Essere accusati dell'assassinio del proprio migliore amico e cercare in tutti i modi di dimostrare la propria innocenza oltre ogni ragionevole dubbio: questo è l'incubo che si trova a vivere un vicequestore di polizia con una onorata carriera alle spalle.
NON SONO UN ASSASSINO
di Francesco Caringella
Newton Compton |
Francesco non ci pensa due volte a infilarsi in macchina e ad andare da Bari a Lecce per ascoltare ciò che ha da dirgli l'amico, sapendo che sicuramente sarà qualcosa di importante, se non ha esitato a svegliarlo nel cuore della notte.
Dopo aver parlato con lui - non ci viene detto immediatamente il contenuto della conversazione, lo scopriremo successivamente, per bocca di Prencipe -, prima delle otto Francesco lascia la casa dell'amico, notando un particolare anomale: la presenza di una moto, e colui che la guida ha un casco rosso fuoco che di certo non passa inosservato.
Non trascorre molto tempo e Francesco viene chiamato dalla Procura di Potenza perchè il dottor Mastropaolo è stato ritrovato morto in casa propria dalla domestica, quel 3 dicembre, orientativamente nella stessa ora in cui lui doveva essere a casa del giudice: l’uomo giaceva nello studio della sua villetta, la fronte bucata da un proiettile. Non ci sono segni di effrazione e gli inquirenti sono perplessi in quanto il delitto, a una prima valutazione, non ha alcuna delle caratteristiche tipiche di quelli compiuti della malavita organizzata, ipotesi che sembrava inizialmente la più probabile, dato che la vittima era nota per le sue indagini contro la nuova camorra pugliese.
E così, anziché cercare i colpevoli negli ambienti criminali, tutti i sospetti si focalizzano su di lui, Francesco Prencipe, ben sapendo come i due per vent'anni fossero stati legati da una profonda amicizia e da una proficua collaborazione professionale. Certo, negli ultimi anni qualcosa tra loro s'era incrinato, i colleghi sono pronti a giurare che Mastropaolo sembrava aver allontanato da sè il vecchio amico, che aveva lasciato Lecce per tornarsene a Bari con moglie e figlia; forse tra i due c'erano stati problemi gravi che avevano fatto sì che Giovanni non nutrisse più la fiducia di un tempo in Francesco?
Il Pubblico Ministero Paola Maralfa ne è convinta: sicuramente tra Prencipe e la vittima non correva buon sangue da un po' di tempo (c'è "solo" da capire i perchè...) e sulla scena del delitto ci sono solo le impronte di Prencipe, che tra l'altro ha confermato di aver incontrato Giovanni a casa di questi nel lasso di tempo in cui, secondo il medico legale, la vittima è stata assassinata. A confermare la presenza dell'uomo nella villetta è la testimonianza oculare di un vicino di casa.
E il motociclista col caso rosso fuoco visto da Francesco un attimo prima di allontanarsi da casa di Giovanni?
Di lui pare non ci siano riscontri...
Dopo un drammatico interrogatorio, il funzionario di polizia viene accusato del crimine e arrestato; del resto, ogni indizio è contro di lui, e così ogni ragionamento volto a cercare un movente.
Ma appunto Prencipe lo sa, essendo un poliziotto esperto: a suo carico ci sono soltanto indizi, illazioni, non ci sono prove inconfutabili - nonostante il p.m. sia convinto di poter dimostrare la colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio; a Francesco non resta che imbarcarsi in un’ardua battaglia giudiziaria per dimostrare la propria innocenza. Ad affiancarlo c'è il suo amico di studi, l'avvocato Giorgio Laudadio, che farà di tutto per scagionare l'imputato da ogni accusa.
L'autore ci conduce passo dopo passo in un dibattimento processuale vivace, in cui le ipotesi dell'accusa si scontrano con i tentativi da parte di Prencipe di difendersi e di dimostrare come lui sia pulito e non avesse alcun motivo per far fuori un caro amico.
Nei primi capitoli conosciamo la vittima, che ci viene presentata come un giudice onesto, un professionista della Legge scrupoloso, sensibile nei confronti della ricerca della verità, un uomo convinto della necessità di far bene il proprio lavoro, consegnando al carcere i criminali e facendosi ovviamente per questo moltissimi nemici.
Tanti malavitosi avrebbero avuto più di una ragione per eliminare il magistrato e gli inquirenti cosa fanno? Si concentrano su un onesto e pluripremiato vicequestore, la cui "unica" colpa è stata quella di accorrere in casa dell'amico alle sette e mezza del mattino per dargli un consiglio su una questione di lavoro delicata che tormentava Giovanni...?
Francesco non si capacita di questo e fa di tutto per convincere sia la Corte che il lettore della propria innocenza: sì, è vero, negli ultimi due anni il legame tra lui e Mastropaolo s'era allentato, ma questo forse fa di lui un assassino?
