martedì 8 giugno 2021

Recensione: "Gesù Cristo nella storia d'Israele e nella storia dell'uomo moderno" di Francesco Sidoti



 "Gesù Cristo nella storia d'Israele e nella storia dell'uomo moderno" di Francesco Sidoti è un saggio storico-religioso che ricostruisce con un linguaggio accurato, chiaro ed accessibile a tutti la rivoluzione pacifica di cui Gesù Cristo è stato portatore con il suo messaggio di Pace e Amore.


Casa Editrice Kimerik
130 pp
L'autore parte dal periodo storico in cui Gesù è vissuto, dal suo essere inserito nella società ebraica del suo tempo; una società in cui l'aspetto religioso (e rituale) era predominante su tutti gli altri aspetti della vita del singolo come della comunità, e dove a regolare ogni campo del vivere quotidiano era la casta sacerdotale, che si occupava quindi non solo della religione (sfera spirituale) ma anche di fatti di natura sociale, civile, amministrativa, politica (sfera temporale).
L'autore ripercorre il rapporto contrastante tra il Maestro, figlio di un falegname, e i religiosi, conoscitori della legge, che lo presero da subito in odio perché Egli portava un messaggio rivoluzionario che rompeva con le tradizioni farisaiche, le quali guardavano più alla forma che alla sostanza, più all'apparire che al cuore.

Gesù è stato rifiutato come Messia dagli ebrei, che si aspettavano un Liberatore vittorioso, che li sottraesse dal giogo romano e grande fu la delusione nel constatare che questo Gesù parlava d'amore, di ravvedimento, di accogliere chi soffre, chi è emarginato.., altro che liberazione politica!

Gesù è stato colui che ha dato importanza e valore a chi era ai margini della società, che si trattasse di bambini, donne, lebbrosi, peccatori.

Egli è andato al cuore della legge, muovendosi in una dimensione diversa da quella dei suoi detrattori che lo additavano come un provocatore, uno che violava la legge di Mosè, anche se in realtà Gesù non è mai andato contro la legge mosaica ("«Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento.", Matteo 5:17), bensì contro l'ipocrisia e la fredda osservazione di regole e regolette che avevano ormai derubato la legge di Dio del suo senso originario per rivestirla di pura formalità, col triste risultato che il vero bene di ogni uomo (e tanto più dei fragili, dei reietti) era completamente ignorato.

La figura e l'insegnamento evangelico di Gesù attraversano la storia ma non sempre la chiesa cattolica ha saputo esserne degna ambasciatrice, come in modo onesto fa notare Sidoti, parlandoci di quei periodi in cui la chiesa di Roma ha mostrato mancanza di rispetto per quanti avessero una fede diversa - protestanti, (presunti) eretici, scismatici ecc...
Si analizzano i rapporti tra potere temporale e spirituale, gli errori di alcuni papi nei secoli e le qualità di altri, ma soprattutto ad essere sempre presente è la centralità dell'Amore nella dottrina cristiana.

"Gesù ha proclamato l'amore universale verso tutti gli uomini, senza discriminazione alcuna riguardo all'etnia, al sesso, alle ideologie, alle condizioni economiche e sociali".

"Aiutami ad amare, o Signore, e a non sprecare la mia potenza di amore, di amare di più gli altri, affinché attorno a me nessuno soffra o muoia per avere io rubato l'amore che a essi occorreva per vivere" (Michel Quoist).

Interessante, offre spunti di discussione sulla persona di Gesù, sulla portata rivoluzionaria della sua predicazione nei tre anni e mezzo prima di morire in croce per amore dell'umanità intera, sul contesto a lui contemporaneo, su come si sia andata affermando e diffondendo negli anni la religione cristiana(➡ il cattolicesimo), sul rapporto tra il potere religioso e quello politico-civile e come spesso essi abbiano coinciso.

Il tutto è trattato dal punto di vista cattolico, coerentemente con la fede dell'autore.

lunedì 7 giugno 2021

Recensione: LA NAZIONE DELLE PIANTE di Stefano Mancuso

 


LA NAZIONE DELLE PIANTE di Stefano Mancuso è un piccolo manuale il cui protagonista indiscusso è il mondo vegetale: ad esso  l'autore dà voce e, parlandoci delle piante come di una vera e propria Nazione, ci elenca gli articoli che compongono la sua "Costituzione" e che noi essere umani dovremmo tenere bene a mente per preservare ed amare come si deve questa nostra meravigliosa ma bistrattata terra.

Ed.Laterza
139 pp


Mancuso scrive delle piante, che tra gli esseri viventi sono quelle considerate passive, inferiori ed invece esse sono le vere insegnanti di vita, e davanti alla eccellente complessità dell'universo vegetale l'uomo non può che scendere dal proprio piedistallo e mettersi in un atteggiamento di umile discente.

"Un pianeta verde per la vegetazione, bianco per le nuvole e blu per l’acqua. Questi tre colori che sono la firma del nostro pianeta, per un motivo o per un altro, non esisterebbero senza le piante. Sono loro a rendere la Terra ciò che conosciamo. Senza piante, il nostro pianeta assomiglierebbe molto alle immagini che abbiamo di Marte o di Venere: una sterile palla di roccia."

Spesso le piante vengono percepite come qualcosa di inorganico, quando invece è da loro che dipende l'esistenza di tutti gli esseri viventi, uomini compresi.

E allora, proprio per sottolineare l'importanza delle piante, in questo libro l'Autore ne parla come se fossero delle Nazioni e chiarisce quali siano i pilastri su cui regge la vita delle stesse.

Come per gioco, Mancuso ha steso una piccola ma importante Costituzione della Nazione delle Piante, composta da otto articoli, analizzandone con chiarezza ciascuno di essi.

La terra appartiene a tutti gli esseri viventi e di essi è la casa; la presenza di forme di vita sul nostro pianeta ci dice quanto esso sia complesso, eppure l’uomo, nel suo delirio di onnipotenza, crede di essere il migliore, di avere l'esclusivo diritto, rispetto alle altre specie viventi, di autoproclamarsi il Padrone, il Signore della Terra, quando invece è soltanto "uno dei suoi condomini più spiacevoli e molesti."

Da dove gli viene questa stolta convinzione? Se riflettessimo di più e con maggiore umiltà ed onestà, dovremmo convenire come la specie umana non solo non sia la più numerosa ma neanche la migliore tra le specie viventi.

