domenica 11 novembre 2018

Recensione: LA VITA DAVANTI A SE' di Romain Gary



"La vita davanti a sè" è la storia del giovanissimo Mohamed, chiamato da tutti Momò, un figlio di nessuno di origine araba, cresciuto nella banlieu di Belleville: orfano di madre, del padre non sa nulla, a tirarlo su è l'ex-prostituta Madame Rosa.
A dare voce a questo racconto di vita che sa commuovere e far sorridere è il bravissimo Marco D'Amore.



LA VITA DAVANTI A SE'
di Romain Gary


Ed. Neri POzza
trad. G. Bogliolo
241 pp
11.50 euro
2009
Momò ha dieci anni e vive al sesto piano di un condominio della periferia francese, accudito dalla polacca Madame Rosa che, quand'era giovane e piacente, "faceva la vita".
A vederla adesso, racchia, grassa, con pochi capelli, la faccia sporca di un patetico trucco che non l'abbellisce affatto ma che anzi la rassomiglia ad un pagliaccio, nessuno penserebbe che c'è stato un tempo in cui è stata bella e desiderata.
Eppure... c'è stato.
Certo, è passato tanto tempo..., e comunque si parla di prima che venisse presa dai tedeschi e portata in un campo di concentramento ad Auschwitz in quanto ebrea; la donna è sopravvissuta ma, da quell'inferno, una parte di lei non è mai uscita e il piccolo Momò infatti ci racconta di come le sue notti siano ossessionate da incubi, dal terrore che qualcuno venga di nuovo a prenderla e portarla chissà dove.

Madame Rosa è la sola figura materna con cui il bambino - tecnicamente musulmano di nascita ma più versato nella conoscenza di usi e costumi ebraici - cresce, visto che sua madre l'ha lasciato lì perchè anch'ella faceva la vita, suo padre non si sia chi sia ma una cosa è certa: qualcuno paga ogni mese la retta di Momò, altrimenti Madame Rosa non avrebbe ragione di tenerlo con sè, no?

In questo misero e caotico sesto piano, quindi, vivono questa grassa e brutta ex-meretrice e i suoi piccoli "protetti", tutti figli di sue ex-colleghe che, essendo appunto prostitute, hanno perso la patria potestà sui figli, e si son viste costrette a darli a Madame Rosa affinchè avessero un tetto sulla testa e qualcosa da mettere nello stomaco.
A volte qualcuno dei piccoli ospiti viene adottato, la maggior parte riceve le visite da parte delle madri, ma non è il caso di Momò, che non vede mai nessuno della propria famiglia e che ha deciso allora di voler restare lì con la sua Madame Rosa, e infatti farà di tutto perchè le cose restino immutate.

Momò è il simpaticissimo narratore di se stesso, del proprio passato speciale e singolare ma che non è per lui fonte di preoccupazione alcuna; il ragazzino vive giorno per giorno, ha tutta la vita davanti a sè e ciò che conta è l'oggi, le persone che incontra, che frequentano la casa, le marachelle di cui è autore...
Se potesse, farebbe semplicemente in modo di restare l'eterno ragazzino di Madame Rosa, cui ogni tanto fa qualche dispetto, cui non risparmia giudizi irriverenti e molto sarcastici, ma alla quale vuole un gran bene, anche perchè alla fin fine è ciò che di più simile ad una mamma egli abbia mai avuto.

Certo, a dargli qualche preoccupazione è il dato di fatto che la vecchia ha i suoi anni, la sua mole non indifferente le dà un minaccioso fiatone quando deve farsi tutti e sei i piani, ha i suoi acciacchi ed ha una fifa matta di ammalarsi di tumore (è una vera e propria ossessione); per non parlare del fatto che il dubbio che non ci stia tanto con la testa tormenta il giovane arabo, che è terrorizzato all'idea che la sua Madame Rosa possa morire e lasciarlo solo, col rischio che lui poi sia messo in quei luoghi terribili e deprimenti che qualcuno chiama brefotrofio.

Certo, può essere pure che un giorno qualcuno venga a rivendicarlo.... ma Momò è troppo disilluso e sorprendentemente pragmatico per crederci davvero, anche se la vita sa organizzare per benino certe sorprese che faranno tremare di paura il povero Momò, il quale però saprà come affrontarle con il piglio semiserio e coraggioso che gli è proprio, facendo le proprie scelte e ritrovandosi così "più grande" da un momento all'altro.

Il racconto delle giornate al sesto piano, i capricci e i piccoli dispetti degli ospiti, gli inquilini dello stabile (per lo più africani), l'allegra e buona Madame Lola (anch'ella prostituta, ma trans), il saggio signor Hamil con le sue proverbiali espressioni, tanto amate ed usate dallo stesso Momò (ad es. "come ho avuto l'onore di dirvi",  "date retta alla mia vecchia esperienza"), l'attento e comprensivo dottor Katz....: ogni episodio e ogni personaggio ci vengono raccontati con un "tono" da ragazzino che si atteggia ad adulto e che è convinto di sapere tutto ormai, di aver imparato tanto sulla vita, sull'essere umano..., e questa sua sicumera è simpatica e buffa, perchè davvero lui pensa di avere chissà quanti anni sulle proprie piccole e minute spalle; un modo di parlare, quindi, che fa sorridere di tenerezza il lettore, consapevole di trovarsi sì di fronte ad un ragazzetto, ma al contempo di come questi abbia un occhio realmente più "vissuto" e più maturo di quanto ci aspetti alla sua età, perchè è la vita stessa ad averlo fatto crescere in fretta.

