giovedì 14 marzo 2019

Recensione: LE PAROLE DI SARA di Maurizio De Giovanni



La donna invisibile, dai capelli grigi e dall'aspetto insignificante, è tornata, impegnata in un nuovo caso che vede coinvolta una sua vecchia conoscenza e che la mette di fronte alla scelta se seguire il cuore o la ragione.


LE PAROLE DI SARA
di Maurizio De Giovanni



Ed. Rizzoli
LINK LIBRO
368 pp
19 euro
Dal 12 marzo
“Sara era un animale pericoloso. Di quelli che sembrano innocui e per questo sono molto più feroci e letali delle belve che ruggiscono. Era una donna di molti silenzi, ma adesso aveva scoperto di custodire parole nascoste che dicevano tanto di lei, anche senza essere pronunciate, proprio come quelle che era abituata a leggere negli altri.” 

Sara Morozzi e Teresa Pandolfi sono due ex-colleghe; hanno fatto parte entrambe, per anni, di un'unità segreta impegnata in intercettazioni non autorizzate.

Sara ha un “dono” particolare, che l’ha sempre resa unica e necessaria nel suo lavoro e per la sua squadra: lei è la donna che sa sa rubare i segreti delle persone, leggendo le loro labbra, anche quando si tratta di semplici mormorii, di frasi appena sussurrate, anche quando il limite per la decodifica delle parole è un filmato di pessima qualità con immagini sgranate e poco nitide; non solo, ma Sara è esperta anche nell’interpretazione del linguaggio non verbale. A lei non sfugge nulla, non c’è sopracciglio inarcato o un gesto apparentemente insignificante o uno sguardo attraversato anche soltanto per un secondo da un’emozione forte, che passi inosservato. È nata per leggere i dettagli, Sara; ti legge dentro: la tua faccia, il tuo corpo e i segnali che mandi attraverso essi, fanno di te un libro aperto per lei. Una donna così non può che far carriera in polizia, no?

Eppure Sara è attualmente in pensione ed è convinta di essere fuori dai giochi; da quegli sporchi giochi che l’hanno sommersa per trent’anni di fango e melma, di tutto il marcio che può nascondere l’esistenza di un essere umano, con i suoi segreti, le sue viltà, i suoi amori, i tradimenti, le preoccupazioni di tutti i giorni o i guai grossi in cui è capace di infilarsi. Cose private di cui lei (insieme ai suoi colleghi) veniva a conoscenza tramite le intercettazioni e che la trascinavano inevitabilmente nelle brutture, nelle menzogne e nelle malefatte di cui tanta gente si macchia ogni giorno e che lei aveva il compito di smascherare.

Sara non fa più parte di tutto questo. Dopo aver perso l’amore della sua vita, Massimiliano, morto recentemente a causa di un male incurabile e dopo atroci sofferenze, la donna si sente demotivata, svuotata, inaridita e priva di voglia di vivere.

E il suo aspetto lo dimostra, del resto. Capelli grigi, abbigliamento poco curato e dimesso, a volte ai limiti della sciatteria, volto sempre struccato: Sara continua a nascondersi dietro il proprio intenzionale anonimato, dietro quell’invisibilità che l’ha sempre seguita come un’ombra (o una maledizione?) e che racchiude la sua volontà di non voler indossare alcuna maschera, alcuna finzione.
E poi, per chi deve farsi bella?
Il suo grande amore è morto e le manca così tanto che vivere è diventato un peso ormai; il fantasma di quest’amore distrutto dalla malattia la perseguita giorno e notte.
E accanto ad esso ce n’è un altro: quello di Giorgio, suo figlio, morto qualche mese prima in seguito a quello che sembrava un normale incidente…

Giorgio: il figlio abbandonato e che non l’ha mai perdonata per non esserci stata. Sì, perché Sara si è innamorata di Massi pur essendo sposata e mamma del piccolo Giorgio; e lei, che tutto è fuorché un’ipocrita, ha lasciato marito e figlio per vivere il proprio legame con Massi, e non se n’è mai pentita, nonostante le sue scelte le abbiano fatto guadagnare l’etichetta di “madre snaturata”.

Eppure, nonostante il dolore per la perdita degli unici uomini che lei abbia mai amato, la vita le sta offrendo una seconda possibilità attraverso Viola, l’ultima compagna del figlio, che ha partorito da pochi mesi il bimbo di Giorgio. Il nipote di Sara Morozzi.

Sara è abituata a rubare le parole altrui e non a manifestare le proprie…,; è riservata, silenziosa, sfuggente, mostra il lato più duro e metallico di sé, eppure quel nipotino (la “nuora” l’ha chiamato Massimiliano, come il compagno di Sara) le infonde tenerezza, speranza… e motivazione.
La motivazione a contribuire affinchè il mondo sia un po’ più “pulito”, libero da certa gentaccia che lo imbratta con la propria disonestà.
È per questo che, nonostante le perplessità, accetta una “missione” affidatale dalla vecchia collega ed amica Teresa?
Perché proprio lei, Sara, che sta cercando di uscire dalla propria solitudine e da un doloroso letargo emotivo?

Le due donne sono sempre state l’una l’opposto dell’altra ma si sono sempre capite al volo perché le proprie capacità erano (e sono) complementari.
“Che strana magia, che potere occulto il tempo e il lavoro avevano conferito alle due donne: quello di sentire, di interpretare i segni, di distinguere le parole in un ronzio sommesso che il resto della gente non avrebbe nemmeno riconosciuto come una conversazione.”

