sabato 6 aprile 2019

Recensione: UN PALLIDO ORIZZONTE DI COLLINE di Kazuo Ishiguro



Quando il proprio passato è costellato di esperienze negative e dolorose, voltarsi indietro per ripercorrerlo con la memoria non fa che aggiungere ulteriori sofferenze, eppure è proprio il racconto di sè, di quei giorni che sono stati e ora non sono più e che, a modo loro, ci hanno formato, a offrirci una via per far pace con noi stessi e con quei demoni che ci portiamo dietro.



UN PALLIDO ORIZZONTE DI COLLINE
di Kazuo Ishiguro



Ed. Einuadi
trad. G. Bona
178 pp

Credo sia patetico e nello stesso tempo nobile guardarsi dentro e vedere la vita che si è vissuta. Ci vuole un grande coraggio.

Etsuko è una vedova giapponese che vive in Inghilterra, sola in una casa di campagna; ha una figlia, Niki, la sua secondogenita, che vive a Londra e ogni tanto va a trovare sua madre.
Niki è figlia del secondo marito di Etsuko; la primogenita, Keiko, era figlia del primo, Jiro, l'uomo con cui ha vissuto quand'era in Giappone, a Nagasaki.

Era perchè adesso Keiko non c'è più: si è suicidata, senza un apparente e specifico motivo...
Da quel tragico momento la vita di Etsuko e di Niki non è più stata la stessa, e anche se le due donne sembrano proseguire con le proprie abitudini come se niente fosse, in realtà è come se la presenza della figlia/sorella suicida aleggiasse nelle stanze della casa materna, a mo' di spettro che turba sogni e pace.

Etsuko ripercorre il proprio passato e questi flashback sono interrotti dalla presenza di Niki nel presente: Niki è una ragazza emancipata, indipendente, riservata circa la propria vita privata, che non condivide neppure con l'unica parente rimastale - sua madre appunto - con la quale anzi parla pochissimo, non avendo mai avuto stretti e confidenziali rapporti; leggendo lo scambio di battute tra le due, i loro atteggiamenti nell'interagire, i tanti silenzi e gli sguardi più o meno inconsapevoli che si lanciano, capiamo che è soprattutto la morte di Keiko ad aver contribuito a rompere qualcosa che, nel tempo, non si è più risanato.
Inoltre, la visita di Niki alla madre risulta poco piacevole, non solo perchè la giovane è spesso cupa, scortese, sbrigativa e poco paziente verso la donna più anziana, ma anche perchè dichiara di non riuscire dormire quando è in quella casa, di sentirsi a disagio: è il pensiero della sorella morta a tenerla sveglia, ad inquietarla.
Etsuko, con la sua aria pacata e imperturbabile, con le poche parole che riesce ad esternare, cerca di tranquillizzarla e intanto leva lo sguardo dal presente doloroso e solitario per cercare in un altrove lontano un senso e una ragione a tutto ciò che ha vissuto.

I suoi vividi ricordi giungono dunque fino a Nagasaki, nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, quando la città, in seguito al lancio della bomba atomica, ha dovuto affrontare un processo di ricostruzione su tutti i fronti - materiale e, soprattutto, culturale, umano.

Tra queste pagine, l'Autore accenna al dramma immane causato da quel terribile evento, e lo fa senza entrare nei particolari ma sempre restando su un filo vago eppure chiaro al contempo: la guerra ha innescato tutta una serie di capovolgimenti in Giappone, e in particolare l'ingerenza della potenza americana ha portato mutamenti in tanti ambiti, da quello politico a quello culturale, modificando pian piano il modo di pensare delle persone e, in special modo, della nuova generazione rispetto alla precedente, ritenuta "vecchia", antiquata, ormai superata nei valori, nei riti, nelle convinzioni.

Il racconto della protagonista comprende tanto la sua vita in famiglia, accanto al primo marito Jiro e in compagnia del suocero, quanto la sua amicizia con una donna singolare e la sua bambina tormentata.

Etsuko è stata una giovane moglie sottomessa, silenziosa, discreta, servizievole, accettando con remissività il proprio ruolo di donna, moglie, nuora all'interno della rigida e patriarcale società giapponese; il coniuge ci viene ritratto con un uomo duro, poco affabile, dedito totalmente alla carriera professionale; un marito che si aspetta che la moglie lo serva e lo accudisca senza che dalla sua bocca esca mai un grazie o una parola gentile; e anche nei confronti del padre, Ogata, è lo stesso: è superficiale, distratto, impaziente di terminare una conversazione quanto prima per non sentirsi dire sempre le solite paternali noiose e ormai note, che lo irritano e lo spingono a scappare al lavoro come se avesse il fuoco sotto i piedi.
La figura di questo suocero, Ogata, emerge in termini molto positivi, essendo un anziano dolce, comprensivo, sempre carino e premuroso verso la nuora, che - negli anni ricordati da lei stessa - era incinta della prima figlia (Keiko), tanto da guadagnarsi spontaneamente il suo affetto e la sua sincera stima.