"Non ero mai stato bambino, avevo sempre altri pensieri per la testa".

Le parole di Momò ci giungono in tutta la sua schiettezza e franchezza assolutamente priva di filtri: parla in maniera sboccata, se deve dire una parola volgare e assumere un linguaggio colorito per farci capire esattamente ciò che vuol comunicare, lo fa senza imbarazzo; i suoi giudizi sugli adulti attorno a sè - Madame Rosa in primis - sono spesso impietosi, cinici, crudi, perchè egli non ha peli sulla lingua, non è un bambino che ha respirato dolcezza, gentilezza, che ha avuto una vera e propria educazione così da sviluppare le "buone maniere"; no, Momò è per il "pane al pane, vino al vino", ma anche se può sembrarci maleducato e a volte ingrato verso la sua benefattrice, quest'impressione è solo frutto della sua visione di tutto - del mondo come della vita e delle persone attorno a sè - fin troppo realistica e disincantata; i suoi giudizi non sono mai di tipo morale, per lo meno non verso quella fetta d'umanità - disprezzata - cui è avvezzo da sempre, come coloro che che "fanno la vita", "attività" per la quale lui non crede proprio di essere portato.

Traspare ad ogni pagina la fame d'amore di Momò, come quando ci racconta che c'è stato un periodo dell'infanzia in cui ha sognato ogni notte che una leonessa entrasse in stanza, si avvicinasse al suo letto e iniziasse a leccarlo sulla faccia; e cosa rappresenta questo animale - spiega il dottor Katz ad una spaventata Madame Rosa - se non il bisogno di protezione, come fa appunto la leonessa con i suoi piccoli?

C'è molta ironia tra queste pagine, i racconti di Momò hanno la capacità di toccare profondamente il lettore, di farlo ridere di certe situazioni assurde descritte in modo esilarante, di intenerirlo ed emozionarlo perchè se c'è una cosa che emerge nell'esistenza giovanissima di questo indimenticabile protagonista e narratore fenomenale è l'assoluto e imprescindibile bisogno di sentirsi amato, protetto, al sicuro, perchè "non si può vivere senza amore", e anche un orfanello come Momò lo ha capito, e ha compreso che pure una donna vecchia e brutta come Madame Rosa ha il diritto di ricevere amore, fino alla fine dei suoi giorni, e di poter godere di qualche istante di felicità, visto che di sofferenze ne ha già vissute troppe.

"Anche quando uno è molto vecchio, la felicità può sempre servire".

E' un romanzo che travolge il lettore con la sua carica di energia, perchè spigliato, vivace ed esuberante è il protagonista, grazie al quale conosciamo una galleria di personaggi particolari, bizzarri, e con cui condividiamo inevitabilmente tutta la gamma di emozioni, dalla malinconia all'ilarità, dalla tristezza alla speranza. Quest'ultima, poi, non deve mancare mai.

"La speranza è una cosa che è sempre la più forte".

Marco D'Amore è di un'espressività straordinaria, immaginavo ogni scena come se fossi lì con Momò, al sesto piano; l'attore sa come enfatizzare certi passaggi, come trasmetterci il carattere del suo "alter ego", la sua passionalità e la sua innocenza, il suo "realismo ingenuo", ciò che lo fa arrabbiare e ciò che lo fa felice.
Consigliato, è un bel libro davvero e merita di essere conosciuto.


"La vita era l'unica cosa che le restava. La gente tiene alla vita più che a tutto il resto. È anche buffo se si pensa a tutte le cose belle che ci sono al mondo".
"Io penso che per vivere bisogna mettercisi molto presto, perché dopo si perdono tutte le forze, e regali non te ne fa nessuno".


Curiosità.
Romain Gary è uno dei diversi pseudonimi usati dallo scrittore lituano Romain Kacev, che in virtù di questo suo "vezzo" è finora l'unico autore ad aver vinto due volte il premio letterario Goncourt, prima con il suo pseudonimo usuale, per Le radici del cielo nel 1956, e la seconda volta con lo pseudonimo di Émile Ajar, per La vita davanti a sé nel 1975.
È morto suicida nel 1980.

4 commenti:

  1. Ciao Angela! :) La tua recensione così sentita mi ha coinvolta e mi ha fatto venire voglia di leggere questa storia. La metterò nella lista delle prossime letture... Alla prossima! :)

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    1. Ciao erielle!
      Spero possa piacere e conquistarti come ha fatto con me!!

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  2. Comprato su una bancarella a Torino lo scorso anno. Devo assolutamente rispolverarlo!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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