Ma per il resto, più diverse non potrebbero essere, a cominciare dall’aspetto fisco per finire con la personalità.

Là dove Sara Morozzi è bruna (o meglio, era, da giovane, ora è ingrigita) e veniva soprannominata Mora, l’altra è bionda (ed è infatti chiamata Bionda); se la prima è poco curata nel vestire, si imbruttisce di proposito, è un tipo di cui non ci accorge in mezzo alla gente, l’altra è invece sempre vestita di tutto punto, curatissima nell’aspetto esteriore, piacente; Sara fa vita da reclusa, Teresa cambia uomini (e tutti molto giovani) quasi ogni notte: inquieta, terribilmente sola, inacidita e indurita da un lavoro (è lei adesso il capo dell’unità segreta, al posto di Massimiliano) che toglie spazio alla vita intima, alla voglia di farsi una famiglia, di costruire legami duraturi, crede di trovare nel sesso occasionale una valvola di sfogo per sentirsi viva.

Ma, superati i 50, evidentemente il suo sesto senso s’è un po’ appannato perché anche lei, come già la Mora anni prima, sta facendo i conti con quel sentimento travolgente e spiazzante che si chiama Amore.
E Cupido le ha fatto commettere un errore: si è fatta ammaliare dagli occhi e della bellezza di Sergio, un giovane e fascinoso ricercatore, che lei ha introdotto come stagista nell’unità di cui è a capo.
Ma dopo una notte di fuoco, l’indomani il ragazzo sparisce senza lasciare traccia, e a lei non resta che chiedere aiuto all'amica di un tempo.

Così Sara, la donna invisibile, torna sul campo, ma non è sola: insieme a lei ci sono il goffo ma buono e disponibile ispettore Davide Pardo (col suo fedele, grosso e incontenibile cane Boris) e Viola, la “nuora” alla quale non sfugge nulla quando ha in mano la sua macchina fotografica.

Sara indaga, fa domande, osserva ogni particolare, legge silenzi, sguardi, gesti…, e pian piano capisce che dietro la scomparsa di Sergio si nascondono intrallazzi e interessi di uomini potenti, che se venissero fuori rischierebbero di destabilizzare i più alti livelli degli apparati di pubblica sicurezza.
Ma più i “panni sono sporchi” e più Sara sa cosa deve fare.

“Sara era brava, la più brava. Sembrava una donnetta sciatta e insignificante, invece era la donna invisibile; ed era affilata come una lama, perché non aveva scrupoli. E neanche legami, o troppa voglia di vivere. Soprattutto, non aveva bisogno di alibi, perché non le serviva alcun movente. Una giustiziera perfetta, insomma.”

Insieme alla protagonista e ai suoi fidi collaboratori, scopriamo cosa è successo a Sergio, chi è coinvolto e qual è la posta in gioco per difendere la quale gente senza scrupoli è pronta a commettere atti criminali.

È la prima volta che leggo questo Autore e devo dire che mi è piaciuto molto: lo stile è davvero molto fluido e scorrevole, c’è un’analisi dei personaggi principali profonda, puntale, intima; simpatici i bisticci tra Pardo e Viola (qui gatta ci cova…), che danno attimi di leggerezza a una storia nera, in cui, insieme a Sara, il lettore deve fare i conti con la parte oscura e sporca che c’è nell’Uomo.

Mi è piaciuta la protagonista perché tra queste pagine cambia, evolve in alcuni aspetti della personalità, pur restando sempre la donna “che da lontano riusciva a leggere sussurri, a distinguere passioni celate da un semplice gesto e sentimenti racchiusi in un’espressione sfuggente”.

Ma la vicinanza di affetti nuovi e veri aprono uno spiraglio di luce, vita e speranza nella sua esistenza spenta e tormentata dal passato.
Sara allora non è soltanto colei che deve carpire le parole altrui, che deve continuare a nascondersi dietro terribili silenzi: anch'ella ha delle parole da pronunciare e se c’è qualcuno che sa intuirle e “leggerle”, ciò significa che queste parole esistono e lei è ancora in tempo per dirle.
Un noir con una protagonista femminile che non è una super donna, anzi: ha le sue sconfitte personali da accettare, hai i suoi gravi errori con cui fare i conti, la sua solitudine,  rimorsi e rimpianti pronto a tormentarla, ma che nonostante questo non ha ancora ammainato la bandiera.

Bello, lo consiglio e al più presto colmerò la lacuna di “Sara al tramonto” (precedente romanzo).
Ringrazio l'Ufficio Stampa della Rizzoli per la copia in pdf.

5 commenti:

  1. Autore che non posso più rimandare a domani, no!

    Buona giornata. :)

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    Risposte
    1. Vero, sono quegli autori che, soprattutto se ami il genere, non puoi perderti ;)
      Buona giornata a te

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  2. Io conosco benissimo Maurizio De Giovanni, essendo uno dei miei giallastri italiani preferiti.
    Ho letto sia il ciclo completo dei "Bastardi di Pizzofalcone" che quello del "Commissario Ricciardi". Se questo romanzo ti è piaciuto penso che ti possa piacere anche il resto. Ahahahh ti travio pure su De Giovanni!
    Non

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    Risposte
    1. Ah ah fossero tutti così i traviamenti :-D
      Io amo il noir e sono sempre alla ricerca di autori e libri belli!
      Pizzofalcone lo conosco per la serie tv, l'altro commissario non lo conosco invece.
      Vedremo cosa inizierò prima ;-)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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