L'art.01 recita che "La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente".

L'approccio dell'uomo è assolutamente arrogante e irrispettoso, visto che considera (e tratta) l’intero pianeta come qualcosa di sua esclusiva pertinenza e proprietà, una mega risorsa di cui lui ha il naturale (??) diritto di disporre come vuole, in base alle proprie esclusive esigenze. 

Preso dalla sua continua e irrefrenabile necessità di consumare, l'Homo Sapiens sta così profondamente incidendo sulle caratteristiche del pianeta da essersi guadagnato, a buon diritto, la responsabilità di essere la causa di una delle più terribili estinzioni di massa.

Mancuso ci ricorda come alla base della vita sulla Terra ci siano le relazioni fra i viventi, i quali si uniscono formando delle comunità, ed è quello che sostiene il secondo articolo, dove "la Nazione delle Piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono".

Scorrendo gli altri articoli e la loro spiegazione, comprendiamo come in natura non sia previsto che una specie prevarichi sull'altra, e come il rispetto per ogni essere vivente sia universale e travalichi i confini dello spazio e del tempo, nel senso che se la vita sulla terra viene protetta, custodita e sostenuta con intelligenza e la giusta considerazione, questo si ripercuoterà positivamente anche sulle successive generazioni, verso le quali siamo responsabili.

La Nazione delle Piante garantisce ad ogni essere vivente la piena libertà di vivere su questa nostra terra, senza alcuna limitazione se non quella di trattarla come merita, avendone cura e mostrandole gratitudine. 

Con ironia e con una scrittura agile e accattivante, in grado avvicinare lettori digiuni dell'argomento (come me) come anche quelli già appassionati al tema, Mancuso ci lascia una vera e propria costituzione che deve responsabilizzarci e indirizzarci affinché ogni nostro impegno, intelligenza, progetto e voglia di fare, siano utili per costruire il nostro futuro di abitanti rispettosi della Terra e degli altri esseri viventi. 

sabato 5 giugno 2021

Recensione: LA SPINTA di Ashley Audrain

 

Sconvolgente e crudo, "La spinta" è uno scioccante viaggio nella genitorialità, dove i sentimenti e le emozioni sono sviscerati con chirurgica e lucida precisione, dando così alla narrazione un taglio decisamente inquietante ed estremamente coinvolgente.
Di capitolo in capitolo, il libro mantiene una forte suspense, di quelle che respiriamo in un bel thriller, ma in realtà siamo in presenza di un autentico dramma psicologico, che si consuma all'interno delle mura domestiche e che, attraverso vie oscure, si sofferma sui problemi e sulle preoccupazioni che spessissimo avvolgono la maternità, esperienza tanto meravigliosa quanto travolgente e complessa, ma anche l'importanza che su ciascuna persona riveste la propria storia familiare, nonché la genetica stessa.



LA SPINTA
di Ashley Audrain



Rizzoli Ed.
trad. I. Zani
348 pp
Che si creda o meno all'aspetto religioso del Natale, si tratta solitamente di una festività che in tanti associamo alla famiglia, allo stare insieme, al ritrovarsi con i propri cari, famigliari ed amici.
Trascorrerlo da soli è quindi alquanto triste e deprimente.

È ciò che sta capitando a Blythe Connor, che sta trascorrendo il proprio Natale da sola, in macchina a spiare la nuova vita di suo marito Fox. 
Cercando di non farsi notare troppo, osserva la scena di una famiglia perfetta, le candele accese, i gesti premurosi. 
Ma la sua presenza viene notata dalla sua bambina, Violet, la sua enigmatica figlia undicenne che vive serenamente a casa con il padre, la sua nuova compagna e il suo fratellino; immobile alla finestra, Violet fissa sua madre.

Nei suoi occhi non c'è ombra di affetto, di vicinanza o complicità verso quella donna in auto: il vuoto assoluto, e se non è proprio vuoto, al massimo è sfida,  provocazione. Certo non amore.

Come mai?
Perché Blythe è sola e si costringe a spiare l'ex-marito in un momento di intima felicità in compagnia della loro unica figlia e della sua nuova famiglia?

Eppure, c'è stato un tempo in cui anche loro sono stati una famiglia apparentemente normale, e Blythe era non solo la mamma di Violet ma anche del piccolo Sam.
Il suo meraviglioso e dolce Sam.

Blythe osserva, valuta, ricorda e racconta.
Racconta a noi lettori la sua versione dei fatti: cosa ha distrutto la sua famiglia?
Ok, non era un nido d'amore perfetto, i problemi e i dissidi non mancavano tra lei e Fox, e il rapporto della donna con Violet era sicuramente uno dei motivi di frizione nella coppia...., ma per quanto "storta" era pur sempre la sua famiglia. 

Per capire cosa sia successo e cosa abbia portato alla separazione, dobbiamo seguire il racconto della narratrice, che con calma e chiarezza, immaginando di rivolgersi al marito come gli scrivesse una lunga lettera, parte dall'inizio, dal loro incontro, da come si sono innamorati e di come hanno deciso di metter su famiglia.
Fox, sempre gentile, premuroso e ottimista, ne era convinto: "Avremo dei figli. E tu, Blyhe, sarai un'ottima madre".

Ma davvero dici, Fox? E che ne sai? Come fai a sapere che sarò una brava mamma quando io stessa non ho avuto un buon esempio? Hai forse dimenticato che la mia mi ha abbandonato all'età di undici anni, sparendo dalla mia vita come se io per lei non fossi nulla?

Ma Blythe, tu non sei come lei. Non sei come tua madre, come Cecilia. E poi l'anaffettività o l'incapacità di essere genitori non sono mica dei geni, che si possono tramandare!

Sicuro, Fox?

Negli anni, Blythe si è sempre chiesta se la sua infanzia fatta di vuoti, solitudini e abbandoni, non l'avesse formata e, in un certo senso, "deformata", impedendole, senza che lei l'avesse chiesto o desiderato, di gettare le basi per essere, un domani, una buona madre.

Che ci piaccia o no, ognuno di noi è frutto di un passato, di un'educazione, di un ambiente famigliare che c'ha visto nascere, crescere e formarci.
E questo vale anche per Blythe, figlia trascurata di Cecilia, una donna che di fare la mamma non aveva alcuna intenzione; insofferente a ogni costrizione, a una vita fatta di incombenze domestiche e di una bambina da accudire, Cecilia in casa era come un cavallo imbizzarrito che non vedeva l'ora di saltare la staccionata e correre verso la libertà.

