venerdì 28 agosto 2020

RECENSIONE: CONTRO IL RAZZISMO di Giovanna Salvioni, Moni Ovadia


Un breve trattato che ruota attorno al tema del razzismo, partendo dalla sua definizione, da ciò che caratterizza il pensiero razzista, continuando con quelle leggi infami che, in passato, regolamentavano lo schiavismo, i rapporti con razze ritenute inferiori e, per concludere, si indicano alcune buone ragioni per essere antirazzisti.



 CONTRO IL RAZZISMO 
di Giovanna Salvioni, Moni Ovadia



EDUCatt
85 pp
“Il razzismo è la dottrina che afferma l’esistenza di una gerarchia tra le razze umane”.

Separare, ghettizzare, eliminare: sono i tre terribili e chiari indicatori dei comportamenti razzisti. 
Da cosa nasce l'essere razzisti?
Dalla paura della diversità e dalla conseguente incapacità di accettare il fatto che tanto le singole persone quanto interi popoli possano decidere di vivere in modi e con valori differenti, senza che questo significhi che essi siano "sbagliati" o inferiori.

Se poi, chi vede del male nella diversità altrui, è anche in posizione di vantaggio, ad esempio economico, è facile  che ceda alla tentazione di voler dominare, sulla base di assurde classificazioni, grazie alle quali include o esclude chi vuole.
È ciò che, per es., è successo con l'istituzione della schiavitù, i regimi coloniali, il massacro di popolazioni indigene passato sotto la definizione di Conquista delle Americhe.

Non per nulla, il razzismo costituisce un fenomeno storico, i cui schemi costitutivi si sono diffusi in tutto il mondo attraverso l’imperialismo coloniale, il sistema schiavistico e il nazionalismo.

Nella prima parte di questo scritto, seguiamo un veloce excursus storico su come sia nato il concetto di razza, il contributo dato, in questo senso, dagli studi dell'antropologia biologica, volti a cercare tratti fisici distintivi per ogni popolo, così da poterlo classificare e inserire in specifiche categorie.

"Gli antropologi fisici inventarono una serie di tecniche elaborate per misurare i differenti caratteri osservabili delle popolazioni umane, comprendenti colore della pelle, tipo di capelli, tipo fisico e così via. Lo scopo era trovare la prova scientifica che avrebbe loro permesso di classificare tutti i popoli del mondo entro categorie inequivocabili, dette razze, basate su insiemi distinti di attributi biologici."

Queste "graduatorie" dal meno al più, questo dividere l'umanità in settori, cosa può generare se non divisioni, odio, disprezzo, discriminazioni, ingiustizie?
Al centro del pensiero razzista troviamo la credenza che esistano delle categorie di esseri umani che
non soltanto sono differenti, ma che lo sono in modo “anomalo”, e la convinzione che questi esseri umani (gruppi di individui) aventi certe caratteristiche, siano oltretutto inutili e pericolosi per il proprio gruppo. Ergo, essi devono essere rifiutati incondizionatamente, in quanto inadeguati e non assimilabili.

Cosa accomuna le varie forme di razzismo esistenti? 
Cercare di rispondere a questa domanda, tenendo presente i tre momenti citati sopra - separazione, ghettizzazione, eliminazione (fisica o della dignità dell'individuo e della libertà del pensiero) -, può aiutarci a riconoscere comportamenti razzisti.

C’è uno strano e tragico controsenso associato al problema del razzismo. Quasi nessuno vuole essere considerato razzista, eppure il razzismo ancora esiste, autentico e tenace.  (Memmi, 1999)

Nella parte centrale ci si concentra su quei documenti che in passato hanno regolamentato la condizione degli schiavi nelle colonie francesi, e poi ancora le leggi razziali tedesche e italiane, fino ad arrivare alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948: composta da trenta articoli, in essa vengono sanciti i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona.

Si accenna anche al tortuoso percorso affrontato dagli afroamericani per il riconoscimento dei propri diritti, o ancora di cosa voglia dire apartheid; mi sarebbe piaciuto che si desse più spazio alla sezione riguardante gli stermini di massa, magari soffermandosi su quegli episodi di genocidio, pulizia etnica, sterminio... meno noti.

Come dicevo nella frase introduttiva, si tratta di un saggio breve, di facile lettura, interessante, a mio avviso ideale per proporlo ai ragazzi, in modo da indurli a riflettere sulla tematica; parlare di razzismo, purtroppo, non è mai anacronistico, è un argomento su cui non dovremmo stancarci di aprire dibattiti e riflessioni in quanto gli episodi di razzismo e, più in generale, di discriminazione per ragioni sessuali, religiose ecc.., sono all'ordine del giorno.
E allora, se è vero - e lo è - che il razzismo abolisce o nega la dignità umana, è innegabile come esso, in ogni sua forma, vada assolutamente condannato abbracciando, per contro,  l'antirazzismo quale progetto di riumanizzazione, per assicurare la felicità o la salvezza indistintamente a tutti gli uomini, in un mondo pacifico e fraterno.


giovedì 27 agosto 2020

Recensione: "Mussolini ha fatto anche cose buone" di Francesco Filippi

 

A quanti di noi è capitato di sentire o di leggere in web frasi che cercano di trovare in Mussolini e nella sua ideologia fascista "qualcosa di buono"?  Per la serie "cattivo... ma non troppo!".

Bene, in questo libro breve e sufficientemente scorrevole, l'Autore si propone di "smontare" le fake news che, a più di settant'anni dalla caduta del fascismo, ancora girano ostinatamente attorno alla mitica figura del Duce, il quale - qualcuno continua a dire - ha fatto anche cose buone.




Mussolini ha fatto anche cose buone. 
Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo
di Francesco Filippi


Ed. Bollati Boringhieri
160 pp
«Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità»: questa frase è attribuita a Goebbels, ministro della propaganda del Reich, e cade a pennello per l'argomento oggetto di queste pagine. 

È incredibile come una notizia falsa possa, nel tempo e dopo tanti anni, non solo diffondersi a macchia d'olio ma altresì rafforzarsi fino ad assumere i tratti di una verità assoluta e incontrovertibile.

È ciò che è successo a tante "bufale" riguardanti Mussolini e il fascismo; ci sono dubbi in merito al fatto che il ventennio fascista sia stato un regime dispotico, violento, miope e che abbia causato innumerevoli danni al nostro Paese?
Beh, io risponderei di no.... ma evidentemente non tutti son d'accordo, e anzi c'è chi si ostina voler trovare, ancora oggi, i lati positivi e le cose buone fatte da Mussolini.

A diffondere fake news, insomma, per usare un'espressione comunissima ai nostri giorni.

