Questa è la storia di una famiglia borghese benestante che negli anni Settanta vive in una fattoria da fiaba, tra cavalli e mici, in un'atmosfera famigliare serena, gioiosa.
I Mulvaney destano invidia in quasi tutti coloro che li conoscono.
Fino al giorno infausto in cui accade una cosa che colpisce uno di loro e, di conseguenza, tutta la famiglia. Un evento drammatico da cui parte il "disfacimento" dei Mulvaney, tanto a livello sociale che privato.
UNA FAMIGLIA AMERICANA
di Joyce Carol Oates
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Ed. Il Saggiatore trad. V. Curtoni 512 pp
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I Mulvaney, se li conosci, li ami.
O li invidi.
Sì, perché sembrano perfetti, felici, affiatati, sereni, moderatamente cristiani, sempre educati e corretti, di un'esuberanza e di un'allegria sane, floride.
A far da sfondo a quest'allegra combriccola - composta da Micheal Sr, mamma Corinne e i quattro figli, Patrick, Mike, Marianne e Judd - c'è la loro dimora: High Point Farm, una bella e grande fattoria nel Nord dello stato di New York dove gli umani convivono pacificamente con cavalli, gattini e altre bestiole.
I Mulvaney si sono guadagnati il rispetto di tutti quelli che li conoscono: lui, il capofamiglia, ha un’impresa edile ben avviata ed è un rispettato membro del Country Club; Corinne è una donna attiva, profondamente religiosa e con la passione per l’antiquariato e la politica.
Anche i figli fanno la loro bella figura: Mike junior è un campione di football, Patrick uno scienziato in erba (intelligentissimo e colto, dà del filo da torcere a chiunque incappi in una conversazione "filosofica" con lui, che ha sempre la risposta e le argomentazioni pronte); il piccolo Judd è la mascotte della squadra; la femminuccia di casa - la dolce Marianne - è una studentessa modello, altruista, comprensiva, sempre attenta agli altri, una sedicenne brava e obbediente che mai si sognerebbe di infilarsi volontariamente in qualche guaio né di commettere cattive azioni.
L'unica "colpa" di Marianne è essere una Mulvaney di sedici anni, ingenua.
La vita idilliaca di questo nucleo famigliare si spezza nel giorno di san Valentino del 1976: c'è il ballo della scuola, a conclusione del quale accade qualcosa di terribile alla povera Marianne.
Quello che le accade, in famiglia verrà chiamato sempre l'«incidente», cercando di evitare accuratamente altri termini più adatti a descrivere il tipo di violenza subita dalla ragazza ad opera di un compagno di scuola, tale Zachary Lundt.
"L'incidente" diventa un fattaccio da non nominare più con nessuno e in nessun caso; Marianne sviluppa tanti e sbagliati sensi di colpa, che la inducono a tenersi tutto dentro e non voler rendere noto "il fattaccio".
A casa, quando la cosa si viene a sapere, tutti ne restano addolorati, sconvolti, arrabbiati.
Se Judd e Mike cercano "semplicemente" di evitare l'argomento doloroso per Marianne e per i genitori, Patrick matura dentro di sé un'enorme e cieca rabbia verso il farabutto che s'è approfittato della sua sorellina.
Corinne è distrutta, non accetta l'idea di non essersene accorta immediatamente e vorrebbe proteggere la sua bambina da tutto, compresi i pettegolezzi cattivi e ingiusti di chi non sa e parla alle spalle, addossando colpe a chi non ne ha e scagionando chi le ha.
E poi c'è lui, il padre: Micheal Sr è anch'egli dilaniato e vorrebbe spaccare la faccia a tutti gli ipocriti che si sono già schierati dalla parte del figlio di papà, contro cui nessuno ha intenzione di mettersi.
"...i Mulvaney erano una famiglia nella quale tutto ciò che accadeva era prezioso e tutto ciò che era prezioso era immagazzinato nel ricordo e tutti avevano una storia. Per questo molti di voi ci invidiavano, credo. Prima degli eventi del 1976, quando tutto per noi andò in pezzi e non venne mai più ricomposto nello stesso identico modo".
La serenità della casa è ormai annientata; in un attimo la famiglia perfetta non esiste più: ciascuno combatte la propria lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono, tutti si trasformano e si allontanano, sia col cuore che fisicamente.