Blythe non sa cosa sia una mamma affettuosa, che ti abbraccia dicendoti "Ti voglio bene", che ti consola per un ginocchio sbucciato, che ti aiuta ad affrontare i piccoli problemi che si presentano nella vita di una bimba come le altre, che si siede accanto a te la sera, sul letto, per leggerti una storia e poi ti dà il bacio della buonanotte.

Come ti ama una mamma? Cosa vuol dire crescere sentendosi amate e considerate da colei che ti ha messo al mondo? 
Può una donna non amare il frutto del proprio grembo? Può una figlia diventare un peso o - forse peggio! - un essere invisibile per sua madre?
Si può diventare una brava mamma non avendone avuta una?

Blythe guarda Fox, col suo rassicurante entusiasmo, e si pone tante domande su se stessa e sulla paura di non saper amare adeguatamente un eventuale figlio; domande che si fanno concrete quando resta incinta.

E quando Violet nasce, dal primo istante sente che nulla sarà come prima: quell'esserino rosso e urlante è parte di lei, è uscito da lei.
Non può non amarla, non desiderare di prendersene cura e di riempirla di affetto.

No?

E invece, le paure prendono forma: tra lei e la piccola sembra non riuscire a stabilirsi alcuna connessione, vicinanza. Non c'è alcun filo che le lega nell'anima, come pensava dovesse accadere.

Violet la rifiuta, ha problemi pure a bere al seno, non vuole stare tra le sue braccia, non vuole aver vicina la sua mamma. Preferisce il padre, il quale si innamora pazzamente della sua creatura e, a differenza della moglie, da subito riesce ad entrare in sintonia con Violet.

Diventare madri è un'esperienza straordinaria ma non è proprio una passeggiata, e nonostante le frasi ottimistiche tipo slogan su quanto sia bello prendersi cura di un neonato che ti sconvolge l'esistenza, i ritmi, gli spazi e quant'altro, ma che porta con sè una nuova luce e tanto amore, beh.. non è scontato che una neomamma viva tutto e sempre con un sorriso sulle labbra.
Paure, stress, frustrazioni, stanchezza fisica e mentale e tanto altro, sono dietro l'angolo, come delle frecce pronte a conficcarsi in tutti i punti deboli e scoperti di una donna che si trova a vivere giorni e settimane, dopo il parto, non sempre facili da gestire.

Ma la difficoltà a interagire con Violet, a provare per lei un amore sconfinato e a farsi amare dalla bimba, continuano. Non che Blythe non le voglia bene, eh, ma c'è qualcosa che la frena, che le impedisce di amarla con quello slancio e quella devozione che tutti (dal marito alla suocera agli amici ecc...) si aspettano che spontaneamente provi per lei.

Sempre colpa dell'ombra pesante e scura di mamma Cecilia?

In un flusso alternato di racconto del passato e del presente, veniamo a sapere che a sua volta Cecilia è stata vittima essa stessa di una madre che non l'ha amata; non solo, ma nonna Etta era una donna con diverse problematiche di tipo psicologico, per cui il suo non era semplicemente un problema di freddezza, di incapacità di esprimere emozioni, ma era proprio una conseguenza di qualcosa di più profondo e grave.
Una tara genetica, forse, che quindi ha dato vita ad una sorta di trauma intergenerazionale?

Ad aggiungere preoccupazione e dubbi sinistri nella mente di una razionale Blythe, è la constatazione che, crescendo, la sua Violet manifesta atteggiamenti strani, diversi da quelli dei suoi coetanei.

C'è in quella bimbetta un che di duro, ribelle, provocatorio, indisponente. Quanto più dimostra di voler bene al padre e di ricercare la sua compagnia, quanto più tiene lontana la madre, che non sa come fare per abbattere quel muro di opposizione e freddezza che la separa dalla figlioletta.

Se cerca di parlarne con Fox, questi taglia corto e sminuisce.

Il guaio è che questa figlia silenziosa, dallo sguardo tagliente e scrutatore (troppo per una bambina), nei cui occhi spesso passano lampi di perfidia (possibile?? in una bimbetta di 5 anni??) e malizia, non è strana solo con la mamma, ma anche con i coetanei.
Suo marito non vede ciò che vede Blythe e attribuisce tutto alle fisse che la donna si crea da sola nella sua testa.

Ma a meno che Blythe non sia matta come la nonna, lei sa quel che vede e una volta assiste ad un evento drammatico in cui Violet è presente e in cui sembra (!?) fare un gesto (casuale?) che avrà ripercussioni davvero tragiche su un'altra persona.

E poi vogliamo parlare del fatto che gli insegnanti lamentano una preoccupante aggressività e mancanza di empatia di Violet verso i compagnetti?
Insomma, c'è qualcosa che non va nella figlia e forse non è tutta colpa di Blythe se non riesce ad amare questa creatura "diversa" e tutt'altro che tenera e dolce!

Quando nasce il secondogenito, Sam, inizialmente l'atmosfera si rilassa: con lui ogni dubbio sparisce e Blythe entra in una dimensiona nuova e magica. Finalmente riesce ad essere la mamma che tutti si aspettano che sia e le viene così naturale! 
Se con Violet doveva sforzarsi per dimostrarle affetto in modo palese, con Sam è tutto facile e spontanei: lei ama lui e lui ama lei. Una simbiosi perfetta.
La cosa bella è che anche con Violet paiono migliorare i rapporti. Forse avere un fratellino ha fatto bene a tutti, e magari cementificherà ancor di più l'unione con Fox.

No?

La situazione però precipita in poco tempo e la gioia e le risa smetteranno di echeggiare tra le mura di casa Connor.

"La spinta" è un romanzo che ti prende dalla prima pagina fino all'ultima; l'ho letto in poco tempo perché non riuscivo a staccarmene e quando lo chiudevo non vedevo l'ora di riprenderlo.

La penna della Audrain ha un che di viscerale, è onesta fino ad essere brutale; fotografa con dovizia di particolari e con uno sguardo bruciante la maternità, sia in quanto esperienza personale, sia dalla prospettiva delle aspettative della società e delle pressioni culturali che le satellitano attorno.

