Rocco Schiavone è un vicequestore davvero particolare: scorbutico, "cannaiolo", sempre di cattivo umore, sarcastico all'ennesima potenza, all'occorrenza manesco e poco gentile..., ma anche molto bravo nel risolvere i casi più difficili. Ed è impossibile non amarlo, nonostante il suo caratteraccio.
PISTA NERA
di Antonio Manzini
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Ed. Sellerio
288 pp
13 euro
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"Una telefonata sul cellulare a quell’ora di sera era una rottura di coglioni, sicuro come una raccomandata di Equitalia. (...) Una rottura di coglioni di ottavo grado. Se non addirittura nono.
Rocco Schiavone aveva una sua personalissima scala di valutazione delle rotture di coglioni che la vita insensibilmente gli consegnava ogni giorno. (...) L’ottavo grado vedeva in primis il parlare in pubblico, poi le pratiche burocratiche di lavoro, il teatro, riferire a questori o magistrati. Al nono i tabaccai chiusi, i bar senza l’Algida, incontrare qualcuno che gli attaccasse delle chiacchiere infinite, e soprattutto gli appostamenti con agenti che non si lavavano. Poi per ultimo c’era il decimo grado della scala. Il non plus ultra, la madre di tutte le rotture di coglioni: il caso sul groppone."
Semisepolto in mezzo a una pista sciistica sopra Champoluc, in Val d’Aosta, viene rinvenuto un cadavere, in condizioni davvero orribili: sul corpo, infatti, è passato un cingolato in uso per spianare la neve, smembrandolo e rendendolo irriconoscibile.
Ovviamente, attorno al luogo in cui viene trovato il morto sono poche le tracce utili per il vicequestore Rocco Schiavone, da poco trasferito ad Aosta e al quale è affidato il caso: briciole di tabacco, lembi di indumenti, resti organici e qualcosa che lascia intuire dai primi momenti che non si è trattato di un incidente ma di un delitto.
La vittima viene presto riconosciuta grazie ad un tatuaggio sul petto, ed è proprio la moglie del morto a dare una mano in questo senso: Leone Miccichè, catanese, proveniente da una famiglia di imprenditori vinicoli, stabilitosi tra le cime e i ghiacciai per aprire una lussuosa attività turistica, insieme alla moglie Luisa Pec, una donna tanto bella quanto intelligente; Luisa è di Champoluc e i suoi modi di fare suadenti - nonostante il dolore per la fresca vedovanza - non possono che stuzzicare i facili appetiti del vicequestore.
Chi e perchè ha ucciso il povero Miccichè?
Le ipotesi più probabili sono tre: la vendetta di mafia, i debiti, il delitto passionale.
Difficile individuare la pista giusta, visto che per ciascuna sembra mancare il tassello esatto..., ma Rocco ci sa fare non solo con i casi complicati ma ancor più... con l'essere umano.
Proprio lui, che si trova nella gelida e innevata Val d'Aosta non per volontà proprio ma in seguito ad un trasferimento punitivo.
Classe 1966, Rocco Schiavone è un vicequestore nato e cresciuto a Trastevere, che odia lo sci, le montagne, la neve e il freddo, bestemmia per le dita ghiacciate e per le sue Clark fradice ed inutili in un posto come quello.
Come mai dalla capitale è finito in quel luogo dimenticato da tutti?
Evidentemente ha combinato qualcosa di grosso per meritare un esilio come questo.
Del resto, stiamo parlando di un poliziotto corrotto (eh sì, non è uno stinco di santo e lo vedremo coinvolto anche in un affare non proprio legale e non certo adeguato alla divisa che porta), che ama la bella vita, ha un temperamento violento, atteggiamenti sarcastici - nel senso più romanesco che ci sia (tanto da essere quasi sempre sgradevole e antipatico), saccente, infedele, maleducato con le donne (se son belle, non riesce a non formulare pensieri sessuali su di loro), cinico con tutto e chiunque... e, come se non bastasse, odia il suo lavoro, che reputa una gran rottura di...
Però ha talento.
Sa come mettere un tassello dietro l’altro nell’enigma dell’inchiesta, ha una grande abilità nel leggere le persone, comprendendone i caratteri, le motivazioni, le intenzioni, i pensieri nascosti, utilizzando questi dati e queste intuizioni come frammenti utili per comporre un unico puzzle.
Là dove gli indizi sembrano più labili che mai, dove i testimoni appaiono poco attendibili, lì dove la storia del " qui a Champoluc siamo tutti parenti, amici e cugini" può rivelarsi un'arma a doppio taglio, lì dove ognuno conosce i fatti altrui e il pettegolezzo è all'ordine del giorno - che sia al bar di Mario e Michael piuttosto che nel negozietto dai prezzi stellari, o alla scuola di sci o ancora nel ristorantino che delizia il palato con un risotto al Barolo che ti mette (temporaneamente) in pace col mondo -, ecco che Schiavone sguinzaglia tutto il suo acume, la sua logica di ferro, le sue capacità investigative invidiabili e infallibili che lo portano dritto dritto verso il colpevole.