Ogni Mulvaney prende la propria strada, prendendo le distanze dalla fiabesca fattoria in cui hanno vissuto la felicità e l'unione, per percorrere cammini differenti, distanti l'un dall'altro; per dimenticare, per non litigare, per non riversare rancori e ira su chi si ama, per cercare di andare avanti, ingoiando il boccone amaro dell'ingiustizia.
Da amati e ammirati a reietti: i Mulvaney diventano, all'interno della cerchia di amicizie (di adulti e ragazzi) degli appestati, gente da cui è meglio stare alla larga perché son capaci di combinare pasticci.
Attorno ai membri di casa Mulvaney si forma la cosiddetta "terra bruciata", un'opera meschina di isolamento e allontanamento da parte di coloro che, fino a una settimana prima, erano amici.
Pur amandosi, i due genitori e i quattro figli non sanno più interagire tra loro; a separarli c'è quel muro creato dall'incidente occorso a Marianne, ed è lei la prima che va allontanata in quanto la sua presenza ricorda troppo tutto il dolore, l'impotenza, la rabbia.
La storia ci viene narrata in retrospettiva dal piccolo di casa, Judd, attraverso il cui racconto entriamo in questa famiglia e, già dopo poche pagine, ci sembra di conoscerli e riconoscerli come se facessimo parte di loro.
"Narrando questa storia dei Mulvaney, dei quali mi trovo a essere il figlio più giovane ma anche, spero, un osservatore neutrale, o almeno qualcuno le cui emozioni sono state purgate ed esorcizzate dal tempo, io voglio scrivere ciò che è vero. (...) Molto si basa su ricordi e su conversazioni con membri della famiglia su cose che non ho vissuto in prima persona e che non potrei mai conoscere, se non seguendo le vie del cuore. Come diceva papà (...) «Noi Mulvaney siamo legati dal cuore»."
Ci fanno sorridere i nomignoli affettuosi affibbiati a tutti - umani e no -, i piccoli e simpatici aneddoti legati all'infanzia che, quando si ricordano da adulti, sembrano sempre più divertenti e buffi; li vediamo cambiare da un giorno all'altro dopo l'incidente, condividendo con ciascuno la sua tempesta emotiva; di alcuni comprendiamo le scelte, di altri meno, ma negli anni impariamo a capirli, a scusarli, e a me personalmente tutti hanno suscitato tenerezza per motivi diversi, nonostante qualcuno (come papà Michael) abbia preso una strada peggiore degli altri.
Nell'arco di 14 anni, i Mulvaney non si allontanano mai del tutto ma ognuno di essi intraprende un cammino personale importante, imparando a liberarsi dall’obbligo sociale di incarnare la perfezione,di comportarsi secondo delle etichette, di essere per forza accettati dagli altri per contare qualcosa, e scegliendo di diventare semplicemente se stesso.
"Quali sono le parole giuste per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?"
Già, lettori, quali sono le parole giuste per parlare dei Mulvaney?
Di Micheal senior: l'aitante, il gioviale, il burlone, il ricco e carismatico padre, marito, amico e imprenditore o l'uomo solo, arrabbiato col mondo e con i propri cari, ridotto a una larva che trova piacere soltanto nel bere?
Di Corinne, la madre e moglie cristiana, fervente, saggia, entusiasta, o della "seconda Corinne" che vede il proprio nido casalingo disfarsi sotto i propri occhi?
Di Marianne, debole, indifesa, bisognosa di amore, di essere accolta, accettata per ciò che è e per quella macchia sul suo passato.
Di Patrick, la cui razionalità non basta per calmare i fiumi di furore e vendetta che lo lacerano dentro.
La Oates ha saputo magistralmente raccontarci le vicende di questa famiglia, di come l'ossessione per l'ingiustizia subita da una di loro abbia pesato sulle loro vite, singole e in quanto membri del medesimo nucleo famigliare.
Il tratteggio umano che emerge da queste pagine mi ha soddisfatta appieno, la penna della scrittrice americana scorre senza intoppi e facendo crescere, di capitolo in capitolo, l'interesse e la partecipazione affettivo-emotiva ai fatti narrati e ai personaggi coinvolti.
Si fa il tifo per loro, per i cari Mulvaney.
Vi prego, ritrovatevi. Basta un abbraccio e una sincera pacca sulla spalla per spazzare via le nubi.
Un romanzo che mi è piaciuto davvero molto e che vi consiglio, se amate la narrativa americana contemporanea e le saghe famigliari.