Non c'è sentimento sull'essere madri che non venga portato alla luce, che siano dubbi,  solitudine, rimpianto, timori più o meno giustificati, sensi di colpa; diventare mamme viene spogliato della sua veste rosa tutta cuoricini e sorrisi beati, per assumere sfumature ben più oscure, dolorose, contraddittorie e spesso taciute perché disapprovate socialmente.

Angosciante e potente, questo romanzo (che mi ha fatto rivivere un tumulto di pensieri e stati d'animo provati con
 "...e ora parliamo di Kevin", cui si avvicina per tematiche) fa sì che il lettore si ponga molti interrogativi durante la lettura, primo fra tutti su come la maternità non venga vissuta da tutte nello stesso modo, di come non basti essere genitrice dal punto di vista biologico per sentirsi "mamme dentro".
Ci si sofferma su come l'arrivo di un figlio possa modificare gli equilibri di coppia, sull'evoluzione del rapporto madre-figlia, ovviamente, e sull'influenza che questo ha nella vita adulta, quando ci si trova a (e/o si desidera) diventare madri.

Blythe Connor racconta al lettore e al marito (la narrazione è in seconda persona, tranne nelle parti relative al passato, in cui si narra della nonna e della mamma) la sua versione dei fatti, il suo pensiero sulla personalità e sui bizzarri comportamenti di Violet, e vedere - attraverso i suoi occhi - di cosa sia capace una ragazzina è davvero in
quietante perché avvertiamo, insieme alla protagonista, tutta la preoccupazione scaturita dall'atroce sospetto che questa figlia possa essere un mostro, capace di azioni terribili, pericolose.
L'autrice ha strutturato il romanzo con capitoli brevi ma intensi, che ti inducono a sostare un attimo prima di iniziare il successivo, come a metabolizzare ogni episodio, novità, dramma.

Bello bello, questo libro ti trascina, ti fa provare molte emozioni (anche contrastanti), ti fa stare col fiato sospeso, ti fa scuotere la testa sbigottita, ti fa sussurrare: "Ma... possibile...?", ti porta a farti un sacco di domande su temi importanti e ti lascia con una sensazione di impotenza e ineluttabilità, regalandoti un ultimo e scioccato brivido.


mercoledì 2 giugno 2021

LE MIE LETTURE DI MAGGIO 2021

 

Buongiorno e buon mercoledì festivo!!

Eccomi con il riepilogo delle mie letture di maggio.






  1. LA CONGIURA DELLE PASSIONI di P. De Sarlo: Basilicata, periodo risorgimentale: il romanzo storico si concentra su fatti ed antefatti che hanno condotto all'unificazione del nostro Paese.
  2. L'AMORE E LE FORESTE di E. Reinhardt: l'infelice vita di una donna costretta a subire angherie psicologiche da un marito arido e narcisista.
  3. LA CASA DEI GUNNER di R. Kauffman: sei ragazzini e un'amicizia che travalica il tempo e i silenzi.
  4. IL CUORE È IL MIO BAGAGLIO A MANO di S. De Lorenzis: attraverso la voce di una donna affetta da leucemia, l'autrice parla all'animo, come una carezza delicata ma anche piena di energia e speranza.
  5. SPAZIO ALLE EMOZIONI di S. Messina: un invito ad ascoltare la voce che è dentro di sé, lì dove risiedono le proprie emozioni più intime.
  6. Teoria, Tecnica e Didattica della Pallacanestro in carrozzina di A. Gennaro - G. Battaglia - L.Cincotta:  guida tecnica, specifica per gli operatori del settore sportivo paraolimpico.
  7. CUORE di A. Arietano: una storia d'amore dolce e romantica collocata in un mondo fiabesco.
  8. IL MONDO DEVE SAPERE. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria  di M. Murgia: l racconto di un'esperienza lavorativa che, pur essendo assolutamente vera, sembra quasi surreale, fantastica.
  9. DUE CUORI IN AFFITTO di F. Kingsley: l'amore ha contorni sì romantici ma anche frizzanti, imprevedibili e scanzonati.
  10. UNA POSIZIONE SCOMODA di F.Muzzopappa: uno sceneggiatore di film porno alla ricerca dell'occasione della vita.
  11. UN UOMO COSÌ di A.Moro: il ritratto intimo e tenero dello statista  Aldo Moro attraverso gli occhi  della figlia.
  12. ELBRUS di G. Di Clemente e M.Capocasa: romanzo di fantascienza/distopico che immagina un futuro popolato da cloni e da scienziati impegnati in progetti di manipolazione genetica.
  13. DA ME A TE di L. Falcone: un ricettario narrativo che una mamma scrive alla figlia, lasciandole non solo ricette tradizionali ma anche episodi divertenti alla famiglia.
  14. SHARON E MIA SUOCERA di Suad Amiry: con ironia e intelligenza l'architetto palestinese Suad Amiry racconta, sotto forma di diario, i grossi disagi vissuti durante i quarantré giorni di coprifuoco imposti dai militari israeliani ai residenti di Ramallah nel marzo 2002.


Un maggio prolifico, che mi ha donato tante letture varie e belle; tra tutte segnalo il diario della palestinese Suad Amiry, attuale più che mai se pensiamo ai recentissimi (e di certo non sopiti) bombardamenti nella Striscia di Gaza; ho riso con Muzzopappa, ho vissuto il Risorgimento e il tormentato e confusionario passaggio dai Borboni ai Savoia e mi sono emozionata con le storie di amore e di amicizia.


CITAZIONE DEL MESE:


"La parola amore... per lui era bizzarra e spaventosa. Ma che cos’era la vita se non una lunga serie di cose bizzarre e spaventose che facevi e dicevi e chiedevi al tuo cuore, per mantenere la selvaggia e irragionevole speranza che un giorno qualcuno ti avrebbe tenuto il viso fra le mani dicendo: Sei perfetto. Adesso ti puoi riposare. Per me sei sempre stato perfetto. Non perché tu fossi neanche lontanamente perfetto o coraggioso o forte, e nemmeno particolarmente buono, ma perché eravate grandi amici da sempre."

martedì 1 giugno 2021

Recensione: "Teoria, Tecnica e Didattica della Pallacanestro in carrozzina" di Antonino Gennaro - Giuseppe Battaglia - Luca Cincotta

Uno



Ultimamente ho ricevuto in omaggio dalla Casa Editrice Kimerik quattro volumi tutti appartenenti a diversi generi letterari: dalla narrativa alla poesia (gli ultimi due libri recensiti nei giorni scorsi), dal saggio storico-religioso al manuale sportivo.