Ad aiutarlo nelle indagini - che durano pochi giorni - ci sono il medico legale Fumagalli - bravo nel suo mestiere, ironico, si diverte a stuzzicare Schiavone, che lo manda gentilmente a quel paese ogni volta -, e l'agente Italo Pierron - giovane, inesperto ma intelligente, bravo, affidabile, con cui Rocco instaura un buon rapporto di collaborazione; anche l'agente Caterina Rispoli, carina ed efficiente, rientra (stranamente?) nelle simpatie del burbero vicequestore.
Divertenti le interazioni con gli altri due poliziotti, D'Intino e Deruta, assolutamente goffi, imbranati ed incapaci di fare autonomamente e con competenza il proprio lavoro, e per questo oggetto di insulti e urla da parte di Schiavone, che non manca di rimproverarli e sfotterli ad ogni occasione.
Schiavone non è il superiore ideale, con la sua faccia strafottente, burbera e poco aperta al sorriso, i suoi modi ruvidi e zotici, la sua voce rabbiosa, il suo sguardo che sa intimorire; non è l'uomo che vorresti come partner, e lo sa bene la donna che in questo periodo frequenta ad Aosta, la bella Nora, paziente e consapevole che Rocco o lo accetti per quello che è (un amante inaffidabile, incostante, scostante, di umore decisamente variabile) o è meglio che lo lasci perdere.
Eppure, nonostante il suo caratteraccio, da lettrice non ho potuto non fare il tifo per lui; perchè Rocco alla fine è una persona, a modo suo, trasparente, anticonformista, capace di andare contro i luoghi comuni che lo circondano, di racchiudere dentro di sè un mondo che in pochi conoscono ma che è più ricco e sensibile di quanto traspaia all'esterno.
E il lato più umano di Rocco, la parte più fragile, quella capace di sciogliersi in lacrime, di parlare da solo davanti ad uno specchio, di commuoversi, di amare oltre tutto e tutti, c'è e il lettore può osservarla da vicino, seppur in pochi sprazzi, nei dialoghi con lei, la donna della sua vita: la moglie Marina.
Rocco fa il suo lavoro in maniera eccellente ma quando porta a casa un caso chiuso in poco tempo e brillantemente non si sente affatto felice.
"«Mestiere di merda» ringhiò il vicequestore (...). E la solita spiacevole sensazione di colpevolezza calò sui suoi sensi, sul suo corpo stanco e infreddolito. Era sempre così. Ogni volta che chiudeva un caso si sentiva sporco, lurido, bisognoso di una doccia o di un viaggio di un paio di giorni. Come se fosse lui l’assassino. (...) Ma non si può toccare l’orrore senza farne parte. E lui lo sapeva. (...) Doveva sporcarsi. Il fango diventava casa sua. (...) Era la parte più brutta e oscura della sua vita, tornarci era doloroso, faticoso. E tutto questo, le indagini, gli assassini, le falsità lo costringevano a rifarci i conti. A lui, che cercava di lasciarsi alle spalle le cose più brutte che aveva vissuto. Che tentava di dimenticare il male fatto e quello ricevuto. Il sangue, le urla, i morti. Che si ripresentavano dietro le palpebre ogni volta che le chiudeva. (...) Nella palude Rocco Schiavone era come tutti gli altri. Né più né meno. Nella palude il confine tra bene e male, tra giusto e sbagliato non c’è. E non ci sono neanche le sfumature. O ti ci butti dentro, o ne stai fuori."
Rocco Schiavone non è il commissario..., ohps, il vicequestore! (non chiamatelo commissario che s'inalbera e vi scarica addosso una valanga di parolacce) scanzonato, ironico, solitario e sulle sue ma in fondo buono ed empatico cui ci hanno abituato personaggi memorabili come Poirot, Maigret o anche un Philip Marlowe; no, lui è indisponente e sembra far di tutto (in realtà gli viene proprio spontaneo, non si sforza affatto!) per risultare antipatico, arrogante e bifolco.
Però sa il fatto suo e basta uno sguardo dei suoi, carico di domande - quelle giuste! - e avvertimenti - "non fare il furbo con me chè ti sgamo immediatamente!" - per farti capitolare e confessare.
Perchè uno come lui sa come guardarti dentro, come scavare e arrivare negli angoli buii della tua anima, della tua mente; fiuta da lontano il marcio perchè lui in quel buio e in quel marcio ci vive ogni giorno, lo conosce fin troppo bene ed è lì che vivono i suoi dèmoni, i suoi incubi personali e più intimi, che lo tormentano da tempo e non lo lasciano in pace.
Ma non immaginatevi questo noir di Manzini come qualcosa di cupo, triste, di una malinconia mortale ed opprimente; sì, il protagonista è sicuramente un uomo con un passato difficile e doloroso alle spalle, ha un carattere ombroso e poco socievole, ma sa anche come regalarci momenti molto ironici, che ci fanno sorridere proprio perchè Rocco è così spontaneamente burbero da fare battutacce e osservazioni talmente crude e schiette da risultare, alla fine, buffo, comico.
Aggiungo che nella lettura mi ha "aiutata" molto il poter attribuire un volto (delle facce, dei toni di voce ecc...) ai personaggi, in primis a Schiavone, avendo guardato la serie con protagonista il formidabile Marco Giallini, che incarna perfettamente il vicequestore romano.
Un noir per me impeccabile, piacevolissimo, trama molto intrigante, location suggestiva e ben descritta, protagonista che "spacca" e conquista il lettore.
Mi è venuta voglia di continuare la serie, Rocco già mi manca!