lunedì 5 novembre 2012

Recensione "Quel che resta del giorno" di Ishiguro



Quel che resta del giorno
The remains of the day Ed. Einaudi
Super ET
Trad. di M.A. Saracino
271 pp
12 euro
2011
QUI per la trama
Ecco la recensione di un altro libro terminato ieri!!


QUEL CHE RESTA DEL GIORNO
di Kazuo Ishiguro

IL MIO PENSIERO

Quel che resta del giorno è un romanzo del bravissimo autore giapponese Kazuo Ishiguro, apprezzatissimo in Europa, vincitore del prestigioso Booker Prize; nel 1993 il regista James Ivory ha anche tratto da questo libro un film con un cast rilevante, tra i quali senz’altro spiccavano Anthony Hpkins ed Emma Thompson.

E’ di certo un romanzo scritto con molta intensità, del quale ho potuto apprezzare e gustare lo stile, la scorrevolezza, la fluidità del linguaggio, la profondità nello scavare nell’animo e nella mente del protagonista, Mr Stevens.

Stevens è un maggiordomo; anzi, è il maggiordomo per antonomasia, di quelli in perfetto stile english (del resto, diciamoci la verità: la parola maggiordomo non porta con sè, quasi in maniera connaturata, intrinseca, l’idea stessa di un personaggio inglese, di quelli appartenenti ad altre generazioni, a momenti del passato in cui vigeva un certo senso dell’ordine, della disciplina, del servizio, una certa serietà nel fare il proprio lavoro..., tutte cose che oggi si sono un pò perse e alle quali guardiamo a volte con un briciolo di nostalgia? ).
Il romanzo si presenta come un lungo e dovizioso viaggio introspettivo che Stevens compie in concomitanza anche con il primo e solitario viaggio intrapreso, in occasione di una settimana di ferie concessagli dal proprio datore di lavoro.
E’ una sorta di percorso intimistico, nel quale l’Autore ci dà modo di conoscere da vicino il nostro maggiordomo, di apprezzarne la serietà, la diligenza, la professionalità, l’imperturbabilità, l’atteggiamento irreprensibile..., in una parola la “dignità” di un uomo che sa quali sono i propri ruoli, le proprie mansioni e che desidera con tutto se stesso adempierli nel miglior modo possibile, in modo consono alla propria posizione di maggiordomo al servizio di gente rispettabile, all’interno di una casa prestigiosa e onorata.
La parola dignità ricorre davvero spessissimo in tutto l’arco del romanzo; Stevens ci tiene a dare le proprie idee circa il concetto di dignità e a chiarire come sia una qualità difficile non solo da definire in modo chiaro ed inequivocabile, ma soprattutto difficile da incarnare.

Tutta la sua vita è diretta a questo scopo: rappresentare la categoria dei maggiordomi a testa alta, imitando la figura paterna e tutti coloro che, a detta di Stevens, incarnano questo ideale, mostrando sempre fierezza, irreprensibilità, la giusta dose di freddezza, autocontrollo, fedeltà che sono requisiti indispensabili per poter dirigere come si deve una casa, tenendo sotto controllo schiere di camerieri/e che non sempre fanno il proprio lavoro in modo eccellente.

L’eccellenza è la fissa di Stevens; in moltissima parte delle sue riflessioni, che l’uomo si concede quasi pigramente mentre attraversa l’incantevole e tranquilla campagna inglese con la Ford del padrone o sedendo al tavolino in qualche modesta pensione, emerge come il fulcro attorno cui ruota la vita di quest’uomo sia il proprio lavoro, al quale è legato in modo eccessivo, tanto da non lasciare molto spazio ad altro.

In particolare, Ishiguro è bravissimo nel presentarci una personalità davvero singolare: Stevens è poco avvezzo a manifestare e ad ammettere nella propria esistenza un qualsivoglia slancio sentimentale; c’è solo e sempre il suo lavoro, il proprio servizio prestato in modo devoto e totalizzante a “sua signoria, Mr Darlington” (il datore di lavoro più importante per Stevens, presso il quale ha prestato anni e anni di onorato servizio; alla morte di Darlington, la casa e il personale sono finiti nelle mani dell’americano Mr. Farraday); le relazioni umane di cui si circonda questo placido ma fiero maggiordomo sono unicamente quelle legate al lavoro.