L'Autore, convinto di come chi conosca e studi la storia non possa  che giungere alle medesime (e negative) conclusioni sul fascismo, risponde punto per punto alle tante idiozie volte a, se non osannare, quanto meno ad abbozzare una mezza difesa del Duce; lo fa tenendo presente che queste bufale sono meno innocue di quanto potremmo essere portati a pensare:

"le fake news sui fatti storici avvelenano l’immenso campo di esperienze, valori ed emozioni su cui costruire l’immagine del passato."

È la Storia a dircelo: Mussolini fu un pessimo amministratore, un modestissimo stratega, tutt’altro che un uomo di specchiata onestà, un economista inetto e uno spietato dittatore. 

Filippi parla di lui come del maggior massacratore di italiani della storia, eppure questo non ha impedito che si diffondessero bugie atte a guardare al passato con uno sguardo un po' più positivo, forse per dare una speranza a chi è deluso e scontento del proprio presente.

È vero che Mussolini ha dato le pensioni agli italiani?
Come ci viene ricordato qui, un primo sistema di garanzie pensionistiche venne adottato dal governo già nel 1895, grazie al governo Crispi, quindi ben 27 anni prima che il fascismo andasse al potere. 
Il decreto prevedeva che gli impiegati nel settore pubblico e i militari di servizio avessero diritto a una forma di copertura previdenziale in caso smettessero di lavorare per raggiunti limiti di età o per una malattia invalidante.

Altroché, quindi: il fascismo non ha inventato la previdenza in Italia, e anzi


"...i primi provvedimenti del fascismo attorno al tema previdenziale provocarono l’appesantimento del sistema e la sua progressiva inefficienza. Riforme che, anziché essere migliorative, avevano l’unico scopo di asservire e rendere controllabile il sistema direttamente dai vertici del potere."


La tredicesima mensilità (gratifica natalizia) fu inserita ufficialmente  nel 1937 dalla Camera delle Corporazioni fascista ma non ne potevano usufruire i lavoratori di qualsiasi categoria, bensì soltanto gli impiegati dell’industria; si trattava di un provvedimento esclusivo per una categoria che era bacino di consenso del regime, i cosiddetti colletti bianchi.

Dobbiamo aspettare il 1960, nel pieno del boom economico dell’Italia repubblicana, perché il beneficio della mensilità venga esteso a tutti.

I diversi interventi legislativi fascisti in campo previdenziale erano più che altro volti a creare consensi trasformando "l’enorme apparato amministrativo in una "macchina al servizio del fascismo, (...) un bancomat di denaro pubblico (...), fornitore di posti di lavoro per le varie clientele."


L'Autore si sofferma poi sulla fake news riguardante la bonifica delle paludi, chiarendo come una prima legge organica in merito ci fosse già nel 1878, e nel 1922, prima della marcia su Roma, furono costituiti consorzi di bonifica sovvenzionati dallo Stato al fine di allargare le zone di intervento statale su terreni paludosi.

E di capitolo in capitolo si prendono in considerazione altri argomenti tirati in ballo da chi insiste nel vedere il bello e il buono di Benito: dal fatto che il Duce abbia dato le case agli italiani (la legge sulle case popolari risale al 1903!), che abbia garantito maggiore sicurezza, ad es. sconfiggendo la mafia (o forse semplicemente la dittatura fascista impedì che i giornali dessero notizia dei reati mafiosi?), o che ai tempi suoi l'economia si fosse risollevata, o che egli sia stato un grande statista e un valoroso condottiero, o che in quegli anni la donna fosse stata rivalutata (il pensiero fascista prevedeva che le donne dovessero mettere al mondo nuovi italiani, preferibilmente maschi, per farne dei soldati; questo soltanto era ciò che dava loro valore)...

Tra le varie scemenze esaminate, una onestamente non l'avevo mai sentita: 

"la dittatura non sarebbe stata razzista, e provvedimenti quali le leggi razziali del 1938 sarebbero solo un cedimento alla volontà dell’alleato germanico: un corpo di leggi imposte da Hitler, quindi, che il governo fascista non applicò se non in misura molto blanda."

"....che il duce in realtà abbia addirittura aiutato gli ebrei a sfuggire alle grinfie naziste."

 

No, dico: davvero ci sono quelli che vorrebbero allontanare o minimizzare l'accusa di razzismo all'interno dell'ideologia mussoliniana?? O sostenere addirittura che il Duce in fondo sia stato meno cattivo di Hitler nei confronti degli ebrei? 

Davvero, questa bufala mi era sfuggita, la maggior parte le conoscevo ma per onestà devo confessare che alcune le avevo date un po' per scontato, nel senso che credevo avessero un fondamento storico, tipo l'attribuire a Mussolini pensioni e opere di bonifica. 

Ecco, in tal caso son contenta di aver dissipato ogni dubbio e illuminato angolini lasciati nell'ignoranza e bisognosi, invece, di un minimo di approfondimento. Non si finisce mai di studiare e imparare :-D

Concludendo, tante bufale vengono esaminate e smontate, e ciò su cui non ci resta che riflettere è che in un regime come quello fascista, totalitario e volto ad annullare le libertà individuali, non ha senso parlare di maggiore ordine e sicurezza, di giustizia, se poi per ottenere questi obiettivi si è fatto ricorso alla forza, all'oppressione, eliminando ogni forma di opposizione politica (un esempio su tutti: Matteotti) e ponendo al centro l'odio e la violenza.

La verità è che, lungi da qualsiasi revisionismo e impeto nostalgico senza fondamento, durante il funesto ventennio nero 

"le manifestazioni della vita civile libera subirono un arretramento: venne meno il diritto di voto e di libera aggregazione, venne posta la censura alle idee pubbliche, nei media ma anche alla corrispondenza privata. L’apparato di polizia aumentò a dismisura...."

e la popolazione italiana non godette di maggior benessere (in nessun campo), anzi, si registrò un generale impoverimento, un aumento delle ingiustizie... fino al culmine, costituito dall'entrata in una  guerra disastrosa.

È un libro che si legge in poco tempo, sia per il numero di pagine che per l'argomento in sé, trattato con uno stile scorrevole, adatto a chi desidera avere un quadro generale dei falsi miti sul fascismo; c'è una ricca bibliografia, se si fosse orientati verso ulteriori approfondimenti; personalmente io l'ho trovato utile e interessante.

mercoledì 26 agosto 2020

Segnalazione fantasy: Il Merlo e il Corvo: I racconti di Foce di Quinsia di Federico Foria

 


Buonasera cari lettori!!! 

Agosto sta finendo e, con esso, l'estate :)

Come state trascorrendo questi scampoli estivi? Io... con la speranza di tornare a lavorare con i "miei" bimbetti a scuola!

