mercoledì 13 ottobre 2021

Recensione: IO SONO LA BESTIA di Andrea Donaera



Una storia nera, cruda, dove a muovere ogni azione, parola, silenzio, emozione, è il dolore, quello più profondo, sordo, cupo, che parte da dentro, dalle viscere, e le infetta, le contamina, le riempie di veleno, fino a che questo fiele amaro non può che uscire fuori... e continuare a infettare, sporcare, far del male, come solo quella maledetta bestia, che è rannicchiata dentro di noi e che non muore mai davvero, sa fare.


IO SONO LA BESTIA
di Andrea Donaera


NN Edizioni
226 pp
Nessun genitore dovrebbe mai sopravvivere a un figlio; è ingiusto che una madre e un padre debbano sotterrare il proprio ragazzo di soli quindici anni e convivere col dolore della perdita e della tragedia fino all'ultimo giorno della loro vita, come un ergastolo al quale non ci si può sottrarre e che provoca un ferita che continuerà a suppurare nei giorni, nelle settimane, negli anni a venire.

Dal giorno della morte di Michele Trevi è passato ancora troppo poco perchè l'angoscia e il lutto che hanno investito la famiglia possano affievolirsi.

Ma se a riempire il cuore della mamma e della sorella (Arianna) sono principalmente il dolore e lo sgomento per questo figlio/fratello che - inspiegabilmente? - si è suicidato buttandosi dal settimo piano della loro casa, a tormentare il padre, Mimì, è principalmente la rabbia.

Domenico Trevi - conosciuto in paese come Mimì - si sta macerando nel dolore folle per questo figlio che s'è tolto la vita.
E perché se l'è tolta? A chi questo padre può attribuire una tale colpa così da potersi vendicare e sfogare la propria rabbia feroce?

Siamo in Puglia, in un paesino del Salento dominato dalla Sacra Corona Unita, di cui Mimì è un esponente di rilievo. Un boss, temutissimo perché crudele e spietato con i nemici (veri o presunti che siano).

E quando manda i propri scagnozzi per cercare di capire cosa o chi, nella cerchia di amicizie del povero Michele, possa aver causato un tale malessere in  lui da spingerlo al suicidio, alle orecchie dell'uomo giunge un nome: Nicole.

Pare che Michele suo si fosse preso una cotta per questa ragazzina, che le avesse regalato delle poesie d'amore - presumibilmente per dichiararsi - e che lei, Nicole, gli abbia riso in faccia, respingendolo.
E poi non è forse vero che le ultime parole del ragazzo, vergate su un foglio, siano state per lei, per la bella Nicole?

E allora trovatela, 'sta ragazzetta che ha osato schernire questo povero figlio che giace sotto terra mentre lei se ne va in giro impunita e felice!

"Da quando sei morto, veramente, qua è tutto un macello. Io mi sento una bestia in un macello."

Mimì vuole vendetta, così fa rapire la ragazzina e la rinchiude in un casale sperduto nella campagna salentina. 
In questa casa il boss è solito rinchiudere coloro che gli hanno fatto un torto e devono pagare l'affronto.

Che ne sarà di Nicole? Mimì ha intenzione di ucciderla?

Intanto, ella viene condotta in questo postaccio squallido e spoglio, in cui però non è sola: a sorvegliarla c'è il guardiano della casa, Veli (in realtà si chiama Emanuele), un ragazzo che è lì da più di novanta giorni e che, in questi mesi, ha visto portare dentro e poi sparire un sacco di gente...

Quando gli portano la piccola rapita, Veli è come stordito, confuso: che avrà fatto mai di male per meritare questa punizione da parte di Mimì? Che torto o danno gli ha procurato?

Nicole, a sua volta, è spaventata, non capisce cosa stia succedendo: davvero il boss la odia e l'ha fatta rapire, l'ha segregata perché, secondo lui, il figlio si è ammazzato per colpa del suo rifiuto? Ma siamo pazzi?? Sono cose che succedono solo nei film... O no?

Veli osserva in silenzio la compagna di prigionia: bella, innocente eppure, al contempo, forte e arrabbiata; pretende attenzioni, Nicole, fa domande e vuol sapere: chi è Veli e perché è lì? Cosa le farà Mimì? Veramente vuole ammazzarla?

Veli non sa che fare: ha già i suoi guai a cui pensare.
Questa ragazzetta viziata e chiacchierona è arrivata a dargli noia, a tormentarlo con le sue ciarle, a donargli una compagnia non richiesta e, in fondo, molesta.

Veli, chiuso in una cella fatta di luridi mattoni, costretto a mangiare ogni giorno würstel e mele, a fare i conti con frequenti dolori allo stomaco che gli sembra di avere le fiamme dentro, a dormire su un materasso pulcioso e lercio, è l'ombra di se stesso.
Eppure non ha dimenticato chi è e cosa ha vissuto prima di diventare una vittima di Domenico Trevi.
I ricordi affiorano in ogni momento (del resto, solo in quella "cella" 24 ore su 24, cos'altro può fare se non pensare, ricordare...?) e fanno un male cane, forse peggio del mal di stomaco.
È stato felice, un tempo. E innamorato. Pieno di speranze e progetti per il futuro, convinto che l'amore gli sarebbe bastato.
L'amore per e di Arianna.
Arianna Trevi. La sorella di Michele. La figlia di Mimì.