Della sua famiglia e degli affetti non sappiamo assolutamente nulla, se non fosse per la breve presenza del padre in casa Darlington, come vice di Stevens; anche verso il padre, ormai anziano e non sempre in grado di svolgere doviziosamento le proprie mansioni, Stevens non si lascia andare emotivamente, neanche al momento della morte del genitore.

La dignità cui sempre aspira lo porta a chiudersi in una sorta di gabbia protettiva, in cui tutto si riduce a frasi fatte, a dialoghi artificiosi, a rapporti anaffettivi, a distanze mantenute in nome della professionalità, ad atteggiamenti sempre fedeli ad una certa etichetta, ad un certo contegno che devono necessariamente caratterizzare coloro che portano avanti una casa.

Devo dire che Stevens di per sè è un personaggio emotivamente “piatto”, che non mi ha dato emozioni, se non di irritazione di fronte alla sua testarda ossessione per le etichette, alla sua rigidità mentale ma anche fisica; anche nel modo di porsi, oltre che di parlare, quest’uomo trasuda rigidità, incapacità a lasciarsi andare.

Ho apprezzato molto, per contro, la protagonista femminile di questo romanzo: Miss Kenton, la governante di Darlington Hall, collega di vecchia data di Stevens.

Durante il suo “viaggio a ritroso nel tempo”, in cui Stevens ci rende noti molti aneddoti accadutigli durante la sua lunga carriera a Darlington Hall, il personaggio di Miss Kenton compare molto di frequente, sin dall’inizio, lasciandoci pensare che abbia avuto una parte non del tutto irrilevante nella vita del nostro maggiordomo.
Dicevo, Miss Kenton mi ha colpito per la sua “umanità”, intendendo con questa espressione semplicemente il fatto che questa donna ha mostrato una personalità sobria ed equilibrata, rispetto al collega, in merito al lavoro.
Pur essendo ligia al proprio dovere, impeccabile, fedele, seria, attenta, “dignitosa”, Miss Kenton non vive rinchiusa tra le “quattro mura della propria professionalità”: è una donna che ha delle passioni, degli umori anche altalenanti, che ricerca un contatto umano, che spesse volte pretende dall’imperturbabile Stevens delle reazioni vere, autentiche, umane... non quelle reazioni aride, piatte di chi ha paura di "uscire dal seminato", lasciandosi andare ad un sorriso di più o ad una battuta ironica, con l’ossessione del contegno....!

Ecco, lo dico: se non fosse stato per un personaggio come Miss Kenton, la lettura dei pensieri di quest’uomo, sarebbe risultata alquanto noiosa....

Ma il confronto con questa donna, a Stevens non indifferente, mi ha portato a proseguire nella lettura, cercando di entrare nell’ottica di un personaggio che per natura non è proprio quello ideale per catturare la mia attenzione, ma che non posso non ammettere come l’Autore l’abbia costruito con mano sapiente, tanto da farmi a volte sorridere nell’immaginare la sua compostezza, il suo tono di voce controllato, pacato, il suo comportamento mai sopra le righe....

Nel corso della lettura ho provato molte volte una sorta di tristezza e “pietà” per Stevens: per le sue chiusure emotive e per i mancati palpiti che avrebbe potuto concedere al suo cuore, dando colore alla propria vita attraverso l’amore, l’amicizia vera...

Non aggiungo altro per non svelare qualcosa che, non volendo, potrebbe dir troppo su questa personalità, apprezzabile per la serietà e la “dignità professionale”, ma a mio avviso un tantino sterile e algida...

In alcuni momenti ho trovato la narrazione un po’ lenta, ma del resto, ripeto, è un romanzo “intimistico”, che segue una linea introspettiva, quindi non ci si deve aspettare azione, dinamicità; non nascondo, d’altro canto, coma la diffusa sensazione malinconica che riveste i ricordi del nostro Stevens non mi sia affatto sgradita, essendo io per carattere una persona tendente alla malinconia e alla nostalgia...

Lo consiglio perchè a rapire è lo stile dell’Autore, assolutamente ben costruito, con un linguaggio sì ricco ma allo stesso tempo scorrevole, quasi musicale; non solo, ma anche se Stevens come individuo non ha catturato la mia parte emotiva, pure riconosco che Ishiguro ce lo presenta con una sapienza psicologica di tutto rispetto.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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