Aspettando che la normalità torni tra noi, oggi vi presento una pubblicazione paranormal.



"Il Merlo e il Corvo" di Federico Foria narra l'avventura di Alfredo Panico in viaggio nella Valle di Quinsia. Un lavoro apparentemente semplice si trasformerà in una lotta contro la malvagità umana e sovrannaturale per la sopravvivenza.
Riuscirà l'umanità di Alfredo a scardinare le terribili verità di Foce di Quinsia e a sconfiggere i demoni che la abitano?

Alfredo Panico, 23 anni, lavora part-time
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Elison pub
320 pp

nell’agenzia investigativa di famiglia: la No Panic. 
Il ragazzo e il padre Giancarlo sono chiamati da un misterioso cliente a ritrovare la sua vecchia amante, Matilde, e la figlia Magda. 
Il viaggio li porta in un paesino all’interno di una vallata dell’Italia nord occidentale, Foce di Quinsia.
A Quinsia vivono due specie di uccelli uniche. 
Si narra di una entità dominata dall’odio e dal rimorso, il Corvo Funereo, che accoglie Alfredo al suo arrivo, e di una entità dominata dal senso di giustizia e verità, il Merlo Sognatore.
Alfredo comincia a scoprire le terribili verità che si celano dietro la vallata di Quinsia e conosce una vecchia signora che gli offre l’immortalità in cambio della morte dei parassiti che infestano il suo territorio.
Alfredo conosce Magda, ragazza timida, ma piena di carattere e forza interiore. 

Comincia l’avventura e la lotta per la sopravvivenza dei due ragazzi contro la follia umana e la forza sovrannaturale della vecchia. 

Tranelli, misteri e sacrifici si susseguono fino allo scontro finale tra Alfredo e la vecchia, pronto a tutto per ricongiungersi con la ragazza e a salvare la vallata di Quinsia.

CURIOSITÀ.

 - Storia della città pagana eterna

Foce di Quinsia è il nome dell’unica città che si trova all’interno della Valle di Quinsia.
La città fu fondata nel 25 a.C. dai Romani dopo la cacciata dei Salassi dall’Italia nord occidentale, come presidio militare e terra di contadini e allevatori.
Nel medioevo la vallata è passata sotto il controllo dei Franchi che ne hanno potenziato la funzione strategica e militare.
La vallata è diventata parte dell’Italia nel 1861, anche se ancora fortemente sotto l’influenza francese, spazzata via definitivamente durante il 
periodo del fascismo.

Storia recente di una tragedia

Nel 1969 Foce di Quinsia vive il suo boom economico con l'arrivo di una fabbrica di matite.
Dell’antica città medievale rimane solo il centro storico, mentre nascono le «palazzine operaie» e fioriscono i
trasporti con il prolungamento della SS24 e una stazione ferroviaria posta sulla linea del Frejus.
Il 10 Settembre 2001 la fabbrica è colpita da un incendio dalle cause ignote che uccide 99 operai, circa un terzo dei lavoratori totali della fabbrica. L’impianto chiude, così come tutte le attività annesse, molti abitanti
lasciano la città, che torna ad essere un paese di coltivatori e allevatori.


lunedì 24 agosto 2020

Nata il 24 agosto: Jean Rhys



Il 24 agosto 1894 nasceva a Roseau, capitale di Dominica (Piccole Antille), Ella Gwendolen Rees Williams, più nota con lo pseudonimo di Jean Rhys, morta a Exeter (Devonshire) il 14 maggio 1979. 
Nelle Indie occidentali la schiavitù non fu abolita fino al 1834. Dopo aver apertamente difeso i diritti della popolazione indigena e aver criticato la classe dirigente bianca, Rhys fu chiamata la "socialista Gwen".

Diplomatasi presso la Royal Academy of Dramatic Art di Londra, negli anni fra le due guerre visse per un po' a Parigi - dove ebbe modo di frequentare numerosi circoli culturali e d'incontrare artisti e scrittori, fra i quali J. Joyce, E. Hemingway, e F.M. Ford, - per poi stabilirsi definitivamente in Gran Bretagna.

Ha avuto tre mariti: Jean Lenglet, Leslie Tilden-Smith, Max Hamer.

Due dei suoi tre consorti sono finiti in prigione. 
Nel 1919 sposò il giornalista e cantautore Jean Lenglet, incarcerato nel 1924 per transazioni finanziarie illegali. 
Il suo terzo marito, l'avvocato Max Hamer, ha trascorso la maggior parte del tempo in prigione, probabilmente per reati simili. 
Nel 1949, la stessa Rhys, che ormai era diventata dipendente dall'alcol, fu arrestata per aver aggredito i suoi vicini.

Negli anni '20, mentre Rhys si trovava a Parigi, ebbe una relazione amorosa con lo scrittore Ford Madox Ford, sebbene quest'ultimo fosse già sposato con la pittrice Stella Bowen; Ford si accorse del talento narrativo dell'amante e la incoraggiò a continuare a scrivere. La loro relazione durò un anno e mezzo.

Il suo libro più celebre è sicuramente Wide Sargasso Sea (1966), nato dopo aver letto Jane Eyre, regalo di compleanno da parte del suo secondo marito. La prima versione del romanzo si chiamava Le  Revenant e la Rhys ne bruciò il manoscritto dopo aver litigato con suo marito. In seguito, pensò di chiamarlo La prima signora Rochester, con tutto il rispetto per Charlotte Brontë - precisò lei stessa -, ma evidentemente poi cambiò ancora idea.

Jean Rhys aveva l'abitudine di scomparire dalle scene anche per lunghi periodi di tempo. Più di una volta dai giornali è stata data per morta; ad es. il consulente letterario della casa editrice André Deutsch, avendo saputo della presunta morte dell'autrice in un sanatorio, nel 1950 si riferì a lei in un articolo come "la defunta Jean Rhys"; stesso "errore" anche per la BBC, che una volta dichiarò che la Rhys era morta durante la guerra.

I temi ricorrenti nelle sue opere sono in particolare: l'emarginazione, la solitudine, le crisi interiori, le frustrazioni delle donne nella società del tempo. 
Le sue eroine, non riconducibili a identità ben definite in termini di classe sociale, origini e nazionalità, sono quasi sempre delle donne molto inquiete, emarginate, consapevoli di come questo crei loro delle difficoltà in seno alla società in cui vivono, alla quale non riescono a conformarsi.
Nei suoi scritti, se il mondo occidentale viene descritto come arido e crudele, quello delle Indie occidentali - lì dove ha vissuto infanzia e fanciullezza - è associato a concetti di solidarietà umana, senso della vita e una natura amica e rigogliosa. 