Che sciagura innamorarsi - ricambiato! - proprio della figlia del boss! Ma che potevano farci? Quando l'amore arriva e prende posto nel cuore, mica chiede il permesso: si insinua e punto, non ti resta che viverlo e farti travolgere. 
Nonostante gli ostacoli, le minacce.
Nonostante la natura dica no, non si può. Non si potrebbe ma si fa, dicevano Arianna e Veli, forti del loro sentimento puro.
Dicevano loro. Ma Mimì ha deciso altro, e così Arianna s'è ritrovata senza Veli e senza Michele.
Sola. in una casa che è sua ma che le è estranea, perché ormai non c'è più nessuno ad amarla, a tenerla in considerazione.

Suo padre non la vede; è la figlia sopravvissuta. Quella superflua. Il figlio importante non c'è più; morto lui, morti tutti.

"Che ormai c’è un vuoto, in quelle loro vite: non si riempie, quel vuoto, perché è il vuoto delle cose morte. E le cose morte non tornano. Restano morte. Vorrebbe urlare a suo padre che non solo Michele è morto: sono morti tutti, in quella casa. Sono morti e non torneranno. Sono morti, tutti. E non torneranno."

E la mamma? Peggio. La odia, sta figlia snaturata, sciagurata, portatrice di disgrazie e di peccato.
Che ci fai in quella casa, Nicole? Chiusa nella tua stanza, a che pensi? Ricordi le conversazioni con tuo fratello, le sue domande filosofiche e i suoi discorsi per enigmi.
E quella domanda incomprensibile: se avevi capito chi fosse la bestia.
E adesso che tutto è perduto, bruciato nell'incendio che ha fatto seguito alla morte di Michele, non serve neanche più chiederselo.

Ma Veli, come un animale in gabbia, lo sa chi è la bestia.
Ed è colpa sua se adesso lui è costretto a dividere la prigione e la solitudine con questa ragazzina che chiede, chiede, vuole rassicurazioni, che mostra i denti ma poi gli occhi lo supplicano: portami fuori di qui, aiutami a scappare.
Veli è tormentato: rivede in Nicole la sua ormai perduta Arianna, la sua freschezza, allegria, purezza, e vorrebbe poter promettere alla giovanissima prigioniera che non le succederà nulla di brutto.

"E vorrei pure dirti di non avere paura. Vorrei dirti che andrà tutto bene, che tutta questa cosa sarà solamente un ricordo di quelli brutti. Che tornerai a scuola e durante le assemblee di classe tutti ti chiederanno di raccontare quella storia di quando sei stata prigioniera della Sacra. Che un giorno, da qualche parte, in qualche tempo, saremo ubriachi e canteremo di nuovo i Nirvana. Che crescerai, e tanti uomini ti diranno che sei bellissima. Vorrei dirti che andrà così. Promettertelo."

Si può scappare dalle grinfie della Bestia?
Forse l'unica soluzione è lasciarsi infettare da essa, accogliere la bestia che dorme dentro di sé (dentro ognuno di noi) e lasciarla uscire fuori, feroce, arrabbiata, vendicativa.

Attraverso una narrazione corale, polifonica, l'Autore ci racconta una storia tragica, dura, intrisa di violenza - primitiva, brutale, bestiale, sanguinosa, che non guarda in faccia nessuno -, di amore - quello innocente e spensierato della gioventù, quello disperato di una madre privata dei figli, quello silenzioso di un quindicenne che riversa su fogli immacolati parole e pensieri e angosce, che lo divorano da dentro, come solo una bestia dai denti affilati sa fare (e lui lo sa chi è la bestia), o ancora quello non sano di un padre criminale -, di sentimenti di vendetta.

La scrittura di Donaera è tagliente, feroce, intensa e realistica nel linguaggio (elaborato nonostante la presenza del dialetto, del parlato), sa trascinare il lettore in un paesino in cui vige la soffocante tirannia dei mafiosi locali, che tiranneggiano e dominano impuniti; gli fa provare tutto il dolore - ferino, ancestrale - dei vari attori di questa oscura tragedia pugliese (alla quale ogni voce narrante dà la propria personale sfumatura), il disprezzo davanti alla spirale di soprusi e violenze; lo porta nella prigione con il povero Veli, ne sentiamo la rabbia impotente (scoppierà prima o poi?), la volontà e gli impulsi repressi nel silenzio della solitudine.

Viene automatico capire chi sia la bestia, ma in verità una domanda ci accompagna durante la lettura: c'è una bestia che riposa in ciascuno dei personaggi, anche in quelli apparentemente più innocenti?

Assolutamente consigliato; trovo sia un romanzo davvero bello, scritto benissimo, capace di rimestare nel lettore un turbine di emozioni, di fargliele sentire attaccate addosso anche dopo aver voltato l'ultima pagina.

Nessun commento:

Posta un commento

Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...