Oggi voglio presentarvi proprio un'agile e accurata guida tecnica scritta da docenti che si occupano in prima persona di Sport, coniugato con lo studio dell’Attività Motoria Adattata con particolare attenzione alle disabilità.

 Teoria, Tecnica e Didattica della Pallacanestro in carrozzina di Antonino Gennaro - Giuseppe Battaglia - Luca Cincotta

 

Kimerik Ed.
112 pp
In questa attenta analisi, Battaglia, Cincotta e Gennaro, oltre a offrire dettagli e suggerimenti tecnici relativi al gioco della Pallacanestro in carrozzina, focalizzano l’attenzione sulla vitale importanza del movimento per ogni individuo, sia esso normodotato, sia affetto da una condizione patologica cronica.


Alla base di questo lavoro c'è il concetto di salute dinamica (stato di benessere fisico, psicologico e sociale) e per raggiungerla è necessaria l’efficienza  fisica,  che  si consegue attraverso il movimento; questo vale tanto per i normodotati, quanto per le persone con disabilità, che hanno il diritto a fare sport, tanto più che praticare attività fisica può aiutarle  a superare blocchi e paure (frutto della propria condizione di salute), oltre che apportare innegabili benefici a livello fisico.


Un individuo con disabilità (di diversa gravità) ha delle capacità residue che vanno opportunamente stimolate e valorizzate e i giochi di squadra, come la pallacanestro, sono un valido strumento in questo senso.

 

Tra queste pagine vengono date spiegazioni tecniche del gioco del basket, compreso l'uso di attrezzature ed ausili; si evidenziano le caratteristiche della carrozzina, si danno consigli di esercizi per migliorare la tecnica di gioco e mettere il giocatore in condizione di acquisire maggiore padronanza dei vari gesti, movimenti, che siano il palleggio o i tiri ecc.

Sono presenti proposte didattiche che possano incoraggiare alla socializzazione, all'aggregazione, a lavorare sull'autostima e su un'equilibrata e giusta consapevolezza di se stessi.

 

Siamo in presenza, quindi, di un lavoro didattico che è di facile lettura ed accessibile e immediata consultazione, ma altresì si tratta di una guida tecnica, specifica per gli operatori del settore sportivo paraolimpico, per cui è un manuale che risulta utile a chi si occupa di sport, e in particolare di giocatori di pallacanestro in carrozzina.

 

lunedì 31 maggio 2021

Recensione: SPAZIO ALLE EMOZIONI di Silvio Messina



Attraverso la forma poetica, l'Autore di questa raccolta si fa veicolo di un modo di sentire - la vita, l'amore, il rapporto con gli altri, la natura... - particolare perché sensibile, profondo e attento, come sa esserlo lo sguardo di un poeta, di un artista.


SPAZIO ALLE EMOZIONI
di Silvio Messina

Casa Editrice Kimerik
61 pp
Il titolo di questa raccolta esprime esattamente ciò che essa è: uno spazio dato alle emozioni del poeta che ha messo su carta questi versi, ma non solo: anche a quelle di chi li legge.
Sono poesie che prendono per mano il lettore invitandolo ad ascoltare la voce che è dentro di sé, lì dove risiedono le proprie emozioni più intime, a condividerle e a ricercarle, perché di emozionarci non dovremmo mai essere paghi.

Le poesie di Silvio Messina si soffermano sulla vita, su come essa valga la pena di essere vissuta rendendola un capolavoro, perchè noi siamo i registi di noi stessi e della nostra esistenza; sulla meravigliosa unicità propria di ogni singola persona, sull'armonia che regna nell'amore tra due anime legate l'una all'altra, su come sia essenziale avere dei sogni e non lasciarli chiusi nel cassetto, ma afferrarli e viverli.

Siamo portati a considerare la fugacità del tempo che scorre e al quale, proprio per questo, dobbiamo dar valore, apprezzando la bellezza racchiusa nel quotidiano e nelle opportunità da cogliere ogni giorno; la natura, che è una madre generosa verso i suoi figli, i quali però non sempre le sono grati e la custodiscono come dovrebbero.

Con queste sue liriche il poeta/artista rende espliciti pensieri, stati d'animo, intenti, esigenze non solo proprie, non solo appartenenti ad un singolo individuo, ma si fa portavoce della società, dell'umanità stessa, educandola al bello, alla necessità di fermarsi, stimolandola a momenti di dialogo interiore, preziosi ed essenziali per (ri)conoscersi, migliorarsi, per dare un nome alle emozioni e, tanto più in un tempo frenetico come il nostro, che guarda spesso più alla forma e all'apparenza che alla sostanza, a dar loro il giusto spazio e la giusta importanza nella vita di tutti i giorni.

Una raccolta poetica interessante, gradevole e stimolante.

domenica 30 maggio 2021

Recensione: IL CUORE È IL MIO BAGAGLIO A MANO di Silvia De Lorenzis



Scoprire di avere un cancro, in un'età in cui sei fiduciosa di avere il mondo in mano e la vita davanti, è tremendo: è uno sconquasso nell'anima, oltre che nel corpo, di quelli che possono buttarti giù in modo irreversibile, impedendoti di vivere il tempo che resta con quella serenità di cui sempre, in ogni momento e periodo della nostra vita, abbiamo urgente bisogno.


IL CUORE È IL MIO BAGAGLIO A MANO
di Silvia De Lorenzis



Casa Editrice Kimerik
98 pp
Laura è una donna di quarant’anni, è sposata e mamma della sua amatissima figlia Sara; professionalmente è gratificata dal proprio lavoro di assistente sociale e lo svolge con entusiasmo e dedizione.

La sua vita viene sconvolta bruscamente da una brutta notizia, di quelle che ti mozzano il respiro e ti annientano dentro: ha una leucemia fulminante, non le resta molto da vivere e quello che le resta dovrà trascorrerlo per lo più in un letto d'ospedale.
È comprensibile ed umano come ricevere una notizia di tale portata possa abbattere chiunque; ci si sente intrappolati in un corpo imperfetto, che ha giocato un tiro decisamente infame e purtroppo non è possibile neanche "sistemare la rotta", in quanto è troppo tardi e si può solo aspettare che la malattia segua il suo maledetto corso.