Tra le sue opere ricordiamo:

Quartetto (Adelphi)
Addio, Mr Mackenzie (Adelphi)
Viaggio nel buio (Giunti) 
Buongiorno mezzanotte (Bompiani)
Il grande mare dei sargassi (Adelphi)
Io una volta abitavo qui (Adelphi)






Fonti consultate:


Il Libraio
Treccani

domenica 23 agosto 2020

Recensione: "Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea" di Suad Amiry

 

In questo libro, che è sì un romanzo ma racconta fatti realmente accaduti e di persone realmente esistite, Suad Amiry, con la grazia e l'ironia che le sono proprie, ci parla di amore, di dolore, di sopraffazioni, affidandosi alla forza dei ricordi di chi la Nakba (catastrofe) e la Shatat (diaspora) le ha vissute sulla propria pelle.

Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea
di Suad Amiry

Ed. Mondadori
trad. S. Folin
240 pp
18 euro
Giugno 2020


A mio padre. 
E a tutti coloro che sono morti 
nella diaspora, “fi il shatat”, 
mentre aspettavano di tornare a casa.

É il 1947 e a Giaffa - fiorente città della Palestina, con le sue strade  affollate pervase dall'inebriante profumo di caffè, i suoi mercati vivaci e il suo mare pescoso, chiusa da distese immense di aranceti profumati - vive il quindicenne Subhi.

Il ragazzo lavora come meccanico ed è bravissimo e apprezzato da tutti, tanto che un giorno Khawaja Michael, un ricco imprenditore che esporta le famose arance di Giaffa in tutto il mondo, gli chiede di sistemargli una pompa d’irrigazione nella propria bayyara, la piantagione di arance; Subhi individua il problema e lo risolve in poco tempo, attirandosi i complimenti pieni di entusiasmo dell'uomo d’affari.

Questi, in segno di riconoscenza, gli fa un regalo: paga un sarto che gli confezioni un abito inglese in lana di Manchester. 

Il pensiero di poter finalmente possedere un abito di ottima fattura rende il giovanotto allegro ed eccitato, soprattutto perché, con quel bel biglietto da visita, sente di poter trovare il coraggio di dichiararsi alla ragazza di cui è innamorato - Shams, figlia di modesti contadini - e chiederla in sposa.

Certo, la "promessa sposa" è molto giovane (tredici anni) e forse il padre potrebbe non dare il permesso per le nozze, ma per Subhi questo non è un grosso ostacolo: lui è un sognatore e nella sua testolina già si vede a braccetto con la bella Shams, che lui è sicuro di sposare, un giorno.

Ma l'abito non è soltanto ciò che gli permetterà di fare bella figura con l'amata; rappresenta per lui anche una sorta di lasciapassare, grazie al quale egli si sente più sicuro di sé, matura una nuova consapevolezza di chi è e vuol diventare, e si sente pronto a frequentare la gente ricca della città, mescolandosi ad essa senza sentirsi inferiore.

Ad aiutarlo a disinibirsi ci pensa lo zio Habeeb, un uomo allegro, amante della vita e dei suoi piaceri, che lo esorta a concedersi momenti di passione per soddisfare i bollenti spiriti con donne esperte nell'ars amatoria.

E finalmente arriva anche il momento tanto atteso e le strade di Subhi e Shams si incrociano: il ragazzo fa amicizia con il fratellino di lei e lo aiuta a costruire un aquilone, e presto si aggiungono tanti altri bambini, tutti entusiasti all'idea di far volare i loro coloratissimi aquiloni nel cielo, come una multiforme e vivace danza celeste.
I due adolescenti riescono a trascorrere dei giorni insieme, si piacciono e sentono una innegabile, seppur acerba, attrazione l'uno per l'altra. 
C'è posto per loro, nel mondo, e per quel sentimento che in lui già da un po' esplode in petto mentre per lei è una scintilla appena nata?

Purtroppo, il futuro non promette nulla di buono; non passerà molto tempo che il cielo della Palestina sarà costretto a dimenticare l'allegria degli aquiloni colorati e delle risate dei bambini, per essere straziato da ben altri rumori, da grida di disperazione e paura, e dal grigiore del fumo e della morte.

La storia del giovanissimo Subhi inizia quasi come una favola e ci viene narrata con una leggera e piacevole ironia, adatta al protagonista, un adolescente che ha sogni e speranze come qualsiasi altro ragazzo della sua età.

Ma Subhi è nato e vive in una terra segnata da conflitti e tensioni e di lì a qualche mese su di lui, come su tutto il popolo palestinese, si abbatterà una tragedia.
Una catastrofe. Nakba.

Nella primavera del 1948 il governo britannico, dopo venti anni, pone ufficialmente fine al mandato sulla Palestina, dichiarando che avrebbe ritirato le truppe il 14 maggio 1948 a mezzanotte; il famoso Piano di partizione dell’Onu non era affar loro ma tutto ormai sarebbe stato in mano alla milizia sionista.

La decisione degli inglesi non può che fomentare le già forti tensioni tra gli ebrei, ormai sempre più numerosi, e i residenti palestinesi. 

La situazione precipita e quando arriva l’attacco deliberato da parte delle forze israeliane - ben equipaggiate dalla Gran Bretagna - Giaffa, la "Sposa del Mare", viene bombardata senza pietà, occupata militarmente e ridotta ad una città fantasma. 

"La paura prese il sopravvento. Uno strano silenzio calò sulla città come un drappo nero. C’era un’immobilità sospesa, un’oscurità appiccicosa che affaticava il passo, i gesti, i pensieri, e somigliava alla rassegnazione."


Traditi gli accordi, centinaia di famiglie vengono cacciate via dalle proprie case, vengono disperse e separate, gli aranceti sono espropriati, la vita quotidiana è sfigurata da uno stato di polizia. E in quel teatro di caos e di morte non resta che cercare di fuggire per provare a salvarsi. 

"Invece degli stormi di uccelli, a riempire il cielo di Giaffa nella sua ultima primavera fu una raffica di ventimila proiettili, che la colpirono al cuore per tre giorni consecutivi, indiscriminatamente, fino a metterla in ginocchio. (...) Caddero sugli ospedali e confusero i morti con i vivi e i bisognosi di cure. 
(...) Nessun rumore se non quello che riempiva il cielo azzurro di grigio, di fumo, di morte. E morti e feriti furono abbandonati per strada. Gli altri, quelli che non restavano a terra, si davano alla fuga, come potevano. E allora sì, si sentivano voci e grida, ma soffocate: scappa, fuggi, mettiti in salvo, o entrerai anche tu nel regno dei morti. (...) E nel teatro di tanta distruzione si avvertiva il fruscio della paura, la violenza dei saccheggi, delle aggressioni, la vergogna delle rapine. Niente più acqua, niente luce, niente benzina. Non c’era un forno per fare il pane, non un negozio per comprare farina. La città era una macchina che aveva smesso di funzionare."