Ma ho menzionato anche a un'amicizia: quella con una giovane donna vedova, Sachiko, e la sua figlioletta Mariko.
Sachiko vive in una casetta abbandonata tra le macerie e ha una relazione con un americano (solo citato, non ci viene presentato) che promette sempre di portarla negli Stati Uniti, ma non lo fa mai. La guerra le ha tolto il marito ma le è rimasta questa figlia di dieci anni, che però è un tipetto scontroso, con atteggiamenti ostili verso gli estranei; la bimba è solitaria, se ne sta sempre per i fatti suoi, mostra interesse solo per i gatti ed Etsuko scopre, con suo grande stupore, che Mariko spesso viene lasciata sola da sua madre, la quale non mostra alcuna preoccupazione in tal senso.

Sachiko ci appare, dai ricordi di Etsuko, come una donna leggera, frivola, poco attenta verso l'unica figlia, nonostante ella dichiari che Mariko è la sua priorità e ogni decisione che prende è per il suo bene; la donna aspetta il grande amore, che la porti via dalla tristezza di una vita senza stimoli e aspettative trascorsa a Nagasaki; ma questa partenza potrebbe non giungere mai e intanto sua figlia affonda nell’angoscia di ricordi troppo crudi, che rischiano di minare il suo precario equilibrio emotivo. 

L'amicizia tra le due è singolare perchè esse sono diversissime come caratteri: tanto apprensiva e tranquilla è Etsuko, quanto l'altra è vivace, ironica, divertita dall'ingenuità e semplicità dell'altra.

Eppure, intuiamo, mentre passato e presente si intersecano nonostante siano apparentemente slegati (come se la Etsuko giapponese e quella inglese fossero due persone differenti e lontane), che c'è qualcosa di profondo che lega le due amiche: entrambe nascondono, sotto diversi atteggiamenti, sensi di colpa verso la propria figlia problematica, tant'è che, similmente a Sachiko rispetto alla piccola Mariko,  rispetto a Keiko la stessa Etsuko, nel cui cuore resistono rimpianti, domande, dubbi, rimorsi..., sente di dover giustificare le proprie decisioni (l'andar via dal Giappone, anzitutto, per garantire un futuro migliore alla propria figlia), come a convincersi di non essere stata una cattiva madre e che ciò che è accaduto non è sua diretta responsabilità.

Etsuko proietta se stessa, i timori, le angosce, il dolore, su Sachiko, "servendosi" della storia di quest'ultima per parlare di sè e per affrontare i propri tormenti.

Questo breve romanzo del Premio Nobel Ishiguro mantiene, capitolo dopo capitolo, un'atmosfera enigmatica, misteriosa, di cose dette e non dette, di domande accennate alle quali non si darà mai una risposta; gli stessi personaggi hanno una parte che ci viene svelata e un'altra che resta celata e tanti particolari - che durante la narrazione creano suspense e accendono la curiosità del lettore - non ci vengono chiariti esplicitamente, ma piuttosto lasciati alla libera interpretazione del fruitore.

Ne viene fuori un racconto che riesce ad essere tanto poetico quanto disadorno, che suggerisce più di quanto sveli; tutto resta sospeso e irrisolto; lo stile di Ishiguro è preciso, lento, "silenzioso"; vi è un fascino quasi magico nella sua penna così lieve e profonda insieme che mi ha coinvolta e suscitato domande, trasmettendomi quell'inevitabile malinconia che quasi sempre provo quando leggo libri di autori dell'Est: ma non è mai una malinconia opprimente, bensì dolce, che colora le vicende di sfumature delicate, tenui, mai aggressive, malgrado si parli di morte, tragedie umani, collettive e personali.

Non posso non ammettere che il finale mi ha lasciata un po' disorientata; c'è in questo romanzo un che di volutamente imperfetto, incompleto, e la tensione che l'attraversa potrebbe non trovare, agli occhi del lettore, l'adeguata e agognata soluzione.

Per una come me amante di thriller, polizieschi, noir, in cui ogni tassello deve andare al suo posto e rivelare una logica razionale finale, un libro di tal genere un po' spiazza; ma forse il bello è anche questo.


Del resto, chi l'ha detto che un autore debba necessariamente risolvere ogni mistero, svelare ogni segreto, fugare ogni dubbio? 

Ishiguro dà di che riflettere anche dopo che si è giunti all'ultimo rigo, semplicemente raccontando di donne irrisolte, tormentate da fantasmi che altro non sono che malesseri interiori, intimi, in cui ognuno di noi può ritrovarsi.

Leggere libri come questi è come prendere una boccata d'aria fresca in un'alba che sta nascendo o in un tramonto pregno di nostalgia; è uno di quei romanzi somiglianti a un "rifugio" in cui non di rado sentiamo il bisogno di fermarci per restare accanto ad un vecchio amico, a volte chiacchierando e ascoltando placidamente le sue confidenze, altre restando anche solo così..., in silenzio.

4 commenti:

  1. Autore di cui recuperare tutto, tutto, tutto!

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    1. prima di questo, lessi solo QUEL CHE RESTA DEL GIORNO di cui apprezzai senza dubbio lo stile, un po' meno il protagonista :-P
      Però sì, è un autore tutto da conoscere e "gustare"... come una buona tazza di tè ;-)

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  2. Ciao Angela, la tua bella recensione mi ha incuriosita moltissimo riguardo a quest'autore che non ho ancora letto. Spero di farlo al più presto. Grazie e buona domenica! :o)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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