Che fare davanti a una situazione drammatica come questa?
Dopo lo sgomento e lo scoramento iniziali, Laura reagisce e trova nella scrittura la via per riprendersi se stessa e il proprio mondo interiore, per guardarsi dentro con attenzione ed onestà, e per rovesciare tutto il fiume di emozioni e pensieri che riempiono cuore e mente, così da trovare dentro di sé le risorse per affrontare la vita che ancora può vivere lasciando qualcosa di importante a chi ama.
In particolare, il suo pensiero va alla sua unica figlia, Sara, e per amor suo, e guidata dall'amore indissolubile che prova per lei e che dà il vero senso alla propria esistenza, scrive una lettera per la sua bambina.
Una lettera che suo marito le consegnerà quando Sara compirà diciotto anni.
Sarà un regalo speciale che la ragazza avrà tra le mani per ritrovare sua madre, la sua anima, il suo cuore immenso e pieno di amore per lei; in quelle pagine, tra quelle parole, Sarà potrà trovare le risposte che cerca, ritenendo nel suo giovane cuore i pensieri, le riflessioni, i consigli di una madre persa troppo presto ma che continua a vivere in ogni battito, in ogni respiro di chi l'ha amata.

Non è semplice per una madre scrivere questa lettera, perché farlo significa fare i conti con quell’appuntamento con il destino al quale non si può sottrarre; significa accettare di aver perso la battaglia contro il cancro, ma il pensiero di dover lasciare i propri cari, e Sara su tutti, è forte in lei e la spinge a prendere carta e penna e a buttar giù tutto quello che il suo cuore le suggerisce.

Laura si rende conto che la morte la porterà via, impedendole di godersi sua figlia nei suoi anni più belli, di non vederla crescere, innamorarsi, diventare madre, di non poter condividere con lei le emozioni più intense come i dolori più grandi, quelli che le insegneranno ad affrontare le delusioni e a diventare più forte, quelli che la vedranno raggiungere i suoi piccoli grandi traguardi e realizzare i suoi sogni.

Non le resta, allora, che scriverle, imprimendo su carta frammenti di vita, pensieri intimi, ricordi, quelle parole che - se solo la malattia non si fosse messa in mezzo! - le avrebbe sussurrato.
È un'eredità speciale, preziosa.


"Voglio donarti gli ultimi giorni della mia vita, i miei risvegli, affinché tu possa portarli sempre dentro di te, oltre il dolore, oltre la vita, oltre la morte. (...) Così, se un giorno dovessi aver bisogno di risposte, potrai cercarle tra queste pagine, che profumano d'amore, del mio infinito e incondizionato amore per te. (...) Ma ricorda, la vera risposta a qualsiasi domanda sarà sempre nascosta in fondo al tuo cuore; io vorrei solo aiutarti a non aver paura di leggerci dentro!".

Le parole che Laura dedica alla sua bambina sono pregne di amore, di desiderio di poter parlare al suo cuore così che lei possa crescere sapendo di essere stata tanto amata e che la sua mamma sarà sempre con lei nonostante la vita le dividerà.
Laura racconta di sè, dei propri sogni, dell'amore per il proprio lavoro; le svela delle verità dolorose anche sul rapporto col padre e come non sempre tra loro sia stato tutto rose e fiori, ma l'amore e il perdono hanno trionfato su risentimenti, amarezze e delusioni.

La lunga lettera d'amore di questa dolce mamma per la sua figlioletta, lungi dall'essere intrisa di eccessiva tristezza (che pure sarebbe legittimo) o disperazione, è invece carica di speranza, fiducia in se stessi e nei propri sogni, empatia, amore per le piccole cose, per valori fondamentali - come l'attaccamento alla famiglia, alle proprie radici e alla propria terra, il perdono, il riconoscere le proprie fragilità e di non vergognarsene, ma piuttosto di trasformarle in modo che diventino dei trampolini per migliorarci, l'accettazione del dolore come occasione per crescere, maturare, darsi il tempo di fermarsi per recuperare le energie e poi rituffarsi nel mare della vita, che a volte è placido e calmo, altre è in tempesta.
Ma è pur sempre vita, e vivere è come essere costantemente su un'altalena, che come ti porta su, così è capace di riportarti giù!

Credo che ogni figlia vorrebbe avere il piacere di leggere una lettera così scritta dalla propria madre (o in generale da una persona cara), perché contiene frammenti importanti della persona che scrive, la quale davanti a un pezzo di carta non si risparmia, ma anzi ne fa uno strumento vivo e fedele per confidarsi, condividere, incoraggiare, consigliare, esprimere affetto, e lo fa anche quando - come nel caso specifico della protagonista - avrebbe tutte le umane e comprensibili ragioni per chiudersi in se stessa, a macerarsi nel dolore, e invece, al cospetto della severità di un male che non perdona e che ben presto le ruberà forze psichiche e fisiche, prende il bagaglio a mano - il cuore! - che l'ha sempre accompagnata nel viaggio della vita, e si incammina lungo la tappa più difficile mai attraversata.

È un libro breve ma intenso, ad ogni pagina l'Autrice ha riversato, con proprietà e fluidità di linguaggio, la propria sensibilità e ricchezza d'animo, traducendo con sapienza e passione tanti pensieri, considerazioni, timori, insicurezze e risorse emotive e psicologiche, che tanti lettori possono sentire come propri, inducendoli a immedesimarsi in questa donna consapevole di non essere un'eroina, bensì una persona piena di fragilità ma anche di forza, di sogni e desideri, e soprattutto una madre che vuol lasciare il proprio cuore nei ricordi di sua figlia.
Una lettura che parla all'anima del lettore, come una carezza delicata ma anche piena di energia e speranza.

sabato 29 maggio 2021

Recensione: L'AMORE E LE FORESTE di Éric Reinhardt


La protagonista di questo romanzo, che fa arrabbiare e commuovere il lettore, è una donna sensibile, colta, libera nell'anima e nei pensieri, ma la cui esistenza a un certo punto si ritrova ingabbiata tra le sbarre di un matrimonio opprimente, soffocante, emotivamente vuoto, che rischia di strapparle l'amore per la vita e la voglia di stupirsi e di godere di ciò che essa riserva. 