Subhi si guarda attorno desolato e spaventato: che ne è della sua vita nella sua amata città delle arance? Che ne è del suo lavoro e del suo futuro di "miglior meccanico della città"? Che ne è della famiglia? E Shams? Che ne sarà del loro amore, che non ha avuto neppure il tempo di sbocciare?

"Scomparso, pensava ossessivamente. È tutto scomparso. La sua famiglia, la sua casa, scomparse. I vicini, il quartiere, scomparsi. (...) E, soprattutto, era scomparsa Shams. A cosa gli serviva l’abito inglese adesso che sposarsi era diventato un sogno impossibile? (...) 
Era scomparsa Giaffa, “la Madre dei Forestieri”. Adesso la straniera era lei. Il 9 maggio era stata dichiarata “città aperta”. Per Subhi quell’espressione evocava l’immagine di uno stupro. Sì, Yaffa ‘Arous el Bahar, Giaffa la Sposa del Mare, era stata violentata, disonorata."

Il racconto delle vicende che vedono coinvolto Subhi, la sua famiglia, i suoi amici, il suo popolo, perdono la freschezza e la spensieratezza iniziali per lasciare il posto allo smarrimento, alla paura, all'impotenza, al pianto, alla rabbia, alle ingiustizie perpetrate dalle forze occupanti.

E mentre Subhi, lontano dai propri cari, cerca di sopravvivere nel ghetto in cui è confinato insieme ad altri sfollati, i riflettori si spostano su Shams.
Anche lei è stata separata dai famigliari ed è rimasta sola con le sorelline minori, in balia della confusione e del terrore; leggiamo in che modo, nell'arco di un mese, anche la sua esistenza sia stata ovviamente stravolta e come, almeno apparentemente, i guai siano iniziati a motivo di... una mucca!
Sì, una mucca... ebrea!

"Una mucca è semplicemente una mucca", direte voi, "che senso ha etichettarla come ebrea o araba?", e avreste ragione; ma evidentemente, quando è il sadismo a guidare le azioni, per accusare qualcuno - che è già in una posizione di "svantaggio" - basta anche una motivazione surreale come quella di aver rubato e mangiato un ovino che apparteneva (presumibilmente, perché pure a voler chiedere informazioni all'animale....) a qualcun altro per dar vita ad una sfilza di soprusi e umiliazioni.*

«Maledetta la vostra mucca ebrea! Se ci punite per aver rubato una mucca, cosa vi meritate voi per aver rubato una nazione intera?»

Shams e le sorelline vivranno una serie di situazioni drammatiche ma riceveranno aiuto da persone che, almeno in teoria, non dovrebbero essere loro amiche.

"Avevano (...) imparato che passaporto e religione non hanno niente a che fare con la struggente bellezza delle anime generose."

Cosa accadrà a Subhi e Shams, due ragazzi con sogni, ambizioni, speranze..., frantumati davanti alla furia cieca di chi arriva per conquistare la terra in cui vivi e per scacciarti come se l'intruso fossi tu?

Tra queste pagine, si passa da una narrazione - come dicevo più su - leggera e vivace, che si sofferma sulle vicende quotidiane di protagonisti che vivono un'esistenza piuttosto serena e "normale", ad una drammatica, come può esserlo il racconto di una delle tragedie umane più brutte del nostro tempo e che vede coinvolto un intero popolo.

"I loro figli, e i figli dei loro figli, si aggirano ancora oggi in quelle terre sconosciute, lontano da casa."


Suad Amiry si è delicatamente appoggiata ad una storia d'amore adolescenziale per narrarci, con realismo ed un pizzico di humor, cosa è accaduto da quando, a partire da 29 novembre 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 181, che sanciva la divisione della Palestina sotto mandato britannico in due Stati, uno arabo e uno ebraico, delimitandone i confini.

Attraverso di lei il lettore viene trasportato, per quanto solo con l'immaginazione, in una terra segnata in modo indelebile dalle atrocità, dalla morte e dalla desolazione, dove interi villaggi vennero sfollati, le città rase al suolo, i floridi mercati resi deserti, i negozi tristemente vuoti, le ville abbandonate, le famiglie distrutte, e tanti... troppi cuori spezzati.

Shams e Subhi mi hanno fatto tanta tenerezza: due ragazzi così giovani, le cui esistenze sono state investite letteralmente da una guerra che ha strappato loro affetti e desideri.

Lei, che a un certo punto diventa quasi una madre per le proprie sorelle, di cui deve prendersi cura in attesa di riabbracciare - chissà! - la propria famiglia, e con la speranza che intanto qualche anima pia venga in loro soccorso.
E lui, Subhi, il meccanico più giovane e promettente di Giaffa, si ritrova aggrappato, come fosse un salvagente, al suo abito inglese, e pur essendo ormai ridotto a brandelli che rispecchiano in tutto e per tutto il suo stato d’animo, esso è altresì la manifestazione tangibile dei suoi sogni e dei suoi sentimenti, nonostante la tragedia che lo ha colto.

"Non sapeva se ciò che andava cercando fosse il suo passato o il suo futuro, ma una cosa era certa: il presente gli era insopportabile."

Immaginiamo anche soltanto un po' cosa possa voler dire vedersi strappato brutalmente ciò che ti appartiene - materialmente e non solo? Riusciamo a sentire lo spaesamento, l'inevitabile rabbia impotente, la paura, la disperazione, il dolore... di chi ha vissuto questa nakba?

«Lontano da casa non si è mai a casa.» Ripeteva questa frase come un mantra. E poi aggiungeva: «A casa tua muori una volta sola. Ma fi il ghurbeh, in esilio, muori ogni giorno, per tutta la vita.»


La scrittrice palestinese Suad Amiry, figlia di rifugiati in Giordania, è cresciuta vedendo la speranza – ma anche il dolore – di suo padre che sognava di tornare a casa sua a Giaffa, che lei ha visitato solo negli anni '80;  ciò che ha scritto di questa città è frutto del racconto e delle testimonianze di che ha vissuto la Nakba in prima persona, quando nel 1948 nove palestinesi su dieci furono cacciati dalle loro case nella Palestina storica diventata Israele; suo padre era uno dei tanti sfollati.
E tra queste voci da lei ascoltate e che l'hanno guidata nella narrazione ci sono proprio Subhi e Shams, che sono realmente esistiti:  nei loro occhi, nei racconti di un orrore vissuto sulla propria pelle, l'autrice ha potuto vedere una malinconica dolcezza e una grande capacità di perdonare, non lasciandosi logorare dall'odio, che pure avrebbe avuto le sue ragioni per mettere radici.

