel fitto bosco accade qualcosa che la fa ringiovanire...
Quando la sorella Imma lo scopre, incomincia a fremere all'idea di sapere come ha fatto Dora a riavere una pelle tanto fresca e giovane..

Il desiderio delle due sorelle di riassaporare la bellezza della giovinezza cambierà le loro vite, ma a che prezzo?

Nell'episodio La pulce, il re di Altomonte ha una bella e dolce figliola, Viola, delicata e sognatrice; accogliendo il legittimo desiderio di sposarsi, il padre decide di sottoporre ad una difficile e singolare prova tutti i pretendenti che si faranno avanti; colui che supererà l'enigma proposto dal re - come in ogni favola che si rispetti - avrà la mano della bella
viola
principessa. L'enigma reale ha a che fare con uno strano e orripilante animale (una pulce cresciuta e pasciuta da lui stesso, poi morta) e ad indovinarlo sarà uno "spasimante" non proprio avvenente e dai modi gentili...

Anche qui ci si scontra con gli egoismi di un genitore poco saggio e molto testardo, che metterà in serio pericolo la felicità della propria figlia innocente, che forse mostrerà più coraggio di ciò che ci si aspetterebbe da un essere delicato e impaurito come lei...

Nel fantasy di Garrone ritroviamo gli elementi tipici delle fiabe che tante volte abbiamo letto e ascoltato: fiabe che narrano di re e principesse, di maghi, streghe e terribili mostri, saltimbanchi, cortigiani e vecchie lavandaie, ambientate in scenari fantastici, ora incantevoli ora paurosi; fiabe che, pur raccontando storie immaginarie suggestive e affascinanti, fanno leva sulle paure e sui mostri che da sempre popolano l'immaginario collettivo.
Mostri dei quali, come in ogni finale fiabesco degno della categoria, si spera ogni volta che i protagonisti possano liberarsi, affinchè trionfino il bene e i buoni.

Attori bravissimi, costumi e ambientazioni davvero meravigliosi; un film che dà voce, colore, immagini e vita a delle fiabe che mostrano virtù e meschinità dell'essere umano, e Garrone firma un lavoro a mio avviso davvero ben fatto, ben recitato, ben ambientato..., insomma, un film che merita di essere apprezzato nel suo genere
Memorabile - e famosa, forse anche a chi ha visto soltanto qualche immagine del film in tv o nel web - la scena in cui Salma Hayek ha il viso sporco di sangue mentre "gusta" il cervello di un drago marino; grazie al personaggio interpretato da Cassel, non manca qualche scena in cui la lussuria fa da padrone.

Fa piacere sapere che il film è stato girato tutto nella nostra bella penisola, tra Toscana, Abruzzo, Puglia e Sicilia; infatti, il castello in cui vivono i regnanti di Selvascura è quello di Donnafugata, in Sicilia; il re di Roccaforte ha la sua dimora  nel castello di Roccascalegna (Abruzzo) mentre la dolce Viola e il suo paparino nanetto ed egoista dimorano in Puglia, a Castel del Monte.

Consiglio di vederlo, se vi piace il fantasy; a me ha colpito positivamente pur non amando alla follia il genere. ^_^

Novità Panesi Edizioni: LOST IN THE DESK di Giacinta Caruso



Cari lettori, buon sabato!
Spero di poter condividere con voi qualche recensione entro oggi , ma intanto mi fermo per segnalarvi un nuovo libro edito da Panesi Edizioni: si tratta di "Lost in the desk" della scrittrice laziale Giacinta Caruso, nota per i suoi gialli storici di successo ("Il triangolo di Rembrandt", "La Camera Ardente" e "La moglie di Van Eyck").


LOST IN THE DESK
di Giacinta Caruso


Panesi Edizioni 
Formato: ebook
Prezzo: € 2,99
Isbn: 9788899289478
Generi: narrativa
Data di uscita: 16/11/2016
Sinossi