L'AMORE E LE FORESTE
di Éric Reinhardt

Salani Ed.
trad. R. Fedriga
259 pp
"Io preferisco la profondità, ciò che si può penetrare, da cui si può essere inghiottiti, dove ci si può nascondere: l’amore e le foreste, la notte, l’autunno, proprio come lei."

Éric Reinhardt è uno scrittore abbastanza famoso, che di recente ha pubblicato un romanzo molto acclamato dalla critica e amato da tanti lettori.
Tra esse c'è una lettrice colta e sensibile, Bénédicte Ombredanne, la quale - affascinata dal suddetto romanzo - decide di scrivere all'autore per manifestargli tutto il suo sincero apprezzamento.
Tra i due inizia una corrispondenza epistolare che si concretizza in un paio di incontri, a distanza di qualche mese.

Se già leggendo le lettere della sua fan, lo scrittore aveva compreso quanto ella fosse acuta, intelligente, profonda, nell'incontrarla di persona e nello scambiare opinioni, pensieri, e ancor di più, nell'ascoltarla parlare di sé, Eric realizza come la sua interlocutrice sia davvero una donna particolare, affascinante, con cui è piacevole dialogare perché capace di analizzare con meticolosità tanto le vite dei personaggi letterari quanto la propria, narrata al suo scrittore come un romanzo.

Dal canto suo, anche la donna vede in Eric un uomo comprensivo, empatico, che sa ascoltarla senza giudicarla.

Inizialmente Bénédicte Ombredanne aveva voluto incontrare lo scrittore solo per dirgli quanto il suo libro le avesse cambiato la vita, ma tra una parola e l'altra, finisce per scavare nel profondo della propria anima e della propria esistenza, obbedendo alla propria voglia di confidarsi con una persona che sa scrivere di sentimenti. 

E così ella racconta di se stessa, del proprio matrimonio, dei figli, del lavoro, scendendo nei particolari, condividendo dettagli che, fino a quel momento, non aveva raccontato a nessun altro.

Bénédicte è un fiume in piena: non può fermarsi dal confidare le sofferenze di un matrimonio che è davvero, per lei, la tomba della felicità e dell'amore, a causa di un marito violento che tiene in scacco lei e i figli.
Un uomo che non fa che insultarla, dicendole parole orrende, volte a svilirla, umiliarla, farla sentire sempre sbagliata, inadeguata, una donnicciola priva di qualsiasi bellezza e che merita di vivere in modo insulso perchè vale poco.
Di lei è molto geloso, ma la sua gelosia non ha nulla a che fare con l'amore, bensì con quell'insicurezza che è parte integrante di lui e in cui questo marito (Jean-Francois) affoga da quando era solo un ragazzino ignorato e non amato in famiglia (dal padre in primis); il suo è un sentimento di possesso verso la propria moglie, che considera un oggetto di cui vuol disporre come vuole e che desidera tenere sottomesso, soggiogato e succube della propria volontà e del proprio becero egoismo.

È una donna infelice, la povera Bénédicte, la sua anima è in pena, la sua mente è confusa, il suo cuore è provato da una situazione famigliare da incubo, fatta di privazioni, mancanza di amore e rispetto, in cui tutto il suo entusiasmo e amore per la vita è stato seppellito barbaramente da cumuli di ingiurie, violenze psicologiche - emotive e non solo -, violente scenate di gelosia.

Eppure, in questo racconto intimo pieno di tristezza, c'è un episodio indimenticabile, un pomeriggio di estasi, libertà, di inaspettata felicità; ore trascorse con un uomo di cui sa poco e nulla ma col quale, dal primo momento, si instaura un'intesa speciale, sotto tutti i punti di vista (fisico, mentale, emotivo), che potrebbe essere la premessa per un legame bello, vero, passionale, che finalmente potrebbe restituire il sorriso sul volto di Bénédicte e regalarle attimi di felicità.

Ma la felicità sembra girarsi dall'altra parte e infischiarsene dei diritti di Bénédicte, e la disgraziata è costretta a cedere nuovamente ad una vita matrimoniale terribile: obbligata, a causa delle domande insistenti del marito, a confessare il tradimento (in ogni minimo particolare e per un sacco di volte), egli non farà - da quel momento - che vomitarle addosso tutta la cattiveria, il risentimento, la frustrazione e l'umiliazione che lo travolgono e che lo fanno stare male.

"Era peggio che sola: era in compagnia del vuoto. Suo marito non era altro che una presenza vuota, un’assenza. Quell’uomo porta con sé un vuoto incolmabile ed era questo suo vuoto che angosciava Bénédicte."

La vita dentro le mura di casa diventa un vero e proprio inferno e - fatta eccezione per dieci giorni di pace, lontana da lui -, Bénédicte realizza di essere sola, atrocemente sola e in balia di un uomo che cercherà in tutti i modi di farle pagare caro quel pomeriggio d'amore che lei si è concessa e che le ha regalato qualche ora di gioia, in cui, almeno per un po', ella aveva ritrovato se stessa.


"L'amore e le foreste" è un romanzo corale (la narrazione segue più di un punto di vista), che mi ha coinvolta moltissimo sotto il profilo emozionale in quanto leggere le confessioni dell'infelice Bénédicte e apprendere (da un'altra voce) quello che è stato il suo destino,  mi ha travolta perché nell'esistenza della donna si concentra una tale dose di pena e tristezza da indignare il lettore, che si ritrova a desiderare con tutto il cuore che la sua romantica eroina fugga da quella relazione tossica (che si rivela, a lungo andare, come una vera e propria dipendenza affettiva verso l'arido e perfido consorte) e cerchi di essere felice, con o senza un uomo accanto a sè.
Non le manca niente per esserlo: è una donna di cultura, sveglia, determinata, è ancora bella e seducente, e - anche se adesso non si direbbe - c'è stato un tempo in cui sprizzava gioia di vivere, aveva voglia di divertirsi, fare incontri, godere del presente, fare esperienze che la facessero sentire sempre più viva.

Eppure, al presente, Bénédicte è diventata ormai una persona abituata ad essere invisibile, sulla cui figura gli sguardi della vita quotidiana scivolano indifferenti, sorvolando ingiustamente sulla ricchezza interiore che invece ha sempre occupano la sua testa.