Suad Amiry si è fatta hakawati, narratrice di una storia di amore e dolore; un dolore che va raccontato perché - anche se a volte le parole non danno conto appieno delle sofferenze provate - la Storia passa anche attraverso di esse, per questo le parole sono fondamentali  per conservare la memoria di ciò che è stato.
E in questo libro si è scelto di lasciare molte parole in arabo e di scriverne subito affianco il significato, permettendo così al lettore di assaporarne la carica evocativa e rafforzandone il significato.

Un romanzo tratto dalla piccola storia vera di due persone comuni e molto giovani, attraverso le quale l'Autrice ha raccontato anche la storia di un intero popolo,quello palestinese. Il suo popolo.




* Questo episodio di una mucca rubata, del cui furto l'oppresso deve rendere conto all'oppressore, mi ha rimandato con la memoria ad un altro luogo, un'altra storia, un altro popolo, anch'esso cacciato, perseguitato, costretto a lasciare la propria terra perchè i "conquistatori" si sono sentiti in diritto di prendersi ciò che non gli spettava neppure lontanamente. In quel caso, da quella mucca mangiata dai pellerossa e sottratta ad un mormone, si scatenò un'ondata di battaglie sanguinose, volte a sterminare gli indiani d'America.   

venerdì 21 agosto 2020

Giochiamo con i titoli dei libri


Piccole poesie con i titoli dei libri ^_- 



Io e te,
persone normali,
volevamo andare lontano:
una vita come tante, giorni e notti fatti di piccole cose.

Se tu vai via, porti il mio cuore con te:
da qualche parte starò fermo ad aspettare te,

Non esistono posti lontani e
un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra.

Abbiamo un bacio in sospeso (io e te).


(Autori: N. Ammaniti, S. Rooney, D. Speck, H. Yanagihara, T. Doshi, S. Gianatti, L. Stroppa, F. Faggiani, C. Durastanti, R. Bertoldi).



-




Ti ho dato un bacio mentre dormivi.
Se ti abbraccio non aver paura!
Dormi stanotte sul mio cuore
e fai bei sogni!



(Autori: G. P. De Crescenzo, F. Ervas, E. Galiano, M. Gramellini)

giovedì 20 agosto 2020

Libri in wishlist (agosto 2020)



Libri che vorrei leggere: nel primo si narra del terribile - e di cui poco si parla - genocidio del popolo armeno, visto con gli occhi di una bambina che ha vissuto in prima persona la tragedia; nel secondo si parla di disagio psichico; il terzo affronta il tema della memoria, del ricordo, e della ricerca delle proprie radici.


Le stanze di lavanda. 
Il romanzo di un'infanzia armena 
di Ondine Khayat

-
«Sono nata ricca, ma ho visto la mia fortuna involarsi come uno stormo d’uccelli. Soltanto i miei ricordi mi appartengono, sono tante fragili tracce impresse dentro di me. Certi giorni, il sole le illumina; certe notti, rimangono intrappolate in una tempesta di ghiaccio.
Vivevamo a Marache, in Turchia, al confine con la Siria. È lì che sono venuta al mondo nel 1901. Mio nonno, Joseph Kerkorian, era armeno. Un uomo importante e saggio, solido come una roccia. 
Se, dopo l’inferno che ho conosciuto, dentro di me è rimasta una particella di fiducia nell’umanità, è grazie a lui.
Avevamo una casa magnifica, e un immenso giardino dai fiori di mille colori. Sono stata amata da mio padre, dalla mamma dai baci di lavanda, dalla sorellina Marie, dal mio impetuoso fratello Pierre e da Prescott, il nostro gatto armeno con un nome da lord inglese. 
E da Gil, il piccolo orfano ribelle che un giorno, sotto il salice piangente, mi ha dato il mio primo bacio. 
Erano giorni immensi, eppure non potevano contenerci tutti.
Nell’aprile 1915, il governo turco ha preso la decisione che ha precipitato le nostre vite nell’orrore: gli armeni dovevano sparire.
Può un cuore dilaniato continuare a battere? E un giardino devastato dare nuovi fiori? Come posso donare ancora, proprio io, a cui hanno tolto tutto? Ascolta Joraya, mia adorata nipote, il racconto di una vita mille volte dispersa.»

L'autrice.
Ondine Khayat è nata nel 1974 da madre francese e padre armeno. Attualmente vive a Parigi, dove collabora con varie ONG per la realizzazione di progetti umanitari. Per Piemme ha pubblicato Le stanze di lavanda e Il paese senza adulti.



IL MANICOMIO DEI BAMBINI.
Storie di istituzionalizzazione
di Alberto Gaino


Ed. Gruppo abele
224 pp
"Avevo tre anni quando un’assistente sociale mi portò a Villa Azzurra che di quel colore non aveva proprio nulla. Ci finii perché quella buona donna di mia mamma mi aveva avuto da un uomo che della paternità se ne infischiò allegramente, non l’ho mai incontrato. Lei era giovane e sola…"

Comincia così, con una storia terribilmente simile a molte altre, questo libro scritto per non dimenticare. 
Raccogliendo le cronache e le testimonianze di chi ha trascorso la propria infanzia dentro i manicomi, Alberto Gaino costruisce un racconto di quello che avveniva fra gli anni ’60 e ’70, prima della Legge Basaglia del 1978, senza tuttavia trascurare il presente e il futuro del disagio psichico, spostando l’analisi sui tagli ai servizi pubblici, sulla metamorfosi dei vecchi istituti, fino agli abusi degli interventi psichiatrici. 
In questo scenario, si allarga lo sguardo sulle odierne forme di disagio psichico giovanile e sull’adeguatezza ed efficacia degli interventi da parte della società.