Estate 1994. La giovane Agata Salina, orfana cresciuta a Roccalago, comune immaginario dell’hinterland romano dominato da clan mafiosi e lobby politiche senza scrupoli, fa ritorno a casa per il funerale del nonno, un professore in pensione che si è preso cura di lei dopo la morte di entrambi i genitori.
Agata ha intenzione di rimanere per tutta l’estate nel casale della sua infanzia perché un quotidiano romano ha accettato la sua richiesta di fare uno stage, il cui inizio coincide con l’arrivo di David, il suo fidanzato.
La vacanza spensierata che i due giovani speravano di trascorrere in Italia si trasforma presto in un incubo a causa delle molestie dei vicini di casa, una coppia di mezz’età che gestisce due noti locali per conto di un’organizzazione criminale.
Aiutata da Milena, la domestica albanese del nonno, Agata tenta di resistere alle violenze dei vicini e intanto si barcamena nel difficile mondo della redazione grazie all’appoggio di un giovane cronista, che le insegna come destreggiarsi fra le mille insidie che incontra sul suo cammino, soprattutto dopo che il quotidiano viene coinvolto in una storia di tangenti e rischia la chiusura. Sempre più esacerbata e spinta dalla vendetta, alla fine decide di dare ascolto a Milena e di farsi giustizia da sola.

Breve estratto:
Agata Salina era tesa. Aveva la sensazione che qualcuno la stesse osservando, ma il corridoio era deserto. Si sistemò la giacca di lino blu, fece un bel respiro ed entrò nella stanza, scoprendo che era vuota. Smarrita, si guardò intorno. Il suo arrivo era stato appena annunciato dal portiere. Passò qualche istante e non comparve nessuno. Il suo nervosismo aumentò. Il giorno e l’ora erano quelli giusti, decisi dal capocronista in persona e confermati due giorni prima per telefono dalla segreteria di redazione del Progresso Democratico. Non era certo un buon inizio, pensò confusa facendo vagare lo sguardo per il vasto locale. Era il suo primo giorno in Cronaca e si era figurata tutta un’altra scena. Non che ambisse al tappeto rosso, ma lo squallore di muri scrostati e mobili che sembravano usciti da un robivecchi la sconcertava.
In quell’istante avvertì delle voci in corridoio e si affacciò per dare un’occhiata: un ragazzo magro con gli occhiali e una gran massa di ricci castani ne stava trascinando per gioco un altro, alto e ben piantato con sottili capelli biondi pettinati all’indietro.

venerdì 18 novembre 2016

Novità editoriali Atmosphere Libri, dal Giappone, Corea del Sud e Russia (a novembre in libreria)




Cari lettori, oggi vi presento tre novità firmate Atmosphere Libri  che ci avvicinano al mondo e alla narrativa orientale, attraverso ritratti di Paesi come la Russia, le due Coree e il Giappone, a metà tra l'immaginazione e la realtà.


CREMLINO DI ZUCCHERO
di Vladimir Sorokin


Atmosphere Libri
trad. D. Silvestri
16 euro
194 pp
Novembre 2016
«Questo libro non solo celebra Sorokin come una manna dal cielo per la letteratura, ma anche la migliore scrittura per tutte le volte che è stato "oltraggiato"». Allgemeine Zeitung
Gennaio 2028. Natale in Russia. I bambini accorrono alla Piazza Rossa per ricevere il loro regalo dal Sovrano: un Cremlino di zucchero, un oggetto bianco, dolcissimo, solubile nel tè
È questo simbolo effimero del nuovo Stato Russo a ritrovarsi al centro di una raccolta di racconti che fa piombare il lettore in un mondo fatto di ologrammi, pellicce vivipare e robot, ma regolato da una società feudale rigida e crudele, con una netta separazione dei sudditi in maestri e servitori, opričniki e oppressi, amici e nemici del popolo.

Nel Cremlino di zucchero si ritrova il tipico mélange paradossale di arcaico e fantascientifico de La giornata di un opričnik
Scritto con la caratteristica virtuosità di Sorokin, la sua immaginazione sconfinata e la sua totale assenza di censura, va letto come un'enciclopedia dell'anima russa, un "cocktail a base di vodka, neve e sangue... con qualche cucchiaino di zucchero".
L'autore.Vladimir Sorokin (Mosca 1955) è uno dei più grandi scrittori russi contemporanei. È stato anche sceneggiatore, drammaturgo, pittore, grafico e librettista per il teatro Bolshoj. Provocatore, irriverente, deve la sua notorietà internazionale al romanzo La coda(pubblicato in Italia da Guanda). Ghiaccio, uscito in Russia nel 2002, è stato pubblicato da Einaudi nel 2005. I suoi libri sono stati tradotti in ventidue lingue. Ha ricevuto il titolo di "Chevalier des Arts e Lettres" ed è membro del club pen (Poets, Essaysts, Novelists) russo. La giornata di un opričnik, pubblicato da Atmosphere libri, ha ricevuto il Premio Von Rezzori per la migliore opera di narrativa straniera pubblicata in Italia nel 2014. Nel giugno 2016 è stato pubblicato il romanzo La tormenta da Bompiani.