Mi è piaciuta questa donna, una potenziale poetessa un po' decadente, "un universo crepuscolare e scolorito in cui i fiori, le anime, l’umore e la speranza sono leggermente appassiti, delicatamente liquescenti, nel loro ultimo e sublime splendore di vita, come una sera d’autunno malinconica e languorosa, intima e carnale, tutta velluti e nastri di seta rosa, rosso vermiglio", e mi ha suscitato pietà, perché la vita non è stata  per niente generosa con lei e le angosce e le sofferenze non le sono state risparmiate.
 
Lo stile dell'Autore sa essere poetico, molto evocativo, capace di mettere in risalto il potere immaginifico delle parole, i benefici che la letteratura reca all'animo umano, dando spazio anche alla vita interiore della protagonista, alla sua complessa e contraddittoria personalità: Bénédicte è una donna dei nostri tempi tormentata e inquieta, divisa tra doveri e desideri, costretta a recitare il ruolo di moglie di un uomo che in realtà non ama e che, a sua volta, quando non la ignora, non manca di manifestarle profondo disprezzo e un atteggiamento glaciale, che crea attorno alla vittima (perché questo è sua moglie) un vuoto insostenibile.

Ho letto queste pagine avvertendo tutta la forza dei sentimenti della protagonista femminile, le sue traversie, i suoi dolori, l'amarezza, le delusioni, i rari momenti di serenità; l'emozione che ho provato maggiormente è stata la tristezza, e non può essere diversamente essendo un romanzo che, nella sua drammatica intensità, coinvolge molto a livello empatico perchè c'è molto dolore, ci sono soprusi, cattiverie e ho provato repulsione per Jean-Francois, un essere frustrato, arido, incapace di amare, dalla personalità disturbata.

Consigliato, soprattutto se non vi dispiacciono le storie disperate e malinconiche.



Citazioni

"Tutti siamo divisi interiormente, siamo più persone che si combattono, o i cui desideri sono contraddittori, siamo tutti portati a giocare ruoli che in realtà sono le diverse facce di una verità unica che passiamo il tempo a interiorizzare, a travestire, a proteggere dallo sguardo altrui e infine a tradire, perché abbiamo vergogna ad ammetterci tanto complessi, plurali, tormentati, contraddittori e perciò essenzialmente indefiniti, che è in fondo proprio la nostra forza".

"Durante quel tragitto comprese che il mondo si divideva in due categorie (...) tra chi vive l’urgenza e la bellezza soffocante di una folle passione e chi non vive l’urgenza e la bellezza soffocante, che stordisce e ossessiona, di una folle passione. Non pensava all’amore, all’amore vero e proprio, ma a quel sentimento bruciante che ti afferra trascinandoti con la sua forza fino a farti commettere qualsiasi cosa, correre qualsiasi rischio, infrangere ogni principio – soprattutto se si tratta di una passione clandestina e pericolosa."

"...nessuno scruta il suo quotidiano con la speranza di trovarvi una botola segreta, l’inizio di una scala, le tenebre di uno spazio sconosciuto. Basta forse prestare attenzione alla superficie della propria quotidianità, avere abbastanza sensibilità da rilevare l’esistenza di un passaggio, per scoprire la necessità di scomparirci?"



venerdì 28 maggio 2021

** Segnalazione: "Persian Arabesques di Ivan J Korostovetz (1862-1933)" di Carlo Gaatone

 


Dopo aver pubblicato i ricordi di sua nonna "Memoires" Olga I Korostovetz (1895-1993)-Diario di un'epoca-, di cui ho parlato in questa segnalazione sulla figura di Ivan Jacovlevich Korostovetz,  passo a proporvi Persian Arabesques di suo padre Ivan.

"Persian Arabesques" pubblicato dalla


Pathos Edizioni é un'opera di 340 pagine suddivisa in 26 capitoli che riporta le attività diplomatiche di un suo brillante protagonista. È un trascorso inedito della storia politica della diplomazia russa raccontata da Ivan J. Korostovetz (1862-1933) uno dei suoi più brillanti protagonisti così come viene testualmente definito dal noto ricercatore universitario russo Pavel N. Dudin ("one of its brightest representatives").


Il diplomatico, a seguito dei principali successi ottenuti nel 1905 con il Trattato di Portsmouth e nel 1912 in Mongolia con la firma dell'Accordo di Amicizia Russo-Mongolo, narra dettagliatamente, nelle sue memorie politiche, gli ultimi eventi della sua carriera diplomatica 1913-1918 prima di dover andare in esilio per non essere imprigionato. Egli si riferisce in particolare  al periodo di permanenza in Persia quale Ministro Plenipotenziario (1913-1915) ma non solo.

Il testo, oltre ad essere considerato un importante documento storico in quanto classificato quale fonte primaria d'informazione dell'epoca, é di gradevole e interessante lettura perché descrive non solamente gli eventi politici ma anche i costumi e le usanze locali di varia natura. Egli spazia dalla storia alla geografia persiana includendo delle penellate sulle religioni dei territori e sulla letteratura bizantino-persiana.

  "In "Persian Arabesques" l'autore rivela pienamente i meccanismi della politica estera della Russia Imperiale in Persia, così come il quadro delle contraddizioni anglo-russe in quel paese. Confrontando la politica dello zarismo con quella della Russia sovietica in Persia, l'autore giunge alla conclusione che la politica sovietica, in sostanza, era una continuazione della politica della Russia monarchica solo sotto un nuovo schermo ideologico." (Professor Ph.D.Nugzar K. Ter-Oganov, specialista delle Relazioni Russo-Iraniane).


L'autore.
Carlo Gastone nasce nell’agosto del 1950 a Johannesburg, Repubblica del Sud Africa.
Di origini italiane, proviene da una famiglia internazionale, sia per origine che per ambiente.
Le vicende della vita lo portano a viaggiare moltissimo ed a risiedere in differenti paesi e città: dall’Avana (Cuba) dove ha vissuto prima, durante e dopo la rivoluzione, a New York (Usa), a Lagos (Nigeria) e a Słupsk (Polonia) dove ha lavorato con diversi incarichi manageriali.
Oggi risiede a Torino e si dedica a sviluppare svariati interessi tra cui quello di ricostruire la storia e la genealogia della propria famiglia, andata dispersa a causa degli eventi bellici e rivoluzionari.
L’amore e la passione per sua nonna Olga lo hanno spinto a riportare alla luce le affascinanti “Memoires”, che includono importanti eventi storici a cavallo del 900.
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