martedì 27 agosto 2019

Recensione: TRE PIANI di Eshkol Nevo



Tre storie differenti, tre gruppi di persone che abitano in tre diversi piani di un palazzo a Tel Aviv,  si conoscono, si incrociano per pochi attimi ma le loro esistenze scorrono parallelamente le une alle altre, chiuse dietro le porte dei loro appartamenti, a consumare tradimenti, a crogiolarsi nella propria solitudine, nel proprio dolore... e chissà, anche a sognare giorni migliori.


TRE PIANI 
di Eshkol Nevo


Ed. Neri Pozza
trad. O. Bannet e R. Scardi
253 pp
17 euro
"non si può mai sapere cosa succede dietro una porta blindata."

Siamo in Israele, nei pressi di Tel Aviv, in una tranquilla palazzina borghese di tre piani,  dove regnano la pace assoluta e l'ordine più perfetto.
Ma, come non di rado accade, è tutta apparenza.
Eh già, perché in realtà, dietro quelle porte blindate, la vita non è così perfettina e serena come sembra.

Conosciamo, nel corso dei tre capitoli, le persone che vivono ad ogni piano, a cominciare dalla coppia che abita al primo: Arnon e Ayelet, genitori di due bimbe, Ofri e Yaeli; se la piccola è la cocca di mamma, la prima è la cocca di papà.
Ofri è una bimba buona, taciturna, un po' con la testa fra le nuvole, con pochi amici, timida, e questo suo modo di essere chiuso ed eccessivamente mite pare irritare esageratamente la madre, una donna pratica, intelligente, sveglia, schietta (è avvocato), che alla prima occasione non manca di usare espressioni di scherno e parole pungenti verso la figlia maggiore, come se a malapena la sopportasse.
Arnon conosce questo difficile rapporto madre-figlia e, notando come la sensibile Ofri ne soffra, cerca di darle quelle attenzioni, quella tenerezza e quell'affetto di cui sua moglie è avara.

Quando la coppia ha esigenza di prendersi del tempo per sè, ha preso l'abitudine di portare Ofri dai vicini, una coppia anziana di origine tedesca e in pensione.
Ruth e Hermann sono persone educate e gentili, amano i bambini (hanno dei nipoti) e sono ben felici di fare da baby-sitter alla dolce Ofri e prendersi cura di lei.

Tutto sembra procedere piuttosto bene, fino a quando non accadono due fatti che danno uno scossone alla tranquilla esistenza borghese della coppia.
Un giorno Hermann - il caro e buon Hermann, il quale tiene Ofri sulle ginocchia e le chiede un bacino ogni volta che la vede -, che da un po' ha cominciato a mostrare i primi sintomi dell’Alzheimer (la ragazzina lo definisce "guasto", parlandone con i genitori) «rapisce» Ofri per un pomeriggio, gettando tutti nel panico e scatenando una furia incontenibile in Arnon, che matura la convinzione che dietro quel gesto, in apparenza dettato dalla malattia, si celi ben altro.
E se le attenzioni dell'anziano tedesco nascondessero qualcosa di torbido? Come si è comportato con Ofri in quelle ore in cui sono "scomparsi" e sono rimasti soli?
È una coincidenza che dopo quel maledetto pomeriggio, la piccola Ofri si sia chiusa in un preoccupante silenzio e in una serie di comportamenti strani?

Il secondo avvenimento che turba e mette in crisi l'impulsivo Arnon è costituito dalla presenza di una donna che, in poco tempo, stuzzica le fantasie dell'uomo e tutti quegli istinti e desideri repressi che, in un periodo di pressioni e stress, emergono senza freni...