VITA PRIVATA DI UNA NAZIONE
di Lee Eung-jun

Atmosphere Libri
trad. Mary Lou Emberti
16 euro
255 pp
Ottobre 2016
«... mentre tutti fantasticano su una Corea unificata, l'autore descrive una visione distopica di un'ipotetica nazione di un Regno di Corea in cui distruzione e crimine sono dilaganti. È più tetro e cupo del mondo di un film noir».  Maeil Business


Cosa succederebbe se le due Coree si riunissero?

Corea Unificata, anno 2023. 
Sessantasei anni dopo la divisione, Nord e Sud Corea sono improvvisamente riunite. 
Ma come si potrà colmare l'abisso tra l'ideologia troppo zelante del Nord e il capitalismo spiccatamente materialista del Sud
Questo romanzo dà un ritratto vivido dell’immaginario prossimo futuro. 
Parlare di riunificazione coreana dà luogo a sentimenti ambigui tra i cittadini della Corea del Sud. Superficialmente si potrebbe dire che è quello che tutti hanno sognano e desiderano ma nel profondo si trovano i timori per quello che potrebbe accadere se la riunificazione finisse effettivamente come il romanzo di Lee Eung-Jun, 
La vita privata della Nazione, immagina che diventi la Corea riunificata...

Cinque anni dopo la caduta della Corea del Nord, il paese è devastato dalla criminalità organizzata. Nel paese, popolato da una sottoclasse disperata di ex settentrionali, si lotta sotto la tirannia della polizia.


L'autore.
Lee Eung-jun è nato a Seul nel 1970, si è laureato all'Università di Hanyang in lingua e letteratura tedesca. Autore poliedrico di raccolte di racconti, come Il funerale della mia fidanzata (1999), raccolte di poesie, come Gli alberi rinnegano quel bosco (1995) e romanzi, come Il paradiso nascosto ai piedi dell'olmo (2001) e La vita privata di una nazione (2009), Lee Eung-jun dimostra un profondo interesse per la storia moderna, la letteratura e la conoscenza della società coreana, su cui intreccia trame complesse e storie di personaggi che attraverso il flusso dei propri sentimenti, regalano al lettore la possibilità di entrare in un mondo ricco di sfumature.



IL QUADERNO CANGURO
di Abe Kōbō



Atmosphere Libri
trad. G. Coci
210 pp
15 euro
Novembre 2016
«Un viaggio surreale, un’interpretazione scura al confine tra la vita e la morte, fantasiosa, diversa da qualsiasi cosa che uno abbia letto». Tim Lepczyk


Un comune impiegato si risveglia una mattina con le gambe ricoperte da germogli di ravanello giapponese, il daikon. 
In preda al panico, si rivolge a una clinica dermatologica, dove viene operato d'urgenza da una misteriosa equipe medica. Mentre è ancora sotto anestesia, decidono di trasferirlo in un limbo al confine tra i due mondi… 
Il malcapitato protagonista inizia così il suo incredibile viaggio nel sottosuolo, a bordo di un avveniristico lettino d'ospedale in grado di essere mosso dalla forza del pensiero. 
Presto giungerà sulle rive del Sanzu, il fiume dell'inferno buddhista, in un mondo popolato da personaggi enigmatici e grotteschi dove risuonano le note di inni sacri e di brani dei Pink Floyd: la sexy infermiera Libellula, il giovane americano esperto di arti marziali Hammer the Killer, il circo dei demoni bambini, i custodi delle terme della Valle Infernale e molti altri. Cercando di risolvere il mistero di cui è vittima, il protagonista lotta per la salvezza, sospeso tra la vita e la morte.