"«Qualcuno che non è l’indagato ha sicuramente ucciso il mio amico Giovanni, dal momento che io non sono l’assassino. Già, io non sono l’assassino, non sono un assassino, non sono un assassino…», presi a ripetere con voce metallica..."
L'Autore sta attento a farci conoscere da vicino anche lo stesso protagonista (nonchè voce narrante), la sua amicizia con Giovanni, che sin da quando erano ragazzi ha sempre cercato di aiutare l'amico a trovare la propria strada; conosciamo la vita personale e famigliare di Francesco, le sue ambizioni, il suo essere sedotto dalla bella vita, fatta di macchine di lusso, soldi ed escort, cosa che ha fatto naufragare il matrimonio con la moglie Vittoria, e ha incrinato anche i rapporti con la figlia adolescente Martina, che guarda il padre con delusione e diffidenza.
Il protagonista, insomma, non è uno stinco di santo, è ben lontano dall'irreprensibilità dell'amico Giovanni, ma la domanda è sempre la stessa: sì, ok, ha avuto qualche scivolone, è un fedifrago, un padre che ha trascurato l'unica figlia che ha, uno che non ha esitato a sgomitare per far carriera... ma questo lo rende un omicida?
Fatto sta che gli arresti arrivano e il nostro vicequestore trascorre mesi in carcere prima dell'udienza finale, e in quel tempo dilatato e vuoto trascorso tra le quattro spoglie mura di una cella, inseguendo giorni sempre uguali, Francesco ha modo di ripensare alla propria vita e a quella perduta libertà che potrebbe non essere così semplice da riconquistare.
"La felicità perduta è una tortura insopportabile per gli uomini disperati. Come è potuto succedere che un uomo, la cui vita poteva essere perfetta, si sia trovato all’improvviso a combattere per sopravvivere nella cella umida e angusta di un carcere?"
Riuscirà a uscire di prigione completamente assolto?
Ad angustiarlo c'è non soltanto il terrore di essere riconosciuto colpevole e di prendersi un ergastolo, ma pure il pensiero che, se mai dovesse convincere il giudice e la Corte della propria innocenza, la sua reputazione resti comunque sporcata, e il pensiero che chi gli è intorno possa avere dubbi sulla sua innocenza è qualcosa che lo tormenta.
Nonostante mi sia trovata inevitabilmente, scorrendo avidamente le pagine di questo romanzo, a fare il tifo per il protagonista - pur non provando nei suoi confronti una totale simpatia, ma riconoscendone la personalità enigmatica, ambigua, non proprio limpida... -, nel corso del processo verità e menzogna si sovrappongono, si intrecciano e distinguerle non sarà semplice e qualche piccolo e insidioso dubbio assale il lettore...
"... tutti gli attori di quella particolarissima commedia mentono perché desiderano essere creduti e pensano che la menzogna sia più seducente della verità. Mentono perché la verità non sembra mai vera, perché la verità deve essere mescolata con un po’ di menzogna per risultare verosimile, perché la verità deve essere esagerata per risultare credibile, perché ci sono poche ragioni per dire la verità, mentre ce ne sono di infinite per raccontare una bugia, perché ogni uomo ha troppe cose di cui vergognarsi, perché a ognuno piace raccontare quello che l’ascoltatore desidera sentire."
Caringella ha scritto un legal thriller avvincente, che risulta molto fluido nella lettura nonostante il linguaggio sia molto accurato e non privo di termini tecnici riguardanti il mondo della giurisdizione penale; ho apprezzato le brevi ma efficaci descrizioni dei luoghi in cui è collocata di volta in volta la scena perchè in me hanno avuto l'effetto di aumentare la tensione, nel senso che era come se sentissi che l'Autore rallentasse di proposito il ritmo narrativo proprio in quei frangenti che anticipavano un momento clou, creando quindi l'effetto sorpresa.
La ricchezza di dialoghi, di botta e risposta tra accusa e difesa, si alterna in modo equilibrato alle riflessioni del narratore/protagonista, e questo fa sentire il lettore spettatore in prima linea di un'indagine serrata, dalla quale ci aspettiamo il colpo di scena finale..., che arriva puntuale e che forse, seppure solo in parte, il lettore attento ha un po' subodorato tra le pagine, attraverso alcune sfumature che sembrano buttate lì a caso ma così non è.
Ciò che emerge in questo romanzo - che personalmente ho divorato perchè non riuscivo a staccarmene tanta era la voglia di sbrogliare definitivamente la matassa - è che la verità non è mai univoca e inequivocabile, e che ciò che sembra avere una sola lettura e spiegazione, in realtà nasconde diverse facce, ma riconoscerle tutte con facilità non è scontato.
Davvero un bel libro, l'ho trovato coinvolgente, con una scrittura snella e piacevole, mai dispersiva, e non ho potuto fare a meno di leggerlo con molto interesse e di farmi travolgere dalle vicende che coinvolgono il protagonista.
Assolutamente consigliato, soprattutto se amate il genere.