Al secondo piano c'è Hani, giovane madre di due bambini e moglie di Assaf, costantemente all’estero per lavoro; la donna combatte la sua personale e silenziosa battaglia contro la solitudine e lo spettro della follia e ne seguiamo le elucubrazioni e le vicissitudini facendo i conti proprio con questa sua personalità fragile e complicata.
Sua madre è ricoverata in un ospedale psichiatrico e il pensiero che il seme della pazzia sia presente anche in lei la terrorizza.
A insinuarle dubbi sulla propria salute mentale interviene improvvisamente l'arrivo di una persona inaspettata: Eviatar, il cognato che non vede da dieci anni, bussa alla sua porta e le chiede di aiutarlo a nascondersi da creditori e malintenzionati con cui è finito nei guai e ai quali deve molti soldi.
Hani sa che i due fratelli si detestano e non hanno rapporti, eppure non esita a ospitarlo, aiutandolo, ma in verità è un modo per aiutare se stessa a non impazzire.
Hani vede in Eviatar ciò che vorrebbe ci fosse in Assaf: il cognato la comprende senza bisogno di troppe parole, è affettuoso coi nipoti, e soprattutto c'è qualcosa in lui che lo rende desiderabile, seducente...
Eppure, dopo che lui se n'è andato, il dubbio che l'arrivo di Eviatar sia frutto della propria immaginazione e dei desideri del suo Io, l'assale...
Come fare per toglierselo e chiarire a se stessa di non essere matta, ben sapendo che non è impossibile che lei abbia delle allucinazioni, a cominciare da quella dei barbagianni appollaiati sull'albero fuori dalla finestra di casa, che la guardano e le parlano...?

Terzo piano: Devora è una donna di sessant'anni, giudice in pensione e da poco vedova dell'amato marito Michael (anch'egli ex-giudice).
La scomparsa del coniuge, con cui ha condiviso una vita, gioie e dolori, soddisfazioni e amarezze, è troppo grande da sopportare, così, per non crollare del tutto sotto il peso della solitudine, ha un'idea: continuare a parlare con lui, e per farlo si serve di una vecchia segreteria telefonica appartenutagli. Nel racconto di ciò che pensa e fa durante il giorno, di come occupa la quotidianità, così piatta e priva di grosse novità, inevitabilmente Devora fa anche dei salti indietro nel tempo, così sappiamo che la coppia ha un figlio, Adar, con cui però ha smesso di avere relazioni quando questi era molto giovane.
Adar ha mostrato sin da piccolo una propensione alla ribellione e all'insofferenza alle regole, e questa inclinazione ha trovato, come è  facile immaginare, una netta opposizione da parte dei genitori, che per mestiere erano abituati a "valutare indizi e prove", a emettere sentenze e condanne, a dare giudizi, a punire, e questo modo di fare l'hanno portato anche tra le mura di casa, schiacciando il loro unico figlio col peso di un'educazione morale rigida, inflessibile, per quanto senza dubbio onesta e integerrima.
Questo rigore intransigente si manifesta in modo evidente quando Adar commette un'azione scellerata e si ribella con foga a questi genitori che non lo sostengono, ma anzi lo condannano senza mezzi termini, fino ad arrivare ad una rottura definitiva con loro.
Per non lasciarsi sopraffare dai ricordi, una mattina Devora esce di casa e, per una serie di circostanze, conosce un uomo suo coetaneo, Avner, il quale risveglia in lei pensieri e desideri che credeva fossero morti con Michael; inoltre, quest'uomo misterioso e sicuro di sè sembra conoscere piccoli particolari di lei e, a un certo punto, le fa una richiesta singolare...

Tutte e tre le storie hanno in comune il modo in cui l'Autore ha scelto che arrivassero a noi: sotto forma di confidenze, come degli sfoghi intimi, privati che i tre narratori (e principali protagonisti delle vicende) decidono di raccontare a una persona in particolare: Arnon, infatti, si sta sfogando con un amico scrittore, che lui sa essere molto comprensivo e con cui è in confidenza; Hani scrive una lunga lettera ad una cara amica con cui ha sempre avuto un legame fortissimo e con cui si sente libera di essere se stessa, senza inibizioni e timori; di Devora abbiamo già detto che si rivolge al marito defunto, registrando la propria voce su una segreteria telefonica.