L'autore.
Abe Kōbō è stato uno scrittore giapponese (Tōkyō 1924-1993). Raggiunse la notorietà nel 1951 con il romanzo Il muro, che rivelò immediatamente il suo eccezionale talento e la sua propensione per il racconto allegorico e satirico di sapore surreale. I temi principali sviluppati da Abe nelle proprie opere sono la fondamentale irrazionalità della vita moderna, l'isolamento dell'individuo e l'impossibilità di capire e farsi capire dal prossimo. Tra le sue opere più note: i romanzi La donna di sabbia(1964), Il volto dell'altro (1964), La mappa bruciata (1967), i drammi L'uomo che divenne un bastone (1958) e Amici (1967). Dopo aver pubblicato i romanzi L'uomo scatola (1974) e L'incontro segreto (1977), Abe riprese la pubblicazione di novelle (rappresentativa della sua vena simbolico-realistica è L'arca ciliegio, 1984), e un'intensa produzione drammaturgica. Nel 1986 pubblicò Le balene corrono verso la morte, che ottenne vasta risonanza in Giappone e lo confermò come uno degli eredi spirituali di F. Kafka o S. Beckett. Dopo un lungo periodo di silenzio, lo scrittore pubblicò nel 1991 il suo ultimo romanzo, Il quaderno canguro (Kangarū nōto), che sviluppa uno dei temi a lui più cari, quello dell'uomo trasformato progressivamente in un oggetto o in un vegetale, vittima dell'ambiente che lo circonda e che gli nega ogni libertà.

Recensione: RITROVIAMOCI ALLA FINE DEL MONDO di Angelica Romanin



Una simpatica e divertente "gabbia di matti" è quella in cui mi sono infilata leggendo "Ritroviamoci alla fine del mondo", un racconto decisamente ironico e frizzante, con personaggi bislacchi, in fondo alla ricerca di un po' di equilibrio e serenità, come tutti ne vorremmo nella vita.




RITROVIAMOCI ALLA FINE DEL MONDO
di Angelica Romanin




Ed. Giraldi


Martina è una giovane donna 35enne la cui vita, in un nanosecondo, sembra sgretolarsi sotto i suoi occhi impotenti e sgomenti: il suo storico ragazzo, Paolo, l'ha mollata (dopo averla cornificata) e non solo, l'ha licenziata, essendo il suo capo.

Single e disoccupata: non è proprio un quadro consolante per la nostra protagonista, che però non si dà per vinta.

Anzitutto, tanto per precisare, è stata tradita ok, ma pure lei non è stata con le mani in mano, visto che già da un po' di tempo se la spassa col giardiniere della mamma, Francesco, un giovanottone tanto sexy e "superdotato" quanto ignorante e privo di collegamenti neuronali.

E poi, va bene, avrà perso momentaneamente il lavoro, ma con la buona volontà se ne trova un altro, soprattutto se a vegliare sulla sua vita attualmente allo sbaraglio c'è la sorellina minore, Sara.
Sara è un generale, in casa e fuori casa, una piccola dittatrice capricciosa che pretende che le cose vadano come vuole lei; e infatti, quando si premura di trovare piccole occupazioni alla sorella maggiore - per evitare che la stessa si stravacchi sul divano a suon di dolciumi anti-depressivi, bivaccando alle spese del resto della famiglia -, si aspetta che Martina obbedisca ai suoi ordini e provi il nuovo impiego senza fare obiezioni.

A complicare la vita di Martina ci pensano le altre persone che le gravitano intorno: sua madre, una donna con la testa decisamente tra le nuvole, che non ascolta mai ciò che le viene detto col risultato che fraintende tutto e risponde a ruota libera, lasciando esterrefatti i poveri interlocutori.
C'è la nonnina diabetica che ha giusto qualche chilo in più e che ama preparare dolce di ogni tipo, aspettandosi giustamente che chiunque le capiti a tiro divori le sue leccornie fino all'ultima briciola.  

Per non parlare del fatto che la già citata sorellina Sara ha problemi in amore: ha un fidanzato che l'adora, anche se purtroppo non sempre sa dimostrarlo, ma lei non pare molto soddisfatta, così i due non fanno che prendersi e lasciarsi alla velocità della luce.

Pensate che fuori casa per Martina la compagnia sia più "normale"? 
Beh, non conoscete Ginevra, l'amica del cuore di Martina, fissata per la dieta e completamente al servizio del "quasi fidanzato" Andrea, che la tratta come uno zerbino, mandandola in depressione.

Ma i personaggi strani non sono finiti, e così leggendo conosciamo anche vari uomini, dal pretendente con l'aria da stalker all'amico timido con le donne, dal dongiovanni sexy di turno al ragazzo dolce e apparentemente troppo perfetto...