VOGLIO SAPPIATE CHE CI SIAMO ANCORA
di Esther Safran Foer


Guanda
288 pp
Esther Safran Foer è cresciuta in una casa in cui il passato faceva troppa paura per poterne parlare. 
Figlia di genitori immigrati negli Stati Uniti dopo essere sopravvissuti allo sterminio delle rispettive famiglie, per Esther l’Olocausto è sempre stato un’ombra pronta a oscurare la vita di tutti i giorni, una presenza quasi concreta, ma a cui era vietato dare un nome. 
Anche da adulta, pur essendo riuscita a trovare soddisfazione nel lavoro, a sposarsi e a crescere tre figli, ha sempre sentito il bisogno di colmare il vuoto delle memorie famigliari. 
Fino al giorno in cui sua madre si è lasciata sfuggire una rivelazione sconvolgente. Esther ha deciso allora di partire alla ricerca dei luoghi in cui aveva vissuto e si era nascosto suo padre durante la guerra, e delle tracce di una sorella di cui aveva sempre ignorato l’esistenza. 
A guidarla, solo una vecchia foto in bianco e nero e una mappa disegnata a mano. 
Quello che scoprirà durante il suo viaggio in Ucraina – lo stesso percorso che Jonathan Safran Foer ha immaginato per il protagonista del suo romanzo, Ogni cosa è illuminata – non solo aprirà nuove porte sul passato, ma le concederà, finalmente, la possibilità di ritrovare se stessa e le sue radici

L'autrice.
Esther Safran Foer è stata per anni a capo del centro di cultura ebraica Sixth & I. Vive a Washington con il marito Bert e insieme hanno tre figli – Franklin, Jonathan e ­Joshua – e sei nipoti.

mercoledì 19 agosto 2020

Anteprime Amazon Original Books: "Un'estate a piedi nudi" di Carolyn Brown || "Una scelta sofferta" di Catherine Ryan Hyde



Cari lettori, vi presento due anteprime Amazon Original Books!

Il primo romanzo è adattissimo per questa stagione e racconta di tre donne che restano vedove... dello stesso marito!! Ritrovandosi a vivere sotto lo stesso tetto, cosa combineranno?

Il secondo libro ha sfumature decisamente più drammatiche e vede al centro il rapporto fra tre fratelli, e i segreti di uno di loro rischieranno di dividerli.



Un’estate a piedi nudi 
di Carolyn Brown



31a pp
4,99€ eBook 
9,99€ cartaceo
USCITA
25 AGOSTO 2020
La strana estate di tre donne che non hanno nulla in comune, a parte il marito defunto

La ricca e affascinante Kate Steele sapeva che il marito Conrad era un truffatore, e per questo lo ha piantato anni fa; ma non immaginava che la sua arma principale fosse la poligamia. 
Oltre a lei, infatti, il defunto marito ha lasciato altre due vedove. Jamie, una donna latina tutta d’un pezzo, che gli ha dato anche una figlia. E poi Amanda, incinta di sette mesi e disperata per aver perso il maritino.

Conrad aveva un cottage vicino a Bootleg, paesino agricolo del Texas: ognuna delle tre donne è certa di averlo ora ereditato. 
Così, quando Kate, Jamie e Amanda si ritrovano per caso insieme sotto quello stesso tetto, la calda estate appena iniziata rischia di diventare infuocata. 
Anche perché uno zelante detective di Dallas è convinto che almeno una delle vedove abbia a che fare con la morte di Conrad.

Le iniziali scintille tra le tre inaspettate coinquiline lasciano presto il posto alla voglia di conoscersi meglio e alle serate di chiacchiere in veranda. E in questa assurda situazione, fatta anche di feste di paese e atmosfere country-west, tutte e tre scopriranno di voler dare una svolta alle loro vite.

L'autrice.
Carolyn Brown ha scritto numerosi romanzi di successo che sono entrati nelle più importanti classifiche americane di bestseller (New York Times, Wall Street Journal, Washington Post) e hanno ricevuto premi e riconoscimenti dalla critica. Ha al suo attivo più di novanta opere ed è tradotta in molte lingue. I suoi ultimi romanzi sono storie rosa, ironiche e romantiche, spesso ambientate in atmosfere country. Vive nel South Oklahoma con il marito, un professore d’inglese in pensione. Hanno tre figli e un numero di nipoti sufficiente a mantenerli giovani
.



Una scelta sofferta 
di Catherine Ryan Hyde


351 pp
4,99€ eBook
9,99€ cartaceo
USCITA
8 SETTEMBRE 2020


Mai pensare che la vita ci offra possibilità infinite

Ruth e Aubrey sono adolescenti quando Joseph, il fratello maggiore, parte per l’Iraq. Al suo ritorno a casa, illeso, soltanto tre mesi e mezzo dopo, Ruth non può che essere felice. Prima di scoprire che Joseph è stato congedato per condotta disonorevole.
Nonostante la tempesta mediatica che si scatena, Aubrey, il minore dei tre, continua a credere che il suo eroe sia senza macchia. Finché Joseph scompare senza dare più notizie di sé.

Inizia così il viaggio di Ruth e Aubrey sulle tracce del fratello. Scopriranno che il passato di Joseph è più oscuro di quanto immaginassero, ma rimarranno senza risposta le domande più dolorose: perché ha tradito il suo Paese? Perché ha tradito la sua famiglia?

L’impatto dirompente della decisione di Joseph, quella notte a Bagdad, si ripercuoterà su tutti loro negli anni a venire, lasciando i due fratelli divisi tra l’amore e il risentimento verso di lui, perché trovare il modo di perdonarlo sembra proprio un’impresa disperata.


L'autrice.
Catherine Ryan Hyde ha pubblicato numerosi romanzi e raccolte di racconti che nel corso degli anni hanno sempre conquistato il favore dei lettori americani ed europei e ricevuto i massimi riconoscimenti della critica e delle giurie dei premi letterari. Appassionata viaggiatrice ed escursionista, fotografa di talento, il suo romanzo più celebre, La formula del cuore (Piemme 2000), è stato tradotto in oltre 23 lingue e da esso è stato tratto un film con Kevin Spacey (Un sogno per domani). Il talento letterario e la sensibilità psicologica di Catherine Ryan Hyde si esprimono spesso attraverso uno sguardo partecipe e affettuoso per il mondo dei più giovani. Per Amazon Crossing ha pubblicato Affetti straordinari, In viaggio con August, Il cammino verso casa, Worthy e Allie e Bea.

martedì 18 agosto 2020

Recensione: L'IRA DI VENERE di Piergiorgio Pulixi



In questi venti racconti noir, attraversati tutti da un'atmosfera drammatica e intrisa di amarezza, la protagonista assoluta è la Donna, in tutte le sue sfaccettature, con tutti i suoi contrasti - ora dea dell'Amore, ora dea della Vendetta -, con le luci e le ombre, la forza e le fragilità, che è capace di racchiudere in se stessa.


L'IRA DI VENERE
di Piergiorgio Pulixi



Ed. CentoAutori
329 pp
"Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle."

Mentre leggevo il libro mi è venuta in mente questa celebre e suggestiva frase e ho pensato al contrasto tra quest'immagine romantica e luminosa dell'arcobaleno e delle ali di farfalle con quello che è l'universo femminile rappresentato dalle protagoniste di questi racconti.