I tre sentono il bisogno di raccontarsi e confidarsi con un interlocutore che non li giudichi, non li condanni; attraverso queste narrazioni libere e prive di interferenze, i tre protagonisti (un po' come se fossero distesi su un lettino dallo psicanalista) possono essere loro stessi, senza paura, ma solo con il sincero desiderio di "capirci qualcosa in più" di quello che hanno vissuto o che stanno vivendo, di quello che sono e pensano.
Per non impazzire.
Per non lasciarsi fagocitare dalla solitudine.
Per guardarsi dall'esterno e comprendersi.

Del resto,

"... se non c’è nessuno ad ascoltare, allora non c’è nemmeno la storia. Se non c’è uno cosí, a cui svelare segreti, con cui sciorinare ricordi e consolarsi, allora si parla con la segreteria telefonica (...). L’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce".

Eshkol Nevo ha preso in prestito i tre fondamentali concetti della psicoanalisi (le tre diverse istanze della personalità secondo Sigmund Freud: Es, Io, Super-Io) per addentrarsi nel nocciolo delle relazioni umane, entrando oltre quelle porte blindate per scoprire cosa si nasconde dietro di esse, e descrivendo la vita di tre famiglie, con le loro singole storie, i bisogni inconfessati, la paura di sbagliare e di non meritare l'amore dell'altro, il desiderio di essere amati, la seduzione del tradimento, il sospetto nei confronti di chi non conosciamo, il timore di lasciarsi andare.

"...al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni e istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà. E al piano piú alto, il terzo, abita sua altezza il Super-Io, che ci richiama all’ordine con severità e ci impone di tenere conto dell’effetto delle nostre azioni sulla società."

"Tre piani" mi ha convinta per tanti aspetti: anzitutto lo stile, che è molto scorrevole, piacevolissimo, sa essere profondo, introspettivo pur conservando le sfumature di una leggera ironia; per le tematiche, che sono di quelle che, in un modo o in un altro, riguardano tutti noi (rapporti di coppia, rapporto genitori-figli, l'importanza data alla famiglia, alle regole morali...), e per come è strutturato: leggere ogni vicenda personale e famigliare è come entrare in tre cerchi separati che però, seppur di sfuggita e in un modo apparentemente insignificante, per qualche secondo si intersecano; dalla palazzina al singolo piano, dal piano all'appartamento, e una volta dentro casa, sbirciamo in cucina, in camera da letto, ovunque ci porti la voce narrante.
Eppure non mi sono sentita una "ladra", un'intrusa, perché in fondo le paure, le pulsioni, i timori, i pensieri inconfessabili e di cui ci si vergogna, i desideri ecc, di questo piccolo angolo di mondo sono comuni a tanti di noi, a prescindere dalle latitudini, dalla cultura, dall'età, dalla professione.
Mi è piaciuta la scelta che ogni racconto sia una "confessione" personale, perché così a chi parla/scrive di sé è data facoltà di andare "a ruota libera", avendo scelto come destinatario delle proprie confidenze qualcuno che non emetterà sentenze spicce e superficiali, ma che se ne starà buono semplicemente ad ascoltare.
Perché spesso è di questo che abbiamo urgente bisogno: di qualcuno che ci presti un po' d'attenzione e un paio di orecchie.

Non ultimo, ho apprezzato il fatto che non necessariamente per i protagonisti ci sia una soluzione certa ai loro problemi, anzi aleggia un'atmosfera volutamente "sospesa", quasi di mistero, che avvolge le tre storie, come se quei cerchi non si chiudessero mai davvero e il lettore fosse libero di immaginarne la fine.
Stranamente, questa vaghezza non mi ha infastidito, al contrario, l'ho trovata stimolante. 

2 commenti:

  1. Un romanzo molto interessante per i suoi contenuti ma soprattutto per come l'autore li ha trattati, senza cadere nel banale e già letto o visto ma affrontandone gli aspetti più profondi toccando anche la psicanalisi.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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