Insomma, in queste pagine troverete momenti davvero goderecci, sit-com che vi faranno sorridere tanto, sia perchè i personaggi, a cominciare dalla comicissima protagonista (che ha una vera e propria fobia di restare single, unita alla mania del sesso, preferibilmente con un superdotato), sono dei pasticcioni, alcuni rompiscatole e piantagrane, altri teneri o buzzurri, sia per le vicende che gli stessi si ritrovano a vivere, che sembrano davvero usciti da una commedia romantica, di quelle che adoriamo guardare in tv nel periodo natalizio, al calduccio sotto il plaid.

Riuscirà Martina a trovare un proprio equilibrio, sia nel lavoro che in amore?
Ginevra e Sara faranno pace con i loro fidanzati, eterni bambinoni?

E se credete che a dare brio a questa gabbia di matti contribuiscano solo i matti stessi, è perchè non avete idea di come anche la natura si sia coalizzata per fare brutti scherzi; se poi ci aggiungete che stiamo per entrare nel tanto atteso 2012, l'anno designato dai Maya per la fine del mondo..., e beh allora capite che nulla in questo racconto può essere definito normale o tranquillo..!

"Ritroviamoci alla fine del mondo" è scritto con un tono decisamente umoristico, regala sorrisi e momenti di puro divertimento, ma non per questo è privo di messaggi importanti: ciascuno di noi ha delle profonde insicurezze, spesso acuite da periodi difficili, che ci rendono particolarmente vulnerabili; deprimersi, chiudersi in casa.. sarebbero le reazioni più facili e immediate, ma proprio quando il nostro mondo si tinge di nero dobbiamo tirar fuori tutto l'ottimismo di cui siamo capaci e reagire alla tristezza, guardandoci attorno e apprezzando ciò che abbiamo, piuttosto che soffermarci su ciò che ci manca.

"La vita dopotutto non deve per forza essere perfetta per renderci felici, si può godere di quello che il destino ci offre giorno per giorno pensando che l'universo, meglio di noi, sa cosa ci serve per progredire spiritualmente. Forse non avere una relazione ci serve per acquisire maggior sicurezza in noi stessi e nelle nostre capacità, forse cambiare continuamente lavoro serve per non attaccarsi all'idea che la vita per essere serena debba garantire per forza stabilità e sicurezza, forse vivere adesso nelle ristrettezze ti permetterà un domani di apprezzare quello che verrà di meglio... Forse, più semplicemente, dobbiamo limitarci a vivere e godere di ogni minuto e smetterla di pensare troppo."


E' proprio così, e se siamo convinti di aver toccato il fondo, beh allora più di come e dove stiamo non possiamo andare, si può soltanto risalire la china, ma bisogna volerlo.

Vi consiglio questo racconto, lo si legge davvero in poco tempo non solo e non tanto per il numero di pagine quanto per il ritmo trascinante, lo spirito allegro e ottimistico che lo attraversa e la simpatica follia che appartiene a Martina e al suo mondo.

giovedì 17 novembre 2016

Frammenti di... LA SCUOLA CATTOLICA (Albinati)



Un passaggio tratto da LA SCUOLA CATTOLICA di Albinati, che mi ha fatto riflettere su quanto, come dice l'Autore, sia davvero compicato essere se stessi al 100% davanti agli altri perchè, di questi altri, il parere ci interessa e ci influenza, anche quando vorremmo sentirci totalmente liberi di esprimere il nostro modo di essere.
Quanto ci condiziona il giudizio di chi ci è attorno e la loro approvazione o disapprovazione..!


"Sviluppiamo gli aspetti di noi che pensiamo agli altri piacciano di più. Prima a nostra madre, poi ai compagni di giochi, infine a tutti quelli su cui vogliamo fare colpo, coetanei, adulti, professori, ragazze, presentiamo la parte di noi, e soltanto quella, che immaginiamo abbia più probabilità di essere approvata e accettata. Il resto rimane nell’ombra e solo qualcuno molto attento (in genere, gli amici, e più ancora degli amici, i nemici) arriva a intravederlo. Il volto che offriamo sperando sia bene accetto e su cui puntiamo le nostre carte viene detto “falso sé”, non perché sia falso, non lo è affatto, non si tratta mica di una simulazione o di una maschera, appartiene a noi, è autentico, è davvero il nostro volto o almeno un’espressione che ci è naturale assumere; siamo noi che lo falsifichiamo presentandolo come fosse tutto di noi, mentre è solo una parte, e nemmeno la più significativa. Il falso sé può sentirsi vivo solo se attivato da una difficoltà da affrontare. Ha un bisogno continuo di sollecitazioni esterne, di esami da superare. Se non agisce, è come se non esistesse.".

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