Non sempre la vita è per tutte le donne così scintillante di felicità e gratificazioni da rievocare questo tipo di associazione, tutt'altro: le "donne di Pulixi" sono un oceano di contraddizioni, debolezze, lacrime amare; racchiudono e nascondono tra le pieghe delle loro anime desideri di vendetta, follia, colpe da confessare; sono ora vittime ora carnefici, e non è semplice distinguere la linea di demarcazione tra questi due ruoli.

Alcune di queste sono donne la cui fragile mente è tormentata da ricordi, rimpianti, e che paiono ferme in un passato ormai immutabile e per questo, a modo suo, rassicurante; ci sono madri e figlie, vittime di amori malati e violenti; donne tradite, umiliate, che a un certo punto hanno abbandonato la via della ragione per incamminarsi in un labirinto criminale, perché stanche di subire soprusi dopo aver dato tanto amore a chi non lo meritava.
Sono mogli giovani e fiduciose, che compagni egoisti hanno tenuto "prigioniere" in una gabbia fatta di terrore e cattiverie; donne diaboliche, donne capaci di amare in modo incondizionato e di morire per questo, e altre che decidono coraggiosamente di tagliare i fili che le legano a relazioni sbagliate.

Le età delle protagonisti sono diverse: ci sono ragazze giovani, mamme, nonne e anche bambine, e ciascuna di esse è inserita in un contesto famigliare che, per qualche ragione, le soffoca, le fa soffrire, "le sta stretto" e le spinge a prendere decisioni drastiche per cercare di essere libere, di eliminare quel "peso" che impedisce loro di respirare.
Sono donne che non si tirano indietro dall'operare scelte anche moralmente discutibili, se - arrivate a un bivio importante della vita - questo può offrire loro una possibilità per essere felici, per allontanarsi dall'inferno in ci vivono, o anche solo per soddisfare un desiderio di rivalsa, di riscatto. 
Di giustizia personale.

Ad accomunare molti di questi racconti al femminile c'è la presenza del commissario Carla Rame, donna empatica, forte e compassionevole, poliziotta dalla profonda umanità che vive sulla propria pelle ogni caso come se ne andasse della propria vita. 
Carla vive il proprio lavoro come una missione e desidera assicurare alle vittime un minimo di giustizia, a qualsiasi costo, anche se questo può significare scendere a dei compromessi che gettano un'ombra sulla sua irreprensibilità.
La presenza di questo personaggio femminile mi è piaciuta molto in quanto Carla, pur dedicandosi anima e corpo a un lavoro che ama profondamente e che cerca di svolgere con serietà, non ci viene descritta come un'eroina infallibile, che non cede mai e che va dritta per la propria strada sempre e comunque, anzi: condivide con le altre donne le medesime insicurezze, incoerenze, paure, e il marcio (del singolo uomo come della società in generale) con cui ogni giorno è costretta a confrontarsi certo non può scivolarle addosso, ma al contrario la tocca molto da vicino.

Pur non essendo amante dei racconti (lo so, lo dico sempre tutte le volte che mi cimento col genere), ho trovato questi di Pulixi (scrittore noir tra i miei preferiti) belli e piacevoli da leggere, soprattutto perché confermano la grandissima sensibilità che l'autore ha nell'accostarsi all'universo femminile, da lui raccontato con una scrittura intensa e vivida, in tutta la sua complessità; donne capaci di amare senza risparmiarsi, ma anche di odiare con la stessa (pericolosa) intensità; piccoli frammenti di Donna, fragili come il vetro, e come esso anche taglienti, quando serve.

Ancora una volta ho avuto modo di apprezzare come Pulixi sappia addentrarsi nel territorio buio e oscuro che è l’animo umano, mettendo il lettore faccia a faccia con i lati e gli istinti più oscuri e tormentati che risiedono nell'essere umano, in questo caso in una galleria di personaggi femminili che la vita mette davanti a prove difficili.

lunedì 17 agosto 2020

Frammenti di... LA STESSA RABBIA NEGLI OCCHI, di Manuela Chiarottino

 

Ecco alcuni passaggi tratti da LA STESSA RABBIA NEGLI OCCHI di Manuela Chiarottino:


"Se potessi scegliere, abiterei in una casa isolata dalle altre, sopra le rocce, oppure in un faro abbandonato. Passerei il tempo a leggere, mentre all’orizzonte il sole e la luna si rincorrono, tuffandosi e riaffiorando dalle onde. Ogni tanto, quando l'aria è più fresca e la luce inizia a baluginare sullo sfondo o il sole scende al tramonto, sporcando di rosso il cielo, uscirei per passeggiare". 


"Vorremmo essere amati come noi amiamo. Forse di più. Vorremmo che gli altri si confidassero con noi, ma noi per primi non ci riusciamo. E poi vorremmo sentire proprio quelle parole che ci aspettiamo, quelle che ci siamo ripetuti cercando di perdonarci, altre volte di accusarci, ma se sono diverse potremmo non ascoltarle. Anche se sono più sincere. (...) non soppeserò mai il tuo cuore e non cercherò di curarti, ma solo di aiutarti a sopravvivere. Proprio come tu hai provato a fare con me. Vorrei farti capire che non mi fa paura la parte buia della tua anima, perché ne ho una anch’io. Non mi importa delle tue cicatrici, quelle che gli altri non vedono ma che marchiano la tua pelle tanto quanto la mia."


"...una volta ho letto che le lacrime sono come le impronte digitali, non ce ne sono due uguali al mondo. Eppure, se ne raccogliessimo dagli occhi delle persone che incontriamo per strada, magari in una giornata di vento, quando l’aria sbatte contro le ciglia, o da chi si commuove durante un film o per un regalo inaspettato, dagli innamorati respinti o abbandonati, che vagano col cuore straziato, non sapremmo distinguerle l’una dall’altra. Non sarebbero che minuscole gocce d’acqua salata, si confonderebbero tra loro, svanirebbero nel palmo della mano. Ma non è vero, sai, che avrebbero tutte lo stesso sapore." 


"Credevo che il mio cuore fosse occupato dal dolore e dal rimpianto, che non ci fosse più posto per altre cose, invece lui si è infilato, in silenzio. Giorno dopo giorno. Ha scavato un nascondiglio e non saprei più come stanarlo da lì. La sofferenza toglie spazio, la tristezza lo risucchia, ma il cuore si dilata nel petto e ci possono stare un sacco di cose. Anche un sentimento che nasce per caso, quando non volevi o non pensavi di volerlo".


"Penso a quanto male ci facciamo da soli, a quali gabbie costruiamo con le nostre mani senza saperne saperne poi uscire. Alle parole non dette, alle paure non confessate, ai segreti di carta che diventano piombo. E poi penso a come siano più facili un abbraccio, una mano sulla spalla, un sorriso. Invece ci blocchiamo per l’imbarazzo o la vergogna...".
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